CLASSE, COSCIENZA E POTERE [Parte prima]

Creato: 22 Luglio 2014 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 11980
Dalla  rivista  D-M-D' n °8
In questa ricerca ci si propone di affrontare il tema della costituzione delle classi, quello della coscienza e, sotto questi punti di vista particolari, il problema del partito e del potere di classe. L'obiettivo è approfondire una questione fondamentale della teoria comunista, discutendolo alla luce della concezione materialistica della storia.

Un primo elemento di analisi verte sul processo di costituzione in classe, ragionando sul nesso tra le condizioni socio-economiche, le posizioni, i rapporti, gli interessi, gli antagonismi tra classi, le sfere organizzativa e coscienziale. Un secondo elemento è quello delle ideologie intese come falsa coscienza, del feticismo come uno dei tratti specifici del capitalismo, e delle relazioni tra interessi di classe, feticismo, ideologie e dominio (anche) ideale delle classi dominanti. Il terzo punto affrontato in questa prima parte introduce il problema delle forme di coscienza imputabili alle classi.

Un primo aspetto. Una classe in sé?

Una tradizione consolidata vuole il proletariato una “classe in sé”, che, mediante la maturazione o l'importazione di una coscienza di classe, può diventare “per sé”, lottando finalmente per i propri interessi[1].

In un libro del 1921, La teoria del materialismo storico, Bucharin sintetizza il concetto così: la posizione di una classe nella produzione genera non solo interessi ma anche una psicologia, una ideologia e una coscienza di classe; tuttavia la comprensione di tali interessi di classe non è mai prodotta immediatamente. Accade così che si arriva a “una posizione in cui la classe già esiste come insieme di uomini che svolgono un determinato ruolo nel processo della produzione, ma ancora non esiste come classe cosciente di sé. La classe qui esiste, ma essa ancora 'non è cosciente'. Essa è presente come fattore della produzione. E' presente come determinato insieme di rapporti produttivi. Ma qui ancora non c'è come forza sociale determinata, che sa che cosa vuole, a che cosa tende, e che è cosciente della sua particolarità, della contraddittorietà dei suoi interessi agli interessi delle altre classi, etc.. Per marcare queste diverse situazioni nel processo di sviluppo delle classi”, prosegue Bucharin, “Marx usa due espressioni: classe 'in sé' chiama la classe che ancora non è cosciente di sé come classe; classe 'per sé' chiama la classe che è già cosciente del suo ruolo sociale. Questo è ben chiarito da Marx”, si continua, “nella Miseria della filosofia sull'esempio dello sviluppo della classe operaia”. Bucharin cita quindi Marx:

“E' ben sotto la forma delle coalizioni che hanno sempre avuto luogo i primi tentativi degli operai per associarsi tra loro. La grande industria raccoglie in un solo luogo una folla di persone, sconosciute le une alle altre. La concorrenza le divide, quanto all'interesse. Ma il mantenimento del salario, questo interesse comune che essi hanno contro il loro padrone, li unisce in uno stesso proposito di resistenza: coalizione. Così la coalizione ha sempre un duplice scopo, di far cessare la concorrenza degli operai tra loro, per poter fare una concorrenza generale al capitalista. Se il primo scopo della resistenza non è stato che il mantenimento dei salari, a misura che i capitalisti si uniscono a loro volta in un proposito di repressione, le coalizioni, dapprima isolate, si costituiscono in gruppi e, di fronte al capitale sempre unito, il mantenimento dell'associazione diviene per gli operai più necessario ancora di quello del salario. Ciò è talmente vero che gli economisti inglesi rimangono stupiti a vedere come gli operai sacrifichino una buona parte del salario in favore delle associazioni che, agli occhi di questi economisti, non sono stabilite che in favore del salario. In questa lotta – vera guerra civile – si riuniscono e si sviluppano tutti gli elementi necessari a una battaglia che si prospetta nell'immediato futuro. Una volta giunta a questo punto, l'associazione acquista un carattere politico. Le condizioni economiche avevano dapprima trasformato la massa della popolazione del paese in lavoratori. La dominazione del capitale ha creato a questa massa una situazione comune, interessi comuni. Così questa massa è già una classe nei confronti del capitale, ma non ancora per se stessa. Nella lotta, della quale abbiamo segnalato solo alcune fasi, questa massa si riunisce, si costituisce in classe per se stessa. Gli interessi che essa difende diventano interessi di classe” (corsivo di Bucharin)[2].

La popolarità dello schema “classe in sé – classe per sé” è tale che è piuttosto raro trovare nella letteratura chi lo mette in discussione. E' diventato un “truismo”[3]. E benché “in sé” e “per sé” vengano di norma virgolettati, come ad alludere a una diretta citazione di Marx, quest'ultimo, come abbiamo visto, nella Miseria della filosofia[4] ha invece parlato di classe nei confronti del capitale (classe vis-a-vis du capital) e classe per se stessa (classe pour elle-meme).

Questa tradizione è così radicata che ha creato anche in lingua francese un fenomeno quantomeno curioso. Nella letteratura francese, quando si parla di “classe in sé” e “classe per sé”, si impiegano “classe en soi” e “classe puor soi”; non solo si decide che “classe vis-a-vis du capital” debba diventare “classe en soi”, “classe in sé”, ma anche l'originale “classe pour elle-meme”, “classe per se stessa”, viene modificato in “classe pour soi”. Così si adeguano le espressioni di Marx alle traduzioni usate in francese per gli hegeliani an sich e für sich, creando un'identità che è tutt'altro che evidente, e, riteniamo, appropriata.

Un esempio ci viene offerto dallo stesso capitolo prima citato di Bucharin, che nell'edizione francese recita:

Pour désigner ces états divers dans le processus de l'évolution des classes, Marx emploie deux expressions: il appelle classe «en soi» une classe n'ayant pas encore conscience d'elle-même; il appelle classe «pour soi» une classe ayant déjà pris conscience de son rôle social. Dans la Misère de la Philosophie, (Stuttgart 1920, p. 161-162), Marx déclare:

«[....] Ainsi cette masse apparaît déjà comme une classe par rapport au capital, mais non encore comme une classe pour elle-même. Dans la lutte dont nous avons indiqué quelques phases, la masse se trouve elle-même, se constitue comme classe pour elle-même. Les intérêts qu'elle défend deviennent des intérêts de classe.»”[5]. Riportando in francese il brano di Marx, che Bucharin aveva ovviamente tradotto in russo, “classe vis-a-vis du capital” è diventata “classe par rapport au capital”, non creando comunque grossi problemi. “Classe pour elle-même” è rimasta tale. Ma l'una e l'altra, come si vede, sono citate incredibilmente per dimostrare che Marx impiega le due espressioni “classe en soi” e “classe pur soi”.

