Abbiamo 346 visitatori e nessun utente online
Con ciò non suggeriamo un'acquisizione in toto del pensiero di Vranički, per molti, essenziali versi profondamente distante dall'orientamento del nostro lavoro; tuttavia, privi delle preoccupazioni di coloro che surrogano le identità con le etichette, pensiamo possa entrare a pieno titolo in una ampia e diversificata “cassetta degli attrezzi” per comprendere e trasformare il mondo.
L'autore
L'autore di questo articolo, Predrag Vranički, è stato un filosofo di orientamento “marxista umanista”. Dopo aver combattuto sul fronte borghese antifascista dell'Esercito di liberazione nazionale si dedicò agli studi di filosofia, divenendo poi presidente della Società jugoslava per la Filosofia nel 1966, e nel '77 membro dell'Accademia Croata delle Scienze e delle Arti. Dal 1965 fece parte della redazione della rivista dissidente Praxis, critica nei confronti del regime titoista e della sua ideologia.
Praxis
La rivista si caratterizzò per la difesa di un umanesimo socialista antidogmatico. Al centro della riflessione, la concezione dell'uomo quale “essere di praxis”, di pratica nell'accezione maxiana. Attorno alla rivista si coagulò un movimento intellettuale che rivendicava il ritorno a un marxismo autentico, attendendo a ripristinarne gli aspetti dialettici e umanistici. In tal senso, si opponeva all'ossificata e deformata religione di stato del “marxismo-leninismo” di Tito e della Lega dei comunisti di Jugoslavia.
Praxis tenta di praticare un ritorno a Marx, dialogando in particolare con le sue opere giovanili, riallacciandosi ecletticamente a Gramsci, Bloch, Lukács, e sperimentando il confronto con l'esistenzialismo e con la Teoria critica. Intendeva così uscire dalle pastoie dottrinarie della socialdemocrazia e dello stalinismo, pur facendo per molti versi parte di quella stessa storia tutta borghese.
Il regime titoista attaccò la rivista come nemica dell'autogestione socialista e del comunismo e la pose ripetutamente sotto pressione, fino a bloccarne di fatto la pubblicazione. I suoi membri non poterono più proseguire le attività di ricerca e insegnamento all'Università.
Sul problema della pratica
La storia di Praxis è la storia di una rivista di una certa intelligentsia borghese, di sinistra, che si richiamava in qualche modo a un Marx che, canonizzato, fu trasformato in “icona inoffensiva”[1], per mano dei regimi e partiti stalinisti come degli intellettuali di oriente e occidente.
Nonostante la nostra estraneità rispetto a questa esperienza, intendiamo proporre la lettura di questo articolo perché contribuisce utilmente alla questione della relazione tra teoria e prassi.
In questo senso, lo abbiamo pensato come parte di una “cassetta degli attrezzi”, dicevamo, nella quale materiali di provenienza diversa possano partecipare a fornire strumenti per la teoria comunista.
Vranički, in questo saggio pubblicato nel 1965 nel primo numero di Praxis, scava nella storicità delle concezioni di essere, prassi, teoria e pensiero, rintracciando nella esistenza storica degli uomini la loro definibilità quali “esseri di praxis”, che trasformano se stessi, mediante la trasformazione della natura e della società. Vranički coglie come gli uomini instaurino rapporti pratici con tutti i termini della loro relazionalità, ma anche, al contempo, come ogni rapporto pratico includa e presupponga sempre anche un comportamento teorico: la teoria è anzi la condizione della “concretezza” del rapportarsi dell'uomo con il mondo. La “vita pratica dell'uomo”, chiarisce l'autore, “può essenzialmente dimostrarsi come tale solo essendo allo stesso tempo teorica”. Propone così una concezione della prassi che include sia il sensibile che il teorico, escludendo quindi ogni opposizione tra teoria e prassi, e implicando l'impossibilità di intendere la teoria come mero riflesso della pratica.
