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dalla rivista D-M-D' n°17
Recensione al libro di Massimo Mugnai “Il mondo capovolto.
Il metodo scientifico nel capitale di Marx
Lo scorso anno è stato pubblicato per le Edizioni della Normale un agile e interessante libro del filosofo Massimo Mugnai dall’accattivante titolo “Il mondo capovolto. Il metodo scientifico nel capitale di Marx”. A fronte delle sue ridotte dimensioni è un libro molto denso e ricco di spunti di riflessioni che riprende e sviluppa temi già affrontati dall’autore in una vecchia pubblicazione edita dalla casa editrice Il Mulino nel lontano1984 dal titolo “Il mondo rovesciato. Contraddizione e valore in Marx”.
In questo nostro mondo “capovolto”, immerso nella più grave crisi epocale del sistema capitalistico, aggravata dal persistere della pandemia da Covid 19, che generalizza su miliardi di individui condizioni di vita miserevoli, guerre e disastri ambientali, il libro di Mugnai non ha suscitato particolare interesse neanche tra gli addetti ai lavori. A rompere la quasi indifferenza solo una brevissima e neanche molto generosa recensione di Sebastiano Maffettone pubblicata da Il Sole 24 ore lo scorso mese di ottobre 2021. Chiariamo subito che il nostro interesse per il libro di Mugnai non è determinato da una condivisione di quanto sostenuto dal filosofo fiorentino, lontano anni luce dal pensiero di Marx e che in alcuni passaggi del libro, come avremo modo di vedere, vengono attribuite a Marx tesi che non trovano riscontro nelle sue stesse opere distorcendo di conseguenza il suo pensiero. Ci spingono ad occuparci dell’opera di Mugnai l’importanza degli argomenti trattati, convinti che attraverso una loro disamina si possa contribuire a cogliere, anche in quest’epoca in cui predominano le forme di appropriazione parassitarie più raffinate ed in cui la produzione di capitale fittizio si accompagna al parallelo processo d’impoverimento di miliardi di esseri umani, la validità della critica dell’economia politica di Marx. Noi pensiamo, a differenza di Mugnai, che Marx ci possa fornire, anche nel capitalismo del ventunesimo secolo, gli strumenti teorici e politici necessari al rilancio di un’alternativa comunista alle barbarie del modo di produzione capitalistico.
Dal mondo rovesciato al mondo capovolto.
Perché ancora un libro su Marx? È possibile dire qualche cosa di nuovo su Karl Marx a oltre 200 anni dalla sua nascita che non sia già stato scritto da qualcun altro in passato? Ed inoltre è finalmente oggi possibile scrivere di Marx negli stessi termini in cui si scrive di Aristotele, Kant o Hegel senza preoccuparsi che le cose scritte abbiano delle ricadute sul mondo della politica? Queste sono alcune delle domande che si pone Mugnai in apertura del suo ultimo libro e che gli consentono di riprendere e sviluppare le riflessioni già contenute nel suo precedente libro del 1984. C’è una certa continuità tra le due opere di Massimo Mugnai dedicate a Marx nell’arco di oltre 35 anni. Una continuità che si può facilmente constatare leggendo i due capitoli intitolati entrambi “Metafore”. In entrambi i due libri vengono usate le stesse identiche parole per descrivere alcune metafore usate da Marx che traggono, secondo Mugnai, la propria origine proprio dal pensiero di Hegel. Nulla di grave, visto che è sempre Mugnai a citare se stesso, non si tratta di plagio ma di semplice copia e incolla da una propria precedente opera.
Cerchiamo di seguire Mugnai lungo tutto il ragionamento sviluppato nel “Mondo capovolto” che, una volta abbandonata la via maestra del materialismo storico, inevitabilmente approderà verso i classici lidi del più stantio riformismo che la stessa storia del capitalismo ha ormai da decenni sepolto sotto le macerie dei propri disastri economici ed ambientali.
Il rapporto Marx - Hegel
Mugnai è consapevole che rispetto al tema del rapporto tra Marx ed Hegel sia di fatto impossibile aggiungere delle novità rispetto a quanto già affermato dai precedenti studiosi che, nel corso di oltre un secolo, si sono avvicinati all’argomento tanto da scrivere che: «É altrettanto difficile pubblicare un libro su Marx che contenga effettive novità rispetto a quanto è stato appurato finora dalla tradizione storiografica.»[1] Pur consapevole della difficoltà di aggiungere delle effettive novità, circa il rapporto tra il Moro ed Hegel, Mugnai s’avvia lungo questo cammino per analizzare come la dipendenza dal filosofo di Stoccarda non vada ricercata solo ed esclusivamente nelle opere giovanili di Marx, ma essa trova proprio ne “Il Capitale” il suo vero ed effettivo compimento. Tutta la vecchia polemica che ha appassionato e diviso il fronte interno del marxismo negli anni 50 e 60[2], tra chi sosteneva la tesi di un Marx giovane ancora imbrigliato nei vecchi schemi della filosofia idealistica hegeliana, da contrapporre al Marx maturo de “Il Capitale” viene superata da Mugnai con la tesi, già abbozzata nell’opera del 1984, che il vero legame di Marx con Hegel è riscontrabile in maniera compiuto proprio ne “Il Capitale”. È lo stesso Mugnai a chiarirlo in questo passaggio del libro che stiamo recensendo: «Così, in questo nuovo lavoro, ho pensato di mettere in primo piano il condizionamento che Hegel ha esercitato sulla struttura del Capitale, lasciando da parte discussioni e polemiche che mi sembra, come si usa dire, abbiano fatto il loro tempo» e subito dopo prosegue affermando che: «Quel che mi sono ingegnato di fare è stato mostrare quali sono i punti esatti dell’analisi economica di Marx, nei quali emerge l’influenza di Hegel; e ho cercato di argomentare che tale influenza è perlopiù negativa.»[3]
È per sostenere questa tesi Mugnai ripercorre, lungo tutta la parabola teorica di Marx, l’utilizzo che questi fa di alcune metafore hegeliane. Ma prima di arrivare alle metafore il filosofo fiorentino vuole fare alcune premesse teoriche che gli serviranno successivamente per smontare la validità della teoria del valore-lavoro di Marx e svuotare in tal modo il marxismo di un cardine fondamentale della sua critica alla società capitalistica.