Ma, in ogni caso, il significato è lo stesso?

Probabilmente dopo che, nella traduzione in tedesco, Kautsky e Bernstein hanno reso pour elle-meme (per se stessa) con für sich[6], il rimando alla medesima espressione hegeliana è suonato automatico. E il für sich è stato messo in relazione con l'an sich, l'in sé.

Marx adopera talvolta i termini an sich e für sich; quando non scrive “in sé e per sé” secondo il senso comune, il rifermento a un'accezione hegeliana è piuttosto evidente. Così, ad esempio, nella Critica della filosofia hegeliana del diritto pubblico o nella Critica della dialettica e della filosofia hegeliana in generale. Non è senz'altro il caso di ripercorrere la frequenza e l'impiego di an sich e für sich nell'idealismo hegeliano, ma, detto in estrema sintesi, l'in sé è il momento dell'identità, della razionalità pura, il per sé è negazione, è relazione, è il riferir-si e l'auto-por-si attraverso l'altro. Nota Grassi: “Marx non parla mai di classe in sé e per sé... Si limita a definire 'classe per sé' il proletariato nel momento in cui, divenuto consapevole del proprio ruolo entro le leggi del modo di produzione, si organizza come forza autonoma e polemica.  ... In questo caso quindi il per sé indica il ritorno in sé della coscienza operaia, dopo un periodo di alienazione sotto il dominio del capitale. Il lavoro ormai si contrappone consapevolmente all'altro da sé, di cui pure è correlativo”[7]. Quindi la coscienza operaia come l'Idea in sé che, nella Natura è Idea fuori di sé e quindi si aliena, e Idea che ritorna a sé dall'alienazione, come Spirito, divenendo in sé e per sé. O, ancora, la classe come l'“embrione” che per Hegel è indubbiamente “in sé l'uomo, non lo è tuttavia per sé; per sé lo è soltanto come ragione spiegata, fattasi ciò che essa è in sé; soltanto questa è la sua effettuale realtà”[8]. Lo schema classe in sé e per sé, a nostro avviso, è del tutto inutile ai fini della descrizione di “classe nei confronti del capitale” e “classe per se stessa”, e allo stesso tempo apre all'evidente rischio di una forma restaurata di idealismo, dove la Coscienza operaia veste i panni dell'Idea.

Una necessaria osservazione ulteriore: l'utilizzo dei concetti di “classe in sé” e “classe per sé” è spesso, in verità, appena nei termini del materialismo volgare. Riteniamo cioè che accanto all'accezione idealistica, e in misura preponderante rispetto a questa, si sia consolidato una forma di populismo dell'in-sé e per-sé, che parte da una banalizzazione triviale dei due concetti. In questa accezione “classe in sé” non è altro che una classe oggettivamente esistente e reale in base a una posizione nei rapporti di produzione, è un ente prodotto dalle condizioni economiche. Una vera ipostatizzazione, ontologica o sociologica a seconda delle letture[9], di una realtà che invece per Marx è dinamica e, come vedremo, determinata attraverso specifiche relazioni. Questa “classe”, così ipostatizzata, può divenire “per sé” mediante la maturazione, o l'importazione, di una coscienza della propria situazione obiettiva e della conseguente organizzazione e mobilitazione in direzione del suo superamento.

Gli elementi tenuti in considerazione da Marx invece offrono un quadro ben più ricco.

L'aspetto che sosteniamo essere caratterizzante è che le classi si costituiscano essenzialmente attraverso una correlazione antagonistica.

La costituzione delle classi

Il capitale e il lavoro salariato sono due termini di uno stesso rapporto. L'uno condiziona l'altro...[10]. Dal punto di vista storico, borghesia e proletariato moderno conoscono un co-sviluppo, cui corrisponde anche lo sviluppo della loro reciproca lotta[11]; “il capitale presuppone dunque il lavoro salariato, il lavoro salariato presuppone il capitale. Essi si condizionano a vicenda; essi si generano a vicenda[12].

Ma cosa fa sì che degli individui costituiscano delle classi? “I singoli individui”, è scritto nell'Ideologia tedesca, “formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un'altra classe; per il resto essi stessi si ritrovano l'uno di contro all'altro come nemici, nella concorrenza”.[13]

Una classe si forma, dunque, in base a una correlazione conflittuale, attorno a un essere contro un'altra classe. E' un punto determinante della concezione marxiana. Per definire il “proletario”, si può adoperare un criterio economico, ritrovando così “unicamente l'operaio salariato che produce e valorizza 'capitale'”[14]. Questi proletari sono gli individui che lo sviluppo delle condizioni economiche ha strappato all'antica civiltà pre-industriale. Tra di loro vigono, a causa delle reciproca concorrenza, relazioni ostili, ma, come avviene anche per la borghesia, maturano interessi comuni solo nella misura in cui si trovano contrapposti a un'altra classe. Se questo è vero per entrambe le classi, è più chiaro perché il processo di formazione di una classe non è e non può essere unilaterale, ma passa necessariamente per una relazione con un'altra classe.

Tra i proletari, interessi comuni e situazione comune nascono sotto la dominazione del capitale, in quanto è una forma di relazione essa stessa. In prima battuta è proprio la borghesia che, storicamente, vincola a una prima agglomerazione in massa i vari proletari, ed è lo sviluppo industriale che fa accrescere la riunione in grandi masse degli operai, la loro forze conseguente e così la coscienza di avere tale forza[15]. Un problema non da poco diventa inquadrare le conseguenze della tendenza contemporanea a smantellare, almeno nei paesi di storia capitalistica più risalente, queste grandi concentrazioni proletarie. E' un argomento su cui dovremo tornare.

Il punto è questo: da un certo punto di vista, questa massa di lavoratori è una classe; ma non lo è per se stessa, non è cioè una classe perché sta difendendo i propri interessi generali (di classe appunto). E' definibile classe, in una certa misura, in quanto lo è per il capitale, nei confronti del capitale.

