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Dalla rivista D-M-D' n °6 [EN]
Nel pieno della Nuova politica economica (NEP), tra il 1924 e il 1926 si sviluppa il dibattito sui tempi e i ritmi dell'industrializzazione sovietica. Dalla polemica si passerà allo scontro aperto all'interno del partito bolscevico, che spalancherà la strada all'ascesa al potere di Stalin. La causa del precipitare della situazione fu il fallimento della transizione al socialismo, dovuto al permanere dei rapporti di produzione borghesi e al conseguente consolidamento del capitalismo di Stato.
Riprendere oggi il filo della polemica in Russia sulla transizione al socialismo significa ripensare un'esperienza, l'Ottobre rosso, da cui ripartire per prospettare un'alternativa credibile al capitalismo. Un capitalismo in crisi che sempre più esaspera le sue contraddizioni, in cui ricchezza e povertà si polarizzano come mai in passato, dove al costante aumento della produttività del lavoro e della ricchezza sociale prodotta corrisponde l'impoverimento e il degrado delle masse proletarie.
Se il processo di accumulazione capitalistico è in grave difficoltà e stenta a rimettersi in moto, prospettando un futuro sempre più incerto, soprattutto per le nuove generazioni, ciò non significa la morte certa del malato; anzi, l'agonia potrebbe protrarsi nel tempo senza trovare una via d'uscita allo stato di cose presente, se non interviene la consapevole azione della volontà trasformatrice degli uomini.
In Russia la Rivoluzione d'Ottobre non ha potuto dare i suoi frutti a causa della mancata rivoluzione internazionale, almeno nelle aree più avanzate d'Europa, la Germania in primo luogo. La Russia arretrata si trovò isolata e sappiamo come le cose andarono a finire. Ciò che a noi interessa analizzare qui è come gli eventi, che oggettivamente portarono al capitalismo di Stato e non al socialismo, si ripercossero sui protagonisti del partito bolscevico e sul proletariato russo.
Il confronto politico nella prima fase, dopo l'esperienza del comunismo di guerra, sebbene acceso ma ancora nei limiti della libera esposizione dei diversi punti di vista e del rispetto tra comunisti, si acuì nel corso del tempo sino a degenerare in una feroce lotta intestina personificata da, e conclusasi con, la vittoriosa ascesa della figura di Giuseppe Stalin. In sostanza il partito di Lenin, invece di rimanere l'avanguardia del proletariato, subì la metamorfosi che lo portò a essere la struttura portante del nuovo Stato russo, mentre la dittatura del proletariato divenne un vuoto slogan atto a giustificare qualsiasi decisione del partito/Stato, anche contro lo stesso proletariato. Da marxisti sappiamo bene che a un determinato rapporto economico e sociale corrisponde una peculiare sovrastruttura, in particolare un apparato statale e tutte le sue articolazioni funzionali alla conservazione dello status quo. L'errore fu (naturalmente possiamo dirlo col senno di poi, ma è doveroso trarre insegnamento dall'esperienza), l'incapacità di sottrarsi alla dinamica degli eventi del partito bolscevico, il partito che aveva guidato il proletariato russo alla rivoluzione e acceso le speranze del proletariato mondiale, che nel corso degli anni si stava trasformando in qualcosa d'altro, diventando il contenitore di nuove istanze classiste borghesi, corrispondenti al consolidarsi del capitalismo di Stato.
Era inevitabile, quindi, che gli scrolloni di una base economica arretrata, isolata dal contesto internazionale, uscita distrutta dalla Prima guerra mondiale, dovessero sollecitare il dibattito sulle misure di ricostruzione di quel poco che era rimasto. Si doveva riprendere il filo interrotto dello sviluppo economico d'anteguerra che aveva visto un sensibile sviluppo industriale delle principali città della Russia. In questa cornice si affrontarono le varie posizioni che avevano come comune denominatore la necessità di trovare risorse per la crescita economica. In precedenza, la Nuova politica economica (NEP) di Lenin fu la prima misura varata allo scopo. Successivamente, sulle valutazioni di quanto realizzato sino a quel momento per andare oltre e dare ulteriore impulso allo sviluppo, si contrapposero due linee incarnate sostanzialmente da Nikolaj Bucharin e Yevgeni Preobraženskij. Malgrado la consapevolezza che caratterizzava i discorsi delle teste pensanti del partito circa le finalità della fase di transizione, le circostanze avverse mettevano a dura prova la coerenza e la capacità di mantenere la giusta rotta. Per essi, rifacendosi a Marx, il socialismo doveva essere un periodo di trasformazione che avrebbe permesso di superare la legge del valore e tutte le categorie economiche del capitalismo. Come pure, per quanto riguarda la sovrastruttura, il semi-Stato della dittatura del proletariato si sarebbe dovuto estinguere con la scomparsa delle classi sociali. Ma la distanza che separava la drammatica realtà presente dal radioso futuro prospettato era enorme. Nell'immediato bisognava salvare il salvabile e rimettere in moto la produzione. Il comunismo di guerra era stato una parentesi particolarissima in un contesto eccezionale, la guerra civile dopo la presa del potere, e consistette molto semplicemente nell'attuare misure coercitive per requisire risorse alimentari alla stragrande maggioranza della popolazione contadina e ridistribuirle nelle città affamate, nel tentativo di garantire la mera sopravvivenza alla minoranza proletaria. Come accennato sopra, dopo il comunismo di guerra seguirà la NEP, il cui intento, tra gli altri, era di riequilibrare il rapporto tra il settore statale e quello privato dell'economia. Ancora operante la NEP, dopo la morte di Lenin, oltre la questione dello sviluppo economico all'interno del partito sorgeranno interrogativi sulla reale natura del sistema sovietico e la direzione da intraprendere con risolutezza per rafforzare le conquiste della rivoluzione. Secondo i punti di vista dei contendenti la posta in gioco era decisiva: l'orientamento da seguire avrebbe permesso di imboccare con più decisione la strada verso il socialismo, oppure si sarebbe tornati indietro al capitalismo, quest'ultimo domato, per il momento, ma ancora ardente sotto le ceneri.