Scrive Mugnai: «Un assunto fondamentale che Marx mutua da Hegel è la convinzione che qualsiasi processo, sia esso naturale oppure sociale, debba svolgersi per mezzo di contraddizioni.»[4] Le contraddizioni di cui parla Hegel e successivamente Marx sono di tipo logico, ossia operano all’interno delle cose e dei processi storico-sociali, oppure appartengono soltanto al mondo del linguaggio? Mugnai chiarisce che già nella sua opera del 1984 aderiva alla tesi secondo la quale Hegel considera le contraddizioni operanti nei processi storico-sociali come vere e proprie contraddizioni logiche. Tra coloro che sostenevano la tesi alternativa, dando alla contraddizione una diversa lettura, c’era il filosofo Lucio Colletti. Questi sosteneva che non aveva alcun senso affermare che nella realtà operino le contraddizioni, infatti, per Colletti, queste riguardano soltanto il pensiero, non ciò che è reale che necessariamente deve essere non contraddittorio.
Rispetto a questo dibattito che lo stesso Mugnai considera ormai vecchio e superato:« Il problema non è se le contraddizioni esistano nella realtà ma se il ricorso sistematico alla nozione di contraddizione permetta un effettivo progresso nella comprensione di come stanno le cose riguardo ad un determinato ambito di problemi.»[5] Se condividiamo la tesi che non bisogna trasformare la “contraddizione” nell’unico strumento ermeneutico che consenta di acquisire una maggiore e migliore conoscenza della realtà, nello stesso tempo non bisogna rinunciare a concepire la realtà nella sua estrema dinamicità e dialetticità, che trova proprio nelle contraddizioni un reale modus operandi. Prosegue Mugnai: «Ora, sebbene nel Mondo Rovesciato cercassi di mettere in luce vari usi della nozione di contraddizione presenti nel Capitale, mostravo anche che concepire quest’ultima come contraddizione logica non ha conseguenze di rilievo, ai fini dell’indagine.»[6] Il ricorso alla contraddizione non inficerebbe l’indagine svolta da Marx nella sua maggiore opera, ma già si insinua in Mugnai il pensiero che ne Il Capitale Marx non abbia seguito il necessario metodo scientifico che vede nella contraddizione un residuo di vecchi schemi metafisici. Ma non anticipiamo i tempi e seguiamo da vicino il discorso sviluppato dall’autore del libro.
Dalla contraddizione Mugnai sposta il suo sguardo per analizzare ora il concetto di valore, l’altro grande tema dell’opera del 1984, per verificare se le teorie di Marx mantengono o meno una loro validità scientifica. Su questo secondo aspetto Mugnai è subito chiaro:« Diversa è la situazione per quanto riguarda il concetto di valore, che svolge un ruolo centrale nell’impianto del Capitale e nell’intera teoria economica del Marx maturo. La quasi totalità degli economisti e dei marxisti contemporanei riconosce che considerare il lavoro umano come sostanza del lavoro è errato.»[7] Si svela d’incanto come il vero obiettivo di tutto il discorso di Mugnai sia finalizzato a sconfessare la teoria del valore-lavoro e, attraverso ciò, privare il marxismo del principale cardine teorico della sua critica dell’economia politica. Per argomentare la fallacia della teoria del valore-lavoro Mugnai prende in considerazione la cosiddetta produzione congiunta, ossia un processo produttivo durante il quale vengono contemporaneamente prodotte non una ma due o più merci: «Un caso tipico di produzione congiunta è la produzione di carne ovina e di lana in un allevamento. Se il tempo di lavoro (socialmente utile) necessario a produrre un animale da macello, e quindi carne ovina, e quello necessario a produrre lana fosse il medesimo, un’intera pecora e la quantità di lana prodotta, in base alla teoria del valore-lavoro, dovrebbero avere il medesimo valore; è evidente, però che le cose non stanno così.»[8] L’esempio utilizzato da Massimo Mugnai per smentire la teoria del valore-lavoro ci sembra alquanto bizzarro in quanto non tiene conto del fatto che il valore di una merce, così come ci insegna Marx e prima di lui -anche se in maniera meno precisa- buona parte degli economisti classici, è determinato dal lavoro morto (capitale costante), dal lavoro vivo (capitale variabile) nonché dal plusvalore estorto al lavoro vivo durante il processo produttivo. Far finta di ignorare il capitale costante quale componente del valore di una merce, anche di quella a produzione congiunta, consente al nostro filosofo di affermare che applicando la teoria del valore-lavoro si arriverebbe al paradosso che un’intera pecora possa avere uguale valore della lana da questa prodotta. Se lavoro vivo e plusvalore possono coincidere nella produzione di lana e pecora, il lavoro morto contenute nelle due merci è necessariamente diverso e pertanto diverso sarà anche il valore delle due merci. Il tutto (la pecora) non può mai essere uguale alla parte (la lana), ma Mugnai nel primo velleitario tentativo di smentire uno dei pilastri teorici del marxismo rivoluzionario introduce surrettiziamente una nuova contraddizione che però risiede solo nel suo pensiero.
Il metodo scientifico in Hegel e la sua influenza ne Il Capitale di Marx
Come già sopra evidenziato, per Mugnai è fortissima l’influenza, per lo più negativa, esercitata da Hegel sulla stessa struttura della principale opera di Marx. Seguiamo la ricostruzione del metodo scientifico hegeliano che Mugnai delinea nel suo libro: «Quest’ultimo riteneva che il metodo basilare della scienza consistesse di tre fasi o momenti. Dapprima sono presi in esame i fenomeni che si presentano immediatamente alla nostra considerazione e che costituiscono quello che potremmo chiamare il mondo delle apparenze. Nella seconda fase, l’esame dei fenomeni ci fa cogliere il nesso intrinseco che ci dovrà guidare dalla superficie verso ciò che sta dietro di essa (dai fenomeni al loro fondamento). Nella terza ed ultima fase, attraverso il nesso intrinseco si dovrà raggiungere l’essenza che regola i fenomeni di superficie.»[9] Per Mugnai la dipendenza di Marx dal metodo scientifico hegeliano la si può cogliere in maniera compiuta nel primo capitolo del terzo libro del Capitale in cui il Moro scrive: «Nel loro movimento reale i capitali assumono l’uno nei confronti dell’altro tali forme concrete, in rapporto alle quali l’aspetto del capitale nel processo immediato di produzione, così come il suo aspetto nel processo di circolazione, appaiono soltanto come momenti particolari. Gli aspetti del capitale come noi li svolgiamo nel presente volume, si avvicinano dunque per gradi alla forma in cui si presentano alla superficie della società, nell’azione dei diversi capitali l’uno sull’altro, nella concorrenza e nella coscienza comune degli agenti stessi della produzione.»[10] Nel ricostruire il complesso rapporto tra il metodo scientifico hegeliano e quello usato da Marx nel Capitale, Mugnai, almeno in questo contesto, si dimentica di evidenziare come a differenza del filosofo di Stoccarda, Marx lo applichi al mondo concreto dell’economia, lungo un percorso che vede come protagonisti in primo luogo la merce (concreto) in seguito il singolo capitale (concreto) ed infine i capitali (concreto) in concorrenza tra di loro per soddisfare la loro sete di profitto. Se in Hegel il passaggio dal mondo fenomenico (apparenza) al fondamento (essenza) avviene seguendo un percorso lungo il quale il mondo concreto rappresenta soltanto una tappa transitoria per il compimento della stessa essenza, in Marx il rapporto tra il mondo delle apparenze o dei fenomeni e quello delle essenze o fondamenti degli stessi fenomeni avviene sempre tra concreti. Se in Hegel l’apparenza è funzionale al compiersi dell’essenza, in Marx la dialettica tra essenze delle cose e la loro manifestazione è sempre tra concreti. Nel primo l’essenza, per compiersi, deve obbligatoriamente subordinare teleologicamente il mondo fenomenico, in Marx non vi è subordinazione finalistica e tra essenza e apparenza il rapporto è sempre mediato dal concreto.