Le classi, insomma, non sono un ente o un gruppo definito solo con criteri economico-politici, sociologici o addirittura ontologici: i proletari sono una classe non in sé, perché in sé, a essere rigorosi, non esisterebbero né in quanto lavoratori né tanto meno in quanto classe sociale. Sono una classe proprio grazie a un per-altro, nella misura in cui c'è un capitale il cui sistema economico-sociale fa, della massa della popolazione, dei lavoratori, che li domina e, dominandoli, crea due elementi caratteristici nella determinazione di una classe: condizioni e interessi comuni. D'altronde, un in-sé, nel senso di indipendente da ogni altro-da-sé, può essere solo l'intero[16], mentre il proletariato, si è visto, è termine di un rapporto; né serve ad alcunché intendere in-sé nell'accezione di qualcosa di implicito, di immaturo, di inconsapevole, ripristinando inutilmente uno schema idealistico.

Il proletariato come classe non in-sé, dunque, ma per-altro, per-l'-altro-da-sé per eccellenza che è il suo antagonista, ovvero per-il-capitale. Non ancora, dunque, classe per se stessa, che esiste lottando per i propri interessi.

Anche qui cogliamo immediatamente il carattere dinamico: esistere come classe per se stessa significa agire come classe per se stessa, nella lotta contro la classe antagonista, lotta che in questi termini è già e sempre politica[17] e che rappresenta la dimensione nella quale la massa di lavoratori si riunisce costituendosi in classe per se stessa. E lo fa organizzandosi in classe, un processo che viene di continuo ostacolato, vinto, spezzato, proprio a causa della concorrenza fra lavoratori, ma l'organizzazione in classe “insorge sempre e di nuovo, più poderosa e più compatta”[18]. Ecco “l'intento dei comunisti”: la “formazione del proletariato in classe...”[19]. Organizzarsi in classe, sottolineano Marx e Engels nel Manifesto, significa organizzarsi in partito politico[20]: un problema importante che dovremo affrontare successivamente.

Questo percorso di costituzione in classe, che esclude l'ipostatizzazione della stessa, è stato affrontato già dalla borghesia. Essa si costituì, in una lunga fase di lotte, come classe sotto il regime feudale e monarchico; essendo così costituita contro la feudalità, la poté rovesciare facendo posto alla propria società. Gli elementi rivoluzionari borghesi poterono costituirsi in classe attraverso la lotta, avendo come precondizione l'esistenza di tutte le forze produttive che la vecchia società poteva generare.[21]

Questo processo di costituzione delle classi viene ripreso da Marx ne Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte. Parlando dei contadini piccoli proprietari francesi, scrive: “Nella misura in cui milioni di famiglie vivono in condizioni economiche tali che distinguono il loro modo di vita, i loro interessi e la loro cultura da quelli di altre classi e li contrappongono ad esse in modo ostile, esse formano una classe. Ma nella misura in cui tra i contadini piccoli proprietari esistono soltanto legami locali e la identità dei loro interessi non crea tra di loro una comunità, una unione politica su scala nazionale e una organizzazione politica, essi non costituiscono una classe”[22].

Anche qui ritroviamo che in un certo senso e misura si forma una classe in virtù di condizioni, interessi comuni. Viene anche qui sottolineato che tali caratteri fanno dei contadini una classe proprio in quanto essi li distinguono e li contrappongono (“in modo ostile”) alle altre classi. Si ribadisce che la relazione con le altre classi è un elemento di determinazione delle classi stesse, intendendo assieme la possibilità di distinzione dell'una dall'altra e l'essere l'una contro l'altra. Ma ciò è sufficiente solo in una certa misura a formare una classe: per le loro caratteristiche, e a differenza dalla borghesia e dal proletariato, i contadini non possono superare legami solo locali, e gli interessi che li accomunano non sono tali da costituire una “comunità”, una “unione politica” nazionale, “una organizzazione politica”. In questa misura più specifica, i contadini di cui parla il passaggio non costituiscono affatto una classe, non possono e mai potranno (a differenza, ancora, di borghesia e proletariato) essere una classe costituita per se stessa, che opera per i propri interessi. Sono una classe nei confronti delle altre classi, e non potranno mai valicare questo limite: il loro stesso modo di produzione glielo impedisce. Per questa ragione non possono rappresentare se stessi, ma politicamente devono essere subordinati e rappresentati da altri.

Forme di coscienza. Qualche prima considerazione

Marx dunque scrive, abbiamo visto, che

  1. la massa di lavoratori esiste come classe nei confronti del capitale
  2. si riunisce nella lotta
  3. si costituisce in classe per se stessa, in un lungo percorso di lotte
  4. difende adesso interessi di classe
  5. fa della lotta stessa una lotta politica, portando il livello della lotta a quello di una classe contro un'altra.

Nonostante Marx non parli qui della coscienza, il passaggio a classe per se stessa viene costantemente inteso come la assunzione da parte del proletariato di un'autocoscienza, di una coscienza di classe. Ma c'è, e se c'è qual è, un posto per la coscienza in questo processo?

Il punto di partenza è che nella società del Capitale si impone una falsa-coscienza (ideologia) che rovescia la realtà a servizio, di fatto, dello stesso dominio capitalistico. E per la produzione di una coscienza comunista è necessaria una rivoluzione che spazzi via il sudiciume della vecchia società, e volti pagina alla storia degli uomini.

La classe che lotta politicamente contro il capitale non può compiutamente fuoriuscire dalla soggiacenza alla falsa-coscienza borghese, non è nelle condizioni storiche di conoscere già una produzione in massa di una coscienza comunista[23].

Un passaggio particolarmente interessante dell'Ideologia tedesca sui “veri socialisti” ci fornisce qualche altro elemento di riflessione. “Nella realtà”, è detto, “si hanno da una parte i proprietari privati reali e dall'altra i proletari comunisti senza proprietà” (i termini qui impiegati vanno contestualizzati rispetto alla polemica specifica, cui ci limitiamo a rimandare[24]); “questa opposizione”, proseguono Marx ed Engels, “diventa ogni giorno più aspra e spinge verso una crisi. Se dunque i rappresentanti teorici dei proletari vogliono arrivare a qualche risultato con la loro attività letteraria, debbono innanzi tutto insistere affinché vengano rimosse tutte le frasi che impediscono di avere viva coscienza dell'asprezza di questa opposizione, tutte le frasi che celano questa opposizione e che offrono anche ai borghesi l'occasione di accostarsi ai comunisti, al fine di garantirsi la sicurezza, per mezzo delle loro fanfaluche filantropiche.”[25]

Una coscienza dell'opposizione tra proletari e borghesi. Proletari comunisti, è precisato, e più avanti viene detto che, in Germania, le tradizioni filosofiche e l'assenza di antagonismi di classe indeboliscono quella che Marx ed Engels definiscono la “coscienza comunista”, la “coscienza della totale opposizione tra il comunismo e l'ordine di cose esistente”.[26]

A livello di massa, come vedremo meglio, è solo attraverso una rivoluzione che può prodursi una coscienza comunista: stiamo parlando qui di una coscienza che, poiché non può esser nient'altro che “l'esser cosciente”[27], corrisponde a proletari che stanno vivendo complessivamente una trasformazione epocale (la transizione rivoluzionaria tra capitalismo e comunismo); proletari che, in quanto classe, producono una coscienza collettiva[28] di questa realtà che diviene, di questo movimento reale che chiamiamo comunismo.

