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Dalla rivista D-M-D' n °6
La realizzazione dell’individuo sociale, un individuo non alienato e in relazione armonica con gli altri individui e la natura, presuppone l’eliminazione dell’antagonismo tra le classi della società borghese. L’eliminazione della merce, del capitale e di ogni forma di proprietà, la sostituzione del mercato con la pianificazione e la distribuzione dei prodotti, sono i mezzi per realizzare una comunità di individui liberamente associati e uniti dal medesimo fine: la loro piena realizzazione.
La Transizione, a rivoluzione politica avvenuta, è il processo di abolizione della legge del valore e quindi delle categorie economiche fondanti il sistema capitalistico: la merce, il denaro, il salario e il capitale. Il comunismo è il suo punto di approdo una volta che siano stati eliminati gli antagonismi che caratterizzano la società borghese. Parrebbe dunque, così fatta l’esposizione, che il fine ultimo del comunismo sia prevalentemente un fatto economico, pur rilevante giacché prevede l’eliminazione di ogni antagonismo tra le classi e la fine di ogni disuguaglianza economica e sociale. In realtà, una lettura più approfondita di Marx mette in luce che il rivoluzionamento dei rapporti di produzione borghesi e la realizzazione di un nuovo modo di produzione, il Modo di Produzione Associato (MPA)1 secondo la definizione datane dallo stesso Marx, reca in sé una rivoluzione ancora più profonda che riguarda gli individui della società. Si tratta non solo della loro liberazione da qualsiasi forma di schiavitù economica ma anche, cosa ancora più importante, della loro piena realizzazione in quanto uomini. Sul significato di questa realizzazione ora vorremmo riflettere.
Il lavoro alienato.
Marx, nei Manoscritti economico-filosofici del 1844, tratta il tema del lavoro alienato, estraniato come lui lo definisce. Poi lo riprenderà in diversi momenti della sua elaborazione ma sempre con lo stesso significato di estraniazione. Egli lo riferisce al lavoro dell’operaio ma oggi, come vedremo, è applicabile al lavoro di qualsiasi proletario anche se non impegnato nella produzione materiale ma, in quanto lavoratore salariato, in una qualsiasi attività lavorativa.
Marx inizia considerando l’operaio e la sua attività: “L’oggettivazione (qui intende il risultato dell’attività lavorativa che si concretizza in un oggetto materiale – ndr) si rivela a tal punto una perdita dell’oggetto che l’operaio è spogliato degli oggetti più necessari, non solo per la vita ma anche per il lavoro… l’appropriazione dell’oggetto si rivela a tal punto una estraniazione che, quanti più oggetti l’operaio produce, tanto meno può possederne e tanto più soggiace al dominio del suo prodotto, del capitale”2. Come vediamo il concetto di alienazione è fondato sulla estraniazione, sulla separazione intesa come perdita di possesso e di controllo dell’oggetto che l’operaio produce. Costui, mentre lavora, entra in relazione con gli strumenti del suo lavoro e con la materia che trasforma ma per la sua dipendenza dal capitalista e per il fatto che a quest’ultimo appartengono i mezzi di produzione, il risultato della sua attività lavorativa, l’oggetto che egli produce, non gli appartiene. Dunque l’alienazione è innanzi tutto l’estraniazione dell’operaio dal suo prodotto.
Fin qui, Marx ha considerato il rapporto dell’operaio con l’oggetto che produce ma prosegue l’analisi considerando le relazioni sociali complessive dell’operaio, relazioni che intervengono durante lo scambio dei prodotti nella forma di merci, per mostrare che l’alienazione si estende agli altri aspetti della sua vita. Nel modo di produzione capitalistico, in quelli precedenti i rapporti sociali che si instauravano tra gli individui erano diretti, personali e perciò facilmente comprensibili, le relazioni tra gli uomini si trasformano in rapporti tra cose per il fatto che il lavoro è alienato. Queste relazioni, mediate dallo scambio delle merci, assumono una forma che mistifica la realtà. Le merci assumono il carattere di feticcio perché nascondono all’operaio la vera natura del rapporto che ha con gli altri individui. Nello scambio, l’operaio ha coscienza immediata solo dell’apparenza delle sue relazioni con gli altri, apparenza che si manifesta nel prezzo della merce. In fondo, ciò che per lui conta quando va al mercato è la merce che vuole comprare e il suo prezzo, nient’altro. Dunque, la realtà che si nasconde dietro questo atto gli sfugge perché la vera natura delle relazioni sociali che gli stanno dietro, quelle che Marx chiama i rapporti di produzione, sono occultate. Allo stesso modo l’operaio non comprende neanche la natura dello sfruttamento a cui è sottoposto e il carattere alienato della sua esistenza. “Gli oggetti d’uso diventano merci, in genere, soltanto perché prodotti di lavori privati, eseguiti indipendentemente l’uno dall’altro. Il complesso di tali lavori privati costituiscono il lavoro sociale complessivo. Poiché i produttori entrano in contatto sociale soltanto mediante lo scambio dei prodotti del loro lavoro, anche i caratteri specifici sociali dei loro lavori privati appaiono soltanto all’interno di tale scambio. Ossia, i lavori privati si effettuano di fatto come articolazione del lavoro complessivo sociale mediante le relazioni nelle quali lo scambio pone i prodotti del lavoro e, attraverso i prodotti stessi, i produttori. Quindi a questi ultimi le relazioni sociali dei loro lavori privati appaiono come quel che sono, cioè, non come rapporti immediatamente sociali fra persone nei loro stessi lavori, ma anzi, come rapporti di cose fra persone e rapporti sociali fra cose”3. La merce, da pura e semplice cosa, per il fatto di essere il prodotto del lavoro alienato, diviene per questo un feticcio in quanto, nella testa degli uomini, assume vita propria e indipendente assurgendo al ruolo di rapporto sociale così come allo stesso modo, il rapporto sociale, il rapporto con cui gli uomini entrano in relazione, assume l’aspetto di un rapporto tra cose: “l’arcano della forma merce consiste dunque semplicemente nel fatto che tale forma, come uno specchio, restituisce agli uomini l’immagine dei caratteri sociali del loro proprio lavoro, facendoli apparire come caratteri oggettivi dei prodotti di quel lavoro, come proprietà sociali naturali di quelle cose, e quindi restituisce anche l’immagine del rapporto sociale tra produttori e lavoro complessivo, facendolo apparire come un rapporto sociale fra oggetti esistente al di fuori (corsivo nostro) di essi produttori”4. Perciò, il feticismo della merce diviene esso stesso un altro aspetto dell’estraniazione dell’operaio dalla realtà in quanto estraniazione dalla comprensione di ciò che più caratterizza e fonda la sua esistenza: lo sfruttamento del lavoro salariato da parte del capitale.
