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Dobbiamo abituarci all’idea che ai più importanti bivi della vita, non c’è alcuna segnaletica.
(Ernest Hemingway)
Il 2020 sarà con ogni probabilità ricordato come l’anno del Coronavirus, un evento epocale, un passaggio difficile e doloroso, un evento che da subito è segnato da incertezza, precarietà e sofferenza, un evento che segnerà un solco, un prima e un dopo.
A gennaio del 2020 viene lanciato l’allarme per la diffusione di un virus che attacca le vie respiratorie, da Wuhan nella provincia dello Hubei in Cina si diffonde al resto del mondo. Nella stessa Cina in pochi giorni il bilancio passa da poche centinaia di infettati a oltre seimila. Già nel 2003 si era diffusa la sindrome respiratoria acuta ( Sars), ma a differenza di quello precedente questo nuovo virus (Covid-19) si diffonde più rapidamente ed è più difficile da individuare in quanto i tempi di incubazione vanno da due a quattordici giorni, durante i quali le persone infette lo propagano in assenza di sintomi.
Tutta la provincia dello Hubei viene messa in quarantena, ma nel frattempo cinque milioni di abitanti di Wuhan si erano spostati in altre città; ad un primo invito a comunicare tali spostamenti alle autorità locali segue una fitta rete di sorveglianza predisposta dalla polizia per individuare coloro che non lo hanno comunicato spontaneamente. Questi vengono rintracciati attraverso in numero di telefono legato alla carta d’identità, e messi in quarantena forzata.
Da subito è evidente che siamo di fronte al primo grande evento di portata mondiale nell’era della tecnologia digitale.
A questo proposito è interessante quanto afferma Shoshana Zubof nel suo ultimo lavoro: il capitalismo della sorveglianza. «Il mondo digitale sta prendendo il sopravvento, ridefinendo qualunque cosa prima che ci sia offerta la possibilità di riflettere e decidere. Possiamo apprezzare gli ausili e le prospettive che ci offre l’interconnessione, ma allo stesso tempo vediamo aprirsi nuovi territori fatti di ansia, pericoli e violenza, mentre l’idea stessa di futuro prevedibile svanisce per sempre.
Le tecnologie dell’informazione e della comunicazione raggiungono tre dei sette miliardi di persone sulla Terra, mediando quasi ogni forma di partecipazione sociale. Prendiamo in considerazione un dispositivo per smart home, Nest: raccoglie dati dai sensori installati in casa, e da altri prodotti interconnessi e li rielabora, questi dati vengono caricati su server e grazie ad un “consenso sui termini del servizio”, possono essere condivisi con altri smart-device allo scopo di effettuare analisi vendute a soggetti specifici.»
Come dice lo storico Charles Rosemberg “le epidemie cominciano in un dato momento, si sviluppano in una porzione di tempo e spazio limitata, innescano una crisi collettiva e individuale, e poi si avviano verso la conclusione”. Allo stato attuale è azzardato fare ipotesi su quando questo virus consentirà un ritorno alla normale routin, secondo uno studio condotto all’Imperial College nel momento in cui la quarantena verrà allentata (o eliminata) un parziale ritorno del coronavirus è inevitabile. Quando ciò avverrà bisognerà alzare di nuovo il livello di allerta per controllare la curva di contagi. “È probabile che misure di questo tipo – in particolare un ampio distanziamento sociale – dovranno essere mantenute per molti mesi, forse finché non sarà disponibile un vaccino”. Una volta finita l’emergenza, sarà necessaria, oltre a un gran numero di test, una fitta rete di controllo dei flussi di spostamenti e di contatti fra le persone.
La tecnologia digitale attualmente in uso sarà assolutamente preziosa all’attuazione delle indicazioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “Trova il contagiato, isolalo, testalo, tratta ogni caso e traccia ogni contagio”.