Non è un caso che Marx nel Capitale avvii la propria analisi proprio dal più semplice concreto, la merce, e successivamente, quando affronta il problema della trasformazione dei valori in prezzi, il confronto tra l’essenza (valore) e apparenza (prezzo) è sempre sul terreno del concreto, non tra categorie metafisiche.
Sempre in relazione alla dipendenza di Marx dal metodo scientifico di Hegel, Mugnai riprende la questione della trasformazione dei valori in prezzi, laddove i primi rappresentano il mondo delle essenze, mentre i secondi quello delle apparenze. Ma l’evidenziare tale simmetria nell’utilizzo del metodo scientifico non ha solo un risvolto accademico, ma è funzionale a Mugnai per screditare Marx e la sua teoria della trasformazione dei valori in prezzi, nonché della formazione del saggio generale del profitto e dei prezzi di produzione. Per assolvere a tale compito Mugnai riprende le formulazioni dell’economista italiano Pietro Sraffa pubblicate nel libro “Produzioni di merci a mezzo di merci”[11]. Ma su questo tema centrale ritorneremo in seguito, ora riprendiamo il discorso di Mugnai sul rapporto di dipendenza di Marx da Hegel.
È intorno al concetto di necessità che Mugnai intravede uno dei più importanti motivi dell’influenza negativa esercitata sul Moro dal filosofo di Stoccarda. Ci perdoni il lettore della lunga citazione, ma ci sembra importante seguire il ragionamento di Mugnai in quanto emblematico di un modo di attribuire a Marx un metodo d’indagine che non trova assolutamente riscontro nel filosofo di Treviri: «Al pari di Hegel, Marx è convinto che certi fenomeni sia naturali sia sociali si evolvano per una sorta di necessità intrinseca, che la scienza deve documentare.»[12] E poco più avanti si legge: «L’adesione alla dialettica rafforza quest’idea di necessità, in quanto sia Marx sia Hegel pensano che i conflitti e le contraddizioni che animano i processi reali conducano verso esiti, se non predeterminati, certamente inevitabili. Così, secondo Marx, saranno i conflitti e le contraddizioni intrinseche alla società capitalistica a causarne il crollo e a far emergere una nuova società fondata sui principi del socialismo. Questa fiducia nel necessario verificarsi di certi fenomeni contribuirà a generare in Marx una vera e propria diffidenza verso le istanze morali e le ragioni etiche in base alle quali criticare le storture della società del suo tempo. Ciò autorizzerà i seguaci di Marx a fare affidamento sulle leggi ferree della storia e a pensare al socialismo e al comunismo come a future realtà inevitabili, fini certi di un processo di dissoluzione della struttura economico-sociale capitalistica.»[13] A differenza di quanto afferma Mugnai, Marx non ha mai scritto o pensato che il comunismo fosse iscritto nel destino umano per opera di un meccanismo finalistico che prescinde dall’agire degli stessi individui. La storia degli esseri umani è fatta dall’agire di questi stessi individui, ovviamente influenzati dal contesto economico e sociale in cui si trovano ad operare, ma non si è mai ipotizzato che il comunismo fosse la naturale conclusione del percorso intrapreso dalle società umane. Mentre in Hegel la necessità è insita nella stessa realizzazione dell’Idea che guida, lungo il suo farsi, teleologicamente il processo storico con la conseguenza che l’agire degli uomini è a essa subordinato, già nel Marx giovane dei Manoscritti parigini del 1844 si può leggere che: «Il comunismo è la forma necessaria e il principio energico del prossimo futuro, ma il comunismo non è come tale la meta dell’evoluzione umana – la forma della società umana.»[14] Mentre in Hegel la necessità ha una funzione finalistica, in Marx assolve invece ad una funzione euristica e non teleologica ed è l’agire concreto degli individui a determinare il realizzarsi degli eventi storici. Mugnai invece non distingue il finalismo di Hegel dal metodo d’indagine di Marx, attribuendo a quest’ultimo le tesi antiscientifiche insite in una visione teleologica dei processi naturali o sociali. Scrive il filosofo fiorentino: «Mentre infatti, una teoria nell’ambito delle scienze naturali, per esempio, acquisirà tanto il carattere di teoria scientifica, quanto più si esporrà a ripensamenti e mutamenti, rendendosi disponibile a un continuo confronto col campo di fenomeni descritto, la teoria marxista, proprio sulla base dell’assunzione di una perfetta coincidenza tra descrizione e oggetto descritto, non potrà trarre vantaggio da siffatto confronto. Proprio questa caratteristica ne farà una teoria dogmatica, vale a dire il contrario di una teoria scientifica.»[15] Secondo l’autore del libro mancherebbe a Marx l’idea di modello, ossia l’idea di una descrizione dell’oggetto indagato non perfettamente coincidente con lo stesso, che consenta, attraverso l’inevitabile scarto che si crea tra modello ed oggetto indagato, di avviare quei processi di verifica necessari ad ogni metodo scientifico. Marx erediterebbe da Hegel la tradizione di un metodo d’indagine che non lascerebbe alcuno spazio tra la descrizione e l’oggetto indagato, limitando in tal modo il momento della verifica ritenuto imprescindibile in ogni metodo scientifico. Riecheggiano in Massimo Mugnai le stesse accuse già mosse da Popper a Marx. Senza entrare in ambiti specialistici che fuoriescono dall’ambito del nostro breve lavoro di recensione del libro di Mugnai, ci preme evidenziare come in Marx è sempre presente il momento della verifica, come insegna il metodo scientifico, proprio perché il passaggio dal mondo delle apparenze all’essenza delle cose, e viceversa, avviene attraverso l’analisi del concreto che di per sé impone necessariamente un momento di verifica di quanto sostenuto. Marx non scivola mai sul terreno del finalismo e l’analisi economica avviene sempre sul terreno concreto della realtà del capitale, la quale può essere afferrata nella sua complessità soltanto attraverso l’utilizzo di astrazioni determinate dalla stessa realtà del capitale.