Marx, dopo aver considerato l’alienazione sotto l’aspetto del rapporto dell’operaio col prodotto del suo lavoro, estende la sua analisi dell’alienazione all’attività lavorativa. Così prosegue: “ma l’estraniazione non si mostra soltanto nel risultato, bensì nell’ atto della produzione, all’interno della stessa attività produttiva. Come potrebbe l’operaio porsi come un estraneo di fronte al prodotto della sua attività, se non si estraniasse da se stesso nell’atto stesso della produzione?… Se dunque il prodotto del lavoro è l’alienazione, la produzione stessa deve essere l’alienazione attiva, l’alienazione dell’attività, l’attività dell’alienazione…In cosa consiste ora l’alienazione del lavoro? In primo luogo nel fatto che il lavoro è esterno all’operaio, cioè non appartiene al suo essere, di conseguenza nel suo lavoro egli non si afferma, ma si nega, non si sente pago ma infelice, non sviluppa alcuna libera energia fisica e spirituale, ma mortifica il suo corpo e rovina il suo spirito”5. Vengono messi così in evidenza due ulteriori aspetti dell’alienazione: 1. l’estraniazione dell’operaio dalla sua l’attività lavorativa dato che l’operaio lavora non per se stesso bensì per il capitalista e quindi per il fine che quest’ultimo persegue cioè il profitto 2. le conseguenze di questa estraniazione, l’insoddisfazione e l’infelicità, sulla sua esistenza psichica. Questo per quanto riguarda il tempo di vita dell’operaio occupato dall’attività lavorativa. Marx va oltre; considera la parte restante del suo tempo: “l’operaio si sente pertanto presso di sé soltanto fuori del suo lavoro, e nel suo lavoro fuori di sé. A casa propria è solo quando non lavora, e quando lavora non è a casa propria… Si giunge così al risultato che l’uomo (l’operaio) sente di agire liberamente ormai nelle sue funzioni animali, mangiare, bere, procreare, e tutt’al più nell’avere un’abitazione, nel vestirsi, ecc., mentre nelle sue funzioni umane non si sente altro che una bestia. Il bestiale diventa umano e l’umano il bestiale. Mangiare, bere, procreare ecc. sono senza dubbio anche funzioni schiettamente umane. Ma nell’astrazione che le isola dalla restante sfera dell’attività umana e le trasforma in scopi ultimi e unici sono funzioni bestiali”6. Appare qui che l’operaio, ritrova se stesso solo nel tempo in cui non lavora, cioè mentre vive fuori dal tempo impiegato alle dipendenze del capitalista. In realtà, come Marx conclude, anche nella parte della giornata lavorativa in cui egli svolge le rimanenti funzioni necessarie alla sua esistenza, come il mangiare, il vestirsi, il riposare e il procreare, finisce per subire il degrado dovuto alla riduzione di queste attività alla stregua di quelle animali per il fatto che l’operaio è innanzi tutto un individuo estraniato nella sua principale attività, quella lavorativa. Di conseguenza anche le altre funzioni, svolte quando egli è “a casa propria”, si trasformano in manifestazioni della sua esistenza limitate, private della possibilità di qualsiasi realizzazione, materiale e spirituale, dato che soddisfano solo le necessità del capitale a lui estranee: sostanzialmente, il consumo delle merci nella forma di mezzi di sussistenza, consumo necessario per poter lavorare e per riprodurre la sua forza lavoro.
L’alienazione abbraccia dunque tanto la vita lavorativa dell’operaio quanto quella privata, dunque ogni momento della sua esistenza. E’ un’alienazione totale in quanto nega anche qualsiasi manifestazione della sua vita spirituale. Marx lo precisa considerando quanto è più peculiare all’esistenza umana. L’uomo, ci dice, si distingue dagli animali innanzi tutto perché produce i suoi mezzi di sussistenza e questa attività, la produzione di ciò che gli serve per vivere, ha come presupposto la consapevolezza del fine che vuole raggiungere. Dunque, nell’essere propriamente umano gioca un ruolo fondamentale la consapevolezza che si manifesta come idea precostituita alla sua azione. Questa consapevolezza, sempre più ampia e affinata man mano che l’uomo durante il suo lungo processo evolutivo raggiunge forme sempre più articolate di organizzazione sociale e sviluppa forme sempre più complesse di pensiero, diviene a un ceto punto anche coscienza di se stesso e della propria specie e coscienza, in particolare, della sua vita interiore e spirituale, una vita che si manifesta in modo sempre più ampio ed affinato. Invece, l’animale ha, nella migliore delle ipotesi, solo la “facoltà di percepire, di distinguere e persino di giudicare gli oggetti esterni per mezzo dei sensi”7. Dunque, l’uomo, parte della natura al pari degli altri esseri viventi, si distingue per essere dotato di qualcosa in più, quel qualcosa che ne fa propriamente un essere umano, un individuo potenzialmente capace di realizzarsi nel lavoro come nell’attività intellettuale, spirituale e artistica: “se le piante, gli animali, le pietre, l’aria, la luce ecc. costituiscono teoreticamente una parte della coscienza umana, in parte come oggetti della scienza naturale, in parte come oggetti dell’arte…così anche praticamente costituiscono una parte della vita umana e dell’attività umana…che la vita fisica e spirituale dell’uomo sia connessa con la natura non ha altro significato se non che la natura è connessa a sé stessa, poiché l’uomo è una parte della natura”8. Inoltre “il lavoro estraniato, rendendo estranea all’uomo (1) la natura, (2) se stesso, la sua funzione attiva, la sua attività vitale, rende estraneo all’uomo il genere…”9. Dunque, il lavoro alienato nega l’esistenza umana in ogni suo aspetto estraniando l’individuo da se stesso, dagli altri e dalla natura. Da se stesso in quanto è un individuo estraniato dalla sua attività lavorativa e da ogni altro aspetto della sua vita, sia materiale che spirituale, quindi estraniato da quanto più caratterizza la sua specifica esistenza umana; dagli altri in quanto con gli altri instaura relazioni che si manifestano come relazioni tra cose; dalla natura in quanto entità che lui trasforma non per se stesso ma per il capitalista. Questa frattura, questa separazione, appunto questa estraniazione, oltre ad assumere la forma dell’antagonismo, si traduce nella riduzione della “vita generica a mezzo della vita individuale” ovvero a una riduzione sostanziale delle potenzialità di vita dell’individuo, quando la sua esistenza, che si potrebbe esprimere nella pienezza della manifestazione di se stesso, viene ridotta a esistenza limitatamente individuale, privata della ricchezza dal rapporto con gli altri e con la natura.
Dunque, il processo di alienazione permea completamente l’individuo, ogni aspetto della sua vita, sia esteriore che interiore. Le manifestazioni più elevate dello spirito umano, quelle dell’arte, del pensiero e della conoscenza, si riducono a privilegio riservato a poche persone, quelle a cui la vita permette il godimento e la disponibilità di tempo per queste stesse manifestazioni le quali, per costoro, possono esistere solo alla condizione che vengano negate all’operaio: “più l’operaio produce, meno ha da consumare; quanto più valore egli crea, tanto più diventa privo di valore e di dignità; quanto meglio formato è il suo prodotto, tanto più l’operaio diventa deforme, quanto più raffinato è il suo oggetto, tanto più l’operaio diventa rozzo; quanto più potente è il lavoro, tanto più l’operaio diventa impotente, quanto più ingegnoso è il lavoro, tanto più l’operaio diviene privo di spirito e servo della natura”10. Si tratta di un’alienazione totale che lo nega in quanto uomo e in relazione agli altri uomini, in primo luogo in relazione al capitalista. “Ogni autoestraniazione dell’uomo da sé e dalla natura appare nel rapporto verso altri uomini, distinti da lui, in cui egli pone sé e la natura…nel lavoro estraniato, alienato, dunque, l’operaio produce il rapporto con questo lavoro di un uomo estraneo al lavoro e situato fuori di esso. Il rapporto dell’operaio al lavoro crea il rapporto del capitalista, o come altro lo si voglia chiamare il padrone del lavoro, verso di esso. La proprietà privata è quindi il prodotto, il risultato, la conseguenza necessaria del lavoro alienato, del rapporto esteriore dell’operaio alla natura e a se stesso”11. Marx parla di proprietà privata ma, lo diciamo per estendere il discorso all’attualità, il legame tra la proprietà privata e il lavoro alienato è da intendersi allargato a qualsiasi forma di proprietà, privata o statale che sia, senza alcuna distinzione.
Quanto sia attuale l’analisi di Marx sul lavoro alienato risulta evidente. Mai come oggi, l’alienazione è presente in tutti i settori lavorativi, non solo in quelli legati alla produzione materiale, e si estende pervasivamente ad ogni aspetto della vita umana. Addirittura gli stessi individui borghesi, nonostante i loro privilegi materiali, non ne sono indenni e ne pagano le conseguenze vivendo una vita agiata ma vuotata della ricchezza della vita interiore propria dell’uomo, cioè dei sentimenti, delle passioni, del rispetto e del riconoscimento dell’altro, della solidarietà, delle emozioni legate alla bellezza dell’esistenza umana e della natura. Vivono questa estraniazione a causa di quanto essi stessi hanno creato: la mercificazione di ogni cosa, comprese le relazioni umane, quale mezzo per realizzare il profitto. Ma non è dell’ipotetico tormento interiore dei borghesi che ci vogliamo occupare adesso e neanche di quello della piccola borghesia, oggi alle prese con la crisi economica e con i sussulti esistenziali conseguenti alla sua precaria condizione sociale. Perciò torniamo al proletariato, la parte sofferente dell’umanità che vive l’alienazione quale riflesso della propria condizione di schiavitù lavorativa.