Lenin e la NEP
Sull'argomento della transizione, nell'estate del 1917, all'epoca del suo esilio all'estero durante il governo provvisorio di Kerenskij, Lenin scrisse una delle sue opere più importanti, Stato e rivoluzione. Egli, riprendendo le tesi di Marx svolte nella Critica del Programma di Gotha riguardanti il passaggio dal capitalismo al socialismo, pur in accordo con esse introdusse alcune formulazioni alquanto ambigue. Per esempio l'affermazione di Marx secondo la quale nella società socialista nella distribuzione dei prodotti permane il principio che regola lo scambio di merci, pur mutando contenuto e forma (in quanto un lavoratore riceve, detratta una quota per il fondo comune, una certa quantità di prodotti in base all'equivalente tempo di lavoro erogato nella produzione pianificata della collettività), per Lenin questa affermazione diventa un principio che si dilata all'intera struttura sociale. Se nella prima fase del comunismo permane il diritto borghese nella ripartizione dei beni di consumo, ne consegue la necessità di uno Stato borghese, senza borghesia, che ne faccia rispettare le regole. Dal ragionamento di Lenin si ricava logicamente che lo Stato della dittatura del proletariato dovrebbe assumere su di sé tale funzione. Inoltre, Lenin, qualificando sbrigativamente per socialismo il passaggio di proprietà dei mezzi di produzione dai privati allo Stato (per quanto anche il capitale individuale stesse mutando in capitale azionario superando la proprietà privata dei mezzi di produzione), non fece una netta distinzione tra statizzazione e appropriazione sociale dei mezzi di produzione da parte del proletariato, precisando che solamente quest'ultima condizione avrebbe potuto contraddistinguere i nuovi rapporti di produzione del socialismo. Per Lenin il socialismo alla fine si riduceva in: “Registrazione e controllo: ecco l'essenziale, ciò che è necessario per l''avviamento' e il funzionamento regolare della società comunista nella sua prima fase. Tutti i cittadini si trasformano qui in impiegati salariati dello Stato, costituito dagli operai armati... L'intera società sarà un grande ufficio e una grande fabbrica con uguaglianza di lavoro e uguaglianza di salario.”1 Quindi si estende, sotto il controllo dello Stato, la categoria borghese del lavoro salariato a tutta la società, invece di prospettare, al contrario, il superamento della legge del valore e tutto ciò che ne segue (in primo luogo proprio l'abolizione del lavoro salariato), quale fine che una società realmente socialista dovrebbe realizzare. Probabilmente l'attenzione di Lenin, concentrata sulla esplosiva situazione russa e sulla rivoluzione imminente, condizionò qualche aspetto concettuale delle sue analisi, che tra l'altro presteranno involontariamente il fianco, in futuro, all'utilizzo spregiudicato delle menzogne controrivoluzionarie dello stalinismo. Ben presto le analisi teoriche di Lenin avrebbero dovuto confrontarsi con la realtà dell'imminente rivoluzione. In Russia, però, le condizioni per realizzare il socialismo erano inesistenti. La rivoluzione d'Ottobre era considerata dai rivoluzionari solo il primo passo di una catena di eventi, che avrebbe dovuto porre a scala internazionale la possibilità di costruire il socialismo. La Russia in stragrande maggioranza contadina, isolata e devastata, dovette imboccare un'altra strada. Per riequilibrare il rapporto tra città e campagna dopo il comunismo di guerra, seguito all'Ottobre e caratterizzato dalla gestione centralizzata dell'economia e dalle requisizioni forzate a danno dei contadini, nel 1921 fu varata la NEP. La Nuova politica economica voluta da Lenin, oltre a riprendere i punti fondamentali del comunismo di guerra (consistenti nella direzione individuale delle aziende nazionalizzate da parte degli ex proprietari privati, al fine di realizzare il maggior profitto, nell'utilizzo nei posti di responsabilità degli specialisti borghesi, nell'introduzione del cottimo, nella neutralizzazione degli organismi operai e contadini quando cercavano di interferire nell'economia), introduceva la liberalizzazione e il mercato al posto della gestione centralizzata, l'estensione dello scambio in denaro a cui seguirono diverse riforme monetarie. Allo Stato rimanevano comunque gli strumenti fondamentali del controllo economico, in quanto le maggiori industrie e il sistema bancario e creditizio erano stati nazionalizzati. La ritirata transitoria, definita così da Lenin, era un'insieme di misure il cui intento consisteva nel tentare di mettere in moto la macchina produttiva sulla base del “capitalismo di Stato”, come lo stesso