Le minacce di Trump: prova di forza o di grande fragilità?

Categoria: Americhe
Creato: 05 Marzo 2025 Ultima modifica: 05 Marzo 2025
Scritto da Giorgio Paolucci Visite: 313

É certo, però, che nulla sarà più come prima. Dietro l’angolo

si annuncia una fase di grande instabilità

politica economica e finanziaria

 

Entrambi i presidenti degli Usa, l’uscente Biden nel suo ultimo discorso e Trump in quello di insediamento alla Casa Bianca, hanno descritto lo stato dell’economia statunitense come il migliore dei mondi possibili. Trump ha addirittura previsto per l’America una nuova “età dell’oro”. Intanto sbraita contro tutti e tutto e come il lupo della favola di Esopo che, standosene a monte, imputa all’agnello che beve a valle di insudiciare l’acqua del torrente a cui anch’egli si abbevera, accusa il resto del mondo di arricchirsi a spese dell’America esportandovi i suoi surplus commerciali, quando in realtà è il contrario: è l’America che, potendo pagare le sue importazioni con dollari che di fatto si configurano come delle “cambiali senza scadenza”, ne trae il maggior vantaggio.

Minaccia di invadere Panama, di annettersi la Groenlandia e di applicare pesanti dazi sulle importazioni provenienti da tutti quei paesi che si rifiutano di importare dagli Usa armi, gas e petrolio a prezzi molto più alti di quelli di mercato.

Intanto per dimostrare che fa sul serio, ha fatto arrestare, ammanettare, incatenare e deportare in Colombia una decina di immigrati irregolari e imposto dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio da qualunque parte del mondo provengano, anche se da paesi da sempre alleati degli Usa. E pare non sia finita qui, avendone annunciati altri contro la Cina, l’Ue, il Messico, il Giappone e il Canada salvo, per quest’ultimo, che accetti di essere inglobato nella federazione americana divenendone il 51° Stato.

 

La pace secondo Trump

Infine, da buon “pacifista” quale egli si spaccia, ha annunciato di voler risolvere una volta per tutte l’annosa questione palestinese assegnando la Cisgiordania a Israele e trasformando Gaza nella “Riviera del Medioriente”, non senza prima aver disperso l’intera popolazione palestinese per tutto il Medioriente. Invece all’Ucraina, forse per non avere essa mete di particolare interesse turistico, le sarà concessa la pace solo previa cessione agli Usa di alcune sue aree minerarie per un valore pari a circa 500 miliardi di dollari.

Scioccati da questo approccio brutalmente bottegaio anche su questioni che riguardano la vita e la morte di milioni di persone, per la gran parte degli osservatori, soprattutto gli atlantisti senza se senza ma, saremmo in presenza di una svolta epocale destinata a fare dell’America qualcosa di completamente diverso da ciò che è stata fino alla presidenza Biden: non più, faro della democrazia e della libertà, ma potenza imperiale che fa della difesa a oltranza dei propri interessi la sua unica missione.

In realtà, l’America, come ogni altra potenza imperialistica, è stata senza soluzione di continuità fra un’amministrazione e l’altra, una potenza predatrice. La stessa guerra fra Russia e Ucraina¹ è stata voluta e cercata sin dai tempi dell’amministrazione Clinton - compresa anche la prima di Trump, esclusivamente in funzione degli interessi americani e a danno di quelli dell’Unione europea sulla pelle della popolazione civile ucraina.

E se Trump ora si accinge a chiuderla è solo perché ha preso atto che è persa e che in ogni caso sono da ritenersi più che soddisfacenti i risultati ottenuti: la frantumazione dell’asse Berlino (Ue) -Mosca – Pechino e, grazie al sabotaggio manu militare, del gasdotto North Stream, l’apertura del mercato europeo al gas americano in sostituzione di quello russo.