L’accusa che Mugnai rivolge a Marx di non utilizzare un modello d’indagine che gli consenta il momento della verifica è falsa, nella misura in cui il filosofo di Treviri, nella sua indagine critica della realtà del capitale, si avvale del metodo dell’astrazione determinata che, proprio in quanto parte sempre dal concreto della realtà, impone che i modelli euristici obbligatoriamente si rapportino alla dinamica reale delle cose. La verifica, garanzia di un corretto utilizzo del metodo scientifico, in Marx è permanente proprio in quanto permanente è il suo rapportarsi al mondo concreto. D’altronde cosa sono i modelli che tanto invoca Mugnai a garanzia di un corretto impiego del metodo scientifico se non delle astrazioni determinate dalla precedente ricerca scientifica che guidano la stessa ricerca e che si modificano a loro volta quando la stessa realtà li smentisce? Ci sembra che anche quest’affondo contro Marx fallisca miseramente a un’attenta analisi de Il Capitale e di tante altre opere del Moro.
Metafore hegeliane in Marx
Come si anticipava all’inizio di questo nostro lavoro, il capitolo iniziale del “Mondo capovolto” è dedicato all’analisi di alcune metafore utilizzate da Marx nel corso della sua lunga elaborazione teorica e che Mugnai le fa derivare direttamente da Hegel. Vediamo sinteticamente di cosa si tratta: «L’espressione metaforica mettere sulla testa (auf den Kopf stellen) possiede, all’interno del lessico di Marx una posizione di rilievo. Negli scritti giovanili, che vanno dalla Critica della filosofia hegeliana (1843) all’Ideologia tedesca (1845/46) ricorre con una certa frequenza in contesti che hanno per oggetto la filosofia di Hegel e degli hegeliani di sinistra. È usata sovente per definire un determinato rapporto dell’ideologia con la realtà storico-sociale ed è parte integrante della metafora concernente il raddrizzamento della dialettica hegeliana.»[16] È in questi termini che Mugnai introduce la questione della presenza di metafore nell’opera di Marx, un utilizzo che rappresenta una sorta di costante lungo tutta la parabola teorica del Moro. Il Mettere sulla testa assume sia il significato del capovolgimento (per esempio tra predicato e soggetto) sia un significato ironico con il quale si intende rappresentare una realtà che poggia sulla testa anziché sui piedi. L’inversione del soggetto-predicato, presente sia nella Critica alla filosofia del diritto di Hegel che nella Sacra Famiglia, cede il passo nell’Ideologia tedesca ad un significato ancor più complesso e maturo. In quest’ultima opera l’auf den kopf stellen consiste nel fatto che si considerano a fondamento della realtà i fattori ideali (coscienza, rapporti giuridici e concezioni religiose), mentre al contrario è la prassi sociale e la vita concreta degli individui associati che producono l’illusione ottica di tale rovesciamento ideologico. Nel corso di questo capitolo Mugnai segnala inoltre altre due interessanti metafore che si ricollegano al mettere sulla testa in relazione ad Hegel: «Una è quella…. della distinzione fra esterno e interno, tra contenuto e veste esteriore nella filosofia hegeliana. L’altra accenna ancora a un’inversione che verrebbe a prodursi nella filosofia hegeliana, riguardo al concetto di sviluppo.»[17] L’insieme di queste metafore, pur essendo elaborate per criticare l’idealismo hegeliano, per Mugnai affondano la propria origine proprio in Hegel, in particolare alla Dottrina dell’essenza della Scienza della logica, capitolo fondamentale di tutta l’elaborazione del filosofo di Stoccarda. Il Marx di Mugnai, soprattutto quello maturo de Il Capitale, non solo non ha mai superato Hegel, utilizzando nella sua elaborazione teorica gli stessi schemi logici hegeliani, ma, come il filosofo di Stoccarda, ignora i nuovi progressi compiuti nel corso dell’800 nel campo della logica. La tesi che sostiene Mugnai è che Hegel e tutto il suo filone, incluso Marx, si ponga fuori dal metodo scientifico e a sostegno di ciò scrive: «La riflessione filosofica hegeliana, pur nutrita d’informazione scientifica, rimane sostanzialmente estranea all’impetuoso processo di sviluppo della scienza dell’ottocento: invece di trarre alimento dalle scoperte scientifiche del tempo e da problematiche interne al pensiero scientifico come si era venuto costituendo fin dal XVII secolo, Hegel cerca, al contrario, di ricondurre le scienze naturali entro la propria concezione del mondo e i propri schemi concettuali.»[18] In questo modo si chiarisce meglio l’insistenza nell’analizzare le metafore di Marx e la loro discendenza dalla logica di Hegel. Dimostrare che Marx non si sia mai staccato da Hegel assume il significato di evidenziare come anche Il Capitale sia stato scritto utilizzando un metodo non scientifico e pertanto non può rappresentare una base concreta per imbastire una seria critica della società capitalistica. Il che è completamente falso; ecco cosa scrive Marx a proposito della “costruzione speculativa hegeliana”: «Poche parole saranno sufficienti per caratterizzare in generale la costruzione speculativa…Se io, dalle mele, pere, fragole, mandorle, reali mi formo la rappresentazione generale “frutto”, se vado oltre e immagino che “il frutto”, la mia rappresentazione astratta, ricavata dalle frutta reali, sia un’essenza esistente fuori di me, sia anche l’essenza vera della pera, della mela ecc., io dichiaro – con espressione speculativa- che “il frutto” è la “sostanza” della pera, della mela, della mandorla ecc. Io dico quindi che per la pera non è essenziale essere pera…. L’essenziale in queste cose non sarebbe la loro esistenza reale, sensibilmente intuibile, ma l’essenza che io ho astratto da esse e a esse ho attribuito, l’essenza della mia rappresentazione “il frutto”… Il mio intelletto finito, sorretto dai sensi, distingue, certamente una mela da una pera…ma la mia ragione speculativa dichiara questa diversità sensibile inessenziale e indifferente…In questo modo non si giunge ad alcuna particolare ricchezza di determinazioni. Il mineralogista la cui scienza si limitasse a dire che tutti i minerali sono in verità il minerale sarebbe un mineralogista nella sua immaginazione . Di fronte a ciascun minerale il mineralogista speculativo dice” il minerale”, e la sua scienza si limita a ripetere queste parole tante volte quanti sono i minerali reali. – i corsivi e le virgolette sono di Marx- n.d.r.»[19] Ma per Mugnai fra Marx ed Hegel non c’è alcuna differenza e così per dimostrare come Marx abbia fallito nell’applicare un metodo scientifico nello scrivere Il Capitale, Mugnai si dedica anima e corpo all’analisi della trasformazione dei valori in prezzi e nella formazione di un saggio generale del profitto e dei prezzi di produzione.
