L’ultima frontiera del capitalismo è la guerra permanente

Creato: 23 Aprile 2024 Ultima modifica: 23 Aprile 2024
Scritto da Giorgio Paolucci Visite: 959

Al pari dello sfruttamento della forza-lavoro, la guerra permanente

è diventata condizione di esistenza della borghesia,

pertanto non potrà esserci pace finché permane il suo dominio sulla società.

 

Nonostante il frastuono martellante della propaganda bellicista, dovrebbe essere impossibile non udire il rumore cupo dei corpi delle centinaia di migliaia di esseri umani inermi che la guerra imperialista permanente frantuma allo stesso ritmo di una catena di montaggio. Eppure non è così. Fa più rumore l’abbandono di un cane o di un gatto “in tangenziale” che la strage di migliaia di donne e bambini innocenti. Si dirà: “ma è la guerra, è stato sempre così”. Certo, è innegabile che le guerre hanno sempre comportato morte e distruzione così come è innegabile che già dalla Seconda guerra mondiale in poi a pagarne il prezzo maggiore è stata sempre più la popolazione civile.

Ad ogni modo fino a qualche tempo fa, se qualcuno si spingeva a evocarla fino a contemplare il rischio di un olocausto nucleare, veniva liquidato come una sorta di Dr. Stranamore da rinchiudere in un manicomio fino alla fine dei suoi giorni. Dallo scoppio della guerra in Ucraina, però, paventando come inevitabile lo scontro diretto e generalizzato fra le maggiori potenze imperialistiche, se ne accetta con crescente disinvoltura perfino l ’inevitabilità. E così ecco il presidente francese Macron invocare l’invio in Ucraina di truppe Nato per impedire che la Russia, una volta conquistata l’Ucraina, possa dilagare fino all’Atlantico.

«La Russia- gli ha fatto seguito il presidente del Consiglio della Ue Charles Michel - rappresenta una seria minaccia militare per il nostro continente europeo e per la sicurezza globale. Se la risposta dell’Ue non sarà adeguata e se non forniamo all’Ucraina sostegno sufficiente per fermare la Russia, saremo i prossimi. Dobbiamo quindi essere pronti a difenderci e passare a una modalità di “economia di guerra”»¹

E qui, in tutta onestà, più che il presidente del Consiglio Europeo ci pare che parli il sottotenente Drogo - il personaggio principale de Il Deserto dei Tartari di Dino Buzzati- in perenne attesa dell’invasione da parte di un nemico del tutto immaginario. In Buzzati: i tartari; in Michel: i russi. Infatti, solo poche righe prima è lo stesso Michel a dirci che: «…l’Ucraina e il suo popolo hanno opposto resistenza, riconquistato il territorio occupato, respinto la marina russa dal Mar Nero e inflitto ingenti perdite alle forze russe».² Ora, se dopo due anni la Russia, come dice Michel, non solo non è stata capace di occupare tutta l’Ucraina, ma ha anche subìto una sonora batosta, come è pensabile che possa sconfiggere la Nato e invadere l’intera Europa, e a quel punto perché non anche la Gran Bretagna e gli Usa? Michel non lo dice, paventa di fatto la terza guerra mondiale, ma anziché convocare il Consiglio europeo per vedere come diavolo fare per evitarla, lo ha convocato per invocare il passaggio a “una modalità di economia di guerra”, ossia la guerra.

E: “Alla guerra! alla guerra!” sembra essere ormai l’unica parola d’ordine che si sia data l’intera classe di servizio (politici, giornalisti, economisti, intellettuali più o meno organici al poter ecc.) della borghesia internazionale, a cominciare da quella europea, come se si trattasse di organizzare un picnic e non una guerra il cui unico esito certo sarebbe la fine della vita sulla terra.

D’emblais, viene da pensare che stia dilagando una qualche epidemia di stupidità o di follia; ma poi, leggendo con più attenzione fra le righe quel che dicono e scrivono questi signori, l’Orso russo assume sempre più le sembianze del sottotenente Drogo con la differenza che, mentre per Drogo l’attesa del nemico è dettata da una questione puramente esistenziale, per costoro è qualcosa di molto più prosaico. È, infatti, solo una questione di profitti, di soldi. E lo dicono pure!

