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Introduzione a cura della Redazione
Scegliamo di ripubblicare il testo de I capitali contro il capitale, articolo di G. Paolucci apparso su Prometeo n.9 del 1995, a distanza di 30 anni poiché, già dal titolo, si avverte la necessità di ri-approdare ad una concettualizzazione del modo di produzione capitalistico a partire delle sue più radicali contraddizioni: “in realtà il capitalismo è sempre uguale a se stesso e non sta facendo altro che riorganizzarsi in chiave di auto conservazione secondo le linee di sviluppo dettate dalla legge della caduta tendenziale del saggio medio del profitto”. Vecchio e nuovo allo stesso tempo; continuità della legge generale e novità “delle influenze antagonistiche, che contrastano o neutralizzano l’azione della legge generale”.
La novità tecnologica, quale propulsore di produttività della forza-lavoro, funziona da antagonista finché riesce ad allargare anche la base produttiva ma nel momento in cui agisce perlopiù come alterazione, a favore della quota costante, della composizione organica del Capitale, con una base produttiva allargata, conferma la legge generale aggravandone ulteriormente le crisi che ne derivano.
Mentre parlano di volere la pace in Ucraina, il capitalismo prepara il terreno a nuove guerre di ben altra portata.
Siamo nel quarto anno della sanguinosa guerra imperialista in Ucraina, che ha prodotto milioni di sfollati fuori dai confini nazionali per sfuggire alla furia del conflitto, centinaia di migliaia di morti e feriti e che ha di fatto trasformato il paese in un cumulo di macerie. Secondo gli ultimi dati forniti da varie organizzazioni internazionali la popolazione ucraina si è ridotta in questi anni di conflitto di oltre 10 milioni di persone, scappate nei paesi occidentali limitrofi per sottrarsi alla violenza di una guerra che, come tutte le guerre degli ultimi due secoli, è una guerra che trae le proprie origini dalle profonde contraddizioni in cui si dimena il capitalismo a livello mondiale. Vi è un unico responsabile nel conflitto ucraino ed è il capitalismo che pur di imporre la legge del profitto scatena guerre sull’intero pianeta ed impone a miliardi di proletari condizioni di vita e di lavoro sempre più disumane. Come abbiamo scritto nel nostro quaderno “Alle radici della guerra in Ucraina” il conflitto iniziato il 24 febbraio 2022 è soltanto un capitolo della guerra imperialista permanente che ormai da decenni imperversa ai quattro angoli del mondo¹.
É certo, però, che nulla sarà più come prima. Dietro l’angolo
si annuncia una fase di grande instabilità
politica economica e finanziaria
Entrambi i presidenti degli Usa, l’uscente Biden nel suo ultimo discorso e Trump in quello di insediamento alla Casa Bianca, hanno descritto lo stato dell’economia statunitense come il migliore dei mondi possibili. Trump ha addirittura previsto per l’America una nuova “età dell’oro”. Intanto sbraita contro tutti e tutto e come il lupo della favola di Esopo che, standosene a monte, imputa all’agnello che beve a valle di insudiciare l’acqua del torrente a cui anch’egli si abbevera, accusa il resto del mondo di arricchirsi a spese dell’America esportandovi i suoi surplus commerciali, quando in realtà è il contrario: è l’America che, potendo pagare le sue importazioni con dollari che di fatto si configurano come delle “cambiali senza scadenza”, ne trae il maggior vantaggio.
Ma il vero problema dell’economia americana è il dollaro
Secondo i sondaggi, fra Kamala Harris e Donal Trump doveva essere un testa a testa fino all’ultimo voto; invece è finita con la vittoria netta del tycoon.
Oltre alla presidenza, ha conquistato anche la maggioranza di camera e senato potendo così concentrare nelle sue mani un enorme potere. Ha vinto basando tutta la sua campagna elettorale sulla promessa di riportare gli Usa agli antichi splendori. Make America great again (Fare l’America di nuovo grande) ha ripetuto ossessivamente per tutta la campagna elettorale. Come? Espellendo gli immigrati illegali perché “rubano” il lavoro agli americani; tagliando il budget federale di due trilioni di dollari in due anni, a cominciare da quello relativo alla spesa sociale; imponendo pesanti dazi su tutte le importazioni ivi comprese quelle dai paesi dell’Unione europea e cinesi in modo particolare. E, dulcis in fundo, riducendo ulteriormente le imposte sui profitti in coerenza con il dettato neoliberista secondo cui la maggiore ricchezza accumulata dai più ricchi sgocciola verso gli strati inferiori della società generando così benessere per tutti. Gli hanno creduto, nonostante negli ultimi decenni sia accaduto esattamente il contrario: i ricchi sono diventati sempre più ricchi e la classe lavoratrice sempre più povera.
Tra capitalismo e umanità è ormai questione di "o lui o noi" (H. Kempf)
Non appena si profila la possibilità di un qualche accordo che possa far tacere le armi fra la Russia e l’Ucraina, anche solo con un armistizio o una tregua più o meno lunga, c’è sempre un qualche Stoltenberg, o un qualche suo emulo, che anziché adoperarsi affinché vada in porto, fa di tutto perché la guerra continui e si intensifichi, benché l’Ucraina sia ormai ridotta ad un cumulo di macerie. Non si fa altro che prometterle aiuti in armi sempre più potenti nonostante la maggior parte degli esperti in questioni militari avverta che, visti i reali rapporti di forza, sia materialmente impossibile che Kiev possa sconfiggere la Russia a meno che non intervenga direttamente la Nato con i suoi uomini e i suoi mezzi che, però, sarebbe quella terza guerra mondiale che tutti dicono di non volere, temendo che si trasformi in uno olocausto nucleare che metterebbe a rischio la stessa sopravvivenza della specie umana. Né le cose vanno diversamente per quel che riguarda il conflitto fra Israele e Hamas. Non passa giorno che gli Stati Uniti e la maggior parte dei loro alleati/vassalli non invochino la fine della mattanza a Gaza, ed ora anche in Libano, e il riconoscimento dello Stato palestinese secondo la formula "due popoli, due stati", nel mentre, però, forniscono a Israele ogni sorta di armamento.