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Lo ha fatto sotto i colpi della controrivoluzione, lottando sino all'ultimo contro la degenerazione del movimento comunista. Ha portato avanti il suo impegno a livello internazionale, tentando di resistere alla sconfitta e riprendere il lavoro su basi fortificate dalle lezioni di quell'esperienza. Con una storia ricca di luci, ma con riconoscibili ombre, la sinistra ha perso. I suoi epigoni, isolati dalla classe e in un crescente scadimento teorico in senso idealistico, rappresentano in gran parte realtà insterilite, chiuse in se stesse e nella propria albagia. L'illusione di raggruppare queste entità, sulla base del comune richiamo alla sinistra, non tiene conto né di quanto poco sia realmente patrimonio condiviso, né di quale sia lo stato effettivo di questo ambiente politico.
I contributi che intendono esprimersi per il partito di domani devono inevitabilmente cercare di trarre lezioni dal Novecento, dalla sconfitta del nostro movimento di allora e dalla degenerazione dei suoi epigoni.
E' un lavoro che non può permettersi l'inganno dell'autosufficienza, ma che si apre al confronto e alla convergenza con individui o raggruppamenti che si riconoscono nella stessa prospettiva di ricerca, elaborazione e militanza.
Il pensiero marxiano e la sinistra nel Novecento
Il contributo di Marx alla comprensione critica del capitalismo e al conseguente, possibile impegno per una nuova società è stato certamente essenziale. Poco importa qui che si tratti di Marx o di un altro individuo. D'altronde, pur nella sua genialità, Marx ha sviluppato un lavoro non isolato. La sua ricerca passa per collaborazioni, contrasti, scontri, contaminazioni, studi, ricerche, revisioni, rovesciamenti, che riguardano il meglio del pensiero borghese dell'epoca, i teorici a lui contemporanei del socialismo, la storia del pensiero materialistico, la realtà concreta come l'andava analizzando e comprendendo.
Proprio per questo incedere di un lavoro di vastissime dimensioni, il suo pensiero non restò mai immutabile, e non risponde a una mera logica evolutiva, di sviluppo. Dovrebbe essere un'ovvietà, che richiede di essere ribadita unicamente perché Marx è stato santificato, ogni suo capoverso diventato versetto sacro. Il suo pensiero, il suo metodo, le sue conquiste, per essere vivi hanno bisogno di rientrare all'interno di una ricerca, di una battaglia teorica e politica. La loro trasformazione nel marxismo, in una dottrina al limite da restaurare, da far incontrare con il proletariato, a sua volta ipostatizzato, ha creato una rottura con un processo di analisi, elaborazione e lotta rivoluzionaria. Una rottura che però è da capire, da storicizzare e relativizzare.
Questa riduzione ideologica è stata spesso interpretata come una necessaria propedeusi a un programma politico compiuto. La ricerca e l'elaborazione, in ogni caso, non si sono mai davvero arrestate, procedendo con avanzamenti e arretramenti.
Una vasta intellettualità borghese ha lavorato sul pensiero e sul metodo marxiano, rovesciandone il fondamento rivoluzionario e restando sempre su un terreno idealistico, economico-politico e democratico borghese.
Piccole minoranze comuniste hanno però tentato di riprendere il lavoro di Marx e portarlo avanti. Le sinistre nella Seconda Internazionale, il bolscevismo, la sinistra italiana, nel corso del secolo scorso hanno non solo difeso il nostro fondamento teorico, ma gli hanno dato linfa vitale, nei periodi rivoluzionari dei primi del secolo scorso e nel lungo buio della controrivoluzione.
Le correnti di sinistra
In seno al movimento comunista internazionale si delinearono a inizio Novecento alcune correnti politiche schierate su posizioni di sinistra. Posizioni diversificate, talune ingenue e estremistiche, altre gravide di intuizioni geniali e rigore teorico. Una serie di realtà difficilmente associabili in termini di omogeneità e coerenza.