Un testo da leggere, nello spirito che abbiamo suggerito, e che senz'altro potrà fornire fertili spunti su questi temi essenziali della nostra riflessione.
Sul problema della pratica
di Predrag Vranički
Ma la vita produttiva è la vita della specie. E la vita che produce la vita. In una determinata attività vitale sta interamente il carattere di una «species», sta il suo carattere specifico; e l'attività libera e cosciente è il carattere dell'uomo.
Karl Marx
E' del tutto naturale e comprensibile che ogni epoca del pensiero umano è vincolata da corrispondenti tradizioni storiche e di pensiero. Proprio come le tradizioni delle generazioni passate, che sono impresse nella coscienza dei vivi in tutti i campi della vita, così come anche in tutti i rami del pensiero. Quando consideriamo la nostra esistenza, e il suo significato, l'intero sforzo intelligente dell'umanità ci appare come qualcosa di molto complesso, spesso piuttosto opaco, come storia della coscienza dell'uomo, delle sue teorie riguardo a se stesso e relative all'essere in generale.
La sua coscienza, il suo pensiero e la sua teoria sembrano a prima vista essere qualcosa di separato dall'essere storico e materiale dell'uomo. Questo si esprime in varie tesi relative a una valutazione di problemi quali: il rapporto tra teoria e pratica, il riflesso della pratica nella teoria, il ritardo della teoria rispetto alla pratica, il primato di una piuttosto che dell'altra.
Anche certe differenziazioni di pensiero rientrano in certe tradizioni. Anche se ulteriori analisi potrebbero mostrare come questo sia condizionato o insostenibile.
Così, per esempio, la distinzione tra essere e pensiero è una distinzione storica. Se la categoria dell'essere in base all'etimologia e all'impiego filosofico indica qualcosa che è, o che qualcosa è, allora la designazione categoriale appartiene tanto alla realtà, nel senso della natura o della storia, che al pensiero. Identificare la natura o la realtà “al di fuori di me” con la categoria dell'essere, porla in opposizione alle categorie di coscienza, pensiero – è del tutto inappropriato.
È piuttosto comprensibile che la categoria di "essere" possa essere, come in effetti è stato, determinata in modi molto vari, specificata con contenuti molto diversi e anche circoscritti, per esempio, al naturale o allo storico. Ma se solo quest'ultimo viene riconosciuto come essere, allora è una conclusione logica che il pensiero e la coscienza non esistono. Questo ci pone di fronte a un problema che, mi sembra, non è risolvibile su questa base.
Sul problema che qui stiamo provando a considerare da questo punto di vista, il problema della pratica o prassi (praxis) – grava anche fortemente la tradizione. Anche la formulazione del problema posto sopra mostra la posizione parziale da cui molti procedono. Così come tutta una serie di circostanze, limitate e parziali, di una semplice azione "pratica", ci appaiono del tutto privi di una qualunque teoria, così anche tante preoccupazioni teoriche sembrano non essere connesse alla "pratica", appaiono esserle separate o contrapposte.
E' così che appaiono le cose se semplifichiamo questo materiale complesso che stiamo studiando – la storia dell'umanità – la vita storica dell'uomo.
In esempi singoli e semplificati sembra che ci siano molti casi in cui abbiamo pratica senza teoria, in cui queste appaiono scollegate o in un rapporto unidirezionale. La realtà storica è, tuttavia, molto più complessa, e anche la categoria "pratica" palesa una complessità molto grande.
Quello che qui intendiamo dunque esaminare non è una qualche attività pratica particolare, ma la pratica quale base dell'umanità, quale caratteristica filosofica dell'uomo.
In questo senso, seguendo Marx, vediamo l'uomo quale essere della prassi per eccellenza, un essere che trasforma liberamente e coscientemente la propria vita. La pratica è un eo ipso, una categoria polivalente che abbraccia tutti gli aspetti dell'essere umano. Non abbiamo bisogno qui di ripetere ciò che è stato detto tante volte a partire da Marx, e ciò che è il presupposto di ogni speculazione: che l'uomo esiste e si sviluppa solo trasformando la sua realtà naturale e sociale e che in questo modo trasforma anche se stesso.