A questo proposito è utile quanto scrive Milena Gabanelli sulle pagine del Corriere della Sera: «Tutti i cellulari sono agganciati alle celle. La rete, per essere gestita, deve sapere quanti sono attaccati a quali celle e chi è attaccato dove (altrimenti le chiamate e i dati non potrebbero arrivare e partire). Quindi in aggregato gli operatori telefonici conoscono la densità per area e gli spostamenti. Dati che vengono già conservati per un lungo periodo in caso l’autorità giudiziaria ne richieda l’utilizzo, vuol dire che è possibile ricostruire velocemente i contatti di ogni singolo contagiato nelle due settimane precedenti. In aggiunta molte applicazioni (come Facebook, Google maps, Mytaxi, Uber, Find-my-phone, Deliveroo) usano il Gps degli smartphone per dare la localizzazione del telefono, autorizzata dal possessore nelle condizioni iniziali. Questa localizzazione è molto precisa (e di fatti Uber ti prende all’angolo, e Deliveroo ti legge l’indirizzo di casa) e permette comunicazioni mirate geograficamente.»
Il caso scuola di questa tecnologia è stato offerto dalla Corea del sud, dove « Il 26 febbraio, a distanza di due settimane dall’adozione della app “Corona 100m”, si è verificato il picco (800 contagi al giorno), esattamente il tempo di incubazione del virus, per poi declinare nei giorni successivi a 80 in questi giorni (23 marzo,). Negli Stati Uniti si è tenuta una riunione ai massimi livelli alla Casa Bianca, il presidente Trump ha accolto i vertici di Google e Facebook per chiedere la loro disponibilità.»
Indubbiamente questa crisi sanitaria inciderà profondamente sulla nostra società, le conseguenze di quanto sta accadendo si ripercuoteranno sia sul piano economico che culturale. Tante scelte attuate dai vari governi sull’onda dell’emergenza condizioneranno in modo significativo il modo di rapportarci, del resto già le nostre città sono dotate di telecamere a riconoscimento facciale (stazioni, metropolitane, centri commerciali), una volta finita l’emergenza tutta questa tecnologia tornerà utile per l’applicazione attiva della “tecnologia della sorveglianza”.
E’ assolutamente realistico quanto afferma Yuval Noah Harari nell’articolo “Il mondo dopo il virus” pubblicato sul Financial Times e ripreso nel numero 1351 dalla rivista Internazionale il 27 marzo 2020: «Proviamo a fare un esperimento mentale: immaginate uno stato che chiede a tutti noi di indossare un braccialetto biometrico che monitora la temperatura corporea e il battito cardiaco 24 ore su 24. I dati che raccoglie sono analizzati dai suoi algoritmi, che scopriranno che siamo ammalati prima ancora che ce ne accorgiamo, e sapranno anche dove siamo stati e chi abbiamo incontrato. La catena delle infezioni potrebbe essere drasticamente accorciata e forse addirittura interrotta. Probabilmente un sistema simile potrebbe fermare l’epidemia nel giro di pochi giorni.»
Il trionfo del capitalismo della sorveglianza.
Diamo ancora la parola a Shoshana Zubof: «I capitalisti della sorveglianza si sono camuffati da eroi e hanno finto di lottare per il bene comune, facendo leva sulle ansie più diffuse, mentre lavoravano dietro le quinte. Il mantello dell’invisibilità che indossavano era fatto di diversi tessuti: la retorica della forza del web, l’abilità di muoversi rapidamente, la sicurezza di guadagnare una fortuna, e la natura selvaggia e indifesa del territorio che avrebbero conquistato. Noi siamo le fonti del fondamentale surplus del capitalismo della sorveglianza: l’oggetto di un’operazione di estrazione della materia prima tecnologicamente avanzata e sempre più inesorabile. I veri clienti del capitalismo della sorveglianza sono le aziende che operano nel mercato dei comportamenti futuri.
Come le civiltà industriali hanno potuto prosperare a discapito della natura e ora minacciano di distruggere la Terra, così una civiltà dell’informazione segnata dal capitalismo della sorveglianza e dal suo nuovo potere strumentalizzante prospererà a discapito della natura umana e minaccerà di distruggerla.»
