Guerra e Capitalismo: un binomio inscindibile

Creato: 01 Dicembre 2025 Ultima modifica: 01 Dicembre 2025
Scritto da Giorgio Paolucci Visite: 36

Dal punto di vista capitalistico anche la vita in sé ha valore solo e in quanto strumento di produzione e/o mezzo di estrazione del plusvalore

 

Basta dice la morte ai tiranni, ho mangiato a sazietà, così il poeta palestinese Marwan Mahhoul nella sua bellissima poesia New Gaza¹. Purtroppo - aggiungiamo noi - non è così per sua maestà il capitale per il quale, invece, la permanenza della guerra, con il suo carico di morte e distruzioni, è divenuta già da diverso tempo una sua condizione esistenziale.

Infatti, da quando la “fabbrica della finanza” ha preso il sopravvento su quella dell’industria, una parte crescente del capitale finanziario anziché essere trasformato in capitale industriale per la produzione delle merci, funge da base di partenza per la produzione di altro capitale finanziario sotto forma di capitale fittizio. Non genera plusvalore non contribuendo in alcun modo alla sua estorsione mediante la produzione di merci ma lo stesso se ne appropria. Se ne appropria tramite la speculazione finanziaria, il controllo monopolistico dei mercati delle materie prime, degli interessi che genera quando è dato in prestito e così via, ma sempre per via del tutto parassitaria.

Così, la massa del capitale complessivo si accresce molto di più e più velocemente della massa del plusvalore estorto alla forza-lavoro. Da qui la necessità di mettere a profitto tutti i momenti della vita dei lavoratori; la vita stessa deve farsi cosa, ossia mezzo di produzione o di estrazione di plusvalore².

Esattamente come previsto da Marx che già nel 1847 scriveva: «Infine, il tempo in cui tutto ciò che gli uomini avevano considerato come inalienabile divenne oggetto di scambio, di traffico e poteva essere alienato; il tempo in cui quelle stesse cose che fino allora erano state comunicate ma mai barattate, donate ma mai vendute, acquisite ma mai acquistate – virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc. – tutto divenne commercio. È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per parlare in termini di economia politica, il tempo in cui ogni realtà, morale fisica, divenuta valore venale, viene portato al mercato per essere apprezzata al giusto valore [….] di scambio elevato al cubo»³. E così anche la guerra, anziché essere bandita e archiviata nel museo della preistoria, pur di soddisfare la crescente fame di plusvalore, è divenuta con il suo carico di morte e distruzione un affare come un altro, anzi l’affare per eccellenza.

A tal punto che, ormai, basta anche solo paventarla o annunciarla che una pioggia di profitti si riversa nello casse dei grandi fondi di investimenti, delle banche e di tutte quelle istituzioni finanziarie che controllano l’industria bellica e tutte le altre attività a essa connesse. È bastato che la Ue autorizzasse i singoli Stati membri, ognuno per la sua quota parte, a finanziare in deficit, anche oltre il 3% del proprio Pil, il piano di riarmo europeo (Readiness 2030) per un totale di 800 miliardi di euro, che tutte le imprese del settore e le istituzioni finanziarie che le controllano, realizzassero plusvalenza da capogiro. Al riguardo, scrive Alessandro Volpi nel suo La guerra della Finanza: «Se prendiamo l’elenco delle principali società di armamenti europee, vediamo che da inizio anno fino a metà marzo 2025 […] il titolo di Airbus Group è cresciuto del 12,6%, quello di Bar System del 41%, quello di Dessault del 45,5%, quello di Kongsberg del 27%, quello di Leonardo del 73,3%, quello di Rheinmetall del 92,2%, quello di Rolls Royce del 41%, quello di Saab del 58% del e quello di Thales del 76%; una crescita proseguita nei mesi successivi. Rheinmetall e Leonardo hanno annunciato una joint venture e la loro forte crescita porta con sé quella delle banche come UniCredit che hanno legami stretti con quel tipo di industrie [...] Un caso eloquente , in tale ottica, è costituito dal titolo Iveco che da gennaio a fine aprile 2025, per effetto dei programmi di riarmo europei, è salito del 44% e attirato l’interesse di due fondi americani, Bain Capital e Kps».

E ciò ancor prima che sia stata prodotta una sola cartuccia. Insomma, una vera manna dal cielo a discapito di tutti coloro che, vivendo della sola vendita della loro forza-lavoro, saranno chiamati a pagare il conto con tagli alla spesa sociale, ai salari, stipendi e pensioni quando non con la loro stessa vita come carne da cannoni.