Lenin aveva scritto nell'opuscolo Sull'imposta in natura, a spiegazione del significato della NEP. Non vi è possibilità di equivoco sulla natura difensiva del suo progetto, riassunto efficacemente dallo stesso Lenin: “Il principio supremo della dittatura è di appoggiare l'alleanza del proletariato con i contadini, affinché il proletariato possa conservare la funzione dirigente e il potere statale. L'unico mezzo che abbiamo trovato è il passaggio all'imposta in natura, che è stato l'inevitabile conseguenza della lotta. Applicheremo quest'imposta per la prima volta l'anno prossimo. E' un principio che non è ancora stato messo alla prova. Dall'alleanza militare dobbiamo passare a quella economica, e, teoricamente, l'unica base di quest'ultima può essere l'istituzione dell'imposta in natura. Questa è l'unica possibilità teorica per gettare le fondamenta economiche di una società socialista realmente solida. La fabbrica socializzata dà al contadino i suoi prodotti e il contadino in cambio dà il suo grano... Ci troviamo qui di fronte al problema più difficile. L'imposta in natura, è ovvio, significa libertà di commercio. Il contadino, dopo aver pagato l'imposta in natura, ha il diritto di scambiare liberamente quel che gli rimane del suo grano. Questa libertà di scambio significa libertà per il capitalismo. Noi lo diciamo francamente è lo sottolineiamo. Non lo nascondiamo affatto... Si tratta del capitalismo di Stato. Ma capitalismo di Stato in una società in cui il potere appartiene al capitale, e capitalismo di Stato in uno Stato proletario sono due concetti diversi. In uno Stato capitalistico, capitalismo di Stato significa capitalismo riconosciuto e controllato dallo Stato a vantaggio della borghesia contro il proletariato. Nello Stato proletario, viene fatta la stessa cosa a vantaggio della classe operaia allo scopo di resistere alla borghesia ancora forte e di lottare contro di essa.”2 In quel momento Lenin, molto onestamente, date tutte le circostanze, chiarì che il socialismo non era più all'ordine del giorno, che bisognava far funzionare meglio il capitalismo russo in attesa di futuri sviluppi internazionali e che la speranza era l'unica cosa a cui aggrapparsi. Va da sé che, indipendentemente dalle intenzioni, il ruolo oggettivo della classe operaia, svuotato di tutti gli strumenti di democrazia diretta, era tornato ad essere esclusivamente V, ovvero capitale variabile, una componente di C, il capitale complessivo. Cioè forza lavoro impersonale produttrice di plusvalore, da spremere quanto più possibile. Socialmente la NEP sancì la definitiva sconfitta della classe operaia e l'affermarsi di una variegata borghesia di Stato e privata, che successivamente, nell'era staliniana, avrebbe assunto la fisionomia totalizzante della nomenclatura partitica dell'apparato di potere. Tutto ciò per sottolineare che malauguratamente dopo la rivoluzione del 1917 mai venne meno il cardine che contraddistingue il rapporto di produzione capitalistico, il capitale da una parte e il lavoro salariato dall'altra: “Col comunismo di guerra molti dei vecchi proprietari o dirigenti di fabbrica erano già ricomparsi in veste di 'specialisti' e di dirigenti dell'industria nazionalizzata. Ma a quel tempo gli specialisti borghesi erano ancora considerati come un male necessario e un'anormalità poco gradita, i posti di ufficiale responsabilità e potere erano solitamente riservati a proletari ineccepibili, o in ogni caso a membri del partito – categoria nella quale lo specialista borghese era in quell'epoca raramente ammesso. Con l'introduzione della NEP questa situazione mutò gradatamente ma sostanzialmente... la direzione dell'industria stava ritornando nelle mani di ex dirigenti e specialisti borghesi e una maggiore percentuale di essi stava ottenendo la dignità e garanzia dell'appartenenza al partito.”3 Con alterne vicende la NEP durò fino al 1929, e, sebbene la situazione economica complessivamente migliorò, non risolse sostanzialmente il precario equilibrio tra città e campagna. Il precedente livellamento nella comunità rurale venne spezzato, favorendo la differenziazione tra contadini ricchi e contadini poveri. Ma l'accumulazione di ricchezza non favorì né lo sviluppo dell'economia agraria né la formazione di capitale per accelerare l'industrializzazione. Sulla base di questo stallo si sviluppò, a partire dal 1924, la polemica tra coloro che propendevano per misure ancora più liberali - come Bucharin, a nome della maggioranza di governo - e chi, invece, voleva dare una svolta a favore dell'industria di Stato - come Preobraženskij, per la minoranza d'opposizione.