 

L’Homo pecunia

Tuttavia, è pur vero che con Trump la postura politica e strategica degli Usa sta rapidamente mutando. Sicuramente egli ci mette del suo, ma con l’ascesa della Cina e il ritorno sulla scena internazionale della Russia e di alcune nuove potenze regionali (India, Iran, Arabia Saudita ecc.), e del mutato quadro dello scacchiere internazionale, era del tutto inevitabile che prima o poi ciò accadesse. Non prenderne atto sarebbe una sorta di suicidio assistito per quella che resta comunque la maggiore potenza militare del mondo. Trump affronta la questione senza infingimenti di sorta e per quel che realmente è: una pura questione di denaro. D’altra parte, stiamo parlando di una coscienza maturata esclusivamente sotta la scorza del denaro e perciò portata a considerare gli uomini, il pianeta, la vita stessa solo in termini di scambio, di dare e avere, appunto: di denaro. È un miliardario e come tutti i miliardari, vivendo di e per il denaro, non fa alcuna differenza fra cose e uomini; tutto è ridotto a un cartellino con su scritto un determinato prezzo. In questo senso egli rappresenta il perfetto esemplare di una sorta di nuova variante della specie homo, figlia specifica del modo di produzione capitalistico, che potremmo definire homo pecunia.

 

Il grande debito

È proprio perché borghese, capitalista fino al midollo Trump, homo pecunia, sa perfettamente che la meravigliosa economia americana – come egli ama definirla- in realtà tale non è.

L’America, infatti, avendo potuto imporre, in quanto vincitrice della Seconda guerra mondiale, il dollaro come denaro mondiale, ha goduto dello straordinario privilegio di poter pagare le proprie importazioni da ogni angolo del mondo con i dollari, di fatto con cambiali senza scadenza². Forte di questo privilegio, sono decenni che gli Usa producono denaro senza che vi corrisponda una produzione di altrettanta ricchezza reale cosicché l’economia americana per circa l’80% dipende completamente dalle importazioni. Che è come dire che essa si regge sul debito e infatti la sua esposizione debitoria netta verso l’estero ammonta ormai a circa:

« … 24 trilioni di dollari (prossimi all’85% del pil).»³/a> E: « per i soli interessi debitori, cioè, accumulati su debiti pregressi, ammonta alla strabiliante cifra di 1,18 trilioni di dollari».

 

La fuga dal dollaro

Se poi si aggiunge che il debito pubblico, già oggi è pari a circa il 98% del pil nominale, cresce al ritmo del 6% all’anno più di quanto cresca il Pil stesso, risulta evidente che ormai per la gran parte è del tutto inesigibile. Da qui il crescente numero dei paesi esteri che utilizzano sempre meno il dollaro sia per regolare il loro interscambio sia come valuta di riserva internazionale. Quindi mentre il debito cresce, diminuiscono coloro che sono disposti a sottoscriverlo e infatti se: «Agli inizi del secolo- ci informa il ricercatore F. Raperelli -nel mondo il 70% delle riserve monetarie era in dollari. Oggi sono al di sotto del 60% e la decrescita non si fermerà».

Fuggono dal dollaro non solo i paesi del gruppo dei Brics - vale a dire qualcosa come poco meno della metà della popolazione e del Pil mondiali- ma anche molti paesi asiatici e africani.

La Cina, per esempio, pur avendo nel mercato americano il principale sbocco per i suoi surplus commerciali, negli ultimi anni ha compiuto importanti:

«Passi avanti nella diversificazione dei partner…Nel 2024, i paesi membri della Belt and Road (La nuova via della seta- N.d.R.) hanno rappresentato oltre la metà dell’interscambio commerciale cinese. E le esportazioni delle cosiddette “nuove forze produttive” sono in forte crescita sui mercati emergenti, a partire dai veicoli elettrici ».

Si abbandona il dollaro e di contro si compra oro, ragion per cui il suo prezzo ha raggiunto i suoi massimi storici quotando poco meno di 3.000 dollari l’oncia.

L’homo pecunia, sapendo bene che lungo questa china c’è solo il fallimento, agisce di conseguenza. Lo fa con il piglio da padrone del mondo, come se il mondo fosse il Trump International Hotel and Tower di New York, ma, al di là di ciò, resta la necessità di frenare la corsa del debito prima che sia troppo tardi, tanto più che la situazione è già a tal punto compromessa che, come riporta L. Pandolfi su Il Manifesto:

«Da giorni nei salotti finanziari americani, gira con insistenza una voce: Trump vorrebbe ristrutturare una parte del debito Usa, costringendo alcuni creditori esteri a scambiare i titoli in loro possesso con obbligazioni a «lunghissimo termine». L’agenzia Bloomberg cita un incontro organizzato dalla società di consulenza Bianco Research con i propri clienti sul punto».