Plusvalore e profitto, valori e prezzi e il problema della trasformazione
Arriviamo al punto centrale del libro di Massimo Mugnai, ovvero al problema della trasformazione dei valori in prezzi in Marx e di come tale questione sia stata affrontata, sempre secondo l’autore del “Mondo capovolto”, con gli stessi schemi della logica hegeliana. Tutte le pagine dedicate ad analizzare l’influenza, per lo più negativa, di Hegel su Marx nella composizione de Il Capitale, sono state scritte con l’obiettivo di dimostrare che, nel rappresentare la trasformazione dei valori in prezzi e nel descrivere la formazione di un saggio generale del profitto, Marx commette degli errori di natura logica che invalidano tutta la teoria del valore-lavoro e quindi la determinazione del valore in rapporto al tempo di lavoro socialmente necessario a produrre una merce.
S’intende in tal modo svuotare di qualsiasi significato scientifico la critica dell’economia politica di Marx per trasformarla in una sorta di pensiero metafisico di natura teleologica non più utile per dare delle risposte ad una umanità sempre più scaraventata nel baratro della miseria generalizzata, della guerra imperialistica permanente e dei disastri ambientali che rischiano di trasformare il pianeta in una landa inospitale per l’uomo stesso. Ma seguiamo con pazienza il ragionamento del filosofo fiorentino.
Dopo aver riportato la descrizione del saggio del plusvalore e del saggio del profitto che Marx sviluppa nel terzo libro del Capitale, Mugnai scrive: «Poiché Marx ricava il plusvalore totale sottraendo dal valore del prodotto totale P il valore dei mezzi di sussistenza che si rendono necessari alla reintegrazione della forza-lavoro impiegata, modificando leggermente il simbolismo, possiamo riassumere come segue quanto specificato finora:
È lo stesso Mugnai a metterci sul chi va là quando scrive di modificare leggermente il simbolismo, per prestare molta attenzione alle tre formule sopra riportate. Se la seconda e la terza formula non fanno altro che riportare correttamente quanto già scritto da Marx, nella prima Mugnai introduce un cambiamento decisivo rispetto all’elaborazione marxiana, facendo di fatto scomparire dal valore della merce la componente del capitale costante (mezzi di produzione e materie prime), definendo il plusvalore come la differenza tra il valore totale del prodotto e il valore del capitale variabile. Ciò potrebbe sembrare una innocua dimenticanza, frutto di una semplificazione matematica, per rendere ancor più evidente come l’origine del plusvalore vada ricercato proprio nel lavoro non retribuito, in realtà non è così e i motivi si trovano nel fatto che la formula è funzionale ad avviare un’operazione di smantellamento della teoria del valore-lavoro.
Dopo aver definito correttamente il saggio del plusvalore e quello del profitto, Mugnai scrive: «Sulla base di questi presupposti, ammettendo che il saggio del plusvalore e la durata della giornata lavorativa in tutte le sfere della produzione abbiano le medesime proporzioni, si avranno in generale differenti saggi di profitto tra le sfere produttive … a causa del differente rapporto tra capitale costante e capitale variabile impiegato, si otterranno saggi del profitto differenti in differenti settori produttivi.»[21] Fin qui Mugnai non fa altro che ripetere quanto già Marx aveva scritto nel terzo libro de Il Capitale, ma è quando vuole ulteriormente esemplificare la differenza tra saggio del plusvalore e saggio del profitto che Mugnai, come in precedenza, introduce delle piccole variazioni sul tema per nulla innocenti: «Si considerano due merci, a e b, aventi lo stesso valore (espresso in tempo di lavoro) e identico saggio del plusvalore (nel nostro caso = 1):
m(a) = 6c + 2v +2s = 10
m(b) = 4c + 3v +5s = 10
Poiché a e b hanno il medesimo valore, un’unità della merce a sarà scambiata contro un’unità della merce b, ma il capitalista produttore di a otterrà un saggio del profitto pari ad ¼, mentre il capitalista che produce b otterrà un saggio del profitto pari a 5/7.»[22] Si potrebbe pensare che un refuso di stampa abbia determinato un errore grossolano come quello riportato nell’esempio sopra riportato, ma purtroppo non è così, in quanto l’esempio numerico è confermato subito dopo, quando si riportano i diversi saggi del profitto ottenuti dalla due merci. Ma andiamo con ordine. Nel fare l’esempio, Mugnai introduce due vincoli rappresentati dal fatto che entrambi le merci hanno lo stesso valore e lo stesso saggio del plusvalore. Come è facile osservare, nell’esempio di Mugnai non solo si commette un grossolano errore aritmetico nella somma della merce b (4 + 3 + 5 non è uguale a 10 ma a 12), ma sempre nella merce b non viene rispettato il vincolo dell’identico saggio del plusvalore della merce a. Infatti, mentre nella merce a il saggio del plusvalore è pari a 1 (s/v = 1) nella merce è pari 1.666 (s/v = 5/3). Nelle equazioni di Mugnai non solo non è stato rispettato il vincolo dell’identico saggio del plusvalore, ma le due merci hanno anche un valore diverso.