Questo divenire, che è rivoluzione, è un processo dinamico di distruzione di limiti, di catene, di gabbie, per i singoli individui, per le loro vite, per i loro modi di esistere e di relazionarsi gli uni con gli altri, e quindi di tutto il sistema sociale ed economico, a partire dalle sue forze produttive[29]. Dalla negazione delle categorie del capitale nella fase di transizione all'affermazione del comunismo sulle basi della società precedente, quella capitalistica, e ancora all'evolvere del comunismo stesso partendo finalmente da se stesso, l'esistenza degli individui, i loro modi d'essere, le loro relazioni, e quindi le loro coscienze, conosceranno tali trasformazioni da rendere chiaro che questa stessa “coscienza comunista” non è qualcosa di statico, ma di storico e quindi essa stessa in divenire, in una corrispondenza non meccanica con le sue basi. E, in ragione degli stessi criteri, una classe che si sta sollevando contro il dominio della borghesia, una classe che si è costituita e lotta per se stessa, vede diffusa nel suo seno una coscienza che possiamo definire rivoluzionaria. Ma tali forme di coscienza possono svilupparsi spontaneamente? Questa domanda implica le altre seguenti: una coscienza rivoluzionaria può svilupparsi a partire dall'esperienza (di sfruttamento, di lotta, di organizzazione)? E' questo il senso di costituirsi in classe per se stessa “nella lotta”? Qual è il ruolo della teoria? Qual è il ruolo del partito comunista? E soprattutto, da dove partiamo: qual è la “coscienza comune”?

Ideologie e feticismo: come funziona la camera oscura del capitalismo

“Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza”.[30]

La coscienza, nelle sue determinate forme sociali, sorge dalla necessità di rapporti tra uomini, e vi corrisponde[31]. Non si tratta di nulla di mistico: “la coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall'essere cosciente, e l'essere degli uomini è il processo reale della loro vita”[32]. La classe intera crea, “al di sopra delle differenti forme di proprietà e delle condizioni sociali di esistenza”[33], ma con una forma basata su di esse[34], la coscienza quale prodotto sociale[35], una sovrastruttura di impressioni, illusioni, particolari modi di pensare e particolari concezioni della vita[36].

Ma come in una camera oscura che capovolge gli oggetti immortalati, sono proprio i rapporti tra esseri umani, e gli esseri umani stessi, che appaiono capovolti in quella che Marx chiama “l'intera ideologia”. Le sue forme, dalla morale alla religione, alla metafisica, e le forme di coscienza che vi corrispondono, sono capovolte dal “processo storico” della vita degli uomini stessi[37].

La concezione dell'ideologia come falsa coscienza, così determinata dal processo storico, a nostro avviso getta già un ponte verso la teoria del feticismo che, in piena maturità, Marx svilupperà nelle pagine de Il Capitale, prendendo le mosse dal carattere feticistico delle merce:

“L'enigma della forma merce consiste dunque semplicemente nel fatto che, a guisa di specchio, essa rinvia agli uomini l'immagine dei caratteri sociali del loro lavoro come caratteri oggettuali (Gegenständlische) degli stessi prodotti del lavoro, proprietà naturali sociali di questi oggetti; quindi rinvia loro anche l'immagine del rapporto sociale fra i produttori da un lato e il lavoro complessivo dall'altro come rapporto sociale fra oggetti, rapporto esistente al di fuori dei produttori medesimi”[38]. “Nel valore di scambio”, scriveva anche nei Lineamenti, “la relazione sociale tra persone è trasformata in un rapporto sociale tra cose; la capacità personale in una capacità delle cose”[39].

La teoria del feticismo approfondisce e specifica il carattere storico del capovolgimento della realtà nell'ideologia. Vigendo il capitalismo è la realtà stessa che, come scrive efficacemente Godelier,  si manifesta “necessariamente in una forma che la dissimula”, presentandosi rovesciata “alla coscienza spontanea degli individui che vivono nel mondo delle merci. Tale modo della realtà di manifestarsi a rovescio costituisce così il punto di partenza obbligato delle rappresentazioni spontanee degli individui concernenti i loro rapporti economici. Queste rappresentazioni e gli sviluppi ideologici che lo consolidano e che sono elaborati così bene dagli economisti volgari come da altre categorie di ideologi, costituiscono nella coscienza degli individui un dominio più o meno coerente di fantasmi spontanei e di credenze illusorie attinenti alla realtà sociale in cui essi vivono”.[40] E sottolinea: “il carattere feticistico delle merci non è dunque effetto della alienazione delle coscienze, ma effetto nelle coscienze e per le coscienze della dissimulazione della realtà dei rapporti sociali dentro e sotto le loro apparenze”[41]. Il richiamo di questo brano agli ideologi fa chiudere il cerchio con l'ultimo elemento: il ruolo degli ideologi in un “rovesciamento” falsificante della realtà, che non intendiamo quindi come un complotto del potere, orchestrato dietro le quinte per ingannare i lavoratori, ma appunto come il manifestarsi necessario della realtà sotto il regime capitalistico.

Gli ideologi elaborano queste manifestazioni della realtà, consolidandone il capovolgimento. Nell'Ideologia tedesca il paragrafo “perché gli ideologi capovolgono tutto” è costituito da poco più di veloci annotazioni, ma aiuta a inserire un ulteriore elemento: la divisione del lavoro, oltre ad aver reso storicamente possibile l'emergere e la distinzione di mestieri quali quelli di religiosi, giuristi, politici, moralisti e così via, determina un autonomizzarsi delle stesse professioni. Ognuna viene ritenuta dai suoi praticanti l'ambito della verità, e, annotano Marx ed Engels, “... i rapporti diventano concetti in giurisprudenza, politica: nella coscienza; poiché essi non escono da questi rapporti, anche i concetti di questi sono concetti fissi nella loro testa; ... Idea del diritto. Idea dello Stato. Nella coscienza comune la cosa è capovolta”.[42] Il fenomeno va inquadrato nella sua complessità: se vedessimo solo l'impoverimento che consegue questa frantumazione dei saperi, ci limiteremmo a sostituire l'apologetica della società del capitale con il suo discredito. Ma c'è anche da considerare che solo la forte parcellizzazione dei campi di indagine ha potuto consentire, storicamente, di raggiungere risultati significativi: “... sono stati proprio il grado stesso di serietà che questo processo imprimeva alle singole discipline e la ricchezza dei risultati concreti che esso consentiva di raggiungere, a far sorgere nello 'scienziato specialista' una fiducia così dogmatica nel suo tipo di lavoro, da non permettergli nemmeno di porsi il problema se esso necessitasse di una qualche integrazione o di un coordinamento con il lavoro dei ricercatori impegnati in altri campo di indagine”, osservava Geymonat[43]. C'è insomma quella stessa contraddittorietà che sotto un profilo storico caratterizza la divisione del lavoro, e che solo storicamente, appunto, può essere compresa: fattore di avanzamento da una parte, origine di vera e propria barbarie dall'altra.