Quello che ci interessa qui è la struttura del concetto di pratica in relazione alla teoria, e la struttura delle reali relazioni dell'uomo così come espresso dalla categoria della pratica.
La “pratica” è qualcosa che determina essenzialmente il carattere dell'esistenza dell'uomo. Qui risiede il suo significato ontologico-antropologico.
Se non considerassimo la storia come un continuo, laborioso processo conscio-inconscio, a volte con e a volte senza prospettiva che trasforma in ogni epoca più radicalmente e profondamente l'essere storico e naturale - allora dovremmo negare ogni possibile approccio razionale ad una spiegazione delle nostre origini, delle tendenze dominanti e subordinate della vita.
Anche gli animali "cambiano" il mondo, ma solo in proporzione alla loro struttura relativamente immutabile. Cioè, inconsapevolmente, senza libertà, senza mirare allo sviluppo, in un modo fisso, non pianificato, senza controllo, non rivoluzionario. In questo "cambiamento" non c'è processo storico, vi è una propensione alla ripetizione, la "temporalità" è vista solo come crescita biologica e invecchiamento, come cambiamenti biologici, non come azioni storiche – creazioni.
L'uomo cambia il mondo in conformità alla propria struttura, tuttavia non solo in conformità alla propria struttura fisica e biologica, ma anche storica. La sua trasformazione della realtà significa nello stesso tempo la trasformazione del suo potere sulla struttura individuale e storica. Il suo cambiamento del mondo non è un cerchio ma un processo.
E proprio per questa ragione l'uomo è l'unico essere creativo. Lo è a tal punto che il suo stesso essere e la sua stessa essenza sono soggetti alla sua creazione.
Se abbracciamo la totalità di questa creatività dell'uomo attraverso il concetto di pratica, allora dobbiamo concludere che l'uomo crea la propria storia, la sua vita storica, secondo le possibilità della propria pratica.
E queste possibilità sono sempre e solo storicamente date: come gli strumenti reali di produzione, il livello di sviluppo tecnico e scientifico, di organizzazione sociale, del profilo tecnico e culturale degli individui, delle relazioni e influenze internazionali, ecc.. Quindi, se ricorriamo alla formula esistenzialista secondo la quale l'esistenza precede l'essenza, possiamo con facilità invertirla perfettamente, e dire che allo stesso tempo l'essenza precede l'esistenza.
Perché l’uomo non è soltanto un individuo che crea se stesso indipendentemente dalle strutture e dai processi storici dei quali è una componente. E' tanto grande quanto la misura creata da tutte le relazioni che sono storicamente date.
La pratica coinvolge tutti gli aspetti della vita di un uomo in modo che l'uomo è essenzialmente un "essere pratico”. Nei suoi giochi d'infanzia, a lavoro, nei rapporti familiari, negli esperimenti scientifici, nella creazione artistica, o nei suoi atti storici, l'uomo è sempre in una relazione pratica, immediatamente sensibile con il suo oggetto (la natura, gli altri uomini, ecc.), e non semplicemente in una relazione contemplativa.
Se la pratica è essenzialmente creazione cosciente, libera in maggiore o minore misura, e pianificata, trasformazione di una realtà che non è soltanto la realtà del pensiero, ma soprattutto la realtà del medium dell'essere dell'uomo, vale a dire la realtà storica naturale quindi, ripetiamo, questo concetto abbraccia l'uomo nella sua totalità, nella sua famiglia, come produttore, nel suo lavoro politico, artistico e di studio, ecc..
In tutte queste relazioni pratiche gli uomini si comportano più o meno esplicitamente, e consapevolmente, anche in modo teorico.
L’uomo non può instaurare alcun tipo di relazione pratica verso il mondo, neanche ad un livello molto semplice ed elementare, senza un qualche tipo di “teoria”, senza scopi, comportamenti, concetti, idee certi.