In Occidente, la questione dell’alienazione è di stringente attualità. La pancia dei proletari non soffre più come ai tempi di Marx poiché lo sviluppo del capitalismo ha di molto attenuato, si badi bene non risolto, il problema della povertà. Anzi, a ben guardare, oggi la povertà sta rialzando la testa e si sta presentando in forme nuove: tra i giovani precari, tra i lavoratori cinquantenni che hanno perso il posto di lavoro, tra i cassaintegrati sempre più numerosi e alle prese con una legislazione che smantella le vecchie forme di assistenza alla disoccupazione, tra gli stessi lavoratori alle prese con salari che si riducono giorno per giorno, tra le persone che vivono le infinite nuove forme dell’emarginazione e dell’esclusione sociale. Questi, che sono problemi gravissimi se consideriamo l’epoca in cui viviamo, contraddistinta da conoscenze scientifiche e risorse tecnologiche che mai nella storia umana erano state disponibili in tale quantità e qualità, sono il corollario dell’alienazione dell’individuo moderno e mostrano la grandezza delle anticipazioni di Marx. Si potrebbe obiettare che la visione dell’esistenza degli individui come esistenza totalmente alienata sarebbe inadeguata e in contraddizione con tutti quei momenti di vita non lavorativa, oggi certamente più frequenti di ieri, in cui l’operaio, in generale il lavoratore salariato, trae soddisfazione divertendosi, mangiando fuori casa, viaggiando, in parole povere godendo di quel “benessere” elargitogli dallo sviluppo capitalistico del secondo dopoguerra. Secondo questa tesi, il lavoro alienato potrebbe essere ben compensato dall’esistenza non alienata, quindi improntata alla soddisfazione dell’individuo, nel tempo di non lavoro. Marx, nel Capitolo VI inedito de Il capitale, spiega la differenza tra il dominio formale e reale del capitale. Quest’ultimo si afferma quando “…si erge un modo di produzione tecnologicamente (e non solo tecnologicamente) specifico,, che modifica la natura reale del processo lavorativo e le sue reali condizioni – il modo di produzione capitalistico. Solo quando esso appare in scena, ha luogo la sottomissione reale del lavoro al captale…La sottomissione reale del lavoro al capitale si sviluppa in tutte le forme che generano, a differenza del plusvalore assoluto, plusvalore relativo…va di pari passo con le trasformazioni nel processo produttivo che abbiamo già illustrate: sviluppo delle forze produttive sociali del lavoro e, grazie al lavoro su grande scala, applicazione della scienza e del macchinismo alla produzione immediata…Nello stesso tempo, la produzione capitalistica tende a impadronirsi di tutti i rami dell’industria in cui non regna ancora sovrana, e dove continua a vigere soltanto una sottomissione formale”12. Con l’affermarsi del dominio reale del capitale, dovuto all’estendersi del modo di produzione specificatamente capitalistico a ogni attività lavorativa e a ogni aspetto della vita sociale, ogni singolo attimo della vita dell’operaio è governato dalle leggi proprie all’accumulazione del capitale. Non possiamo addentrarci in questa sede nell’analisi del significato di questa affermazione e ci limitiamo solo a evidenziare che il consumo per lo svago, per il godimento, come qualsiasi altro consumo non strettamente legato alla semplice sussistenza di tipo ottocentesco, sia totalmente governato dal capitale e dalle sue imprese. Con il dominio reale del capitale si afferma anche il dominio reale sull’individuo, ovvero esteso a ogni attimo della sua esistenza, e con questo del dominio totale su di esso dell’alienazione. Oggi, ogni individuo, anche quando vive il godimento (ma gode? E quando? E in che maniera?), lo fa nei tempi e con le modalità impostegli dall’impresa capitalistica consumando le merci e usufruendo dei servizi che essa gli impone. Questo moderno individuo si muove con i mezzi di trasporto non decisi da lui, nei tempi dettati dalla produzione capitalistica, consumando le merci che lui non ha deciso di produrre, recandosi nei luoghi che lui crede di scegliere ma che in realtà vengono decisi dai centri di comando delle imprese capitalistiche che si occupano di svago e tempo “libero”, usufruendo di servizi che lui non ha né ideato, né progettato, né realizzato. Ovunque domina la spersonalizzazione dell’individuo e la sua omologazione a comportamenti decisi scientificamente dalla moderna impresa capitalistica. L’estraniazione moderna regna sovrana in ogni momento dell’esistenza degli individui ridotti a tanti piccoli ingranaggi di quella enorme macchina costituita dal capitale che impone, in nome della realizzazione della sua accumulazione, stili di vita e modi di essere plasmati dalle sue leggi che nulla hanno a che vedere con la realizzazione dell’essere umano.
Per finire, osserviamo che l’alienazione di cui parla Marx coinvolge tutto il proletariato, classe che si allarga numericamente man mano che procede il processo di accumulazione del capitale. Sia nelle fabbriche, dove avviene la produzione materiale delle merci, sia nelle cosiddette aziende dei servizi, la frustrazione, la noia, le malattie fisiche e psicologiche a cui è legato il crescente uso di farmaci e psicofarmaci, il disagio esistenziale, in alcuni casi persino i suicidi, atto estremo e disperato di chi, licenziato, non può fare a meno neanche del lavoro estraniato per sopravvivere, sono le manifestazioni evidenti dell’alienazione. Questo fenomeno è così invasivo che riguarda persino il pensiero degli individui: il dominio del capitale sulla società, nella fase della produzione e dei consumi di massa, ha prodotto, veicolandola attraverso la merce, l’interiorizzazione spontanea dell’ideologia borghese. Il consumo è stato elevato a dio onnipotente e le forme del pensiero, non solo quelle più comuni ma anche quelle più elevate che riguardano i diversi campi dello scibile umano, sono veicolate nel cervello degli individui attraverso la merce stessa, per la forma iperindividualistica che ha assunto oggi il suo consumo e per i valori ideologici in essa incorporati. Il pensiero dell’individuo ha così assunto la forma del pensiero-merce13, estendendo e intensificando ancora di più l’alienazione umana, portando alle estreme conseguenze l’estraniazione dell’uomo in quanto estraniazione dal suo stesso pensiero.
Oggi, più che in qualsiasi altro periodo della società borghese, si sta imponendo all’attenzione dell’intera umanità, soprattutto nelle aree di capitalismo avanzato, il tema della liberazione dell’individuo dall’alienazione e da tutte le catene che gli impediscono di essere uomo nel senso più pieno della parola. L’esistenza dell’individuo, per la parte numericamente prevalente della società, di fronte alle prodigiose conquiste della conoscenza e della tecnologia, di fronte al godimento materiale riservato solo a una minoranza, è ridotta a una tale condizione di povertà materiale e spirituale, a una tale frustrazione e infelicità che il comunismo diviene una necessità storica, una necessità imprescindibile per la sua liberazione. Ecco che risulta palese il significato più profondo e, forse, più trascurato del comunismo: la trasformazione dei rapporti di produzione, l’eliminazione delle categorie economiche del capitalismo, l’eliminazione delle disuguaglianze sociali sarebbero solo il punto di partenza per una rivoluzione ancora più profonda, più estesa e più importante, la trasformazione dell’individuo alienato in un individuo nuovo che si riappropria di se stesso, del suo destino e della sua vita, un individuo che mentre realizza se stesso, si realizza associandosi agli altri con i quali non è più in conflitto ma è accomunato dai medesimi fini.
Una precisazione sulla Transizione: due o tre fasi?