In altri termini la Zubof “aggiorna” Marx che nel XIX secolo scriveva «La produzione capitalistica, sviluppa la tecnologia e il grado di combinazione del processo sociale di produzione, mentre allo stesso tempo mina le fonti originali di ogni ricchezza, il suolo e il lavoratore» ( Karl Marx - Il capitale vol. I).
La tecnologia non è fine a stessa, è un’espressione degli obiettivi economici che l’hanno prodotta, l’attuale tecnologia con tutti i dati che può raccogliere grazie all’emergenza, può aprire ad un “mercato dei comportamenti futuri”, questi dati opportunamente elaborati possono condizionare scelte, comportamenti verso le attività più proficue per il capitalismo. L’utilizzo di questi dati e questa tecnologia è capace non solo di conoscere le nostre tendenze, ma anche di orientarle.
Nei prossimi anni assisteremo ad un ulteriore sviluppo di tecnologia che consentirà a chi la detiene di avere sempre più informazioni sulle nostre vite, come dopo l’attentato alle torri gemelli nel 2001 ha fatto si che negli aeroporti di tutto il mondo non passi neanche una bottiglietta d’acqua senza che i controllori se ne accorgano, probabilmente dopo la diffusione del coronavirus non ci sarà spostamento senza che il “grande fratello” lo sappia e lo autorizzi.
Giorni fa circolavano voci che asserivano che questo virus fosse il prodotto di ricerche di laboratorio per scatenare un guerra batteriologica, spostando l’attenzione su un falso quesito. La cosa più evidente è che questo stato post-bellico è il cavallo di Troia che consentirà al capitalismo del XXI secolo di accedere a tutti i nostri dati, manipolandoli secondo le sue esigenze, trasformando sempre di più il nostro mondo in un villaggio globale dominato dalla tecnologia del capitale e dal suo pensiero-merce.
È impensabile poter fermare la strumentalizzazione che metterà in campo il capitalismo del XXI secolo con qualche norma sulla privacy. «Nessuno di noi si preoccupa di dare la propria localizzazione per usare mappe digitali, prendere un taxi o ordinare cibo: non ho dubbi che in un momento di grande rischio per la salute i cittadini saranno disposti ad accettare che i loro dati siano usati per rendere le loro comunità più sicuri e immuni. In Europa dobbiamo usare anche la tecnologia delle reti mobili per limitare al massimo i rischi delle persone e assicurare il rispetto delle misure di protezione», dice Vittorio Colao vice direttore ex Ceo di Vodafone; ecco aperto il vaso di Pandora! È appunto in nome delle misure di protezione utili a tutti che tutto questo entrerà nella nostra quotidianità.
In Polonia per esempio si sta mettendo in campo un’applicazione con cui l’utente invia un’immagine con la propria geolocalizzazione, per dimostrare che sta effettivamente rispettando i tempi della quarantena. Quest’App è poi collegata a un database di numeri di telefono delle persone che rientrano dall’estero, la polizia in qualunque momento può richiedere una prova fotografica. La Lombardia (la regione più colpita dal virus), sta già mettendo in campo una mappa termica che mostra gli spostamenti.
È come se il sistema mettesse in campo un rapporto a somma zero, più sicurezza sanitaria in cambio di minore libertà individuale. Ma cosa succederà una volta che questa crisi sanitaria sarà passata?
Non è difficile prevedere che lo stato comatoso in cui versa il capitalismo moderno, necessita per la classe dirigente di avere più mezzi di controllo sulla popolazione, in una fase come quella attuale in cui si assiste ad un imbarbarimento della società, i dati che ci riguardano saranno preziosi e trattati in modo massiccio. La borghesia metterà in campo tutto l’armamentario ideologico per gestire quella che si prospetta essere come la più grave crisi economico-sociale del moderno capitalismo, che l’evento legato al covid-19 ha soltanto accelerato. Cos’altro è se non una mistificazione ideologica la narrazione in voga che si combatte contro un nemico invisibile? Ma il nemico non è l’invisibile virus, quanto piuttosto il pervasivo capitalismo che scatena in ogni angolo del pianeta la sua guerra imperialistica permanente, affama miliardi di esseri umani e anche in piena emergenza sanitaria subordina la salute degli uomini alla voracità di profitti.