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«Il capitalismo è il racket legittimo organizzato dalla classe dominante»
La definizione, come si potrebbe pensare, non è di K. Marx, ma di uno che di racket se ne intendeva: Al Capone[1]. E l’imperialismo -aggiungiamo noi – è la sua espressione più compiuta. La prova più evidente che sia effettivamente così è data dall’infuriare della guerra ormai in ogni un angolo del pianeta, tanto più se ricco di qualche materia prima o perché situato in una posizione di importanza geostrategica come è il caso del Medioriente.
All’alba del 14 novembre 2019 ci ha lasciati dopo una vita vissuta sin dalla prima giovinezza in piena coerenza con gli ideali del comunismo e del marxismo rivoluzionario.
Ci mancherà, eccome se ci mancherà! Ci mancherà la sua vivida intelligenza, la sua cultura vasta e profonda e, soprattutto, quella sua capacità di accogliere sempre sorridente la vita anche quando essa mostrava il suo volto più arcigno.
Addio Gianfranco! E che la terra ti sia lieve.
In attesa di dedicargli un ricordo adeguato alla sua storia di militante rivoluzionario pubblichiamo l’ultimo suo scritto apparso sul numero 14 della rivista DMD’.
un cambio imposto dal riacutizzarsi della crisi e della guerra imperialista
Non era mai accaduto nella storia parlamentare italiana che un governo in carica fosse sfiduciato da una componente della sua stessa maggioranza e solo un paio di giorni dopo averne ottenuto la fiducia sull’approvazione di un suo decreto, il decreto sicurezza bis da essa stessa proposto. Un comportamento rimasto ancora oggi inspiegabile per la gran parte dei commentatori e analisti politici.
Per molti di loro sarebbero stati gli esiti di tutte le più recenti tornate elettorali nonché di tutti i sondaggi ultra-favorevoli alla Lega, ad aver convinto il suo segretario Salvini, a forzare la mano nella speranza di poter ottenere, vincendo nuove elezioni, “i pieni poteri”.
Dalla rivista D-M-D' n° 13
Nella teoria e nella prospettiva attuale della transizione dal capitalismo contemporaneo al comunismo possibile, è essenziale oggi riprendere criticamente la riflessione attorno a quelle coordinate produttivistiche, tecno-idolatriche e antropocentriche che hanno caratterizzato ampia parte della teorica comunista tra fine Ottocento e Novecento. L’esigenza che emerge oggi è muoversi in orizzonti nuovi che più radicalmente affrontino la necessaria coniugazione di umano e naturale. L’articolo che segue vuole essere uno spunto per avviare un confronto su questi temi, ed è a sua volta il primo prodotto di un dibattito in corso.
Nella sua riflessione sulla transizione dal capitalismo al comunismo, Trotsky[1] affronta la questione di una riprogettazione di massa di uno spazio di vita integrato umano-naturale sulla terra.
Trotsky prospetta infatti un coinvolgimento di massa – e non solo di architetti e ingegneri - nella progettazione di città-giardino, in una dinamica sociale che tende all’estinzione della divisione del lavoro.
Dalla rivista D-M-D' n° 13
È noto come la gestazione de Il Capitale abbia impegnato un lungo tratto della travagliata esistenza di Karl Marx. Nondimeno è possibile individuare diversi punti cruciali all’interno della riflessione marxiana, non omogenea né progressiva, ma piuttosto impegnata in una inesausta riflessione relativa alle “tre fonti e tre parti integranti del marxismo”[1], una delle quali riteniamo abbia una certa rilevanza relativa agli aspetti metodologici che, sin dai Manoscritti economico-filosofici del 1844, non ha mai smesso di occupare parte cospicua dell’analisi di Marx. Ci riferiamo al patrimonio del pensiero filosofico tedesco, in particolare alla pesante eredità esercitata dalla ricerca hegeliana con cui, è possibile dire, l’autore del Manifesto si è costantemente misurato durante tutta la sua esistenza.