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Per evitare che il pianeta diventi "il grande cimitero dell’umanità"
non basta abbattere la dittatura del dollaro,
occorre farla finita con il capitalismo
"Quando un paese dotato di un esercito potente
e grandi riserve di oro cominciava a dedicarsi
alla costruzione di imperi di facili fortune
con cui alimentare il proprio benessere domestico,
esso segnava inevitabilmente l’inizio
del proprio declino" (Ron Paul - Sen. Usa )¹
È ancora presto per capire se il vertice dei paesi Brics ( Brasile, Russia, Cina e Sudafrica) che si è tenuto a Johannesburg dal 22 al 24 agosto scorso passerà alla storia come la data simbolo della fine del cosiddetto secolo americano, ma non c’è dubbio che sia destinato ad imprimere un forte accelerazione al declino dell’impero a stelle e strisce. I Brics, infatti, si prefiggono di incoraggiare l’uso: «...delle valute nazionali nel commercio internazionale e nelle transazioni finanziarie tra i Brics e con i loro partner commerciali»² in sostituzione del dollaro, cioè del pilastro portante di tutta l’impalcatura dell’impero americano; tanto più che dal primo gennaio 2024 entreranno a farvi parte anche l’Arabia Saudita, l’Egitto, l’Etiopia, l’Iran e probabilmente anche l’Argentina.³
La decadenza del capitalismo col suo strascico di crisi economiche, sociali, guerre, induce la borghesia del cosiddetto mondo libero occidentale, sino a oggi dominante sul piano economico-finanziario e nella narrazione ideologica, a mettere le mani avanti per conservare il proprio primato messo sempre più in discussione dall’emergere di nuovi attori nello scenario internazionale. A tale scopo viene favorita una martellante propaganda democraticista come mai si era visto precedentemente. La lotta tra i predoni imperialisti si ammanta della falsa coscienza borghese: l’occidente democratico contro l’oriente autocratico, il bene contro il male. In realtà si tratta a occidente come a oriente di lotta di classe della classe possidente contro la classe subalterna e di preservare la sottomissione dei salariati al capitale.
Un vecchio adagio d’oltralpe recita: «il denaro fa la guerra», ma ai fini di una sua completezza formale e sostanziale dovremmo aggiungere: «e la guerra fa il denaro».
Il motivo per cui abbiamo emendato l’adagio francese ci viene imposto dalla critica dell’economia politica. Guerra e denaro sono un binomio indissolubile: se la crisi di valorizzazione del capitale è strutturale e dunque permanente, permanenti saranno le guerre¹. Come direbbe Aristotele: Tertium non datur.
Per decenni gli USA sono riusciti ad imporre al mercato il dollaro quale moneta di riferimento principale per gli scambi internazionali, con questo sistema di signoraggio monetario la borghesia americana dopo aver abbandonato il Gold-standard è riuscita a beneficiare di enormi quote di plusvalore proveniente da tutto il mondo. Ci è riuscita soprattutto con la creazione dei petrodollari. Indicizzare i barili di petrolio con la propria moneta ha permesso agli USA di influire sulla determinazione dei prezzi su scala internazionale in base ai propri interessi.
I media della borghesia con il loro codazzo di maître a penser lautamente retribuiti e comodamente sdraiati sui salotti televisivi, di fronte agli ultimi approdi del conflitto israelo/palestinese, appuntano la loro attenzione sul conteggio dei morti da una parte e dall’altra e a quale di esse assegnare la medaglia della maggiore efferatezza occultando spudoratamente che anche quest’ultimo scempio ai danni della popolazione civile palestinese e israeliana, è solo uno dei tanti round di quella guerra imperialista permanente che ormai imperversa su scala planetaria.
Con il piglio dell’azzeccagarbugli di manzoniana memoria, discettano di “diritto umanitario”, di “diritto internazionale” e simili amenità e dimenticano, o fanno finta di dimenticare, l’unico dato veramente dirimente e cioè che Gaza marine galleggia su uno dei più ricchi giacimenti di gas del mondo e che ovunque ci sia anche una sola traccia di gas o di qualche altra materia prima strategica infuria la guerra imperialista con tutto il suo carico di distruzione, morte e barbarie.
Che la democrazia statunitense sia diversa dalle più antiche europee è nella comune concettualizzazione. Bisogna però intendersi sulla diversità, la quale non è già divergenza ma solo presenza di particolarità. La disputa tra fazioni, alle fondamenta della democrazia borghese, e la formazione di un’opinione pubblica, nonostante traspaia come un concorso delle idee di tutti ma funzioni ancora come formazione delle idee della classe dominante, in terra nordamericana assume forme diverse ma non trasforma il significato di dominio politico ed ideologico sulle classi subalterne.