Preliminarmente alla trattazione del comunismo, riteniamo necessaria una veloce quanto inequivocabile precisazione sulla Transizione. Il nostro punto di vista, riteniamo coerente con la formulazione di Marx, è che nel capitalismo si preparino solo le condizioni materiali del suo superamento e si preparino con lo svilupparsi delle sue contraddizioni interne: da una parte si intensifichi sempre più il conflitto tra lo sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione, dall’altra il fatto che lo sviluppo delle forze produttive attribuisca al lavoro un carattere sempre più sociale in conflitto col carattere privato dell’appropriazione dei prodotti dello stesso lavoro. Riteniamo che questo processo, a differenza di altri che lo considerano come una sorta di spontanea autoaffermazione del comunismo, in taluni casi addirittura entro lo sviluppo dello stesso capitalismo, non implichi in nessun modo che la nuova società comunista possa semplicemente generarsi e affermarsi spontaneamente come risultato dell’evoluzione storica; tanto meno riteniamo che il suo “becchino”, il proletariato, possa compiere da sé, con le sue esclusive forze e solo con i suoi organi di rappresentanza, i consigli, la rivoluzione sociale e la trasformazione del modo di produzione capitalistico. Per noi la rottura rivoluzionaria, frutto delle concomitanti spinte del movimento della classe e della insostituibile guida del suo partito internazionale, è lo spartiacque tra il vecchio e il nuovo mondo. Senza questa rottura non è data la possibilità di alcuna modificazione del modo di produzione capitalistico, quindi non è data la possibilità di alcun processo di trasformazione della società borghese. Solo da quel momento allora è possibile che il proletariato, con il sostegno della guida del suo partito, possa avviare lo smantellamento delle categorie economiche e il superamento del modo di produzione capitalistico. La presenza attiva e operante nella classe delle avanguardie comuniste organizzate in partito, con ciò portatrici del programma rivoluzionario definito nella sua strategia e tattica, è la condizione indispensabile perché il proletariato pervenga alla sua rivoluzione e possa, mediante l’attuazione dei suoi provvedimenti, che all’inizio avrebbero necessariamente carattere dispotico come ben precisa Marx, avviare il superamento del modo di produzione capitalistico. Questo superamento, costituito dalla progressiva e, laddove possibile immediata, eliminazione delle categorie economiche del capitalismo, verrebbe accompagnato dall’affermazione concomitante del nuovo MPA; si tratterebbe fondamentalmente dello smantellamento dello scambio come scambio di merci, del denaro, del capitale, del salario e del ciclo di accumulazione D-M-D’; dunque di un processo che si svilupperebbe, come Marx precisa nella sua Critica al programma di Gotha, passando dalla prima fase, detta inferiore, del comunismo a una seconda detta fase superiore, ognuna con caratteristiche proprie. Questi stessi due periodi vengono chiamati da Lenin, che si richiama esplicitamente a Marx e alla sua periodizzazione, socialismo e comunismo. Si tratta in realtà, è bene precisarlo, di un unico processo senza soluzione di continuità, che Marx schematizza in due periodi solo per mettere in evidenza le differenti caratteristiche qualitative, iniziali e finali, del processo stesso. Naturalmente non è possibile definire a priori le modalità concrete del processo di eliminazione delle categorie economiche capitalistiche dato che sono molti i fattori concreti che lo influenzerebbero nelle circostanze storiche in cui esso si svolgerebbe.
Rigettiamo quindi ogni concezione spontaneista del processo rivoluzionario che immagini possibile una sua realizzazione senza la presenza del partito internazionale del proletariato attivamente impegnato a svolgere il ruolo di guida così come è stato compiutamente definito da Lenin; altrettanto dicasi per qualsiasi concezione spontaneista del processo di transizione, anche nella forma di un processo iniziale o parziale, che lo concepisca già all’interno della società capitalistica. Per noi, all’interno della società capitalistica, si sviluppano esclusivamente le sue contraddizioni e con esse solo le condizioni materiali perché si possa realizzare, alle condizioni sopra specificate, il rivoluzionamento della società borghese. Con questo rifiutiamo anche ogni concezione che riconduca il processo di affermazione del comunismo a delle fasi diverse da quelle precisate dallo stesso Marx. Come vedremo, pur con diverse motivazioni, alcuni autori parlano dell’esistenza di tre fasi distinte per passare dal capitalismo al comunismo.
Occorre a questo punto precisare, per evitare che ci si attribuisca una pedissequa riproposizione dell’elaborazione di Lenin riguardante il ruolo e l’organizzazione del partito, che dal nostro punto di vista questa elaborazione oggi abbia bisogno di un approfondito ripensamento alla luce delle importanti trasformazioni sociali che si sono determinate, soprattutto in Occidente, per effetto dello sviluppo capitalistico del secondo dopoguerra; tra queste, particolare rilievo assume la nuova composizione di classe. Ciò non significa rigettare la teoria di Lenin sul partito ma avvertire l’esigenza di aggiornarla per adeguarla alle mutate condizioni sociali dell’oggi. Tutto ciò esula dal presente articolo e verrà trattato con lavori specifici.
Tornando alle tre fasi, ad esempio, Paresh Chattopadhyay riferendosi a Lenin e alla sua transizione costituita dal socialismo, afferma che aver accettato l’impostazione di Lenin ha portato a “l’assunzione falsa che il socialismo è la transizione al comunismo…” travisando la corretta impostazione del problema dato che invece “il periodo di transizione di Marx si riferisce a quello che precede la prima fase del comunismo. Confondere ancora la transizione di Marx con la prima fase, dove i produttori hanno cessato di essere proletari, significherebbe far volatilizzare il lungo processo di autoemancipazione dei produttori…”14.
Dunque per Chattopadhyay: 1.ci sarebbe un periodo di transizione che precederebbe le marxiane due fasi del comunismo, quella inferiore e quella superiore; 2. il processo si caratterizzerebbe per essere di autoemancipazione. Ci sembra necessario soffermare l’attenzione del lettore preliminarmente sul punto 1. Per Marx, questo è inequivocabile, la prima fase del comunismo, altrimenti detta fase inferiore, si avvia immediatamente dopo l’instaurazione del potere proletario ovvero immediatamente dopo l’instaurazione della dittatura del proletariato. Nella Critica al programma di Gotha egli è esplicito in tal senso. Dunque, Chattopadhyay, che non nega la necessità della preliminare rottura rivoluzionaria da parte del proletariato, vede la transizione come un processo che precederebbe la prima fase, quella inferiore, del comunismo. Se ne deduce che per lui sarebbero necessarie tre fasi per arrivare al comunismo: la fase di transizione, la fase inferiore e quella superiore. La prima si caratterizzerebbe con l’autoemancipazione del proletariato. Soffermiamoci ora sul punto 2. Si tratterebbe, da quanto si legge, di un processo di autoemancipazione cioè di un processo di emancipazione dello stesso proletariato preso in sé, un processo che si genererebbe per iniziativa esclusiva dello stesso proletariato visto che l’autore non fa alcun’altra specificazione.