 

Trump come Nixon nel 1971

In effetti Trump oggi si trova nella stessa situazione in cui venne a trovarsi Nixon nel 1971 quando si scatenò la corsa agli sportelli della Federal Reserve e in molti iniziarono a chiedere la conversione dei loro dollari in oro. Non potendo farvi fronte perché erano stati stampati molti più dollari della quantità di oro accantonato per garantirne la copertura, Nixon impose per decreto l’inconvertibilità del dollaro benché, come previsto dagli accordi di Bretton Woods, fosse la condizione imprescindibile affinché il dollaro potesse assumere il ruolo di mezzo di pagamento e di riserva internazionale in sostituzione dell’oro.

Il dollaro si svalutò e così il costo del default americano si scaricò per la sua gran parte sull’ economia mondiale.

Oggi, ovviamente, essendo il dollaro già inconvertibile, la manovra non può essere ripetuta.

Ecco, quindi, il licenziamento in massa di decine di migliaia di dipendenti pubblici, i tagli alla spesa sociale e in particolare a quella sanitaria e perfino a quella militare; la sospensione dei fondi destinati all’Usaid (Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale) e all’Oms e la minaccia di uscire dalla Nato se gli alleati che ne fanno parte non dovessero farsi carico del suo finanziamento destinandovi l’iperbolica cifra del 5% del loro Pil. E poi- come dicevamo prima- l’imposizione di dazi su tutte le merci provenienti da quei paesi che decidano di non utilizzare il dollaro per regolare il loro interscambio o di non incrementare le importazioni di armi, gas e petrolio americani. In particolare, quelli contro l’Unione europea colpevole, non di fottere l’America – come Trump va strepitando- ma di essersi data l’euro come argine allo strapotere del dollaro e suo unico vero concorrente sui mercati finanziari internazionali.

E poi, l’abbandono dell’Ucraina al suo destino, qualora non accetti la pace con la Russia alle condizioni contrattate, senza altra intermediazione, direttamente con Putin che, fra l’altro, prevedono la spartizione fra i due delle miniere di terre rare, di cui l’Ucraina è molto ricca.

Zelensky, recandosi personalmente alla Casa Bianca, ha tentato di spuntare condizioni meno svantaggiose per sé e il suo paese, ma si è visto in diretta tv come è andata a finire: mandato via e a male parole.

Un messaggio chiaro per dire, prima ancora che a Zelensky, al mondo intero a cominciare dai suoi alleati storici europei, che o si accettano le sue condizioni o muoia Sansone con tutti filistei. Altro che l’America portatrice di pace e prosperità per tutti come la propaganda trumpiana vuol far credere. Si annuncia invece una forte instabilità politica ed economica e una intensificazione dello scontro interimperialistico, se non la terza guerra mondiale.

 

[1] AA.VV – Alle radici della guerra In Ucraina- https://www.istitutoonoratodamen.it/index.php/i-quaderni/584-alle-radici-della-guerra-in-ucraina

[2] Al riguardo vedi fra gli altri: Sul declino degli Usa e l’inasprirsi della guerra imperialista permanente - https://www.istitutoonoratodamen.it/index.php/internazionale/56-americhe/556-sul-declino-degli-usa-e-l-inasprirsi-della-guerra-imperialista-permanente

[3] P. Ciocca – Il grande debito Usa a spese del mondo – il Manifesto del 26.01.2025.

[4] M. Fini- Il debito usa è stratosferico, ma il denaro non ha valore – Il Fatto quotidiano del 1/02/2025.

[5] Al riguardo vedi anche G.P.- Elezioni Usa ha vinto Trump promettendo dazi e guerra agli immigrati- https://www.istitutoonoratodamen.it/index.php/politicasocieta/610-elezioni-usa-ha-vinto-trump-promettendo-dazi-a-piu-non-posso-e-guerra-agli-immigrati

[2] F. Raperelli- Tra dazi e debito, il dollaro è una tigre di carta- Il Manifesto del 18.02.2025

[2] Al riguardo vedi anche: Sull’ultimo vertice dei Brics - https://www.istitutoonoratodamen.it/index.php/questionieconomiche/603-sull-ultimo-vertice-dei-brics

[2] L. Lamperti – Pechino pensa a una stretta sull’export di risorse per il tech- Il Manifesto del 2(02/ 2025

[2] L. Pandolfi – Tentazione Trumpnomics: autoridursi il debito con l’estero – Il manifesto del 27.02.2025