Comunque la vita pratica dell'uomo può essenzialmente dimostrarsi come tale solo essendo allo stesso tempo teorica. Il concetto di pratica dimostra in questo modo i suoi tre aspetti fondamentali: quello concreto-sensibile, quello teorico-astratto, e quello emotivo-esperienziale. La pratica non è possibile senza una qualche definita attitudine emotiva, nel senso che deve soddisfare un certo tipo di bisogno; né è possibile se non cambia sensibilmente e crea oggetti e realtà; e infine il cambiamento sensibile degli oggetti non è possibile se non è cosciente, pianificato, teoretico e libero.
“Il ragno compie operazioni che assomigliano a quelle del tessitore, l'ape fa vergognare molti architetti con la costruzione delle sue cellette di cera. Ma ciò che fin da principio distingue il peggior architetto dall'ape migliore è il fatto che egli ha costruito la celletta nella sua testa prima di costruirla in cera. Alla fine del processo lavorativo emerge un risultato che era già presente al suo inizio nell'idea del lavoratore, che quindi era già presente idealmente. Non che egli effettui soltanto un cambiamento di forma dell'elemento naturale; egli realizza nell'elemento naturale, allo stesso tempo, il proprio scopo, che egli conosce, che determina come legge il modo del suo operare, e al quale deve subordinare la sua volontà"[2].
La definizione di uomo quale essere pratico è possibile solo se la pratica è intesa come unità dell'attività sensibile e teorica. Il funzionamento di una macchina, (e anche dello strumento più semplice) è teoria messa in funzione, o la realizzazione di teoria. Proprio come la teoria (anche la più semplice) è la sublimazione di una determinata creatività umana, sensibile e teorica.
In pratica il rapporto di questi due elementi è reciproco, funzionale, si condizionano reciprocamente. La relativa indipendenza del pensiero astratto gli rende possibile essere in ritardo o in anticipo rispetto all'attività concreata-sensibile. Allo stesso modo la complessità e la spontaneità dell'attività sensibile dell'uomo (in primo luogo l'attività produttiva e storica) rendono molto difficile produrre una contestuale visione teorica di tutti questi processi. Siccome il concetto di pratica abbraccia il sensibile e il teorico - è inadeguato opporre teoria e pratica, come se fossero due cose che dovrebbero essere una unità; la stessa pratica, intesa come una funzione fondamentale dell'uomo, contiene entrambe in sé.
Separarli sarebbe dar adito alla possibilità di una tipologia di pratica che non includa coscienza, ipotesi e teoria: come di una teoria che non coinvolga l'esperienza totale dell'attività sensibile dell'uomo.
Una prassi di questo genere sarebbe prassi animale, e una tale teoria sarebbe un nonsense. È comprensibile che ci saranno sfumature di grado. Ci possono essere varie differenze di livello in ciò che, nel supremo momento creativo della pratica, è un'unità basilare. Allo stesso modo un'attività teorica può essere separata, se consideriamo gli individui che vi si impegnano (in collegamento con la divisione storica del lavoro) ma non in riferimento alla storia come totalità, in riferimento alla creazione della storia come atto o processo unificato e totale.
Considerare i due elementi l'uno accanto all'altro significherebbe che l'uomo non è un essere totale, e che la sua storia non è una creazione totale, ma che ha creato varie storie indipendenti e parallele, - di tecnica, fisica, scienze, diritto, filosofia, ecc..
Anche se vi è una relativa indipendenza in tutti questi campi di attività a causa della divisione del lavoro come è esistita fino ad ora, la divisione sopra citata distruggerebbe l'unità dialettica dell'uomo quale essere di prassi, come individuo ed essere storico.
La storia quale vita unitaria dell'uomo, è dunque una storia unitaria del modo in cui l'uomo ha cambiato il mondo e ha creato nuove strutture storiche: da questo comprendiamo anche la realtà storico-naturale, l'uomo stesso e le sue variegatissime creazioni (artistiche, filosofiche ecc.).