Per noi, questa è un’errata interpretazione del pensiero di Marx. No, il processo di emancipazione del proletariato non precede la prima fase del comunismo (o fase inferiore) ma si avvia con esso e con esso si identifica. Questo processo, è il processo di trasformazione del capitalismo e consiste nella progressiva eliminazione di tutte le sue categorie economiche. Esso si avvia immediatamente dopo la rivoluzione politica perché è solo da quel momento che il proletariato ha la forza per iniziare prendere i provvedimenti necessari a eliminare la legge del valore lavoro, la merce, il capitale e così via. E’ in questa fase che avviene l’abolizione del salario e la sua sostituzione col buono del lavoro. Se ciò non avvenisse significherebbe che il proletariato non avrebbe la forza per imporre questo fondamentale provvedimento ma allora significherebbe ancora che il processo rivoluzionario non avrebbe la forza per rivoluzionare i rapporti di produzione borghesi: una contraddizione di termini. Se si postula l’affermazione della dittatura del proletariato, si postula con questa l’esistenza della forza per intervenire sull’esistente e quindi sulle categorie economiche del capitale; l’abolizione del salario è un intervento che non può non essere preso immediatamente visto che si tratta dell’interesse prioritario del soggetto che ha compiuto la rivoluzione. Con questo si entra immediatamente nella fase inferiore del comunismo ben descritta da Marx nella Critica al programma di Gotha. Viceversa, secondo lo schema di Chattopadhyay delle tre fasi, non si capisce in cosa consisterebbe il contenuto concreto della fase inferiore del comunismo che seguirebbe la fase di transizione. Infatti l’accademico marxista non lo specifica lasciando indefinito il processo da lui ipotizzato. Riteniamo, si tratta però solo di un’ipotesi, che la causa dell’errore possa rintracciarsi nella sua confusione tra il pensiero teorico di Lenin, ci riferiamo in questo caso alla definizione di socialismo e comunismo che troviamo in Stato e rivoluzione, e quanto lo stesso Lenin ha dovuto affrontare concretamente tra il 1917 e il ’21. In effetti le formulazioni di Lenin in questo periodo non sono rigorosamente coerenti ma ciò è dovuto alle eccezionali difficoltà della situazione che inducevano a unire ciò che invece era in contraddizione: da una parte si era affermata la rivoluzione proletaria, dall’altra si doveva gioco forza convivere col capitalismo. Ad esempio, la formulazione di Lenin riguardo l’esistenza del socialismo laddove erano state nazionalizzate le industrie, formulazione che oggi riteniamo non accettabile, era il riflesso della contraddizione presente in Russia tra il potere proletario e l’inattaccabilità, nelle circostanze storiche di arretratezza e isolamento che allora si erano verificate, del modo di produzione capitalistico. Rinviamo allo specifico articolo per la trattazione esauriente del problema.
Se così non fosse, se Chattopadhyay avesse ragione, allora ci sarebbe bisogno di specificare il contenuto concreto della fase inferiore del comunismo, visto che il rivoluzionamento del modo di produzione borghese avverrebbe nella precedente fase da lui chiamata transizione. Ci pare significativo che sulla questione l’accademico non dica alcunché.
Inoltre, riteniamo che, per quanto riguarda l’autoemancipazione dei produttori, egli commetta un altro errore ignorando l’essenziale funzione del partito nel processo rivoluzionario. Di questo abbiamo già detto all’inizio del paragrafo.
Anche Amadeo Bordiga, pur con motivi diversi, parla di tre fasi per passare dal capitalismo al comunismo. Sentiamo cosa dice Liliana Grilli, appassionata e fedele interprete del pensiero del suo maestro: “il socialismo o fase inferiore della futura società non va confuso con la ‘fase di trapasso’ dal capitalismo al socialismo. In tale ‘fase di trapasso’, definita da Marx dal punto di vista politico come fase della di dittatura rivoluzionaria del proletariato, il processo produttivo si caratterizza come economia di transizione al socialismo: in tale fase infatti permangono ancora, sebbene in misura progressivamente decrescente, le forme mercantili e salariali. E’ importante sottolineare il fatto che la tendenza di questa fase di transizione deve essere l’estinzione delle forme di produzione tipiche del capitalismo; infatti in caso invece di sviluppo di tali forme, si ha transizione non dal capitalismo al socialismo, ma transizione al capitalismo: il che è appunto avvenuto in Russia dopo la fine della guerra civile”15. Dunque, prima dell’affermarsi del comunismo, e prima ancora del socialismo, a rivoluzione proletaria avvenuta, ci sarebbe anche per Bordiga una fase, definita di transizione, che servirebbe ad abolire il mercantilismo e il salario, una fase in cui il proletariato sarebbe impegnato a rimuovere dalla società il capitalismo. In questo caso, se così fosse, in cosa consisterebbe il socialismo? Ancora una volta non viene detto. Dal nostro punto di vista, l’errore di analisi appare ancor più evidente quando si dice che l’estinzione delle categorie economiche del capitalismo potrebbe portare, nel caso lo sviluppo prevalesse sull’estinzione delle forme di produzione capitalistiche, al capitalismo. Ma come sarebbe possibile un ritorno al capitalismo se già si ipotizza che il processo avvenga nello stesso capitalismo visto che le sue categorie economiche non sono ancora scomparse? In realtà Bordiga è influenzato dagli accadimenti della Russia rivoluzionaria. Avendo sotto gli occhi i provvedimenti del Comunismo di guerra e della Nep, tutti sostanzialmente improntati, salvo qualche rara eccezione del primissimo periodo, prima alla permanenza, poi addirittura allo sviluppo del capitalismo, Bordiga cerca probabilmente di giustificare questa fase di stallo tutta interna alla permanenza economica del capitalismo inquadrandola in un ipotetico processo di transizione al socialismo, dunque un processo ancora tutto interno alla rivoluzione proletaria, caratterizzato dalla necessità di estinguere il capitalismo per arrivare al socialismo. Noi abbiamo già chiarito, aiutati dal nostro distacco generazionale da quegli avvenimenti, che dal punto di vista economico, nella Russia del Diciassette non vi era nulla che potesse essere in qualche modo assimilato a un processo di transizione al comunismo semplicemente perché, per l’isolamento internazionale della Russia e l’arretratezza economica di quel tempo, non era possibile fare alcunché nella direzione dello smantellamento delle categorie economiche capitalistiche.
Dunque anche Bordiga, impegnato a suo tempo nella dura lotta teorica per l’interpretazione, questa sì assai complessa, di quanto era accaduto in Russia, capitola dal punto di vista teorico inventandosi una cosiddetta fase di transizione precedente al socialismo.
Comunismo: negazione del lavoro alienato, realizzazione completa dell’individuo sociale.
L’analisi di Marx parte dall’individuo alienato, passa alla classe proletaria come classe che ha in sé la possibilità di liberarsi dall’alienazione, torna infine all’individuo, come individuo che può realizzarsi pienamente col comunismo. La sua liberazione, la sua realizzazione, è insieme la liberazione e la realizzazione di tutti gli altri individui dell’intera comunità umana. Si tratta della comunità degli individui liberamente associati che lavorano e vivono per perseguire la loro piena realizzazione come uomini secondo le loro capacità, attitudini e inclinazioni. Occorre sottolineare che per Marx, il comunismo non è tanto un progetto politico ideale che scaturisce nella mente illuminata di qualche pensatore, quanto il prodotto di un lungo e contraddittorio processo storico: “il comunismo per noi non è uno stato di cose che debba essere instaurato, un ideale al quale la realtà dovrà conformarsi. Chiamiamo comunismo il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente. Le condizioni di questo movimento risultano dal presupposto ora esistente”16. Con questo, Marx sottolinea sia il fatto che il comunismo sia possibile solo dopo il pieno sviluppo del capitalismo e delle sue contraddizioni, sia il fatto che debba esistere un movimento reale che, con il rivoluzionamento della società, elimini il modo di produzione capitalistico e ne imponga un altro.
Tornando al nostro tema, la transizione al comunismo è il processo di de-alienazione dell’individuo, il processo con cui egli si riappropria progressivamente di se stesso e giunge alla sua piena realizzazione. Primo suo fondamentale atto è quello di riappropriarsi della sua attività lavorativa. Con l’abolizione della proprietà capitalistica in tutte le sue diverse forme, l’individuo si riappropria dei mezzi e degli oggetti della produzione, Marx dice sussumendoli a sé; con questo, abolendo la proprietà e sostituendola con il semplice uso dei prodotti, l’individuo si riappropria contemporaneamente della sua stessa attività in quanto la svolge per un fine da lui definito e che gli appartiene. Non deve più lavorare per il capitalista per la creazione di plusvalore, non deve più lavorare per produrre una merce di cui non dispone ma deve svolgere un’attività per realizzare dei prodotti in grado di soddisfare i suoi bisogni materiali e spirituali, bisogni che è lui stesso a definire, in modo razionale e cosciente, insieme ad altri individui della società con i quali è associato e accomunato dai medesimi fini. Il piano, sostitutivo del mercato capitalistico, è lo strumento per il raggiungimento di questo obiettivo. Naturalmente i bisogni dell’individuo della società comunista sono completamente diversi da quelli della società capitalistica e sorgono dalla necessità di sviluppare completamente la sua personalità, le sue attitudini e le sue inclinazioni nel modo più libero e ampio possibile. Si tratta di un grande rivoluzionamento, di una mutazione profonda del fine dell’esistenza umana: l’individuo schiavizzato e alienato della società capitalistica non vive più sottomesso all’esigenza del capitale e della sua accumulazione ma vive per realizzare se stesso, ogni parte e momento della sua esistenza.