Marx è partito dalla considerazione che le merci si scambiano tra di loro in relazione al loro valore, determinato dal tempo di lavoro socialmente necessario a produrle. Sono i valori a determinare la ragione di scambio tra le merci. Ma le merci non arrivano al mercato per opera e virtù dello spirito santo, ma sono prodotte dalle imprese capitalistiche che attraverso la loro produzione e successiva vendita hanno lo scopo di realizzare un profitto che sia in linea quanto meno con quello realizzato mediamente dai loro concorrenti. È qui che si rende necessario la trasformazione dei valori in prezzi e di conseguenza osservare come la concorrenza tra i capitalisti, azionando la perequazione dei diversi saggi del profitto in un saggio generale del profitto, allontana i valori dai prezzi delle singole merci. Marx nel descrivere questo processo avverte che se consideriamo l’intero sistema capitalistico, la somma dei valori delle merci totali non differiscono dalla somma dei prezzi di tutte le merci vendute sul mercato. Ed è lo stesso Mugnai che scrive: «Apparirà chiaro, altresì, in base ai presupposti dell’argomentazione marxiana, che la somma totale dei valori dei beni prodotti nell’intera economia dovrà eguagliare la somma totale dei prezzi.»[23]
Ma dopo aver correttamente descritto quanto sostiene Marx nel considerare uguale la somma dei valori alla somma dei prezzi, Mugnai affonda la propria critica scrivendo: «Il passaggio dai valori ai prezzi architettato da Marx, presenta tuttavia alcuni inconvenienti di natura logica. Di che tipo di inconvenienti si tratti, può essere mostrato prendendo in esame la sequenza dei prezzi ottenuti mediante trasformazione dei valori. Nello schema seguente, nel quale p(1) … p(i) … p(n) indicano i prezzi da 1 ad n, si faccia l’ipotesi che la merce 1 entri nella composizione del capitale fisso della merce i… Da un lato la merce m(1) avrà un prezzo p(1) in quanto prodotto, dall’altro sarà acquistata secondo il proprio valore, quando è comprata come mezzo di produzione di m(i). Nella soluzione marxiana, ciò vale per tutte le merci che figurano sia come prodotti sia come mezzi di produzione.»[24] L’inconveniente logico rilevato da Mugnai lungo la catena di scambio delle singole merci, Marx lo risolve in quanto ne Il Capitale utilizza diversi i livelli d’analisi, che vanno dalla singola merce, al capitale ai capitali in concorrenza tra di loro. Se ad un livello complesso come quello dei capitali, le merci soltanto in rarissimi casi vengono vendute sul mercato al loro valore, è chiaro che anche la formazione del prezzo di costo di una merce (determinato dalla somma del valore del capitale costante e del capitale variabile) può divergere dal valore dei componenti del capitale totale. É lo stesso Marx, citato da Mugnai, ad evidenziare tale ulteriore eccezione alla regola generale che vede le merci scambiarsi in rapporto al proprio valore: «Dato che il prezzo di produzione può differire dal valore della merce, anche il prezzo di costo di una merce in cui è incluso il prezzo di produzione di un’altra, può essere superiore o inferiore a quella parte del valore complessivo di essa costituito dal valore dei mezzi di produzione che entrano in quella merce.»[25] Marx, forse consapevole del terreno scivoloso in cui spesso si rischia di cadere utilizzando delle semplici equazioni matematiche, anticipa in questo passaggio i futuri critici della trasformazione ed evidenzia che nella realtà dei capitali anche la formazione dei prezzi di costo nelle singole merci può scontare una discrasia tra valori e prezzi. Mugnai prende spunto dalla citazione di Marx sopra riportata per evidenziare, a suo dire, l’estrema debolezza logica dell’intero problema della trasformazione così come è risolto ne Il Capitale: «Se tuttavia, seguiamo alla lettera l’indicazione implicita in queste considerazioni, ci imbattiamo in difficoltà che mettono a nudo alcune debolezze del progetto marxiano. In primo luogo, se dobbiamo esprimere c e v in prezzi nelle equazioni che determinano i prezzi di produzione, non si comprende perché il saggio generale del profitto debba esser calcolato sommando S a C + V, non espressi a loro volta in prezzi di produzione.»[26] In questo passaggio centrale del libro, Mugnai attribuisce a Marx la tesi che nella determinazione del prezzo di produzione c e v debbano essere calcolati ai loro prezzi e non ai loro valori. Marx non ha mai sostenuto questo, ma ha soltanto evidenziato come ad un livello più complesso dell’analisi dei capitali può accadere che nella formazione del prezzo di costo debbano essere considerati i prezzi di produzione di c e v anziché il loro valore. Mugnai generalizza quello che per Marx è soltanto un avvertimento per evidenziare la complessità del sistema capitalistico, che per essere compreso richiede che siano sempre tenuti in considerazione i diversi livelli di analisi (merce, capitale e capitali). Il non tenere in considerazione tali diversi livelli d’analisi conduce Mugnai a scrivere poco dopo la precedente citazione: «Marx non trae le debite conseguenze dal fatto che il plusvalore stesso, al momento della redistribuzione, è rappresentato da una massa di plusprodotto che avrà a sua volta un certo prezzo di produzione.»[27] Si chiude il cerchio nel ragionamento di Mugnai e così egli “dimentica” che il plusvalore è una scoperta scientifica di Marx resa possibile dall’aver individuato nel processo di produzione capitalistico il meccanismo attraverso il quale la forza-lavoro produce un valore superiore al proprio costo. È nella produzione che viene prodotto il plusvalore e la sua misura è determinata dalla differenza tra il costo della forza-lavoro e il valore creato da quest’ultima durante il suo impiego nei processi produttivi. È lo stesso Marx a scrivere che il singolo capitalista non distingue la parte della merce in cui si sostanzia il plusvalore dal resto della stessa merce. Ora Mugnai ci informa che il plusvalore può essere rappresentato da un plusprodotto, e già qui si fa confusione in quanto non si tiene in debito conto che il plusprodotto contiene sempre una componente di capitale costante, ma accusa Marx di non aver compreso che tale plusprodotto è scambiato sul mercato non in relazione al suo valore ma in rapporto al prezzo di produzione. Il livello di confusione teorica è massimo; si vuole sconfessare il metodo di ricerca utilizzato da Marx ne Il Capitale, ma lo si fa confondendo plusvalore e profitto e produzione e distribuzione della merce. Non si può artatamente rappresentare il plusvalore in un plusprodotto per sostenere che essendo questo venduto ad un prezzo di produzione che differisce dal valore, si deve quindi trarre la conclusione che anche il plusvalore non può essere rappresentato in termini di valore. La rinuncia aprioristica a una chiave di lettura come quella messa in campo da Marx ne Il Capitale, che parte dal valore delle merci per comprendere le apparenze dei prezzi fino ad analizzare il movimento dei capitali in concorrenza tra di loro, porta Mugnai a confondere i diversi livelli d’indagine che si intersecano nell’opera maggiore del Moro. La conseguenza di tutto ciò è che si confondono categorie d’indagine che si collocano ad un livello diverso rispetto a quello considerato da Marx, e si tenta di invalidare l’indagine de Il Capitale con gli strumenti della logica formale di derivazione matematica che spesso non sono in grado di cogliere la complessità delle dinamiche economiche e sociali.