Stando al discorso pubblico mainstream questo sarebbe il prezzo da pagare per evitare di finire sotto il tallone di ferro di questo o quel Tartaro di turno e che ora, per il cosiddetto Occidente, sarebbe la Russia di Putin. In realtà, è la necessità del capitalismo di allargare all’infinito il campo di produzione del plusvalore che fa della guerra un fattore fondamentale per la sua conservazione.

Emblematico quanto accaduto ultimamente a Gaza. Benché dal punto di vista strettamente militare non ci fossero più obbiettivi che giustificassero il proseguimento del conflitto, l’esercito israeliano, incurante delle decine di migliaia di vittime fra la popolazione civile, ha continuato a bombardarla fino a quando non c’era più nulla che potesse essere distrutto e il costo delle bombe risultava maggiore dei danni che provocavano. Solo a questo punto, quando cioè si è profilato per le multinazionali del settore immobiliare, soprattutto israeliane e americane e tutto il loro indotto, il grande affare della ricostruzione, è stata siglata, peraltro del tutto parziale, una tregua. Si vedrà quanto duratura e a quale prezzo per la popolazione palestinese il cui sterminio da parte dell’esercito israeliano, comunque, continua tuttora. En passant va detto che mediatore molto attivo dell’accordo è stato, Jared Kushner, genero di Trump e amministratore di una grande multinazionale del settore immobiliare.

Per l’Ucraina invece è bastato che, a seguito dell’annuncio di una possibile tregua, le quotazioni delle azioni delle grandi imprese belliche subissero un brusco calo, che partisse un vero e proprio fuoco di sbarramento contro l’eventualità di un accordo che portasse alla cessazione delle ostilità. Nell’opporsi alla proposta trumpiana si è distinta soprattutto l’Unione europea che pure dovrebbe essere la più interessata a una cessazione delle ostilità.

Evidentemente, al contrario di quanto afferma la narrazione dominante, quel che veramente interessa non è né l’integrità territoriale dell’Ucraina, né la difesa dei fantomatici valori fondanti dell’Unione, né della tanto sbandierata quanto svuotata democrazia, ma il timore che, qualora venisse meno il “pericolo russo”, anche il già varato piano di mega riarmo europeo non sarebbe più giustificato a tutto discapito di coloro che grazie alla guerra ingrassano. Quindi, guerra fino all’ultimo ucraino.

Insomma, se la pace ci sarà, qui come a Gaza, sarà soltanto perché la guerra avrà creato le condizioni per cui una sua pausa risulterà più vantaggiosa della continuazione della guerra; il che al momento non sembra proprio imminente. È che il dio denaro non è mai sazio. Infatti, benché le armi ancora non tacciano a Gaza e in Ucraina, si fa sempre più assordante il rullio dei tamburi di guerra ai confini del Venezuela, del Libano e della Siria, per non dire poi di tutte le guerre che imperversano in Africa.

Ormai Guerra e Capitalismo costituiscono un binomio inscindibile, tanto che non si può escludere, nonostante l’arma atomica, neppure una nuova guerra mondiale e, se non l’estinzione dello stesso genere umano, sicuramente il suo sprofondamento nella più totale barbarie.

È in ragione di ciò che il comunismo con la rimozione dei rapporti di produzione capitalistici, è divenuto, come mai prima d’ora, un’inderogabile necessità, non solo per porre fine a ogni forma di sfruttamento degli uomini, ma per la salvaguardia della vita stessa.

[1] Marwan Makhoul, New Gaza - Poesie da Gaza, Fazi Editore, pag. 51

[2] Si distingue fra produzione ed estrazione del plusvalore perché derivano da processi diversi. La prima deriva unicamente dallo sfruttamento della forza-lavoro nel processo di produzione delle merci, la seconda invece mediante l’artificioso aumento dei prezzi delle merci, della rendita fondiaria, dei tassi di interessi, ossia mediante ogni sorta di attività speculativa. Per ulteriori approfondimenti vedi anche: L. Gallino, Finanzcapitalismo, Ed. Einaudi, pag. 6

[3] K. Marx, Miseria della Filosofia, Opere Complete, Vol. VI, Ed. Riuniti, pag. 111

[4] Per ulteriori approfondimenti vedi anche: La guerra permanente e le sue cause, https://www.istitutoonoratodamen.it/index.php/questioniteoriche/609-sulla-guerra-permanente-e-le-sue-cause

[5] A. Volpi, La guerra della finanza. Trump e la fine del capitalismo globale, Ed. Laterza pag. 41 e 42