Se l’individuo si riappropria della sua attività con la quale innanzi tutto realizza la produzione materiale, base fondamentale della sua esistenza e della possibilità della sua riproduzione, questa riappropriazione, che di per sé porta già notevoli vantaggi per quanto riguarda l’efficienza e la qualità del suo lavoro, insieme all’impiego razionale da parte della società di tutte le persone in grado di lavorare, permette la riduzione della giornata lavorativa a poche ore di lavoro. Oggi non è difficile immaginarlo, anche solo pensando all’impiego degli attuali disoccupati e sottoccupati, al completo inserimento nell’attività lavorativa della donna, al riutilizzo degli individui impiegati nella società capitalistica nelle attività che nel comunismo diverrebbero inutili (vendita e contabilità delle merci, attività di supporto alla vendita stessa come marketing, pubblicità, indagini di mercato, attività legate al credito e alla finanza, attività per l’ideazione e la realizzazione degli armamenti, ecc.). Non è fantasia pensare che nel comunismo l’attività lavorativa giornaliera possa ridursi a poche ore. Tralasciamo adesso di trattare più approfonditamente questo tema. Ci interessa sottolineare le conseguenze che tutto ciò comporterebbe rispetto alla riappropriazione da parte dell’individuo della totalità del suo tempo, tempo che, nella società capitalistica, è tempo di lavoro sottomesso al capitalista, praticamente coincidente con l’intera esistenza. Questa riappropriazione consentirebbe all’individuo di dedicarsi principalmente a se stesso permettendogli di dedicarsi soprattutto alla sua realizzazione personale. Questo non è mai accaduto nella storia dell’umanità e ci fa comprendere la grande potenzialità insita nella società comunista, una società che si avvarrebbe, con enormi vantaggi, dell’alto grado di sviluppo delle forze produttive e degli elevati livelli della produttività del lavoro raggiunti dal capitalismo. Grazie al fatto che l’attività lavorativa si ridurrebbe a parte residuale della giornata, l’individuo potrebbe finalmente utilizzare la maggior parte del suo tempo e delle sue energie fisiche e intellettive per sviluppare le sue facoltà, le sue attitudini e con questo realizzare la sua personalità nei diversi campi dell’umana attività, comprendendo in questo anche la realizzazione della sua parte spirituale, quella parte connessa al suo mondo interiore fatta di desideri, emozioni, sentimenti e creatività.
Marx vede nel comunismo la possibilità della realizzazione più completa dell’individuo, una realizzazione però non individualistica ma avente carattere allargato. Per questo, egli utilizza il termine individuo sociale mettendo così in evidenza che si tratta della realizzazione dell’individuo, dotato di personalità singolare e irripetibile, in relazione agli altri individui, non a prescindere da essi. Mentre ogni individuo realizza la sua particolare personalità, l’intera società umana si muove con lui esprimendo la medesima volontà, perseguendo il medesimo fine, esprimendo così, nel suo insieme, quello che Marx chiama il general intellect18, la medesima volontà generale. Così si fondono e si realizzano insieme, in un unico movimento pratico di liberazione, l’individuo, parte della società e la società stessa, il tutto: “le cose dunque sono arrivate a tal punto che gli individui devono riappropriarsi la totalità delle forze produttive esistenti non solo per arrivare alla loro manifestazione personale, ma semplicemente per assicurare la loro stessa esistenza…solo i proletari del tempo presente, del tutto esclusi da ogni manifestazione personale, sono in grado di giungere alla loro completa e non più limitata manifestazione personale, che consiste nell’appropriazione di una totalità di forze produttive e nello sviluppo, da ciò condizionato, di una totalità di facoltà. Tutte le precedenti appropriazioni rivoluzionarie erano limitate…”19. Ogni precedente rivoluzione della società ci dice Marx, ha semplicemente sostituito a una forma di sfruttamento, quindi di alienazione dell’individuo, un’altra; ogni volta l’alienazione si è ripresentata in altra forma. E’ solo il proletariato, in quanto classe che non ha altre classi da sfruttare, che può, liberando se stesso, liberare l’intera umanità. La sua rivoluzione sostituisce alla vecchia società borghese “una libera associazione nella quale il libero sviluppo di ciascuno è la condizione per il libero sviluppo di tutti”20. L’individuo si realizza in quanto individuo e contemporaneamente si realizza socialmente, insieme a tutti gli altri individui con i quali egli ha una relazione non più conflittuale, come nel capitalismo, ma solidaristica.
Marx in questo modo giunge così ad analizzare la relazione tra l’individuo, parte della comunità, e la comunità intera, il tutto. Come realizzare concretamente la cooperazione solidale tra gli individui? Con il piano cosciente e razionale degli individui associati che costituisce un altro importante momento del superamento del modo di produzione capitalistico. Nella società borghese lo scambio, l’allocazione del capitale e della forza lavoro, la definizione di cosa e quanto produrre, sono affidati al mercato e, con esso, alle scelte del singolo capitalista ovvero a un meccanismo anarchico, tanto irrazionale quanto inefficiente, che a quest’ultimo si impone dall’esterno. Nel comunismo il meccanismo decisionale che nel capitalismo scaturisce dal mercato è sostituito dalla volontà razionale e consapevole degli individui associati, quel general intellect di cui abbiamo parlato poc’anzi, che si concretizza nel piano della produzione, lo strumento col quale essi decidono della loro esistenza.
Il piano permette di definire cosa e come produrre, di definire la migliore allocazione degli uomini nelle diverse attività lavorative tenendo conto innanzi tutto dell’interesse dell’individuo, della necessità di realizzare il suo benessere psicofisico e la sua piena realizzazione. Quello del piano è un tema che certamente riprenderemo tale è la sua importanza. Ora vogliamo solo evidenziare un aspetto di questo strumento di emancipazione. Il piano non è una cosa che si possa delegare a un gruppo di tecnici specialisti in pianificazione in grado di elaborare, mediante sofisticati modelli matematici, come se si trattasse di un fatto meramente tecnico, cosa e quanto produrre affinché l’individuo sociale si realizzi compiutamente. Il piano, è esso stesso lo strumento per l’emancipazione degli individui. Sono gli individui associati che partecipando direttamente alla definizione, alla verifica e alla realizzazione del piano, partecipando direttamente agli organi preposti alla pianificazione, diventano i protagonisti della loro stessa emancipazione. Allora, solo in questo senso si può parlare dello loro autoemancipazione . Senza questa partecipazione diretta non sarebbe possibile alcun processo vero di emancipazione e di liberazione. Nella Russia rivoluzionaria del Diciassette, tutto questo non si è realizzato. La parte più cosciente ed attiva del proletariato russo era stata decimata dalla guerra civile scatenata dalla borghesia russa e internazionale. Alla fine del periodo del cosiddetto Comunismo di guerra, lo slancio rivoluzionario delle masse era ormai fiaccato, e l’intero proletariato, soprattutto nelle città, era ridotto agli stenti e alla fame più brutale. Le conseguenze di quella situazione sono state devastanti, tanto da chiudere definitivamente, dopo il fallimento delle insurrezioni europee, ogni possibilità di avvio del processo di transizione al comunismo. La pianificazione, che poi è diventata il potente strumento del successivo sviluppo capitalistico, è stata avviata e messa in essere, in mancanza di altra possibilità, dagli uomini nominati direttamente dal Partito bolscevico, dai suoi funzionari. Era il tentativo di tamponare una situazione che ormai faceva acqua da tutte le parti. Oggi possiamo trarre da questi avvenimenti un monito: quando tutto questo succede, significa che il processo rivoluzionario è già finito perché l’emancipazione del proletariato non può che essere opera del proletariato stesso, senza alcuna delega ad altri.