«Dobbiamo - continua Michel - dare priorità all’Ucraina e dobbiamo anche spendere di più… Dobbiamo ricorrere al bilancio europeo per acquistare attrezzature militari per l’Ucraina. E dobbiamo utilizzare i proventi straordinari derivanti dai beni russi bloccati per acquistare armi per l’Ucraina. Comprare di più insieme. Il nostro obiettivo dovrebbe essere di raddoppiare entro il 2030 i nostri acquisti dall’industria europea, così da garantire una maggiore prevedibilità alle nostre imprese. Contratti pluriennali incentiveranno inoltre ad aumentare la loro capacità di produzione. In questo modo sarà rafforzata la nostra industria della Difesa, migliorata la nostra preparazione alla difesa e - udite, udite! - n.d.r. - si creeranno inoltre posti di lavoro e crescita in tutta l’Ue»³. E ancor prima di lui, Biden, sempre a proposito di questa corsa al riarmo: « …È un’occasione per stimolare l’economia americana».

E, infatti, come ci informa Roberto Festa su il Fatto Quotidiano«Sono 238 miliardi di dollari. È una cifra record quella che nel 2023 gli Stati Uniti hanno guadagnato dalla vendita di armi all’estero. Lo scrive il dipartimento di Stato Usa: il governo federale ha venduto armi per 80,9 miliardi di dollari ( con un aumento del 56% rispetto al 2022). Il resto, circa 157 miliardi di dollari, è stato direttamente negoziato da aziende statunitensi.»

Né le cose vanno diversamente nella Ue. Annota Giovanni de Mauro sull’Internazionale«Negli ultimi dieci anni le spese militari dei paesi dell’Unione europea che aderiscono alla Nato sono aumentate da 145 miliardi di euro nel 2014 a 215 miliardi nel 2023. È una cifra equivalente a quella del Pil della Grecia. Ma un simile aumento, nota un recente rapporto di Greenpeace “ è in contrasto con la stagnazione delle economie europee”. Nei paesi presi in considerazione, tra il 2013 e il 2023 il pili reale è aumentato di poco più dell’1 per cento in media all’anno…Anche gli investimenti in altri settori sono stati inferiori a quelli negli armamenti: la spesa nell’istruzione è aumentata del 12%, nella protezione ambientale del 10 e nella sanità del 34. In Italia nel 2023 ogni cittadino pagherà 436 euro di spese militari, una cifra cresciuta del 30 per cento in 10 anni.»

Ma qual è la novità? Forse che in passato la guerra non è stata sempre occasione di arricchimento per costruttori di armi e speculatori di ogni sorta? Già Aristofane nella commedia La Pace non ne fa mistero, tanto che augura agli “armaioli” tutto il male del mondo: «Se uno fabbrica lance o tratta scudi, e per venderle meglio si augura la guerra… lo devono acchiappare i pirati, e mangiare solo pane!... E se c’è uno che vuole fare il generale…lo devono frustare, stirare sulla ruota»

Oggi, però, c’è qualcosa di più. Infatti, da qualche decennio a questa parte, da quando, cioè, il dominio della fabbrica della finanza ha pervaso di sé tutta la vita economico-sociale, la guerra e la produzione di armi si sono come standardizzate al pari di qualsiasi altra attività, come la produzione di beni di prima necessità o di un qualsiasi bene di largo consumo o un torneo di calcio. E non è un caso che sia Biden sia Michel – e non solo loro - se pure giustificando il riarmo in chiave preventiva contro l’invasione dei tartari, mettano in evidenza l’effetto moltiplicatore degli investimenti nella “fabbrica della guerra” al pari di quelli in qualsiasi altra attività produttiva.

In realtà, la spinta ad accrescere costantemente gli investimenti nell’industria bellica ha sì subito un’accelerazione negli ultimi due anni ma è iniziata ben prima dello scoppio della guerra in Ucraina e perfino dell’annessione della Crimea da parte della Russia.

«L’enorme crescita degli affari armati - scrive Francesco Vignarca di Rete Pace Disarmo - non è infatti iniziata due anni fa. Lo mostrano gli stessi dati del Financial Times sul portafoglio ordini delle prime 15 aziende militari: cresciuti di oltre il 10% negli ultimi due anni ma in realtà “esplosi” del 76% soprattutto negli ultimi otto (da 441,8 miliardi nel 2015 ai già citati777,6 del 2022). Come notato con precisione dal recente Rapporto “Arming Europe”, pubblicato da Greenpeace, nell’ultimo decennio (2013-2023) le spese militari hanno registrato in Europa un aumento record di 14 volte superiore a quello del PIL (+46% nei Paesi Nato-Ue, +26% in Italia) trainato soprattutto dall’acquisto di nuove armi (+168% nei Paesi Nato-Ue; +132% in Italia). A livello globale la spesa militare è praticamente raddoppiata dal 2001 in poi»

Sono dati che parlano chiaro: “i tartari alle porte” sono la copertura ideologica per giustificare questa corsa al riarmo le cui radici sono invece da ricercare nelle contraddizioni incistate nel processo di accumulazione del capitale così come è andato configurandosi fino al prevalere della fabbrica della finanza, ossia del prevalere della produzione del capitale fittizio (D-D’) che non genera plusvalore, su quella del capitale reale (D-M-D’) che lo genera.