Prima di avviarci alle conclusioni di questo nostro viaggio dentro il libro di Mugnai, rimane da vedere come sono state risolte le incongruenze logiche presente in Marx intorno al problema della trasformazione. Per Mugnai chi supera in maniera brillante e con semplicità i problemi irrisolti da Marx è l’opera dell’economista torinese Pietro Sraffa, che nel 1960 ha pubblicato il libro “Produzioni di merci a mezzo di merci”. L’obiettivo di questo libro era smentire le tesi degli economisti neo-classici che sostenevano la tesi in base alla quale il capitalista poteva realizzare un profitto soltanto all’interno di un sistema economico non in equilibrio. Sraffa, attraverso una serie di semplici equazioni, dimostra, invece, che si può avere profitto anche nell’ipotesi in cui il sistema economico si trovi in stato di equilibro. E sempre attraverso un sistema di equazioni è riuscito a dimostrare la contestuale formazione del saggio del profitto e dei prezzi di produzione. Fin dagli anni Sessanta del secolo scorso l’opera di Sraffa è stata utilizzata per attaccare Marx e la sua teoria del valore-lavoro, quando in realtà l’obiettivo di Sraffa era proprio quello di smentire le allora in voga teorie marginaliste e lo fa riprendendo le tesi dell’economia classica[28]. Le soluzioni matematiche di Sraffa non smentiscono Marx, come vorrebbe Mugnai, ma pur non mettendo in chiara evidenza il ruolo giocato dal capitale variabile nel processo di produzione del plusvalore, contribuiscono a far emergere il contrasto tra il mondo del lavoro e la sete di profitti da parte dei capitalisti.[29]
A nostro parere il vero limite delle equazioni di Sraffa consiste nel fatto che il profitto appare soltanto nella sua dimensione fisica come un plusprodotto rispetto ai fattori produttivi impiegati. Si perde, nei meandri delle equazioni, la vera origine del profitto che si sostanzia di lavoro non retribuito ossia di pluslavoro che genera plusvalore. Al crescere del saggio del profitto diminuisce il saggio del salario, in termini più elementari le equazioni di Sraffa dimostrano matematicamente che al crescere dei profitti i salari degli operai tendono a diminuire, mentre se crescono quest’ultimi decrescono i profitti.
Che Mugnai faccia proprie le teorie economiche di Pietro Sraffa non solo viene apertamente dichiarato dal filosofo fiorentino, ma l’adesione emerge chiaramente quando scrive che: «Marx ritiene che il plusvalore che i capitalisti estorcono ai lavoratori si divida nelle tre categorie fondamentali dei salari, del profitto e della rendita (fondiaria). Il plusvalore è come un segmento di lunghezza data, che si divide in tre segmenti di differente lunghezza.»[30] Ora attribuire a Marx l’idea che il plusvalore si suddivida in salario, profitto e rendita è falso, in quanto Marx scrive testualmente: «In capitale-profitto, o meglio capitale-interesse, terra-proprietà fondiaria, lavoro-salario, in questa trinità economica collegante le parti costitutive del valore [non del plusvalore – n.d.r] e della ricchezza in generale con le sue fonti…»[31] Profitto, rendita e salario rappresentano l’intero valore o ricchezza in generale, mentre il plusvalore semmai è lavoro non retribuito (anti-salario) che dà sostanza ai profitti e alla rendita.
L’etica e il problema della distribuzione
Qui non siamo in presenza di una svista clamorosa, ove si confonde prima il profitto con il plusvalore e successivamente quest’ultimo con la sommatoria di profitto, rendita e salario, ma siamo giunti alle conclusioni dell’intera disquisizione teorica di Mugnai. Nel momento in cui scompare dall’orizzonte teorico il valore-lavoro, perché non in grado di reggere logicamente alla trasformazione dei valori in prezzi, e il plusvalore, in quanto confuso con un indistinto plusprodotto, Mugnai s’allontana vertiginosamente da Marx per approdare ad una visione in cui è il momento distributivo a rappresentare il cardine intorno al quale costruire una società più giusta.
