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Dalla rivista D-M-D' N°15 - Numero speciale
«Ciò che è noto, non è conosciuto. Nel processo della conoscenza, il modo più comune di ingannare sé e gli altri è di presupporre qualcosa come noto e di accettarlo come tale» (G.W.F. Hegel).
Essere consapevoli, con Lenin, che «senza teoria rivoluzionaria non vi è movimento rivoluzionario» (Che Fare?, 1902), significa per le avanguardie comuniste una precisa assunzione di responsabilità.
Quando, negli anni di affermazione della fase più elevata del capitalismo (l’imperialismo), i rivoluzionari proclamavano l’alternativa tra socialismo e barbarie, quest’ultima appariva come il terribile futuro che il modo di produzione capitalistico preparava, per il suo stesso modo di funzionare, all’umanità. Il socialismo, a partire dalle stesse contraddizioni capitalistiche, si presentava però come prevenzione della barbarie e come promessa di una società finalmente umana.
Oggi, dopo quasi 50 anni dall’inizio della crisi strutturale del terzo ciclo d’accumulazione del capitale, la barbarie, più che potenzialità minacciosa, scatena la sua forza in tutto il pianeta, in un accrescimento smisurato.
Tutte le potenze ideologiche di questo vecchio mondo, tradizionali parrocchie e nuove “industrie”, tutte le istituzioni politiche, sindacali, sanitarie, religiose, si sono unite in una santa alleanza per la riproposizione perpetua dell’imperativo alla responsabilità: l’OMS, capi di Stato e di governo, il Papa, la televisione sono concordi nell’affermare che bisogna essere uniti e responsabili nella “guerra” al virus poiché riguarda tutti, senza alcuna distinzione.
Esuberante ed esotica, ricca e misteriosa, come la definiva Tiziano Terzani, Hong Kong anche in tempi di quarantena vive momenti di turbolenze e manifestazioni di piazza. Neanche il lockdown imposto dal coronavirus ha fermato migliaia di giovani, scesi in piazza per contestare una legge sulla sicurezza che il governo di Pechino cerca di imporre, smentendo se stesso e gli accordi sottoscritti con il governo britannico alla fine degli anni Novanta, durante le trattative per il passaggio della regione sotto la sovranità cinese.
Ragionando sul libro “Pandeconomia. Le alternative possibili” di Tonino Perna, ossia i frutti avvelenati del neoriformismo.
Mentre la pandemia da coronavirus non ha ancora esaurito il suo carico di morte e lo stesso numero di contagiati a livello mondiale non accenna a diminuire, spuntano come funghi, assolutamente avvelenati per i proletari, saggi e libri che tentano di spiegare le origini di questa crisi epocale, proponendo delle soluzioni “alternative” al disastro economico che sta lasciando in eredità il Covid-19. E’ lungo questo crinale che si colloca anche l’ultimo lavoro di Tonino Perna, appena pubblicato da Castelvecchi, “Pandeconomia. Le alternative possibili”, un agile libro che tenta di interpretare l’ultima grande crisi che ha investito il mondo intero. Perna, una delle firme più in vista del giornale “Il Manifesto”, ha suddiviso in tre parti il suo pamphlet. La prima è dedicata alla storia della pandeconomia, attraverso una breve rassegna dei più importanti eventi pandemici che hanno investito il mondo occidentale nei secoli scorsi; la seconda parte si concentra ad analizzare la pandeconomia al tempo del coronavirus, mentre l’ultima parte delinea gli scenari futuri e le possibili alternative che la stessa pandemia offre. E’ quest’ultima sezione che ci ha convinti a scrivere queste brevi note sul libro di Tonino Perna, in quanto in essa si nascondono, dietro la maschera della novità, le vecchie e polverose ricette di un riformismo che non ha più ragion d’esistere se non per sostenere il capitalismo anche in questa fase storica in cui l’umanità è catapultata nella miseria generalizzata e nella guerra imperialistica permanente.
L’ennesimo brutale assassinio di un uomo nero da parte di un poliziotto ha scatenato un’ondata di proteste, che ha coinvolto migliaia di manifestanti negli USA e oltre. La borghesia usa come sempre violenza, razzismo e repressione contro i lavoratori e chiunque protesti contro il suo ordine. Nonostante siano in corso manifestazioni vaste e radicali, che esprimono un malcontento diffuso, ogni rivolta è però condannata a esaurirsi nel sistema, in mancanza del partito rivoluzionario.
Stupidi sbirri! Il vostro ordine è costruito sulla sabbia.
(Rosa Luxemburg)
I can't breathe. «Non posso respirare», ripete a terra George Floyd. Parole strozzate nella gola schiacciata dal ginocchio del poliziotto Derek Chauvin, mentre lo sbirro guarda la vittima e le persone accorse con aria onnipotente. Altri tre agenti sono presenti; due contribuiscono a bloccare l’uomo a terra, il terzo fa il cane da guardia tenendo lontano chi cerca di intervenire. George perde i sensi dopo meno di sei minuti. Ma non basta all’aguzzino. Per altri tre interminabili minuti resta immobile, il ginocchio sul collo di quell’afroamericano di 46 anni, accusato di aver comprato delle sigarette con venti dollari falsi. Otto minuti e quarantasei secondi. Per George Floyd non c’è più speranza, muore sotto quel ginocchio, sotto quello sguardo. I can’t breathe.