“La legge fondamentale dell'accumulazione originaria socialista” di Preobraženskij
Il termine “accumulazione originaria socialista”, già utilizzato precedentemente da Smirnov e Trotskij, venne ripreso da Preobraženskij per dare corpo alla sua teoria sul passaggio dal capitalismo al socialismo. Comparando lo sviluppo del capitalismo al presente della Russia sovietica, per trarre insegnamenti su come si sarebbe potuto procedere più speditamente verso il socialismo (naturalmente evidenziando similitudini e differenze), Preobraženskij propose alcuni provvedimenti per uscire dal ristagno. Egli così caratterizzava i due passaggi storici: “Le rivoluzioni borghesi iniziano quando il capitalismo si trova già in fase avanzata di costruzione del proprio sistema economico. La rivoluzione borghese non è che un episodio nel processo di sviluppo capitalistico, che inizia molto prima della rivoluzione e procede con velocità accelerata dopo la rivoluzione. Il sistema socialista, al contrario, incomincia la sua storia con la conquista del potere da parte del proletariato. Ciò deriva dall'essenza stessa dell'economia socialista, in quanto complesso unitario che non può formarsi in modo molecolare nelle viscere del capitalismo.”4
La manifattura capitalistica poté dimostrare la propria superiorità sull'artigianato in seno alla stessa società feudale. Dapprima il capitale commerciale, coordinando i fattori della produzione su base più ampia, sottrasse risorse alla piccola produzione, ponendo le basi dell'accumulazione. Ma un'accumulazione preliminare ancora più ampia fu il presupposto per la grande industria meccanica, la quale dimostrò la propria supremazia tecnica ed economica sfruttando per un certo periodo di tempo la piccola produzione. Ugualmente, in seguito, contribuì all'accumulazione originaria dei paesi avanzati l'utilizzo delle loro colonie. Il differenziale tecnico dell'industria metropolitana nei confronti della piccola industria locale, sia attraverso l'investimento diretto che nello scambio delle merci, permise la realizzazione di sopraprofitti e un balzo innanzi all'impetuoso sviluppo capitalistico. Allo stesso modo di quanto aveva fatto il capitalismo in occidente, l'accumulazione originaria socialista in Russia doveva sfruttare la piccola produzione capitalista, rappresentata in larga misura dal contadiname, affinché le risorse prelevate dal settore capitalista potessero andare a sostegno dell'industria nazionalizzata, dando una decisa sterzata a favore del settore cosiddetto socialista, il quale, successivamente, una volta sviluppati i suoi specifici tratti di superiorità rispetto alla vecchia società, avrebbe potuto procedere autonomamente verso un'accumulazione socialista su base allargata nel senso proprio della parola. In conclusione Preobraženskij sostenne una decisa svolta del partito a favore dell'industrializzazione, contrariamente a quanto stava accadendo con la NEP, dove la componente piccolo borghese e borghese stava crescendo, mentre il basso livello dell'accumulazione originaria socialista procedeva troppo lentamente, inficiando le possibilità di realizzare il presunto socialismo. Le misure proposte da Preobraženskij per concretizzare le sue idee vertevano, sostanzialmente, da una parte sull'utilizzo dello strumento fiscale e dall'altra sull'imposizione di una politica dei prezzi. Lo Stato della dittatura del proletariato, facendo leva sulle proprie prerogative di forza e di monopolista, avrebbe potuto trasferire valori oggettivati nelle merci dal versante privato capitalista a quello nazionalizzato statale, semplicemente praticando prezzi più alti per i propri prodotti nello scambio con quelli della sfera non socialista della campagna. Tale scambio di valori non equivalenti, di fatto, si sarebbe tradotto in una sorta di tassazione dell'economia privata. Una forzatura così energica nelle relazioni tra i soggetti in campo, più facile a dirsi che a farsi, anche se fosse stata presa in considerazione molto difficilmente avrebbe avuto gambe per camminare: “Tutta questa concezione prestava il fianco ad una serie di ovvie obiezioni. In primo luogo, agendo nel senso richiesto dalla teoria di Preobraženskij, era naturale che si andasse incontro alla rottura di quella smyčka (alleanza, ndr) tra la classe operaia e i contadini che stava alla base della concezione leniniana dello sviluppo sociale e che era stata la pietra angolare della NEP, concepita come periodo di transizione tra il capitalismo e il socialismo. Dal punto di vista politico essa avrebbe allontanato i contadini e avrebbe probabilmente implicato il rischio di provocare una nuova Vandea: dal punto di vista economico essa avrebbe potuto avere l'effetto di diminuire, piuttosto che aumentare, il volume totale delle materie prime fornite dall'agricoltura all'industria. L'esperienza del comunismo di guerra aveva dimostrato che la possibilità di esercitare una pressione sul contadino era, oltre un periodo di breve durata, estremamente limitata, e che questi, quand'anche fosse stato costretto a vendere una certa parte dei suoi prodotti, avrebbe ben presto reagito riducendo la superficie seminata.”5