In particolare le principali realtà di sinistra furono, tra quelle già esistenti a inizio secolo e quelle che nasceranno tra gli anni Trenta e Quaranta, quella tedesco-olandese, quella italiana, quelle russe in seno al Partito bolscevico, e ancora le correnti di sinistra belga, inglese, bulgara, messicana, australiana e francese. Le matrici più importanti che possiamo rilevare in queste correnti sono sostanzialmente due: una operaista-consiliarista, l'altra italiana che si poneva conseguentemente in contiguità con l'elaborazione leninista.
La sinistra italiana, definitasi in seno al Partito socialista italiano, diede vita nel 1919 alla Frazione comunista astensionista. A Livorno, nel 1921, rompendo con gli opportunisti fondò il Partito comunista d'Italia, che diresse fino al 1923. Nei due anni seguenti, pur essendo maggioritaria nel Partito, fu rimossa dai centristi dalla direzione. Erano gli anni della battaglia contro la bolscevizzazione stalinista dei partiti della Terza internazionale. Per salvare “quanto ancora era salvabile” la sinistra fondò il Comitato d'Intesa nel 1925. L'anno seguente la sinistra era ufficialmente opposizione organizzata nel partito italiano e nell'Internazionale. Nel 1926, al Congresso di Lione del PCd'I presentò le “Tesi della Sinistra”; lo stesso anno, al VI Esecutivo Allargato della Terza Internazionale, la sinistra rappresentò l'opposizione comunista al corso staliniano. La lotta era contro l'”adesione alla guerra imperialista da parte della Russia sovietica; [la] partecipazione al governo di liberazione nazionale col 'partito nuovo'; [la] politica di ricostruzione nazionale e democrazia progressiva; [la] costruzione del capitalismo di Stato; [il] socialismo in un solo paese; [lo] scioglimento dell’Internazionale; [la] corsa verso l’autonomia dei partiti nazionali; [la] politica dei blocchi e guerra fredda più o meno mascherata tra i due centri di potere imperialista (Russia e America) usciti vittoriosi dalla seconda guerra mondiale per il dominio del mondo. Sono queste le tante tappe di una lacerante via crucis, quella della sconfitta di classe”[1].
Nella Conferenza di Pantin del 1928 venne costituita la Frazione di sinistra del PCd'I da internazionalisti italiani in esilio in Francia e Belgio. Nel 1935 essa diventa Frazione italiana della sinistra comunista: da frazione del partito italiano, intanto passato alla borghesia, a frazione dal cui lavoro sarebbe nato il nuovo partito. Per le sinistre non si trattava più di essere correnti contrapposte a gruppi di centro e di destra, ma lo stesso movimento comunista in quel momento storico, contro tutte le forze politiche borghesi. Ciononostante il termine “sinistra” fu conservato, per ragioni analoghe a quelle di “bolscevismo”. Il termine “bolscevico” fu difatti tenuto tra parentesi nel nome del partito russo quando nel 1918 prese il nome di “comunista”; e ciò per quanto di per sé non significasse altro che quindici anni prima, nel secondo congresso del POSDR[2], la fazione di Lenin risultò in maggioranza (bolshinstvo). “Questa aggiunta è ritenuta da noi tutti necessaria, perché la parola <<bolscevico>> ha acquistato diritto di cittadinanza non solo nella vita politica della Russia, ma anche in tutta la stampa straniera [...]”[3].
La Frazione pubblicò Prometeo dal 1928 al 1937, e dal 1933 al 1938, in francese, Bilan. Quando la Frazione diede vita al Bureau internazionale delle frazioni della sinistra comunista, Octobre ne divenne l'organo (1938-1939). Passati in clandestinità sotto l'occupazione nazista, i comunisti italiani in Francia e Belgio si riaggregarono dalla fine del 1940, formando nel 1944 la Frazione francese della sinistra comunista; parte dei suoi militanti aderirono nel 1945, individualmente, al Partito comunista internazionalista, fondato nel 1943 nel Nord Italia. Un'altra parte della frazione non condivise la fondazione del Partito, proseguendo la propria militanza come Sinistra comunista di Francia. Da questa formazione derivò poi la Corrente comunista internazionale. La sinistra denunciò “i fini imperialisti della seconda guerra mondiale” senza cedere “alla guerra 'rivoluzionaria' della democrazia contro la dittatura”, comprendendo il moto partigiano come “una delle tante pedine della strategia americana e russa, ed in nessun caso considerandolo la sollevazione di masse operaie in funzione antimperialista per una soluzione rivoluzionaria del conflitto”[4].