Torniamo al processo di riappropriazione. Per concludere, si tratta anche del processo di riappropriazione da parte dell’individuo del rapporto con la natura. Marx riconosce nell’attività lavorativa il momento principale nel quale l’uomo si relaziona con la natura di cui fa parte: "Il processo lavorativo…è attività finalistica per la produzione di valori d'uso; appropriazione degli elementi naturali per i bisogni umani; condizione generale del ricambio organico fra uomo e natura; condizione naturale eterna della vita umana; quindi è indipendente da ogni forma di tale vita, e anzi è comune egualmente a tutte le forme di società della vita umana"17. Questo vale per qualsiasi formazione sociale ma nel capitalismo in particolare tale attività è di tipo antagonistico cioè di tipo predatorio in quanto il processo di accumulazione si fonda sulla crescente estorsione di plusvalore all’operaio, sulla crescente produzione di merci e, conseguentemente, sul crescente e brutale consumo di materie prime naturali. Così il capitalismo, nella sua cieca bramosia del profitto, oltre la spoliazione umana, persegue quella delle natura. Le conseguenze di tale saccheggio sono sotto i nostri occhi con l’attuale deterioramento ambientale, una vera e propria catastrofe che incombe pericolosamente sull’intera società. Il ricambio organico tra uomo e natura di cui parla Marx si è trasformato nel capitalismo in un rapporto antagonistico violento e distruttivo. Nel comunismo, senza più la proprietà capitalistica, di conseguenza senza più la proprietà capitalistica delle materie prime, e senza più la sottomissione dell’attività lavorativa al processo di accumulazione del capitale, l’individuo si riappropria anche della corretta relazione con la natura. L’abolizione della proprietà e la sua sostituzione con l’uso razionale e cosciente dei prodotti, implica l’uso razionale e cosciente delle materie prime naturali che nel comunismo vengono utilizzate tenendo conto della necessità di preservarle per consegnarle integre, possibilmente migliorate, alle generazioni future.
Bordiga e il comunismo di specie.
La fase di transizione al comunismo, l’abbiamo detto, è il processo col quale gli individui pervengono alla loro piena e completa realizzazione. Questa avviene alla fine del periodo di transizione con l’affermarsi del comunismo e l’estinzione del semi-stato proletario. La durata di questo periodo non è data a priori ma dipende dalle condizioni storiche in cui esso avviene. Saremmo portati a dire che oggi, il processo di transizione potrebbe essere più breve per l’enorme sviluppo delle forze produttive che è avvenuto col capitalismo. D’altro canto non sappiamo in quali condizioni avverrà l’avvio della transizione al comunismo. Riteniamo che l’attuale crisi del capitalismo possa produrre tali e tante devastazioni, persino un enorme arretramento delle forze produttive a causa della raggiunta distruttività delle armi a sua disposizione, che tra i diversi scenari possibili abbiamo persino ipotizzato un “nuovo Medioevo”21.
Quello che invece possiamo fare è limitarci a individuare le caratteristiche essenziali e imprescindibili del processo di transizione. Ci pare significativo allora riprendere l’analisi di Amadeo Bordiga, tra i più importanti pensatori marxisti che abbiamo avuto, ben presentata nel libro già menzionato della Grilli. Nella terza parte del libro, dove si tratta il tema de Il socialismo come superamento della produzione di valore, si affrontano dettagliatamente i tratti fondamentali della produzione socialista. Si afferma che: il socialismo è:
1. antimercantile; si intende con questo quanto abbiamo già scritto riguardo l’abolizione della legge del valore lavoro e con questa del denaro, della merce, del mercato, del capitale; al loro posto subentra la realizzazione dei prodotti e la loro distribuzione tramite il buono del lavoro; questo, all’inizio, può avvenire solo nei settori economici socializzati ovvero controllati dal proletariato ma poi, velocemente, deve necessariamente estendersi a tutta la società
2. antisalariale; si intende, analogamente a quanto detto nel punto precedente, la concomitante abolizione del salario in modo da eliminare la vendita della forza lavoro; il salario viene sostituito dal buono del lavoro
3. antiaziendale; si tratta dell’abolizione della forma di produzione tipica del capitalismo: l’azienda cioè l’impresa capitalistica; si tratta di abolire la produzione tipica del capitalismo fondata su unità produttive distinte e autonome, ognuna delle quali ha un proprio bilancio indipendente e il proprio profitto da conseguire; nel socialismo, pur continuando a esistere le unità distinte per la realizzazione dei prodotti, queste avranno solo carattere tecnico; ogni individuo-produttore appartenete ad esse sarà membro della medesima comunità, a questa legato dal piano della produzione che tecnicamente assegnerà alle diverse unità produttive il compito della realizzazione di uno o più prodotti ovvero della realizzazione di una piccola parte del piano generale
4. antiproprietario; col comunismo scompare ogni forma di proprietà e con questo il lavoratore si ricongiunge al mezzo di produzione e al prodotto da lui realizzato, insieme agli altri lavoratori. Non viene abolita la proprietà privata ma ogni forma di proprietà, anche quella collettiva cioè statale; con questo viene impedito che qualsiasi soggetto possa essere detentore di proprietà e, al pari, che qualsiasi oggetto possa essere di proprietà. Si tratta di trasformare il diritto di proprietà in diritto d’uso. Nel comunismo si costituisce il diritto all’uso sociale dei mezzi del lavoro e dei prodotti cioè il diritto al loro uso e consumo da parte della comunità fatta di individui liberamente associati. Il diritto d’uso pone limitazioni più ampie rispetto al diritto di proprietà in quanto impone che gli oggetti usati, comprendendo tra questi le materie prime, siano possibilmente conservati e migliorati, cioè siano utilizzati a vantaggio della società ma anche a vantaggio di quella futura. Vogliamo sottolineare che questo principio ha implicazioni molto importanti riguardo gli attuali problemi di deterioramento ambientale generati dal modo di produzione capitalistico.
Fin qui concordiamo pienamente con Bordiga a cui riconosciamo il merito di aver chiarito i tratti essenziali della società comunista, tratti che riteniamo debbano essere introdotti immediatamente, laddove possibile, a rivoluzione avvenuta22. Non concordiamo invece con lui, ci pare questo aspetto non di secondaria importanza, quando trasforma il comunismo come modo di produzione in cui l’individuo sociale si realizza, in modo di produzione in cui invece si realizza la specie umana. Il comunismo della specie non è un concetto ascrivibile a Marx che, al contrario, si adopera per negarlo.
Sentiamo Bordiga: “gli impianti di produzione, a loro volta, la società organizzata in forma superiore – il comunismo integrale – non li avrà come proprietà e Capitale ma come usufrutto, salvando a ogni passo contro la necessità fisica della Natura, solo avversario ormai, l’avvenire della Specie”23. Qui ci sono due concetti che riteniamo non condivisibili: quello della natura come avversario degli individui associati e quello del comunismo della specie.
L’uomo, come abbiamo visto, è per Marx parte integrante della natura, in antagonismo con essa nel capitalismo finché ne detiene la proprietà (la terra e le sue risorse naturali) ma in rapporto organico nel comunismo. Questo rapporto, mediato dall’uso della terra e non dalla sua proprietà, viene definito organico proprio perché volto a preservare, quando possibile a migliorare, le risorse naturali; con questo l’individuo sociale torna ad avere con l’ambiente in cui vive una relazione non più ostile ma fondata su un’attenta valutazione dell’impatto ambientale della sua attività. Con questo anche nel comunismo non si "ripristina" del tutto un ricambio organico "naturale", ma si produce in maniera cosciente, razionale, una forma adeguata al pieno sviluppo dell'uomo di tale ricambio prodotto in via sistematica e non più meramente spontanea. Questo ricambio "razionale" è quello che Marx dice essere il massimo possibile della "libertà" nell'ambito della necessaria attività lavorativa. Dunque, per concludere su questo aspetto, il fine dell’esistenza dell’uomo non è più solo la realizzazione di se stesso ma la realizzazione di se stesso assieme alla preservazione della natura di cui egli è parte.