La cosa grave nel ragionamento di Preobraženskij, quand'anche fosse stato possibile attuare il piano di trasferimento allo Stato di risorse provenienti da fonti esterne all'economia statale, era di attribuire alla sua presunta legge della accumulazione originaria socialista facoltà taumaturgiche, dove addirittura: “Tale legge, inoltre, modifica e in parte elimina la legge del valore e tutte le leggi dell'economia mercantile e mercantile-capitalistica, in quanto esse si manifestino o possono manifestarsi nel nostro sistema economico.”6 Sostenendo che in fondo questo già accade nei paesi capitalisticamente avanzati dove: “...già nella fase monopolistica del capitalismo la legge del valore è parzialmente eliminata, così come tutte le altre leggi della produzione mercantile ad essa collegate.”7 Preobraženskij, procedendo sempre per analogie, data la convivenza di due leggi nell'economia sovietica (la legge dell'accumulazione socialista nel settore statale e la legge del valore in quello privato), le quali potevano stare insieme e influenzarsi vicendevolmente, definì l'economia nel suo complesso un sistema mercantile-socialista: “Poiché l'economia dell'Urss rappresenta un esempio mai visto nella storia economica di convivenza di due sistemi economici, essa costituisce necessariamente un terreno non soltanto di lotta ma anche in una certa misura di equilibrio, e quindi di convivenza oggettiva di due leggi economiche differenti”8
Alla fine il cerchio si chiude e la parabola giustificatoria sulla natura della società russa si conclude attraverso un ragionamento ineccepibile di meccanicismo e di logica formale allo stesso tempo. I passaggi schematici, che vedono nelle contraddittorie trasformazioni del capitalismo l'inevitabilità del suo superamento e dell'instaurazione del socialismo, parafrasando gli errori dello stesso Lenin - soprattutto quello dell'ultimo periodo della sua vita -, laddove egli ribadiva che il capitalismo di Stato era l'anticamera del socialismo, oppure che la proprietà statale equivaleva al socialismo, e ancora che in Russia si poteva procedere verso il socialismo in attesa della rivoluzione internazionale ecc., qui trovano compimento, in quanto si finisce per confondere il capitalismo di Stato col socialismo. In fondo, seguendo il filo del discorso, si tratta di accentramento di capitale in entrambi i casi, sia che a svolgere tale funzione siano i privati o lo Stato, di conseguenza verrebbe meno la libera concorrenza e dunque lo scambio di valori equivalenti contenuto nelle merci. Per Preobraženskij, a questo punto la legge del valore, fondamento dell'economia capitalistica, verrebbe meno tanto da aprire di conseguenza nuovi scenari. In realtà il capitale monopolistico, ma più precisamente sarebbe meglio dire oligopolistico, non nega per niente la legge del valore, ma è un modo di essere del sistema nel suo divenire, laddove capitali industriali più grandi sbaragliano la concorrenza locale e internazionale per accaparrarsi quote maggiori di plusvalore. Allora che dire della concentrazione del capitale finanziario oggi imperante, che attraverso la speculazione incamera enormi quantità di plusvalore senza produrre assolutamente niente? Ciò che caratterizza il capitalismo in quanto modo di produzione storicamente determinato è il rapporto tra capitale e forza lavoro, cioè lo sfruttamento del lavoro salariato. Sulla base necessaria della realizzazione del profitto si scatena successivamente lo scontro tra le varie fazioni della borghesia per la sua spartizione. Fintanto che esiste questo rapporto, mai e poi mai si potrà parlare di qualcosa di diverso dal capitalismo, e purtroppo la Russia sovietica, per innumerevoli ragioni, mai riuscì a spezzare tale relazione. In questo senso la presunta accumulazione originaria socialista di Preobraženskij non fu altro che un artificio concettuale per dire che il governo doveva prendere in mano con più decisione l'iniziativa a favore dell'industria statizzata, e in fondo ricucire quel filo spezzato dagli eventi affinché fossero ricreate le condizioni per la ripresa dell'accumulazione capitalista già avviata in epoca zarista. A conclusione del suo ragionamento, Preobraženskij propose ulteriori strumenti per favorire l'accumulazione originaria socialista, tra gli altri il monopolio del sistema bancario, le cui risorse ricavate dal prestito potevano essere redistribuite a favore dell'economia statale. Anche il monopolio del commercio estero poteva essere uno straordinario mezzo di aiuto al processo di accumulazione, in quanto il profitto commerciale, ricavato dall'acquisto e dalla vendita dei beni d'esportazione o dei prodotti importati, sarebbe andato allo Stato. In subordine i prestiti esteri, le concessioni al capitale straniero e altre misure di minore portata avrebbero costituito fonti di entrata per l'economia statale. Anche qui, come si vede, misure e categorie economiche totalmente borghesi, niente di più lontano dal socialismo.