La Sinistra ha espresso un tentativo di sopravvivenza e di ripresa del movimento comunista nei decenni della controrivoluzione: una sconfitta che ha raggiunto pieno dispiegamento in intensità e profondità, nel tempo e nello spazio, attraverso lo stalinismo, le vicende del cosiddetto socialismo reale, la seconda guerra mondiale, il fascismo e la democrazia antifascista.
La sua fu una battaglia complessa, che si doveva relazionare con questa sconfitta e con le sue implicazioni. La compagine di comunisti internazionalisti che, nella Seconda guerra mondiale e nel dopoguerra, assumeva l'eredità della sinistra, non attese difatti a una mera restaurazione di Livorno 1921. Non riuscì però nel pieno oltrepassamento delle vicende storiche, politiche e teoriche dei primi decenni della controrivoluzione. La degenerazione degli epigoni di questa corrente è stata determinata in larga misura, in quel corso storico, dall'isolamento dalla classe e da crescenti deviazioni teoriche in senso idealistico. Determinazioni materiali ma anche ragioni soggettive, nel cui quadro le debolezze teoriche, che dobbiamo riconoscere alla corrente originaria dalla quale deriviamo il nostro lavoro, non si sono potute e sapute superare positivamente, ma hanno partecipato alla sterilizzazione delle realtà epigonali.
Le sinistre comuniste e il peso della sconfitta
Nel 1948, Onorato Damen pubblicò su Prometeo un articolo che commentava le “Cinque tesi sulla lotta della classe operaia contro il capitalismo”, dell'anno precedente, di Anton Pannekoek, uno dei principali rappresentanti del tribunismo olandese. Ci sono spunti di grande interesse in questo scritto di Damen, laddove avvia una riflessione sulla parabola del movimento tribunista proprio alla luce della sconfitta della rivoluzione. Quello che era un pensiero che destava “attenzione e simpatia”, per quanto adombrato da un “leggero afflato di idealismo” si dimostrava ormai alla “fase conclusiva di tutto un processo involutivo”. Le ragioni di tale involuzione sono per Damen la “scarsa aderenza alla linea classica del marxismo rivoluzionario” e l’”insufficiente legame alle lotte e alle esperienze del proletariato”.
L'esperienza dei “comunisti dei consigli” rappresentava un esito della “tendenza non più coincidente con la linea tradizionale del marxismo” di “scuole e di gruppi e di isolati rivoluzionari, in tutti questi frammenti sopravvissuti all’enorme sconquasso abbattutosi sul movimento politico del proletariato internazionale con la vittoria della controrivoluzione in Russia e la seconda guerra imperialista”. Questa tendenza prende corpo nella misura in cui “tenta di sottrarsi con ripieghi e accorgimenti, di valore puramente subiettivo, alla durezza della sconfitta patita, piuttosto che sottomettere questa stessa sconfitta ad un esame critico al lume delle possibilità obiettive della lotta del proletariato”.
La riflessione di Damen qui si apre: “deragliano così dal marxismo tanto i teorici e i politici della spontaneità meccanicistica e del pessimismo attesista, quanto i credenti nella mistica d’un operaismo autosufficiente sul piano della volontà e della concretezza rivoluzionaria”. Era il 1948, ma già si ritrova l'intuizione di quel che sarà poi il bordighismo da una parte e la ripresa dello spontaneismo dall'altra.
Il consiliarismo riuniva all'epoca “in strana sintesi le due maggiori deviazioni dal marxismo: quella propria dei teorici e politici della spontaneità e l’altra dell’empirico volontarismo di coloro che attribuiscono al fatto organizzativo la virtù taumaturgica di vincere l’opportunismo”[5]. La differenza tra questa corrente e la sinistra comunista italiana non era già più nel 1948 quella che un tempo divideva il tribunismo e l'operaismo dal bolscevismo. La sconfitta che i salariati avevano vissuto, e che continuava a gravare pesantemente, aveva comportato un salto di qualità, che avrebbe poi portato il consiliarismo a radicalizzare e assolutizzare il proprio idealismo, approdando sostanzialmente all'anarco-comunismo, col rifiuto del partito e con l'interpretazione della rivoluzione russa come rivoluzione borghese.
