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Pubblicato il Quaderno N. 3, Settembre 2025, Necessità del comunismo | ![]() |
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Prefazione a cura di Carmelo Germanà
Nuovamente l’umanità si trova ad un bivio tra la possibilità di andare incontro ad un disastro di portata inimmaginabile oppure di cambiare il corso degli eventi in modo radicale. Già nel passato tale dilemma si è posto e il risultato fu la catastrofe della Prima e della Seconda Guerra Mondiale. La rivoluzione russa del 1917 tentò per la prima volta l’assalto al cielo da parte della classe operaia per indirizzare l’umanità verso una società di giustizia e uguaglianza abolendo lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Ma ciò si infranse ben presto contro lo scoglio dell’isolamento e dell’ostilità delle principali potenze imperialiste mondiali. Lo stalinismo al potere decretò il definitivo tramonto del sogno rivoluzionario e l’affermarsi di un capitalismo di Stato totalitario e antiproletario.
Oggi, la guerra permanente a pezzetti in corso da decenni, rischia di trasformarsi nuovamente in guerra generalizzata, con l’aggravante di rendere potenzialmente impraticabile la vita sul pianeta dato l’immenso sviluppo tecnologico indirizzato in gran parte al servizio delle armi e della guerra. La catastrofe è la prospettiva a cui il capitalismo ancora una volta ci sta conducendo. E’ nel DNA del capitale e del suo processo di accumulazione schiacciare, come un rullo compressore, qualunque ostacolo si trovi sul proprio cammino pur di sopravvivere alla propria irreversibile decadenza. Che si tratti di uomini o della natura non importa: ciò che conta per questo criminale sistema è il profitto, il Dio denaro, scopo e fine di ogni cosa.
Alla base dell’involuzione del quadro storico presente che si traduce nelle tensioni interimperialistiche è la crisi di ciclo del capitalismo e non certo i capricci o il carattere bizzarro di questo o quel governante come i media borghesi propinano per sviare l’opinione pubblica. Il dominio della finanza sull’economia reale, che caratterizza in particolare l’occidente democratico, è la cifra della montante aggressività degli Stati Uniti d’America e della Unione Europea. La perdita di terreno nel controllo geopolitico del mondo accentua la propensione guerrafondaia della grande borghesia occidentale e degli stati al suo servizio. La Cina, la fabbrica del mondo, alla testa dei Paesi BRICS, dal canto suo non è da meno dal punto di vista del riarmo e si colloca come il maggiore imperialismo concorrente a quello occidentale. In ogni caso, tutti gli imperialismi, vecchi o nuovi che siano, impegnati ferocemente tra di loro nelle guerre commerciali in tempi di pace sono trascinati, inevitabilmente, nel vortice della guerra guerreggiata in tempi di crisi. E’ la logica del capitale. In altre parole, la guerra è l’extrema ratio a cui ricorrono gli stati borghesi nell’intento di conservazione del modo di produzione capitalistico, costi quel che costi.
Di fronte a uno scenario così tragico si ripropone il che fare, come uscire da un meccanismo di morte quale il capitalismo sembra precipitare l’intera umanità. La risposta non può che essere: eliminare le cause che pongono le persone le une contro le altre e creare i presupposti della collaborazione degli individui associati per il conseguimento del bene comune. La società può riprodurre se stessa soddisfacendo i bisogni di tutti e ripristinando un corretto rapporto con la natura, unicamente superando lo sfruttamento e la concorrenza tra i lavoratori imposta dai capitalisti per i propri interessi. Sopprimere il lavoro salariato che è a fondamento del profitto in quanto appropriazione di lavoro non retribuito da parte dell’impresa capitalista, e più in generale dell’immiserimento del lavoro subordinato, è la condizione necessaria per voltare pagina.
Il boom economico del secondo dopoguerra nei paesi avanzati dell’occidente aveva ingenerato l’illusione di un progressivo e costante miglioramento delle condizioni di vita per i lavoratori e per le generazioni future. E in effetti i grandi profitti dei capitalisti, oltre alle lotte operaie, portarono a un generale miglioramento salariale e alla nascita dello stato sociale. Ciò comportò una certa fiducia nelle istituzioni borghesi ed entusiasmo nei partiti riformisti in continua ascesa sul piano elettoralistico. Questi ultimi istillarono veleno nelle coscienze dei proletari facendo credere nella bontà del capitalismo quale portatore di incessante e crescente benessere. Ma ciò che può essere concesso in determinati frangenti storici il capitalismo se lo riprende con gli interessi appena le condizioni mutano.
La cosiddetta ridistribuzione della ricchezza, vanto del riformismo, avviene tutt’oggi, con la differenza che si toglie ai poveri per dare ai ricchi. La crisi di ciclo del capitalismo, i saggi di profitto decrescenti, inducono la borghesie e i loro stati ad attaccare senza sosta i lavoratori e il welfare. Tutto questo, unitamente all’intelligenza artificiale presupposto della nuova rivoluzione tecnologica, fa si che per le nuove generazioni e la forza- lavoro più in generale le prospettive siano ancora più nere. Lavoro precario e sottopagato, progressiva privatizzazione dei servizi, pensioni da fame ecc. è l’orizzonte poco rassicurante per le nuove generazioni proletarie.
L’umanità organizzata capitalisticamente è oramai un non senso, una prigione di degrado non soltanto materiale ma anche morale ed esistenziale.
Rilanciare la parola comunismo, allora, diventa un’esigenza di drammatica attualità ed urgenza. Siamo consapevoli che il termine comunismo e soprattutto il suo contenuto è stato oltraggiato per lungo tempo. La fine del cosiddetto socialismo reale, e i presunti socialismi rimasti in piedi al giorno d’oggi, sono stati e non sono altro che capitalismo di Stato che nulla c’entrano con la fine dello sfruttamento e la liberazione dell’individuo e della società. In questi paesi i rapporti di produzione sono i medesimi del resto del mondo capitalista, solamente che a gestirli è prevalentemente lo Stato. Ma il lavoro salariato permane come pure conseguentemente lo sfruttamento dei lavoratori.
Ridare pienezza al significato della parola comunismo quale strumento di liberazione, così com’era nelle intenzioni di coloro che ne elaborarono più compiutamente il contenuto: Marx ed Engels, è compito di tutti coloro che coscientemente si oppongono alla barbarie capitalista. Il comunismo fa sempre tanta paura alla borghesia, che pur ritenendolo morto continua la sua accanita campagna di denigrazione, ben consapevole che esso è l’unica possibile alternativa allo stato di cose presente.
Riprendere il filo rosso dell’anticapitalismo spezzato dalla controrivoluzione borghese diventa essenziale per dare corpo e speranza alla realizzazione di una società veramente umana. La conflittualità sociale, la lotta di classe, la necessità di dare vita al partito internazionale del proletariato sono l’argine indispensabile da opporre alla deriva capitalista. Alla guerra del capitale bisogna rispondere con la guerra al capitale: il disfattismo rivoluzionario. Alla dittatura borghese si deve contrapporre il potere dei lavoratori: la dittatura del proletariato.
Nel Quaderno che proponiamo all’attenzione dei lettori sono raccolti alcuni contributi sul tema della transizione al comunismo, con riferimento ai testi classici di Marx, Engels e Lenin, e il tentativo di attualizzarlo al contesto odierno. Gli articoli sono tratti da vari numeri della nostra rivista DMD’ pubblicati negli anni passati.
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