La critica di Bucharin
Dalla parte opposta alle posizioni di Preobraženskij, con il quale convergono nel 1925 Zinovjev e Kamenev, precedentemente molto critici con lo stesso e la minoranza, era schierata la maggioranza del partito bolscevico, capeggiata da Bucharin e Stalin (quest'ultimo più prudente nella polemica sulle questioni economiche). Prima del varo della NEP, Bucharin fece parte della fazione di sinistra del partito, poi, caduta la prospettiva della rivoluzione internazionale, cambiò rotta, divenendo il maggiore esponente teorico della destra. Egli considerò la NEP non una ritirata provvisoria ma uno strumento evolutivo di lungo periodo che avrebbe portato lentamente al socialismo, non più necessariamente a scala mondiale, ma da realizzare solo nell'Unione Sovietica. Bucharin, contrariamente alle opinioni centraliste di Preobraženskij, vedeva nel mercato e nella libera competizione tra le varie imprese, sia che fossero private o statali, nella stabilità della moneta, nella riduzione dei prezzi delle merci attraverso l'aumento della produttività del lavoro, nello sviluppo dell'agricoltura, nel buon funzionamento delle banche e del sistema finanziario, la possibilità di crescita economica del paese nella direzione del socialismo. Infine, nella competizione le imprese statali si sarebbero dimostrate superiori a quelle private e nel corso del tempo le avrebbero scalzate o assorbite e sostituite, senza la necessità di nessuna azione di forza o di violenza. Quasi spontaneamente l'economia si sarebbe indirizzata verso la pianificazione socialista. Questo fantasioso quadro delineato da Bucharin non aveva nulla di socialista. Tutte le categorie economiche di cui egli parla sono quelle del capitalismo, che la stessa classe borghese dei paesi capitalisti si augura possano funzionare, senza intoppi, come nella raffigurazione di Bucharin. Ma l'espediente usato da Bucharin, esattamente come facevano i suoi polemici interlocutori, era sempre quello di contrapporre allo Stato borghese la formale dittatura del proletariato del presunto Stato socialista; quest'ultimo avrebbe avuto il potere miracoloso di trasformare in antitesi le medesime caratteristiche dei due sistemi. In primo luogo, lo sfruttamento tipico nel sistema borghese del lavoro salariato si sarebbe convertito nel suo contrario: il libero lavoro pianificato dei membri della collettività. Vediamo un esempio di come Bucharin, con un espediente verbale, adattava concetti che facevano letteralmente a pugni col marxismo, pur di giustificare il corso intrapreso dalla Russia verso il capitalismo di Stato spacciato per socialismo: “L'aumento del volume monetario accompagnato da uno sviluppo della circolazione di merci è indicativo di un processo avanzato di risanamento economico... Nella sfera dell'industria è emersa la possibilità di effettuare la contabilità economica, di calcolare i costi, il profitto, di fare bilanci aziendali, preventivi, programmi di produzione ecc.; sono cessate le perdite dovute alla svalutazione, vi è la possibilità di orientare effettivamente la vita economica; è stato riassestato il sistema retributivo e gli operai non subiscono più riduzioni del salario reale. Nella produzione contadina è ora possibile il calcolo di tutti i fattori, viene stimolato l'ampliamento della produzione in quanto si estende la sfera 'mercantile' dell'economia seminaturale contadina... Per la prima volta si è creata la possibilità di una normale attività del credito di ogni forma e tipo; è divenuta possibile l'attività bancaria e anche l'impiego dei depositi privati dei capitalisti; si gettano le basi per futuri depositi da parte dei contadini e per accelerare il processo di accumulazione sotto la direzione dello Stato proletario.”9 In queste parole non si ravvisa nemmeno lontanamente, sia per il presente che per il futuro, la minima ombra di socialismo o di qualcosa che gli assomigli.