Da ciò consegue, come mostrerebbe l'analisi dettagliata di varie epoche, che ogni grande discrepanza tra l'attività sensibile e quella teorica dell'uomo (che è quanto in genere viene chiamato discrepanza tra teoria e prassi) non è mai esistita, né può esistere.
Ogni livello storicamente determinato dell'uomo, ogni livello della sua pratica, è costruito quindi da un corrispondente livello di azione sensibile e teorica. La pratica materiale, quella sociale e quella teorica dell'uomo si trovano ad avere rapporti indivisibili ed effetti l'una sull'altra.
La storia è l'opera unitaria dell'uomo. Non una delle attività dell'uomo esiste isolata, di per se stessa e per se stessa. Non una può essere compresa senza tener conto delle epoche storiche intere, dell'esistenza storica dell'uomo in quanto intero, dell'integrità e polivalenza della sua esistenza fondamentale come un essere di prassi.
Marx ha dato un'espressione plastica, non solo alla tesi dell'esistenza di una sola scienza - la storia, ma anche alla tesi che la coscienza feticistica è un'espressione di un preciso, basso livello di esistenza sensibile. "La misura in cui la soluzione di un problema teorico è un compito della pratica, e si realizza attraverso la pratica, e la misura in cui la pratica corretta è la condizione di una vera e positiva teoria è mostrata, ad esempio, nel caso del feticismo. La percezione sensoriale di un feticista differisce da quella di un Greco perché la sua esistenza sensibile è diversa. L'ostilità astratta tra senso e spirito è inevitabile finché il senso umano, per natura, o il significato umano di natura, e di conseguenza il senso naturale dell'uomo non è stato prodotto attraverso il lavoro proprio dell'uomo "[3].
Questa tesi relativa al carattere unitario della “praticità” umana o relativa alla storia come sviluppo della pratica umana – a prescindere se, nella divisione sociale del lavoro, talune siano più da "teorici" e altre da "lavoratori manuali" – dovrebbe essere adottata come fondamentale per le analisi e le spiegazioni della storia.
Se il feticismo dei popoli primitivi può essere spiegato con il basso livello di sviluppo della loro trasformazione sensibile della realtà – il che ci dice soltanto che, includendo questa coscienza feticistica, il livello della loro pratica è basso - si può dimostrare lo stesso per ogni altra coscienza ed essere storico.
Nell'Europa dell'antichità lo sviluppo di artigianato, navigazione, guerra e altre azioni che significano una forma di trasformazione - aveva raggiunto un livello che, rispetto alle dimensioni trasformativo-sensibile e esplicativo-teorica, era molto più alto di quello della società della coscienza feticistica.
Ma anche questo livello di pratica storica nell'antichità aveva i suoi limiti definiti molto chiaramente: dallo sviluppo intero della produttività e della tecnica, dalla struttura sociale e dall'organizzazione e anche dai concetti. Il livello di trasformazione del mondo da parte dell'uomo in quel dato momento e la sua esperienza pratica potrebbe risultare solo nella concezione di leggi, di varie forme di causalità e nel pensiero astratto che ha fatto se stesso oggetto di indagine e che evoca meraviglia permanente alla grande razionalità dell'antichità.
Ma il livello di controllo dei processi naturali (che è la controparte della trasformazione della realtà) era ancora basso, ancora in gran parte condizionato da un rapporto esteriore-percettivo nei confronti dei problemi della realtà. Ecco perché i loro principi hanno un carattere sensibile: anche l'essere di aria, fuoco, acqua, ecc., atomi e molecole è dato sulla base della percezione e così concepito - nello stesso modo il loro pensiero sociale è solo un'espressione di un tipo di esistenza sociale che è quella della polis, e la struttura di polis e tribù hanno limiti ben definiti.