Se il plusvalore perde la sua connotazione di lavoro non retribuito, anche lo sfruttamento assume un significato profondamente diverso rispetto a quello assegnatogli da Marx attraverso la teoria del valore-lavoro. Si ha sfruttamento non perché il lavoratore per la sua prestazione riceva un salario inferiore al valore da questi prodotto durante la giornata lavorativa, ma per il fatto che il capitalista, grazie alla sua posizione di forza nei confronti degli altri membri della società, si appropria del plusprodotto. Pertanto, il concetto di sfruttamento non va ricercato nel cuore pulsante della produzione, ma in un momento successivo, ossia quando il plusprodotto è distribuito tra i membri della società. Vediamo come argomenta Mugnai questo tratto conclusivo del suo lavoro:«Se si rinuncia alla teoria del valore-lavoro, viene meno una chiara linea di demarcazione fra lavoro produttivo (di valore) e lavoro improduttivo. I possessori di capitale potrebbero appellarsi al fatto che per fare gli opportuni investimenti e organizzare l’attività lavorativa è necessario un contributo di tipo conoscitivo, non solo di conoscenza di mercato ma anche di competenza tecnico-scientifiche; e che per dare un contributo del genere si richiede lavoro.»[32] In sostanza anche il capitalista, il possessore dei mezzi di produzione, è un lavoratore che deve essere retribuito per il lavoro svolto all’interno del ciclo produttivo; in quest’ottica il profitto cos’è se non la retribuzione del lavoro svolto dal capitalista? Mentre in tutto il libro il filosofo fiorentino muove l’accusa a Marx di rimanere vittima del metodo antiscientifico di Hegel in quanto utilizza lo schema essenza e apparenza (nel caso specifico il profitto rappresenta l’apparenza mentre il plusvalore rappresenta la sua essenza), nel nuovo che avanza Mugnai riporta la scienza economica a ben prima dei fisiocratici, ossia ai mercantilisti i quali collocavano nello scambio delle merci il momento della creazione del valore. È per rafforzare ancor di più la tesi del fallimento della teoria del valore-lavoro, Mugnai chiarisce in maniera ancor più netta di prima che lo sfruttamento debba necessariamente assumere un significato profondamente diverso rispetto a quello assegnato da Marx: «Abbiamo visto, però, che ciò pone un problema serio. In primo luogo, si ha uno spostamento radicale del punto di vista di Marx, in quanto l’origine dello sfruttamento non viene più individuato nel momento della produzione, vale a dire dell’applicazione della forza lavoro ai mezzi di produzione. Nell’ottica di Cohen e degli sraffiani lo sfruttamento in senso proprio finisce per situarsi a livello della distribuzione, in aperta antitesi con quanto sostenuto a più riprese nel Capitale.» [33]
È ormai evidente che l’obiettivo di Mugnai non è solo limitato a smentire la teoria del valore-lavoro, ma dichiarare il fallimento dell’intero marxismo. Infatti, nelle pagine finali del suo libro scrive: «Né la caduta tendenziale del saggio del profitto, tuttavia, né l’organizzazione trans-nazionale del proletariato in funzione anti-capitalista, come auspicava Marx, si sono verificate.»[34]
A differenza di Mugnai, noi pensiamo che le più splendide conferme di quanto scritto da Marx arrivino propria dalla realtà del moderno capitalismo. Soltanto chi legge con i paraocchi ideologici della conservazione borghese non vede i disastri di un modo di produzione capitalistico che pur di garantire un’adeguata remunerazione all’enorme massa di capitale fittizio è obbligato ad imporre alla stragrande maggioranza dell’umanità condizioni di vita e di lavoro spaventose. È così impellente per il capitale alimentarsi di plusvalore proveniente dal mondo della produzione che questa viene dislocata in quelle aree ove la forza lavoro presenta il minor costo, scatenando in tal modo una rincorsa verso il basso dei salari percepiti dai lavoratori su scala internazionale. Sono queste dinamiche economico-sociali le migliori conferme della validità della teoria del valore-lavoro, una teoria che nella sua semplicità smaschera non solo il meccanismo di sfruttamento del proletariato ma mette a nudo anche la contraddittorietà di un sistema che sviluppandosi crea le premesse per le sue periodiche crisi e per il suo superamento. Marx ci ha fornito gli arnesi teorici per comprendere anche il capitalismo del XXI secolo, ma come sempre accade nelle vicende umane dovranno essere i proletari, guidati dalle avanguardie politiche, a riempire di contenuti politici l’alternativa comunista. Come rilanciare l’alternativa comunista, costruire il partito internazionale e internazionalista del proletariato mondiale, comprendere e criticare le dinamiche del moderno imperialismo e contrastare le dinamiche che spingono verso la guerra permanente, rappresentano i reali problemi che saremo chiamati come classe a risolvere nel prossimo futuro. Lasciamo volentieri a Mugnai e ad altri percorrere le vecchie strade del riformismo in chiave etica che direttamente o indirettamente continuano a dare sostegno a questo infame sistema sociale.
[1] Massimo Mugnai – Il Mondo capovolto. Il metodo scientifico nel Capitale di Marx – Edizioni della Normale – pag, 10
[2] È inevitabile qui ricordare l’importanza di Althusser e della sua scuola nell’alimentare il dibattito su un Marx giovane ancora filosofo ed un Marx maturo scienziato.
[3] Massimo Mugnai – op. cit. – Edizioni della Normale – pag, 17
[4] Ib. pag. 14
[5] Ib. pag. 14
[6] Ib. pag. 14
[7] Ib. pag. 14
[8] Ib. pag. 15
[9] Ib. pag. 22
[10] Karl Marx – Il Capitale- III Volume -Capitolo I – citato da Massimo Mugnai – op-cit. – Edizioni della Normale – pag, 23.
[11] Piero Sraffa - Produzioni di merci a mezzo di merci – Edizioni Einaudi 1960.
[12] Massimo Mugnai - op.cit. – Edizioni della Normale – pag, 24
[13] Ib. pag. 25.
[14] Karl Marx – Manoscritti economico-filosofici del 1844 – Edizione Horthotes pag. 203/204.
[15] Massimo Mugnai – op.cit. – Edizioni della Normale – pag, 25.
[16] La lunga citazione è presente nei due libri di Mugnai a pag. 21 de Il mondo rovesciato. Contraddizione e valore in Marx e a pag. 35 de Il mondo capovolto. Il metodo scientifico nel Capitale di Marx.
[17] Massimo Mugnai – op.cit. – Edizioni della Normale – pag, 40
[18] Ibidem pag. 165
[19] K. Marx - La Sacra famiglia – Cap. 2. Il mistero della costruzione speculativa – Op. Compl. Vol.IV – Ed Riuniti- pag. 62.
[20] Ib. pag. 112
[21] Ib. pag. 113- 114
[22] Ib. pag. 114
[23] Ib. pag. 117
[24] Ib. pag. 118 - 119
[25] Karl Marx III Libro del Capitale, riportato in Massimo Mugnai – op.cit. – Edizioni della Normale – pag, 120
[26] Massimo Mugnai – op.cit. – Edizioni della Normale – pag, 120
[27] Ib. pag. 120
[28] Molto interessante è la ricostruzione del dibattito intorno all’opera di Pietro Sraffa che fa Riccardo Bellofiore nel libro “Smith, Ricardo, Marx, Sraffa. Il lavoro nella riflessione economico-politica” Edizione Rosemberg & Sellier. A questo argomento è dedicato l’intero capitolo “La solitudine del maratoneta Sraffa, Marx, e la critica della teoria economica”.
[29] Per chi volesse approfondire la critica a Sraffa e soprattutto agli sraffiani rinviamo all’articolo di Giorgio Paolucci “Saggio medio del profitto e prezzo di produzione” ora disponibile al seguente link: http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla34/index.php/questioniteoriche/395-saggioproduzione
[30] Massimo Mugnai – op.cit. Edizioni della Normale – pag, 124
[31] Karl Marx III Libro del Capitale Cap. XLVIII pag. 1023 Ed. Fineco e citato anche da Mugnai a pagina 124 del libro “Il mondo capovolto. Il metodo scientifico nel Capitale di Marx
[32] Massimo Mugnai – op.cit. – Edizioni della Normale – pag, 131
[33] Ib. pag. 148
[34] Ib. pag. 182