Damen scriveva questo articolo sulla rivista teorica del Partito comunista internazionalista. Il PCInt non possedeva all'epoca una assestata omogeneità: una parte del partito, che faceva capo fondamentalmente ad Amadeo Bordiga (che pur non aderì mai al PCInt), conviveva con una seconda componente diretta da Onorato Damen.
Sulla corrente bordighista gravava più pesantemente il legame con l'esperienza terzinternazionalista, ed essa rimase schiacciata da una sconfitta con cui non seppe fare davvero i conti. Il peso delle vicende del Novecento è sempre tenuto in conto da Damen. Il suo pensiero assumeva che ci si trovava nell'“epoca che ha visto il crollo della II Internazionale e i partiti della socialdemocrazia passare armi e bagagli sul fronte della guerra imperialista aggiogando le masse operaie al carro della guerra per il rafforzamento del capitalismo dell’uno e dell’altro blocco dei belligeranti”. L'epoca che ha visto il “crollo della III Internazionale e il primo Stato Operaio, nato dalla Rivoluzione d’Ottobre, passare sul fronte della guerra imperialista narcotizzando le masse col mito della guerra di liberazione che doveva, sotto la bandiera dell’antifascismo, salvare ancora una volta il capitalismo che questo fascismo aveva concepito, covato nel proprio seno e messo al mondo così come la generazione di rivoluzionari degli anni '20 lo hanno conosciuto, combattuto e sofferto. [...] Sono questi gli anni del maggior deterioramento ideologico operatosi nel movimento operaio internazionale”[6]. La componente del partito che Onorato dirigeva si proponeva il compito di trarre le necessarie lezioni dalla vicenda dei primi decenni del Novecento, affrontando criticamente le questioni dell'imperialismo, delle guerra di liberazione nazionale, della socialdemocrazia e dei sindacati.
Nel 1952 si consumò la scissione tra le due correnti. Il Partito comunista internazionalista si separò in quelli che venivano definiti i “due tronconi” internazionalisti, uno che pubblicava “Battaglia comunista” e “Prometeo”, l'altro “Programma comunista”.
Il bordighismo prese a caratterizzarsi nel corso degli anni per un accentuato idealismo. In particolare dopo la morte di Bordiga, e poi con l'esplosione dell'organizzazione nel 1980-1982, sono nate diverse realtà, ognuna a rivendicarsi fedele continuatrice del “lavoro di sempre”. Sottolineiamo l'aspetto idealistico assunto da questa corrente anche per dar conto delle diverse matrici delle realtà che vi si rifanno: movimentismo, organicismo, attivismo, finalismo, apparentemente contrapposti, declinano tutti variamente un idealismo che si è andato incancrenendo nei lunghi anni della controrivoluzione.
In un primo momento da parte di Battaglia comunista si ritenne che le ragioni della scissione del 1952 erano appesantite da aspetti soggettivi, e che in ogni caso c'erano le condizioni per una ricomposizione degli internazionalisti; ma il tempo dimostrò che non solo non era così, ma che anzi le ragioni di divisione erano profonde e si accentuavano con gli anni.
Una certa caratterizzazione idealistica, parimenti, fu riscontrata dal PCInt anche nei raggruppamenti che discendono dalla Sinistra Comunista di Francia.
Se con il consiliarismo e l'operaismo i conti erano già chiusi, furono le Conferenze internazionali della sinistra comunista, convocate negli anni Settanta dal PCInt, che contribuirono a una maggiore chiarezza sull'impossibilità di convergenze tra gli spezzoni principali delle sinistre: Battaglia comunista, CCI e bordighisti innanzitutto.