Non è necessario ripetere qui l'esempio della storia moderna con il suo sviluppo dei concetti della meccanica e meccanizzazione. Richiameremo qui solo l'attenzione su questo: che solo a quel livello storico dello sviluppo della pratica in cui la classe operaia ha iniziato a diventare non solo un soggetto cosciente, ma anche il vero creatore della storia - e questo significa che lo sviluppo della pratica umana ha raggiunto un punto in cui il lavoro salariato, cioè il proletariato, è stato possibile – si è definita una possibile concezione della storia, resa possibile quando il momento trasformativo-sensibile, economico-produttivo ha avuto il suo giusto posto nella pratica umana.
Fino a quando i principali creatori della storia sono state classi o gruppi che non erano strettamente connessi con la produzione - il momento economico e la produzione economica non potevano essenzialmente entrare in calcoli teorici. La coscienza data di un essere storico dato, di una pratica storica data ha dovuto porre l'accento soprattutto su ciò che forma l'esistenza delle forme "superiori" di attività umana. Una sovrastima delle idee, della coscienza e di altri demiurghi spirituali - è stata l'inevitabile conseguenza di una data esistenza storico-pratica. La pratica storica contemporanea, con il suo alto livello di trasformazione della realtà, e con essa un alto livello di tecnica e scienza, sta creando sempre più una unità finora sconosciuta nel nostro mondo, e con essa una dipendenza reciproca, e quindi anche al livello teorico, e sociale, concetti che corrispondono a questo livello della nostra "esistenza sensibile."
Concetti di sostanza, teleologia, varie altre idee mistiche e pragmatiche stanno scomparendo. Nuove concezioni di leggi e temi prendono il loro posto, nuove idee di relazioni interpersonali, di coesistenza, ecc..
Indipendentemente da quanto e in che modo, poi, la divisione storica del lavoro conduce un gruppo di persone ad attività maggiormente sensibili e un altro ad attività maggiormente teoriche - un certo livello di pratica storica comprende una certa realizzazione di azioni sensibili e teoriche.
E il pensiero filosofico più astratto contiene sostanzialmente in sé la completa attività trasformativa e creativa storico-naturale dell'uomo.
La pratica dell'uomo, che è la sua storia, il suo lavoro, ha questi due aspetti principali che sono i correlativi di ogni altro.
L'opposto della pratica non è quindi la teoria, poiché la pratica di fatti comprende la teoria. L'opposto della pratica è solo la "teoria" che non ha alcun legame con la pratica, le semplici fantasie di una coscienza limitata.
Allo stesso modo, nei limiti in cui l'essenza e lo sviluppo dell'esistenza dell'uomo è pratica, cioè, costante, instancabile, laboriosa, libera e creativa trasformazione della realtà cui l'uomo è ancorato - la verifica delle ipotesi dell'uomo non può essere niente altro che la pratica, il lavoro, la vita umana, che è un confronto senza fine dei suoi pensieri e azioni, una unità dell'attività sensibile e teorica.
Ovunque abbiamo la creatività, la produzione libera - abbiamo pratica. Se la teoria fosse unilateralmente determinata dalla azione sensibile e ridotta ad essere semplicemente un riflesso allora l'uomo non sarebbe un essere creativo libero, un essere di prassi. La pratica implica il momento direttivo, la previsione, la progettazione, la pianificazione, il controllo ecc..
Solo perché il pensiero teorico è sia una creazione che una trasformazione materiale e sensibile delle cose, noi troviamo in esso solo l'altro lato della pratica unitaria dell'uomo.
E' qui che abbiamo la definizione più profonda della coscienza come essere cosciente. La coscienza è il momento della trasformazione sensibile del mondo da parte dell'uomo, e che la trasformazione è resa possibile solo dalla coscienza. Una prende le mosse dall'altra, una condiziona l'altra.