Sul comunismo della specie, concetto non nuovo, riproponiamo la critica di Marx: “che la ricchezza spirituale reale dell’individuo dipenda interamente dalla ricchezza delle sue relazioni reali, è chiaro dopo quanto detto. Soltanto attraverso quel passo i singoli individui vengono liberati dai vari limiti nazionali e locali, posti in relazione pratica con la produzione (anche spirituale) di tutto il mondo e messi in condizione di acquistare la capacità di godere di questa produzione universale di tutta la terra (creazione degli uomini). La dipendenza universale, questa forma spontanea della cooperazione degli individui su piano storico universale, è trasformata da questa rivoluzione comunista nel controllo e nel dominio cosciente di queste forze le quali, prodotte dal reciproco agire degli uomini, finora si sono imposte ad essi e li hanno dominati come forze assolutamente estranee. Questa concezione può a sua volta essere formulata in maniera speculativo-idealistica, ossia fantasticamente, come “autoproduzione della specie” (la “società come soggetto”) e quindi la serie susseguentesi di individui che stanno in connessione può essere immaginata come un singolo individuo che compie il mistero di produrre se stesso ”24. Le virgolette di Marx, nella citazione, si riferiscono alla sua polemica nei confronti della sinistra hegeliana di cui vengono riportati alcuni concetti caratterizzanti. Ci pare molto attuale anche nei confronti di Bordiga.
Inutile evidenziare la sottolineatura di Marx all’emancipazione dell’individuo come parte di un tutto, alla necessità che il comunismo abbia carattere mondiale, all’emancipazione come riappropriazione cosciente della sua produzione, al fatto che questa emancipazione sia da intendersi non solo dal punto di vista materiale ma anche spirituale. Marx ci redarguisce sulla concezione del comunismo come comunismo della specie perché, oltre a essere una formulazione idealistica, è potenzialmente pericolosa proprio per la realizzazione piena e completa dell’individuo sociale. L’individuo, secondo questa concezione, si dissolverebbe nella specie, da questa dipenderebbe e a questa potrebbe essere subordinato. Ciò potrebbe significare che la realizzazione dell’individuo sociale, punto centrale nel pensiero di Marx, potrebbe essere assoggettata, per determinate circostanze storiche e in nome di un qualche presunto interesse superiore, alla realizzazione della specie umana. Il concetto del comunismo come realizzazione della specie umana che si sostituisce al concetto di realizzazione dell’individuo sociale, potenzialmente apre ad aberrazioni politiche in cui un presunto interesse generale, ad esempio della specie, della classe, dello stato, del partito, ecc., si impongono come prioritarie rispetto al processo di emancipazione dell’individuo sociale, il fine vero e più importante del comunismo.
Note.
1 Riprendiamo la sigla MPA da Paresh Chattopadhyay e dal suo interessante articolo Il contenuto economico del socialismo consultabile in http://digilander.libero.it/gmfreddi/MarxVsLenin.pdf, a pagina 3. L’autore esamina, a nostro avviso forzando la contrapposizione di pensiero tra i due, le concezioni del comunismo di Marx e di Lenin per concludere che sono diverse
2 K. Marx, Manoscritti economici filosofici, 1844, Newton Compton Editori, 1976, Roma, pag. 124
3 K.Marx, Il capitale, Giulio Einaudi editore, Torino, 1975, Libro primo, pagg. 88 e 89
4 ivi, pag. 88
5 K. Marx, Manoscritti economici filosofici, op.cit., pagg. 127 e 128
6 ivi, pagg. 128 e 129
7 Riportiamo integralmente, tanto ci sembra significativa, la nota di Ferruccio Andolfi, curatore dei Manoscritti economici filosofici di Marx, già citati, con cui spiega la differenza tra uomo e animale nella concezione di Feuerbach: «nelle prime pagine dell’Essenza del cristianesimo Feuerbach si era chiesto in che cosa consistesse la differenza essenziale tra l’uomo e la bestia. “Nella coscienza – era stata la sua risposta – intendendo però coscienza nel significato più rigoroso della parola; poiché se intendiamo coscienza nel significato di consapevolezza di sé, di facoltà di percepire, di distinguere e persino di giudicare gli oggetti esterni per mezzo dei sensi, una simile coscienza non può essere negata alle bestie. Abbiamo invece coscienza nel significato più rigoroso della parola quando un essere è consapevole della propria specie (Gattung), della propria essenza. La bestia è consapevole di sé come individuo, ha il senso di se stessa, ma non si conosce come specie; è priva quindi di coscienza, termine che deriva da conoscere. Dove si ha coscienza si ha capacità di scienza. La scienza è la coscienza della specie. Nella vita abbiamo a che fare con individui, nella scienza con specie, e solo un essere consapevole della propria specie, della propria essenza, può oggettivare altre cose secondo la loro natura essenziale. La bestia ha perciò una vita semplice, l’uomo ha una duplice vita, nella bestia la vita interiore si identifica con quella esteriore; l’uomo ha invece una vita interiore e una vita esteriore. La via interiore dell’uomo è la vita in relazione alla sua specie, alla sua essenza”». La nota è tratta da K. Marx, Manoscritti economici filosofici, 1844, op. cit., pagg. 130 e 131.
8 K. Marx, Manoscritti economico filosofici, op. cit., pag. 131
9 ivi, pag. 131
10 ivi, pag. 126
11 ivi, pagg. 138 ne 139
12 K. Marx, Capitolo VI inedito de Il capitale, Giulio Einaudi editore, Torino, 1975, pagg. 1255, 1256 e 1257
13 Sul pensiero-merce cfr. “Discutendo sulla crisi della Sinistra Comunista”, DemmeD’. Problemi del socialismo nel XXI secolo, n. 3, 2011, pag. 14
14 P. Chattopadhyay, Il contenuto economico del socialismo, op. cit., a pagg. 2 e 3
15 L.Grilli, Amadeo Bordiga: capitalismo sovietico e comunismo, Editore La Pietra, Milano, 1982, pag. 246
16 K. Marx, L’ideologia tedesca, Editori Riuniti, Roma, 1969, pag. 25
17 K.Marx, Il capitale, ibidem, Libro primo, Terza sezione, capitolo quinto “Processo lavorativo e processo di valorizzazione”, pag.223
18 Marx parla in diversi suoi scritti di individuo sociale. Citiamo, ad esempio, il famoso Frammento sulle macchine tratto da Lineamenti fondamentali della critica dell’economia politica, La Nuova Italia 1968-70, II vol. pp.389-411, traduzione italiana dei Grundrisse, in cui Marx parla anche di general intellect
19 K. Marx, L’ideologia tedesca, op. cit., pag. 64
20 K. Marx, Manifesto del partito comunista, 1848, Editori Riuniti, Roma, 1991, pag. 35
21 di Medioevo capitalistico si parla in Lorenzo Procopio, “Sulle cause della crisi e delle sue prospettive”, DemmeD’, n. 2, dicembre 2012, pag. 17
22 A questo proposito richiamiamo quanto da noi scritto in DemmeD’. Problemi del socialismo nel XXI secolo, n. 5, luglio 2012, nell’articolo Transizione: abolire lo scambio delle merci per distribuire prodotti, a pagg. 40, 41 e 42 laddove si evidenzia come l’abolizione delle categorie economiche tipiche del capitalismo debba avvenire immediatamente nei settori della produzione e distribuzione controllati dal proletariato e subito dopo, appena possibile, negli altri
23 L.Grilli, op. cit., pag. 232
24 K. Marx, L’ideologia tedesca, op. cit., pag. 28