Allo stesso modo nell'analizzare la composizione sociale che ne risultava, visto che, al di là dei voli pindarici per dimostrare l'indimostrabile, i rapporti di produzione si basavano sul capitale da un lato e il lavoro salariato dall'altro, Bucharin fece la distinzione tra la borghesia controrivoluzionaria precedente la rivoluzione (che ovviamente andava sconfitta e repressa), dalla nuova borghesia collaborativa nata all'interno dello Stato socialista, la quale alla fine avrebbe dovuto cedere il passo, nel corso della lotta economica, alle istituzioni statali e alla cooperazione: “Altro è l'atteggiamento del proletariato e del suo potere statale nei confronti della nuova borghesia, la quale in un dato rapporto di forze sociali rappresenta uno strato socialmente necessario che adempie – in certa misura, entro certi limiti, e per un certo periodo di tempo – una funzione socialmente utile; nei confronti di questo gruppo sociale il rapporto non può limitarsi alla pura repressione. Qui si ha anche collaborazione del proletariato e nell'ambito di tale collaborazione lotta di classe. Qual'è la linea generale della classe operaia? L'utilizzazione di questa borghesia e, a partire da un dato punto, il suo superamento... La dittatura del proletariato, ossia il potere statale, media tutti questi tipi di rapporti. Ma se essa rende possibile la collaborazione con i nepmen nella società, ciò non significa affatto che il potere statale non sia proletario, bensì insieme del proletariato e dei nepmen.”10 In questo passo si può notare come la stessa terminologia venga cambiata e adattata alle nuove esigenze, definendo la nuova borghesia strato sociale e non classe, come pure si identifica il potere statale amministrato dal partito con la dittatura del proletariato. L'analisi di Bucharin in fondo, seppure in modo mistificato, dava un quadro reale di quello che era la Russia in quel momento: una società divisa in classi basata sul modo di produzione capitalistico, a gestione mista statale e privata, modello che successivamente non mancherà di manifestarsi in proporzioni più o meno ampie anche nei paesi occidentali. I presupposti della capitolazione sul piano teorico erano già del tutto presenti in Bucharin ancora prima del varo della NEP: nel suo testo sulla transizione, le stesse categorie economiche, gli stessi concetti sopra menzionati, assumevano incredibilmente una trasfigurazione dove tutto era il contrario di tutto, sino a dichiarare l'inservibilità del marxismo nel poter spiegare la misteriosa società partorita dalla rivoluzione d'Ottobre, ibrida di vecchi e nuovi contenuti da indagare con nuovi metodi: “Le antiche categorie dell'economia politica rimangono come prima forme della generalizzazione pratica della realtà economica viva che si muta continuamente. Nello stesso tempo queste categorie non danno alcuna possibilità di penetrare oltre la 'la superficie dei fenomeni',... Quegli elementari rapporti, di cui le categorie delle merci, del prezzo, del lavoro salariato, del profitto ecc. costituiscono la espressione ideologica esistono in realtà e allo stesso tempo non esistono. Esse non esistono e tuttavia per così dire esistono; esse esistono come se non esistessero. Essi conducono un'esistenza singolare, spettralmente reale e nello stesso tempo realmente spettrale, un po' come le anime dei defunti nelle antiche concezioni slave o come gli dei pagani per le pie chiese cristiane. I vecchi efficaci strumenti del pensiero marxista perciò che furono foggiati da Marx sul fondamento dell'esistenza reale dei corrispondenti rapporti di produzione, cominciano facilmente a non soddisfare.”11
E ancora più avanti: “Il denaro cessa di essere un equivalente generale, e diventa un segno convenzionale – e altamente imperfetto – della circolazione dei prodotti. Il salario diventa una grandezza apparente che non possiede alcun contenuto. Appena la classe operaia diviene la classe dominante, scompare il lavoro salariato.”12 Come nella tragedia shakespeariana gli spettri appaiono e scompaiono, così qui le categorie economiche capitalistiche seguono la stessa sorte. Più che sostanza reale sono una espressione ideologica a cui si pone la amletica domanda di “essere o non essere”. Bucharin quando scrive Economia del periodo di trasformazione è ancora risoluto nel suo linguaggio contro la borghesia e giustifica l'uso della forza quando è necessario per spingere avanti il processo storico. Sino a quel tempo tutto il castello metafisico costruito per dare un significato diverso alla natura dell'economia russa serviva per dimostrare che quella realtà era prossima alla realizzazione del socialismo. Viceversa, soltanto pochi mesi dopo, la visione di Bucharin cambiò drasticamente prospettando un lungo cammino prima di poter giungere al socialismo.