Ne derivò in seno a Battaglia la convinzione che “tutte le altre formazioni se non avversarie, [fossero] quantomeno estranee al processo di formazione dell’organizzazione rivoluzionaria”[7], e che era “superata la categoria politica” del “campo politico proletario”, “escludendo in linea di massima che i componenti del vecchio 'campo politico proletario' (componenti politiche, evidentemente)” potessero “contribuire positivamente al processo di formazione e fondazione del Partito internazionale”; si lanciò quindi la proposta politica del Bureau Internazionale per il partito rivoluzionario, come “unica forma intermedia fra l’attuale situazione di isolamento e dispersione delle avanguardie rivoluzionarie e il futuro partito internazionale del proletariato”[8]. Il fallimento del Bureau richiede però l'approfondimento critico delle insufficienze che erano proprie di questo stesso raggruppamento.
I conti col nostro passato, il futuro da tracciare
Nel ristretto ambiente che si richiama all'esperienza della sinistra italiana è un atteggiamento diffuso il guardare al passato di questa corrente in termini acritici, con pretese di restaurazione o di mera continuità.
E' però necessario avere la capacità di cogliere debolezze ed errori della sinistra comunista, le sue contraddizioni, i riferimenti troppo preponderanti a una concezione idealistica della dialettica, all'evoluzione storica. Gli approdi dei suoi epigoni hanno significato involuzioni, pertanto, determinate non solo da circostanze soggettive o contingenti. I limiti originari, sotto il peso schiacciante della controrivoluzione, hanno partecipato a uno sviluppo metastatico che ha divorato il corpo di chi ha tentato di restare in quel solco.
Attraverso i suoi epigoni, questa corrente è rimasta ancorata ad analisi e sintesi che appartenevano ormai al passato, senza essere in grado di cogliere compiutamente i profondi cambiamenti del capitalismo. E questo è tanto più vero se si guardano gli ultimi quarant'anni. Questo atteggiamento teorico ha significato imbalsamare un pensiero e un metodo di ricerca, di sintesi e relazione con la realtà. L'illusione è stata di aver già risolto tutto, avere schemi invarianti, criteri interpretativi validi indefinitamente, diventando così impermeabili ai processi di mutamento.
La maggior parte dei gruppi di sinistra ha rifiutato sistematicamente il dialogo. Il confronto è stato sovente etichettato come un vezzo da intellettuali, o una pratica democratica incompatibile con il metodo scientifico. Chi crede di essere il depositario della verità, entra in una suggestione esiziale di autosufficienza del tutto metafisica.
Questo si è inevitabilmente tradotto nell'assurda pretesa di un gran numero di organizzazioni di essere il Partito, in una allucinata auto-rappresentazione che precludeva inesorabilmente ogni possibilità di uscire da questo pantano. Di certo è da studiare poi come quegli stessi mutamenti della realtà sociale hanno pesato su queste organizzazioni, partecipando ad ostacolarne anche solo il ricambio generazionale.
La sinistra, nella sua esperienza storica, è stata sconfitta. Nella nostra ricerca ne prospettiamo la comprensione a partire dal rigetto della sua destoricizzazione e di una deferenza accecante.
Questo non significa negarne importanza e grandezza. Ma sarebbe davvero ripudiarla, e sacrificare il metodo marxiano, chiudere gli occhi e trasformare una militanza rivoluzionaria in un culto della rievocazione dei morti.
Per queste ragioni, che intendiamo approfondire nell'elaborazione, la riflessione e il confronto, riteniamo che l'unica opzione che si presenti oggi ai comunisti sia quella di fare punto e a capo.
Fare punto e a capo non è un colpo di spugna con cui cancellare il passato. Esprime una necessità di fare i conti con la storia delle minoranze comuniste nel Novecento, senza restarvi schiacciati. Come immagine implica un superamento che esclude la desegnificazione del precedente.
Molto lavoro è necessario per scavare nelle mancanze teoriche della corrente dalla quale discendiamo, ma tanto più è inevitabile quanto più si avverte con urgenza che è l'unica condizione per tentare un contributo alla prospettiva socialista.