Concludendo, c'è un primo aspetto, che è il necessario manifestarsi, in regime capitalistico, della realtà in maniera dissimulata. L'ideologia, la falsa coscienza di sé, del mondo, delle relazioni che si intrattengono con gli altri e con l'ambiente, scaturisce dal processo storico della vita stessa. Come commenta ancora Godelier, “ciò che scompare per l'effetto di tali inversioni e metamorfosi è precisamente il rapporto reale degli individui con le loro condizioni materiali di esistenza. Questo rapporto diventa allora opaco e per sempre indecifrabile al livello della coscienza sociale spontanea.”[44] E' insomma “solo il rapporto sociale ben determinato esistente fra gli uomini che qui assume ai loro occhi la forma fantasmagorica di un rapporto tra cose”[45].

Un secondo aspetto è che gli ideologi elaborano queste manifestazioni dissimulate della realtà, inscrivendole nelle categorie delle rispettive discipline, potenziando tale rovesciamento. Le idee dominanti sono le idee della classe dominante[46]. Ciò avviene anche prescindendo dal grado di consapevolezza degli ideologi, poiché il “rovesciamento”, per le ragioni esposte, non è il frutto di una loro “cospirazione”, non consegue soltanto il loro lavoro di elaborazione.

Ma c'è anche una importante forma di mistificazione. La lotta di classe influenza, fino ad annullare, il grado di indipendenza e scientificità della ricerca. Da quando “... la borghesia aveva conquistato il potere in Francia e Inghilterra... la lotta di classe, sul piano pratico come sul piano teorico, assunse forme sempre più nette e minacciose. Essa suonò la campana a morto per l'economia scientifica borghese. Il problema non era più se questo o quel teorema fosse vero, ma se fosse utile o dannoso, comodo o scomodo per il capitale, lecito o illecito dal punto di vista poliziesco. Alla ricerca disinteressata subentrò la rissa a pagamento, alla indagine scientifica obiettiva subentrarono la coscienza inquieta e le cattive intenzioni dell'apologetica”.[47]

Per dirla altrimenti, questa falsificazione viene naturalmente “rafforzata, alimentata, inculcata in ogni modo dalle classi dominanti.”[48]

Merci, propaganda, mass media e ideologia

L'attenzione di scienziati politici, sociologi, psicologi e filosofi per i mass media continua a crescere da oltre un secolo. Nelle sue tormentate vicende, il Novecento è stato anche il secolo della propaganda, “un insieme di metodi utilizzati da un gruppo organizzato per conseguire il consenso, attivo o passivo, della massa in relazione ad azioni politiche, talvolta anche attraverso manipolazioni psicologiche”[49]. L'organizzazione della propaganda, con organismi ed Enti preposti, specialisti, mezzi e risorse, si andò affinando nel tempo. La sua qualità, se vogliamo, è misurabile dal grado di discrezione con cui opera. Un adagio popolare vuole che la più grande abilità del diavolo sia far credere che non esista. Qualcosa del genere accade anche con la società di classe e con la sua propaganda. E' abissale, da questo punto di vista, la distanza tra la sezione “Politica e informazioni” dello Stato maggiore imperiale tedesco[50] e le forme moderne di diffusione ideologica. Lo sviluppo della psicologia delle masse divenne un tassello fondamentale di questa evoluzione. “In particolare il sociologo Gabriel Tarde e il giornalista Gustave Le Bon avevano cercato di capire perché, quando gli individui si trovano in gruppi di vaste dimensioni, tendono a far funzionare meno le proprie capacità intellettuali, mostrando comportamenti uniformi tanto da far pensare a una sorta di unità mentale collettiva. In questo quadro essi parlarono di suggestione”[51].

La diffusione del cinematografo non poteva pertanto non attrarre, dopo breve tempo, l'attenzione degli statisti, ma anche dei rivoluzionari. In un articolo pubblicato dalla Pravda nel 1923, Trotsky ad esempio coglie nel cinema “l'arma più potente” per soddisfare insieme il desiderio di svago e il bisogno di educazione collettiva[52]. E lamentava: “il fatto che siano trascorsi sei anni senza che abbiamo preso possesso del cinema, mostra che siamo lenti e incapaci di comprendere. ... il cinema entra in concorrenza non solo con il bar ma anche con la Chiesa; questa rivalità potrebbe essere fatale a quest'ultima se potessimo contrapporre alla chiesa separata dallo Stato socialista la fusione dello Stato socialista con il cinema.”[53]

Lo stesso del resto fu compreso dalla borghesia di tutto il mondo. Alcuni esempi particolarmente lampanti sono l’intruppamento dei personaggi della Walt Disney contro il nazismo, o l’esaltazione di Stalin attraverso cartoni animati dove bambini russi invocavano un abbraccio del “piccolo padre dei popoli”. Film, cinegiornali, giornali cartacei, radio, furono impiegati non solo dal potere per rafforzare, alimentare, inculcare le sue ideologie[54], ma divennero anche tra i principali oggetti d'attenzione dei suoi analisti o critici. Basti pensare agli studi sull'industria culturale da parte della Scuola di Francoforte[55] e a quelli sui mass media della sociologia europea e americana. Il diffondersi di tv, poi computer e telefoni cellulari sempre collegati alla rete internet, hanno amplificato la potenza di trasmissione ideologica delle classi dominanti a dismisura.

I mass media trasmettono costumi, bisogni fittizi, valori, un'intera immagine del mondo. Ma non si tratta di spegnere il televisore e sfuggire così alla presa dell'ormai proverbiale Grande Fratello di Orwell[56]. E' ogni merce, non solo ogni messaggio mediatico, che veicola ideologia.