Conclusioni
I protagonisti della polemica sul corso che avrebbe dovuto intraprendere l'economia sovietica, come abbiamo visto, stavano seguendo traiettorie che andavano da tutt'altra parte rispetto al socialismo. A filo di materialismo storico, le diverse posizioni erano il riflesso di un sistema economico e sociale che sollecitava delle decisioni per andare avanti più speditamente nel consolidamento complessivo della nazione russa. La strada determinata dalle condizioni materiali, indipendentemente dalla volontà e dai buoni propositi dei singoli individui, portava nella direzione del capitalismo di Stato e non verso il socialismo, che di fatto mai era attecchito in Russia. La rivoluzione d'Ottobre aveva creato le premesse politiche della transizione, era stata aperta una breccia contro il capitale, in attesa che la rivoluzione internazionale nei paesi più progrediti concretizzasse la possibilità di proseguire nella direzione desiderata. Solamente a questo punto sarebbe stato possibile agli organismi della dittatura del proletariato a scala internazionale esprimersi, quali soviet o consigli coordinati tra loro, e fare i primi passi tangibili verso il socialismo. La rivoluzione internazionale non ci fu e la Russia, in larga parte contadina, rimasta isolata dal contesto internazionale, assediata dalle potenze imperialiste, non aveva altra scelta per sopravvivere che adeguarsi alle circostanze e rispondere ponendosi necessariamente sullo stesso terreno dei suoi avversari. Pochi anni dopo lo stalinismo rappresentò, non a caso, la risposta dell'Urss nello scenario mondiale sul piano della competizione/scontro interimperialistico che si stava rinnovando con maggiore virulenza. Spazzando via ogni indugio, facendo piazza pulita degli oppositori con una spietata repressione, centralizzando totalmente la vita politica ed economica, lo stalinismo poté imboccare risolutamente la via capitalista e portare l'Unione Sovietica, nel giro di pochi decenni, a essere la seconda potenza imperialista mondiale dopo gli Stati Uniti. Tutto questo fu pagato con enormi sacrifici e sofferenze dal proletariato, oppresso dal terrore di Stato come raramente si era visto nella storia. Una tragedia contrabbandata per socialismo dal regime dittatoriale staliniano, il quale ad un certo punto annunciò in pompa magna che addirittura stava per scattare l'ora x, ovvero che il sistema stava passando alla fase più avanzata del suo processo di trasformazione, il comunismo. La democrazia diretta del proletariato poté funzionare solamente per un breve periodo dopo la presa del potere. In quella fase le assemblee proletarie e le avanguardie del partito bolscevico approntarono le misure a difesa della rivoluzione, contro la reazione borghese che aveva scatenato la guerra civile. Una volta superato il tremendo ostacolo, bisognava cominciare a costruire un mondo nuovo, fondato sul libero sviluppo degli individui e della collettività, sulla base dell'uguaglianza e dell'abolizione dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo. Le circostanze avverse troncarono inesorabilmente tali aspettative, il processo di liberazione dei lavoratori russi e dei lavoratori del mondo intero non ebbe seguito, con tutte le ripercussioni negative che una sconfitta di portata storica doveva determinare per un lungo periodo a venire. Le misure intraprese e le polemiche che seguirono all'interno del partito bolscevico, come abbiamo visto, furono il segnale inequivocabile della fine della “scalata al cielo”. Tuttavia la Rivoluzione socialista d'Ottobre, e precedentemente la Comune di Parigi, sono state e restano ancora oggi esperienze ineludibili quali punti di riferimento e di ricerca per una prospettiva di riscatto e di liberazione dell'umanità, per la possibilità e la necessità di voltare pagina una volte per tutte con le società divise in classi, di cui il capitalismo è l'ultima tappa. Bisogna però ribadire un punto fondamentale che non lasci spazio a nessun equivoco: l'emancipazione della classe operaia è opera della classe operaia stessa, essa non delega nessuno, nemmeno il suo partito, all'esercizio del potere una volta divenuta classe dominante:“L'operaio un giorno dovrà prendere il potere politico per fondare la nuova organizzazione del lavoro; deve rovesciare la vecchia politica che sostiene le vecchie istituzioni: altrimenti non vedrà mai, come gli antichi cristiani che l'hanno negletto e sdegnato, l'avvento del regno dei cieli in questo mondo.”13 Solamente a questa condizione sarà possibile seguire la strada della trasformazione che abbia quale scopo, come scrissero Marx ed Engels nel Manifesto, di giungere al punto in cui “al posto della vecchia società borghese con le sue classi e i suoi antagonismi di classe subentra un'associazione in cui il libero sviluppo di ciascuno è condizione per il libero sviluppo di tutti”.
1 V. Lenin, Stato e rivoluzione. La dottrina marxista dello Stato e i compiti del proletariato nella rivoluzione, in Opere Scelte – IV volume, Editori Riuniti, Roma ed Edizioni Progress, Mosca, 1975, pagg. 308-309
2 Dal discorso di Lenin del 5 luglio, Rapporto sulla tattica del PCR al III Congresso dell'Internazionale comunista, tenutosi a Mosca dal 22 giugno al 12 luglio del 1921: in V. Lenin, Opere Scelte – VI volume, op. cit., pagg. 510-511.
3 Edward H. Carr, Storia della Russia sovietica: La morte di Lenin – L'interregno 1923-1924. Einaudi, Torino 1965, pagg. 40-41.
4 N. Bucharin – E. Preobrazenskij, L'accumulazione socialista, a cura di Lisa Foa, Editori Riuniti, Roma 1969, pag. 9.
5 Maurice Dobb, Storia dell'economia sovietica, Editori Riuniti, Roma 1957, pag. 213.
6 N. Bucharin – E. Preobrazenskij, L'accumulazione socialista, op. cit., pag. 14.
7 Ivi, pag. 66.
8 Ivi, pag. 64.
9 Ivi, pagg. 143-144.
10 Ivi, pagg. 114-115.
11 N. Bucharin, Economia del periodo di trasformazione, Editoriale Jaca Book, Milano 1971, pag. 137.
12 Ivi, pag. 148.
13 Dall'intervento di Marx in una riunione pubblica ad Amsterdam, dopo il congresso della Prima Internazionale dell'Aja. Cfr. «Discorso tenuto ad Amsterdam l'8 settembre 1872», tratto da Karl Marx, Opere - lotta politica e conquista del potere, Newton Compton Editori, Roma 1975, pag.837.