Un nuovo inizio, con solide fondamenta
Nel 1945 il Partito comunista internazionalista sosteneva che la “nuova Internazionale non può nascere che sulle basi di partenza dell’Internazionale di Lenin, completate dalle successive elaborazioni della Sinistra e dalle esperienze di un ventennio di lotte”[9]. C'era una chiara consapevolezza della sconfitta storica della Terza Internazionale negli anni Venti, e che un nuovo inizio poteva solo avvenire sulle basi del passato, affrontato con senso critico.
Con la stessa chiarezza è necessario oggi comprendere e affermare con rigore come anche la storia della Sinistra sia inequivocabilmente conclusa, ma che solo sulla base di un suo bilancio sarà possibile avviare un nuovo capitolo della storia del movimento comunista internazionale. Una riflessione che sappia cogliere le specificità della fine di questa esperienza, che presenta tratti inediti rispetto alla fine delle internazionali, da comprendere sulle basi delle loro determinazioni materiali oltre che nelle loro ragioni soggettive.
Non è una sfida da poco, ne siamo consapevoli. Si tratta di lavorare a un laboratorio teorico-politico che rigetti formalismi, dogmatismi, attaccamenti a vecchi schemi e a sterili liturgie.
L'Istituto Onorato Damen si candida ad essere uno degli elementi di sviluppo di tale laboratorio internazionale. Non può e non vuole essere né un ennesimo gruppuscolo di un'area politica inaridita, né un centro studi para-accademico. Gli interlocutori che ricerchiamo, di cui crediamo con convinzione che la prospettiva che assumiamo abbia bisogno, non possono essere quei gruppi che, in infinite sigle, rappresentano solo il logoramento di un percorso concluso.
E' comprensibile che alcuni giovani, alcuni compagni, guardando alla frantumazione di quest'area politica si chiedano perché il primo passo non possa essere la sua riaggregazione. Questo punto di vista è ormai sterile. Il poco che accomuna la maggior parte di queste formazioni è un richiamo scolastico a una corrente originaria e, purtroppo ampiamente, una vera deriva idealistica.
Il compito che ci sembra necessario può essere invece assunto da compagni che sono alla ricerca di un percorso diverso, capace di rapportarsi in modo costruttivo alla società contemporanea e all'impegno per il socialismo.
Non sappiamo quanti individui o quanti gruppi al mondo si stiano orientando in questa direzione. Non abbiamo la pretesa di diventare l'unico punto di riferimento in questo senso, ma pensiamo che lanciare una proposta seria e motivata di laboratorio teorico e politico possa incontrare le intelligenze e le sensibilità di chi ne condivide l'urgenza.
La sua destinazione è esplicitamente il partito comunista internazionale e internazionalista, e la forma che abbiamo dato a questo impegno tiene conto del livello concreto in cui valutiamo di trovarci.
Questo è il senso del nostro lavoro e della nostra sfida, che apriamo alla condivisione con altri compagni, tentando di riallacciarci con spirito critico e appassionato al cuore del metodo marxiano.
Mario Lupoli
[1] Onorato Damen, “Noi della sinistra italiana”, Battaglia comunista n. 3, 1976
[2] Partito operaio socialdemocratico russo
[3] Vladimir Lenin, “Rapporto sulla revisione del programma e il cambiamento della denominazione del partito, VII Congresso del PC(b)R”, in Vladimir Lenin, Opere scelte in Sei volumi, Volume IV, pag. 624, Ed. Riuniti Roma – Ed. Progress Mosca 1973
[4] Onorato Damen, “Il partito rivoluzionario si costruirà sulla base di una inesorabile critica del passato”, Battaglia comunista n. 12/1, 1961/1962
[5] Onorato Damen, “Sulle 'cinque tesi' di Pannekoek”, Prometeo, n.10, Giugno-Luglio 1948
[6] Onorato Damen, “Profilo ideologico e politico del partito rivoluzionario nella tormenta della guerra”, Introduzione a Quaderni Internazionalisti, n.1, 1969
[7] PCInt, Risoluzione sui gruppi bordighisti, 1998
[8] Mauro Jr Stefanini, “La Nuova Internazionale sarà il Partito Internazionale del proletariato”, Prometeo, n.2, Dicembre 2000
[9] PCInt, Che cos'è e che cosa vuole il Partito Comunista Internazionalista, 1945