Ne consegue, quindi, che, per quanto grande possa essere la massa del plusvalore estorto alla forza-lavoro impiegata nella produzione delle merci, essa sarà sempre inferiore a quella che sarebbe necessaria per remunerare l’intera massa del capitale complessivo (fittizio e non) prodotta. Tanto più che mentre la produzione del capitale reale richiede tutto il tempo necessario affinché le merci possano essere prodotte e vendute, quella del capitale fittizio, in quanto pura astrazione di valore, avviene ormai alla velocità della luce, il tempo di un clic sul mouse di un computer di qualche istituto finanziario pubblico o privato che sia. Per avere un’idea della dimensione del fenomeno basti pensare che: « Le banche centrali hanno creato nel complesso 15 miliardi di dollari al giorno di liquidità durante la pandemia¹⁰»

E così che di fatto la sovraccumulazione, che in passato si dava solo ciclicamente, è divenuta endemica, un’autentica epidemia, per dirla con Marx.

Da qui la serie ormai infinita di crisi finanziarie e l’intensificarsi della spinta alla concentrazione e centralizzazione dei capitali e dello scontro interimperialistico per l’accaparramento della maggiore quantità possibile del plusvalore estorto al proletariato su scala globale. E, di pari passo: la costituzione di monopoli sempre più estesi per favorire la formazione di prezzi - in particolare quelli delle materie prime strategiche (petrolio, gas ecc.) e dell’agroalimentare - più alti del valore reale delle merci prodotte nonché la costante intensificazione dello sfruttamento della forza-lavoro, fino al punto che ormai per i lavoratori non c’è quasi più soluzione di continuità fra il tempo di lavoro e il tempo della vita.

Ma neppure questo basta, tanto è divenuta grande la massa dei capitali improduttivi da valorizzare. Ed ecco allora, dopo che ogni bene materiale e immateriale è stato ridotto a merce e messo a profitto, che il ricorso alla guerra è diventato una componente essenziale dello svolgimento del processo di accumulazione del capitale in quanto domanda inesauribile di una merce per eccellenza: le armi.

Esse, finché c’è guerra, non restano invendute o inutilizzate in qualche magazzino.

Finché c’è guerra, poiché il loro consumo implica la loro immediata distruzione, la loro produzione non può cessare e quindi genera profitti a iosa e senza sosta.

Si distruggono e distruggono tutto ciò contro cui sono usate e che, quindi, dovrà essere ricostruito. E sono ancora altri profitti.

Certo seminano morte, sofferenze inaudite e miseria generalizzata, ma questi non sono affari di sua maestà il capitale e della borghesia che lo detiene. Al massimo del becchino che sulla morte anche egli fa impresa e profitti.

Di fatto, ormai, al pari dello sfruttamento della forza-lavoro, la permanenza della guerra è diventata una condizione fondamentale di esistenza della borghesia per cui non potrà esserci pace finché essa, nella sua parossistica ricerca di sempre maggiori profitti, continuerà a esercitare il suo dominio sulla società.

[1] Charles Michel – Si vis pacem para bellum – La Stampa del 19 marzo 2424.

[2] Ib

[3] Ib

[4] Cit. tratta da: Roberto Festa -L’industria bellica Usa vola grazie ai conflitti – Il Fatto Quotidiano del 31.12.2023.

[5] Festa – L’industria bellica Usa vola grazie ai conflitti - FQ del 31.12.2023.

[6] Giovanni De Mauro – Internazionale n.1540 – 1-6 dic.

[7] Aristofane – Le commedie - La Pace- New Compton Editori- pag. 423

[8] F. Vignarca – Lo sporco boom dei soldi armati – il Manifesto del 6/01/2024

[9] Per ulteriori approfondimenti al riguardo vedi: G. Paolucci- Il Dominio della Finanza e Sulla crisi dei subprime rileggendo Marx

https://www.istitutoonoratodamen.it/joomla34/index.php/questionieconomiche/164-dominiofinanza

https://www.istitutoonoratodamen.it/joomla34/index.php/questionieconomiche/161-subprimemarx

[10] N. Roubini- La grande catastrofe – pag. 125 – Ed. Feltrinelli.