Giorgio Paolucci ha proposto in un articolo apparso su Prometeo[57] la sintesi di “pensiero-merce”; partendo dall'analisi dei bisogni fittizi prodotti e diffusi anche attraverso i mass media, si notava: “... proprio perché più che mai correlate a bisogni indotti dalle esigenze dell'accumulazione e della conservazione capitalistica, queste merci incorporano oltre al lavoro vivo e morto di cui si sostanziano anche l'«anima» del capitale. In esse c'è di conseguenza tutto il punto di vista della borghesia, la sua concezione del mondo e della vita, tutta la sua ideologia e sottrarsene è per molti versi quasi impossibile.”

Il punto saliente è il fatto che tali merci vengono prodotte per un consumo di massa, ma individuale, anche laddove sarebbe più “opportuno e meno costoso” l'impiego di beni di uso collettivo. Merci da consumare individualmente, dunque, potenziando la riduzione di ognuno a un “universo a sé stante”[58], merci che, volendo generalizzare, implicano un tipo di consumo che informa il consumatore stesso a modelli, stili di vita, pensieri, aspettative, desideri sintonici con l'ordine borghese.

Siamo dinanzi a “un tale affinamento e una tale capillarità” dei processi di riproduzione ideologica “a livello di massa che spesso si tende addirittura a individuare in essi la base stessa del dominio ideologico della borghesia, che invece mai come oggi è stato così direttamente collegato alla produzione delle merci e alla mercificazione di ogni momento della vita sociale e anche, appunto, quello della produzione di idee”. Prosegue quindi Paolucci: “Altro che merci immateriali! Qui siamo davanti alla materializzazione, mediante la sua mercificazione, perfino dell'ideologia, a una sorta di «pensiero-merce» che condiziona l'esistenza degli individui al di là della loro stessa volontà, imponendo con la forza delle cose stili di vita e valori che sono propri della classe dominante”.[59]

La riflessione di Paolucci ci sembra particolarmente importante. Detto in breve per ritrovare una sintesi generale: il capitale, nella sua fase attuale, produce merci destinate a un consumo individuale di massa, corrispondenti a bisogni fittizi, a loro volta imposti attraverso vari strumenti, impliciti ed espliciti, tra cui i mass media; il carattere feticistico sempre proprio delle merci viene potenziato anche dai messaggi che le accompagnano. Introduciamo qui un breve appunto: la tormentata riflessione di Adorno sulla distinzione, oggi, tra arte e reclame, non investe forse tutta la comunicazione? Cosa distingue la pubblicità del “mondo così com'è”[60] da ogni messaggio che, attraverso un qualsiasi medium di massa, ne veicola, appunto, valori, forme, persuasioni di eternità?

Lo stesso consumo di tali merci, per come è congegnato, rappresenta un ulteriore elemento di conformazione ideologica. Ovvero: usando date merci in dati modi, si riproduce un modo di esistere proprio della società del capitale e a essa coerente. Le merci, in modalità che - pur non essendo inedite - non hanno precedenti per forza e amplificazione, includono un ulteriore veicolo della coscienza rovesciata che, mistificando la natura della società attuale, è al servizio della sua conservazione.

Una coscienza teorica di classe

Un'economia scientifica borghese, abbiamo detto sopra, muore non appena il lavoro di svelamento della legge economica di movimento della società[61] entra in conflitto con gli interessi di una classe divenuta finalmente dominante.

Questo lavoro di svelamento, obiettivo esplicito de Il Capitale[62], si rivolge ora contro la borghesia. Il fatto stesso che esistano idee rivoluzionarie, d'altro lato, da una parte dimostra che “in seno alla società preesistente si son già sviluppati gli elementi di una società nuova, e che la dissoluzione degli antichi rapporti di vita va di pari passo con la dissoluzione delle antiche idee”[63], dall'altra presuppone già l'esistenza di una classe rivoluzionaria[64] .

Mentre in Francia e in Inghilterra l'economia scientifica borghese dovette morire quando la borghesia prese il potere e la lotta di classe divenne “netta e minacciosa” sia sul piano pratico che su quello teorico, in Germania tale economia scientifica borghese non fu mai possibile. Sviluppandosi lì il modo di produzione capitalistico successivamente, era già evidente il suo “carattere antagonistico”; non era più possibile quindi che in Germania potesse nascere una scienza borghese dell'economia politica, mentre invece era già più decisa la coscienza teorica di classe che il proletariato tedesco ormai possedeva[65]. E' interessante annotare sin da ora come sia possibile contrapporre la “coscienza comune”, spontanea, necessariamente capovolta, a una “coscienza teorica” di classe. Ci torneremo. Ma intanto ciò che distingue la coscienza teorica è proprio il lavoro di ricerca e di scoperta del rapporto essenziale, del substrato nascosto, che si manifesta, appunto rovesciato, nelle forme fenomeniche, che al contrario non richiedono di essere “scoperte”, svelate dalla scienza, perché queste forme “si riproducono in modo immediatamente spontaneo, come forme correnti del pensiero... L'economia politica classica tocca da vicino lo stato effettivo delle cose, senza però formularlo coscientemente. Non lo può, finché è rinchiusa nella sua pelle borghese”.[66]

Ma si può arrivare a forme di manifestazione del reale che non siano capovolte? A un livello generale, “solo quando i rapporti della vita pratica quotidiana presentino ogni giorno all'uomo relazioni limpidamente razionali col proprio simile e con la natura. La forma del processo di vita sociale, cioè col processo di produzione materiale, si spoglia del suo mistico velo di nebbia solo quando, come prodotto di uomini liberamente associati, sia sottoposto al loro controllo cosciente, e conforme ad un piano. ...”[67]

Diventa così chiaro perché non è possibile una “produzione in massa” di una “coscienza comunista” senza che si trasformino, “in massa”, gli uomini stessi (condizione, questa, anche del “successo” del comunismo stesso). Ecco il valore della rivoluzione: un movimento pratico indispensabile per abbattere la vecchia società, ma anche per produrre la nuova: “la classe che l'abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la società”[68].

[segue]



[1] La “missione storica” del proletariato è il “sovvertimento del modo di produzione capitalistico e la finale soppressione delle classi”, cfr. Karl Marx, Il Capitale, Libro I, UTET, Torino 2009, pag. 83.

[2] Nicolaj Ivanovic Bucharin, La teoria del materialismo storico (1921), Edizioni Unicopli, Milano 1983, pagg. 354-356. Il brano di Marx citato da Bucharin si trova, con differenze non significative nella traduzione, in Karl Marx, Miseria della filosofia (1847), Editori Riuniti, Roma 1993, pagg. 119-120.