Ecco perché il livello della pratica umana corrisponde sostanzialmente al livello della sua coscienza storica data e viceversa. Ecco perché essenzialmente la coscienza storica, la coscienza di determinate generazione storiche, non può mai essere in anticipo rispetto alla loro esistenza, al loro essere storico. La coscienza di ogni generazione è la coscienza del suo essere storico, perché se così non fosse - la pratica storica sarebbe impossibile. Una certa contraddizione, un certo disaccordo ecc. tra la coscienza storica e l'esistenza sensuale può e deve sempre avvenire in determinate epoche. Questo è per il semplice motivo che l'uomo non sarà mai soddisfatto della sua esistenza, che lo sviluppo di nuove forze (materiali e spirituali) dà luogo a nuovi punti di vista, desideri, impegni. Ma questo non può portare ad una discrepanza completa, perché se così fosse significherebbe la dissoluzione della stessa pratica dell'uomo. In una situazione del genere non ci sarebbe nessuna prospettiva, nessuna via d'uscita. Fino ad ora ci sono stati solo esempi isolati di questo - storicamente è inimmaginabile.
Se abbiamo visto che la vita generica dell'uomo è azione libera e consapevole, che è sinonimo di pratica, allora l'interezza, la totalità dell'uomo si trova nell'unità di tutti questi momenti.
In altre parole l'uomo è un essere “fisico” e "spirituale", ed è solo la necessaria, fino ad un certo livello, progressiva divisione storica del lavoro, che ha portato individui o gruppi a una attività o l'altra.
La frammentazione e il paralizzarsi della personalità e tutta una serie di altre conseguenze che derivano da questa divisione del lavoro sono fenomeni ben noti nello sviluppo dell'uomo.
La situazione nella quale gli uomini si trovano legati a una macchina o assorbiti in una specializzazione avanzata significa che perdono alcune loro caratteristiche importanti quali esseri di prassi, ampiezza, versatilità, facoltà teoriche, e anche alcune caratteristiche della loro sensibilità in un rapporto multiforme non solo nei confronti della storia, ma anche nei confronti degli altri uomini.
Tale frammentazione della personalità è sempre stata, e sempre sarà, lo strumento migliore per i vari atti disumani nell'interesse delle varie situazioni di costrizione dell'uomo.
È per questo che oggi, insieme con il compito essenziale di trasformare la pratica umana come è stato sinora, la pratica del dominio di classe e del dominio sull'uomo in generale - la priorità deve essere data simultaneamente alla reintegrazione dell'uomo quale essere di prassi.
da “On the problem of practice”, Praxis, 1965,1, pp. 41-48.
[1] “Accade oggi alla dottrina di Marx quel che è spesso accaduto nella storia alle dottrine dei pensatori rivoluzionari e dei capi delle classi oppresse in lotta per la loro liberazione. Le classi dominanti hanno sempre ricompensato i grandi rivoluzionari, durante la loro vita, con incessanti persecuzioni; la loro dottrina è stata sempre accolta con il più selvaggio furore, con l'odio più accanito e con le più impudenti campagne di menzogne e di diffamazioni. Ma, dopo morti, si cerca di trasformarli in icone inoffensive, di canonizzarli, per così dire, di cingere di una certa aureola di gloria il loro nome, a "consolazione" e mistificazione delle classi oppresse, mentre si svuota del contenuto la loro dottrina rivoluzionaria, se ne smussa la punta, la si avvilisce. La borghesia e gli opportunisti in seno al movimento operaio si accordano oggi per sottoporre il marxismo a un tale "trattamento". Si dimentica, si respinge, si snatura il lato rivoluzionario della dottrina, la sua anima rivoluzionaria. Si mette in primo piano e si esalta ciò che è o pare accettabile alla borghesia.” (V. Lenin, Stato e rivoluzione, https://www.marxists.org/italiano/lenin/1917/stat-riv/sr-1cp.htm)
[2] K. Marx. Il capitale, Volume I, Terza sezione: La produzione del plusvalore assoluto, ed. it. pagg. 195-196, Editori Riuniti 1973
[3] E. Fromm, Il concetto di uomo di Marx. Con una traduzione dai Manoscritti economico-filosofici di Marx di T.B. Bottomore, ed. originale, New York 1961, pagg. 148-149