Cose nuove, cose vecchie

Creato: 09 Giugno 2025 Ultima modifica: 09 Giugno 2025
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erwEra il 1891 quando l’allora pontefice Leone XIII pubblicò l’enciclica Rerum novarum (Delle cose nuove). Una prima formulazione teorica e sistematica, elaborata dal cattolicesimo, anche per dare una risposta (di senso conservativo) alle problematiche sollevate dal movimento operaio che, già nei decenni precedenti, stava trovando risposte teoriche ed organizzative nella prospettiva comunista di Marx ed Engels e mostrava la capacità di rendersi come potenza tra le potenze, di ordine internazionale.

Robert Francis Prevost, il nuovo pontefice, già dalla scelta del nome e con le sue prime dichiarazioni, palesa la volontà di collocarsi nel solco aperto dal suo predecessore. Le cose nuove al cospetto di entrambi i pontefici sono cose diverse tra loro ma trovano ragioni proprie in una cosa ormai vecchia, nel modo di produzione capitalistico. I portentosi progressi delle arti e i nuovi metodi dell'industria¹, come lì ebbe a definire Leone XIII, sono aggettivabili oggi allo stesso modo. La prosperità del modo di produzione significa anche trasformare costantemente i metodi dell’industria finché la costante trasformazione non contraddice le condizioni proprie della prosperità.

«Il pieno sviluppo del capitale ha quindi luogo [...] solo quando il mezzo di lavoro non solo è determinato formalmente come capitale fisso ma è soppresso nella sua forma immediata, e il capitale fisso appare di fronte al lavoro, all'interno del processo produttivo, in forma di macchina; e l'intero processo produttivo non si presenta [più] come sussunto sotto l'abilità immediata dell'operaio, ma come impiego tecnologico della scienza»². Chiosa Marx, qualche paragrafo più avanti: «Il furto del tempo di lavoro altrui, su cui riposa la ricchezza odierna, appare una base miserabile rispetto a questa nuova base che si è sviluppata nel frattempo e che è stata creata dalla grande industria stessa. Non appena il lavoro in forma immediata ha cessato di essere la grande sorgente della ricchezza, il tempo di lavoro cessa e deve cessare di essere la sua misura, e quindi il valore di scambio [la misura] del valore d'uso»³.

Possiamo immaginare che l’occuparsi di cose nuove, da parte di chi non prospetta il superamento del modo di produzione capitalistico, non possa giungere a teorizzare intrinseche contraddizioni tali che i presupposti oggettivi di un mondo nuovo possano, addirittura, crescere nel seno di quello vecchio. Le cose nuove preoccupano codesti signori nella misura in cui esse rappresentano la sola rovina del mondo in cui dominano. Il sofisticato sistema macchinico, introdotto nell’industria, in virtù di una maturità dall’elettronica, raggiunta nel corso di mezzo secolo, ci mostra quanto sia ancor più miserabile quella fonte di ricchezza che risiede nello sfruttamento della forza-lavoro. Antagonismi, storicamente dati, hanno consentito la permanenza di questa base ma essi stessi mostrano il fianco nella misura in cui permane l’impossibilità di inventare nuovi settori produttivi, potenzialmente ricettivi di forza-lavoro eccedente.

Con un certo dispiacere possiamo ipotizzare che il signor Prevost non sarà occupato a costituire argini alle battaglie internazionali del proletariato piuttosto a costruire una nuova (o vecchia) ideologia sulla necessità di salvaguardare l’operaio in quanto salariato, ossia venditore di forza-lavoro, laddove la sua inesorabile espulsione dal processo produttivo, e conseguente svalutazione, al cospetto dello sviluppo del capitale fisso in forma di macchina pone le possibilità oggettive e soggettive per una definitiva emancipazione.

 

[1] Cfr. RERUM NOVARUM LETTERA ENCICLICA DI S.S. LEONE XIII - https://www.vatican.va/content/leo-xiii/it/encyclicals/documents/hf_l-xiii_enc_15051891_rerum-novarum.html

[2] K. Marx - Frammento sulle macchine - https://www.antiper.org/archive/materiali/marx-frammento-qr.pdf

[3] Ibid.