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Meno male che la crisi è finita!
Secondo studi recentemente condotti dall’università di Berkeley, il crollo della produzione nel corso di questa crisi ha superato quello del biennio 1929-30, solo l’intervento combinato dei governi e delle grandi banche centrali ha per ora consentito di evitare la catastrofe.
Le politiche economiche adottate dagli Stati sono state mirate essenzialmente al salvataggio delle banche e, con gli incentivi alla rottamazione, del settore automobilistico. Too big to fall, troppo grandi per fallire, le banche e settore strategico, quello automobilistico: è stato il settore trainante del ciclo di accumulazione del capitale per quasi tutto l’ultimo secolo. Il mercato dell’auto ha trainato la siderurgia, il settore petrolifero, elettromeccanico, la petrolchimica, la chimica ecc. Ha fortemente incentivato il potenziamento del sistema autostradale e lo sviluppo delle attività finanziarie e assicurative. La crisi dell’auto, se non contenuta si sarebbe quindi inevitabilmente riversata su gran parte dell’economia nonché dell’occupazione che pure è già in grande sofferenza. Comunque, nonostante il massiccio intervento pubblico, per fare solo qualche esempio, l’indice della produzione industriale in Italia è crollato nel 2009 del 17,5%, il dato peggiore dal 1991 e negli USA la flessione è del 20,2%. Ora, poiché qua e là, si registra qualche lieve segnale di ripresa del Pil, secondo i politologi e gli economisti borghesi il peggio è passato
Ma, al di là di quanto essi affermano le cause all’origine della crisi non sono state rimosse. Esse, infatti - non ci stanchiamo di ribadirlo- sono strutturali, affondano cioè le loro radici nella crisi del ciclo di accumulazione capitalistica su scala mondiale e l’erompere della crisi finanziaria rappresenta solo la punta dell’iceberg.
Come si diceva all’inizio, quest’ultima è la crisi più grave dal dopoguerra e sicuramente ancora più grave di quella del 1929-30, e solo l’intervento dei vari governi ha fatto si che le conseguenze siano state finora contenute. Ma per fare ciò i vari governi hanno incrementato il debito pubblico, che in alcuni casi era già a livelli stratosferici. Per molti paesi si tratta di una vera e propria sorta di “zavorra”, come l’ha definita il governatore della Banca d’Italia, Mario draghi e che ora condiziona fortemente un’eventuale ripresa. Ecco: il cane si morde la coda!
Mentre da una parte i programmi di salvataggio, come il Tarp varato dal segretario al Tesoro di Bush, e come quello britannico, sono stati prorogati per il 2010, i deficit pubblici di altri paesi come
In Italia, per il 2009 si segnala un calo del Pil del -4.9%, in
E se Roma piange, Cartagine non ride! Se questa è la situazione nella zona Euro, dall’altra parte del globo, non è che si suoni una musica diversa. Nel 2009, il Prodotto Interno Lordo del Giappone è diminuito del -5%. Quindi nonostante una modesta crescita, nell’ultimo trimestre del 2009, del 1,1%, il fantasma recessione si aggira sempre più insistentemente anche sul Sol levante.
Negli USA ben 133 banche sono fallite nel solo 2009.
Il nostro Tremonti, verso la metà del 2008, in piena crisi, pronosticava una crescita per il 2008 dello 0.5% ed il pareggio di bilancio nel 2011. Adesso i dati ufficiali parlano di un Pil 2008 – 1% e -4,9 per il 2009. Le tinte sono ancora più fosche che nel 1971: nel
In questo quadro, le prospettive per il 2010 non fanno certamente pensare al meglio, l’unico dato che cresce effettivamente è la disoccupazione e la sofferenza sociale. Un grafico diffuso dall’Istat fa chiaramente vedere come dal 2000 al 2008 la disoccupazione nella zona euro è passata dal 9 al 10% e negli Usa dal 4 al 10%.
Un recente rapporto della Commissione d’indagine sull’esclusione sociale, racconta di un’Italia in cui l’incidenza della povertà tra le famiglie di operai ha raggiunto il livello - già allarmante nel 2008- del 14,5% con picchi del 20,7% nel Sud. Su un milione e duecentomila famiglie indigenti quasi la metà sono monoreddito. Eppure, fino a poco tempo fa, questi erano tutti soggetti convinti di essere fuori dal rischio povertà. Umiliati e offesi, direbbe Dostoeveskiy. Parliamo dei lavoratori, naturalmente.
E’ di qualche giorno fa la notizia di altri due operai di Telecom France che si sono tolti la vita dopo aver perso il lavoro.A Torino un operaio di 28 anni si è impiccato nel capannone della sua fabbrica dove, fino a qualche giorno fa, era impiegato. E purtroppo la lista negli ultimi anni si è tragicamente arricchita di nomi e nulla fa pensare che la tendenza si invertirà.
Il sindaco di New York Michael Boomberg recentemente ha voluto fare un censimento dei senza tetto della grande mela. I newyorkesi senza casa sono ben 34 mila di cui 9 mila sono adulti con bambini. Persone che girano normalmente di giorno in jeans, giubbotto e cellulare e che di notte sperano nella generosità di qualche conoscente o in un ricovero pubblico, o in un tavolino di qualche McDonald’s che rimane aperto tutta la notte.
Meno male, come dice Berlusconi, che la crisi è davvero finita.
Gaetano Fontana