[3] Così Edward Andrew, «Class in Itself and Class Against Capital: Karl Marx and His Classifiers», in Canadian Journal of Political Science / Revue canadienne de science politique, XVI:3, pagg. 577-584, Settembre 1983. Anche se arriva a desumerne implicazioni a nostro avviso politicamente reazionarie, l'autore riconosce correttamente che “Marx non ha mai fatto riferimento a classi in se stesse o distinto una classe in sé da una classe per sé”, ivi, pag. 577, trad. nostra.

[4] Karl Marx, Miseria della filosofia, op. cit., pagg. 119-120.

[5] Nicolas Boukharine, La théorie du matérialisme historique, Paris Moscou, 1921, édition électronique classiques.uqac.ca, Québec 2002

[6] Karl Marx, Friedrich Engels, Werke, Bd. 4, Dietz Verlag, Berlin 1974, pag. 181: “...eine Klasse gegenüber dem Kapital, aber noch nicht für sich selbst”

[7] Enrico Grassi, Il per sé in Hegel (für sich), webalice.it/grassi.enrico

[8] Cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, La Nuova Italia, Firenze 1973

[9] Cfr. su questo tema Luca Basso, Agire in comune, Ombre corte, Verona 2012, pag. 157: “Il tentativo marxiano consiste nell'indagare la classe evitando qualsiasi ipostatizzazione, sia di tipo ontologico sia di tipo sociologico.”

[10] Karl Marx, Lavoro salariato e capitale (1849), Editori Riuniti, Roma 1971, pag. 52

[11] Karl Marx, Miseria della filosofia, op. cit., pag. 80: “A misura che la borghesia si sviluppa, si sviluppa nel suo seno un nuovo proletariato, un proletariato moderno; si sviluppa una lotta fra la classe proletaria e la classe borghese....”; Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del partito comunista (1848), Newton, Roma 1994 pagg. 24-25: “commisuratamente allo svolgersi della borghesia, ossia del capitale, di pari passo si svolge il proletariato... il proletariato percorre diverse fasi di evoluzione. La sua lotta contro la borghesia comincia dalla sua nascita...”.

[12] Karl Marx, Lavoro salariato e capitale, op. cit., pag. 51

[13] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca (1845-1846), Editori Riuniti, Roma 1993, pag. 54

[14] Karl Marx, Il Capitale, vol. I, Utet, Torino 2009, pag. 783: “Dal punto di vista economico, per 'proletario' si deve intendere unicamente l'operaio salariato che produce e valorizza 'capitale', e viene gettato sul lastrico non appena risulti superfluo per le esigenze di valorizzazione di quel personaggio che Pecqueur chiama 'Monsieur Capital'.”

[15] Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del partito comunista, op. cit., pag. 26: “[In un] primo grado dello sviluppo gli operai formano come una massa incoerente dispersa per tutto il paese, e che le ragioni della concorrenza tengono sparpagliata”. Se vengono riuniti in massa, ciò avviene per azione della borghesia, mai propria. Con lo sviluppo dell'industria però il proletariato venne addensato in grandi fabbriche, vedendo crescere la sua forza e la sua coscienza di tale forza. “Gli interessi e i modi di vivere dei proletari si vanno di giorno in giorno riavvicinando ad un tipo comune... i conflitti fra operai e borghesi singoli vanno sempre più assumendo i caratteri di collisioni fra due classi”.

[16] Cfr. Georg Wilhelm Friedrich Hegel, Fenomenologia dello spirito, op. cit.; cfr. anche Charles Taylor, Hegel e la società moderna, Il Mulino, Bologna 1998. A sua volta, come già nei Manoscritti di Marx del 1844, un tale ente sarebbe qualcosa di irreale, che esiste solo nell'immaginazione.

[17] Cfr. anche Karl Marx, Miseria della filosofia, op. cit., pag.82: “... il proletariato non si è ancora sufficientemente sviluppato per costituirsi in classe, e di conseguenza la stessa lotta del proletariato non ha ancora assunto un carattere politico...”; e Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del partito comunista, op. cit., pag. 26: “...ogni lotta di classe è una lotta politica...”.

[18] Cfr. anche Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del partito comunista, op. cit., pag. 26

[19] Ivi, pag. 30

[20] Ivi, pag. 26

[21] Karl Marx, Miseria della filosofia, op. cit., pag.120

[22] Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte (1852), Editori Riuniti, Roma 1991, pag. 143

[23] Cfr. Ultra e Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca,  op. cit. pag. 29

[24] Cfr. Ivi: “I «Rheinische Jahrbücher» ossia la filosofia del vero socialismo”, pagg. 451 e ss.

[25] Ivi, pagg. 463-464

[26] Ivi, pag. 464

[27] Ivi, pag. 13

[28] Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, op. cit., pagg. 46-47

[29] Il punto non è tanto produrre di più, ma liberare le immense forze produttive sociali dai limiti borghesi. L'iper-produttivismo, o il suo rozzo rovescio, sono soltanto proiezioni di categorie borghesi su un futuro che non si è in grado di immaginare effettivamente in base alle potenzialità che invece ha e che sarebbero concretamente disponibili. E' una forma di socialismo reazionario che, mutatis mutandis, alberga oggi in molti ambienti “marxisti”.

[30] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca, op. cit., pag. 13. Cfr. anche Karl Marx, Prefazione alla Critica dell'economia politica (1869), Istituto Editoriale Italiano, Milano 1945, pag. 17: “Non è già la coscienza dell'uomo a determinare il suo essere, ma, al contrario, il suo essere sociale a determinare la sua coscienza”.

[31] Karl Marx, Prefazione alla Critica dell'economia politica, op. cit., pagg. 16-17: “Nella produzione sociale della loro vita, gli uomini entrano in determinati rapporti, necessari e indipendenti dalla loro volontà...”. I rapporti di produzione nel loro insieme costituiscono la base economica della società, cui “corrispondono determinate forme sociali di coscienza”; cfr. anche Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca, op. cit., pag. 20: “... la coscienza ... sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini. ...”.

[32] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca, op. cit., pag. 13

[33] Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, op. cit., pagg. 46-47

[34] Ibidem

[35] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca, op. cit., pag. 21

[36] Karl Marx, Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, op. cit., pagg. 46-47

[37] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca, op. cit., pag. 13

[38] Karl Marx, Il Capitale, vol. I, op. cit., pag. 148

[39] Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, vol. I, Pgreco Edizioni, Milano 2012, pag.  89

[40] Maurice Godelier, «Feticismo, religione e teoria generale dell'ideologia in Marx», in Millepiani n. 21, Mimesis, Milano 2002, pag. 30; Cfr. anche Karl Korsch, Karl Marx, Laterza, Bari 1972, pag. 147: “Supremi ideali della società borghese, come il libero individuo autodeterminantesi, la libertà ed uguaglianza di tutti i cittadini nell'esercizio dei diritti politici e l'eguaglianza di tutti davanti alla legge, appaiono adesso soltanto come le rappresentazioni correlative al feticismo della merce, derivate dallo scambio di merci.”

[41] Maurice Godelier, «Feticismo, religione e teoria generale dell'ideologia in Marx», op. cit., pag. 30. Allo stesso modo, Luca Basso, Agire in comune, op. cit., pagg. 24-26: “Non è, quindi, l'uomo che si inganna sulla realtà, è quest'ultima che lo inganna manifestandosi necessariamente in una forma che la dissimula e la fa apparire rovesciata alla coscienza spontanea degli individui che vivono nel mondo delle merci. Il carattere feticistico delle merci non costituisce un effetto dell'alienazione delle coscienze, ma un effetto nelle coscienze e per le coscienze della dissimulazione dei rapporti sociali dentro e sotto le loro apparenza. Il feticismo trova il suo fondamento fuori della sfera della coscienza, nella realtà oggettiva di relazioni sociali storicamente determinate. ... Il feticismo, a differenza di un'illusione ottica o di una credenza superstiziosa, non si configura però come una percezione erronea della realtà. .. Il fenomeno del feticismo concerne il manifestarsi della realtà: il Marx del Capitale non contrappone apparenza e realtà. Occorre sempre tenere presente tale aspetto, onde evitare un completo fraintendimento della riflessione marxiana del Capitale: con 'apparenza' non si intende una mera irrealtà, ma il modo con cui la realtà si manifesta.” Basso ritiene, a partire da questa lettura, che la teoria del feticismo vada a sostituire quella giovanile dell'ideologia: “... così si può affermare che l'immaginazione sia costitutiva della realtà, evitando di 'schiacciare' l'ideologia sulla 'falsa coscienza' e sull'elemento della mistificazione. Seppur a partire da una 'complessificazione' della questione, il feticismo, per molti veri, 'prende il posto' dell'ideologia, categoria che viene sostanzialmente abbandonata da Marx nel corso del tempo” (ivi, pag. 30). Noi riteniamo al contrario che non si escludano e che anzi possano rappresentare momenti di un'elaborazione complessiva. Abbiamo assunto quest'orientamento come fondamento teorico di questo paragrafo.

[42] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca, op. cit., pag. 69

[43] Ludovico Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, vol. VI, Garzanti, Milano 1970-72, pag. 1043.

Il punto determinante del superamento, nel comunismo, della divisione del lavoro, è da pensare al di là di ogni vulgata banalizzante, poiché non può prescindere dal considerare anche questi aspetti, nei loro lati positivi; che significa collocare oltre la divisione del lavoro il livello di qualità che le specializzazioni rendono possibile?

[44] Maurice Godelier, Rapporti di produzione, miti, società (1975), Feltrinelli, Milano 1976, pagg. 48-49, anche cit. in Luca Basso, Agire in comune, op. cit., pag. 24 n.

[45] Karl Marx, Il Capitale, vol. I, op. cit., pag. 150

[46] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca,  op. cit., pag. 35: “le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti... ad esse... sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale”; Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del partito comunista, op. cit., pag. 35: “Le idee dominanti da un dato tempo non sono se non le idee delle classi dominanti”.

[47] Karl Marx, Prefazione alla seconda edizione (1873) a Il Capitale, op. cit., pag. 81

[48] Cfr. anche Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, vol. I, op. cit., pag. 97

[49] Nicoletta Cavazza, Comunicazione e persuasione, Il Mulino, Bologna 2009, pag. 10

[50] Cfr. Ivi, pag. 11

[51] Ibidem

[52] Ci sembra da evidenziare come Trotsky sottolineasse “... uno strumento di educazione collettiva, libero dal controllo dei pedagogisti e dalle tendenze moralizzatrici che operano senza posa.” (Lev D. Trotskij, Rivoluzione e vita quotidiana, Samona e Savelli, Roma 1971, pag. 29)

[53] Ivi, pagg. 30-31

[54] Cfr. Karl Marx, Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, vol. I, op. cit., pag. 97

[55] Tra i vari, segnaliamo in particolare Max Horkheimer, Theodor W. Adorno, «L'industria culturale. Quando l'illuminismo diventa mistificazione di massa», in Dialettica dell'illuminismo (1944), Einaudi, Torino 1997

[56] George Orwell, 1984, Mondadori, Milano 1950

[57] Giorgio Paolucci, «Crisi e ripresa della lotta di classe», Prometeo n. 6, serie VI, Milano, dicembre 2002

[58] Ci permettiamo di rimandare al nostro «La vita degli individui tra connessione e isolamento», DemmeD' – Problemi del socialismo nel XXI secolo n. 6, Gennaio 2013

[59] Giorgio Paolucci, op. cit.

[60] Cfr. Vincenzo Cuomo, «Tecnica, arte e critica dei media in Adorno», in Theodor W. Adorno, La musica, i media e la critica (1924-1968), Tempo lungo edizioni, Napoli 2002, pag. 11

[61] Cfr. Karl Marx, Prefazione alla prima edizione (1867) a Il Capitale, op. cit., pag. 76

[62] Ibidem.

Cfr. anche Diego Fusaro, Bentornato Marx!, Bompiani, Milano 2009: “Con lo smascheramento del feticismo delle merci, la potenza descrittiva del discorso marxiano, la sua aderenza al reale, è ancora oggi di un'attualità sorprendente.... mette infatti straordinariamente in luce la nostra sudditanza nei confronti di una realtà che produciamo noi stessi ma che è a tal punto opaca da sembrare autonoma e da dominarci minacciosa” (pag. 265)

[63] Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del partito comunista,  op. cit., pag. 35

[64] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca,  op. cit., pag. 36

[65] Karl Marx, Prefazione alla seconda edizione (1873) a Il Capitale, op. cit., pag. 82

[66] Karl Marx, Il Capitale, vol. I,  op. cit., pag. 697

[67] Ivi, pag. 158

[68] Karl Marx, Friedrich Engels, L'Ideologia tedesca,  op. cit. pag. 29