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L’ultimo rapporto Istat sulla povertà in Italia segnala una sua crescita significativa, registrata in particolare nel proletariato. Il peso della crisi capitalistica si fa sempre più intollerabile sulle spalle di chi non ha che la propria forza lavoro da vendere.
La soglia di povertà assoluta viene definita come il livello di reddito che consente una spesa mensile pari o inferiore a quella riconosciuta come la «minima necessaria per acquisire un paniere di beni e servizi»[1], stabilito come essenziale per uno «standard di vita minimamente accettabile»[2].
Le famiglie che si trovano nella possibilità di sostenere una spesa uguale o inferiore a questa soglia, dunque, sono considerate “assolutamente povere”. Questa soglia varia in base a dove si vive, al numero di familiari e alla loro fascia d’età. Per esempio una famiglia in un’area metropolitana nel Nord Italia, formata da una coppia di quarantenni con un figlio di 5 anni e uno di 11, ha come soglia di povertà assoluta nel 2017 euro 1.700,07. La soglia di povertà assoluta di una famiglia ugualmente composta, ma residente in un piccolo comune meridionale, scende a euro 1.246,88[3].
Nel 2017 sono in povertà assoluta 1 milione e 778 mila famiglie (il 6,9% del totale, a fronte del 6,3% nel 2016) e 5 milioni e 58 mila individui (l’8,4%, contro il 7,9% del 2016): «entrambi i valori», precisa l’Istat, «sono i più alti della serie storica, che prende avvio dal 2005»[4].
In particolare risulta che in tale situazione «le donne siano 2 milioni 472mila (incidenza pari all’8,0%), i minorenni 1 milione 208mila (12,1%), i giovani di 18-34 anni 1 milione e 112mila (10,4%, valore più elevato dal 2005) e gli anziani 611mila (4,6%). Le condizioni dei minori rimangono quindi critiche: il valore dell’incidenza, infatti, dal 2014 non è più sceso sotto il 10%; nel tempo crescono anche i valori dell’incidenza fra gli adulti tra i 35 e i 64 anni (da 2,7% del 2005 a 8,1% del 2017)»[5].
La povertà assoluta incide sull’11.8% delle famiglie operaie, e anche se è leggermente inferiore al 2016 (12,6%) è «più che doppia rispetto a quella delle famiglie con persona di riferimento ritirata dal lavoro (4,2%)», ovvero chi è in pensione o chi comunque «ha cessato un’attività lavorativa per raggiunti limiti di età, invalidità o altra causa» ma non gode di una pensione[6].
L’incidenza della povertà assoluta per le famiglie con persona di riferimento non occupata sale dal 6,1% del 2016 al 7,7% del 2017. È inoltre la condizione del 26,7% delle famiglie «con persona di riferimento in cerca di occupazione»[7] (l’anno precedente il valore era pari al 23,2%).
Variazioni dell’incidenza della povertà assoluta secondo i dati Istat[8]
In base al titolo di studio |
||
2016 |
2017 |
|
Licenza di scuola elementare o nessun titolo di studio |
8,2% |
10,7% |
Licenza di scuola media |
8,9% |
9,6% |
Diploma e oltre |
4,0% |
3,6% |
Condizione e posizione professionale |
||
2016 |
2017 |
|
OCCUPATO |
6,4% |
6,1% |
- Dipendente |
6,9% |
6,6% |
Dirigente, quadro e impiegato |
1,5% |
1,7% |
Operaio e assimilato |
12,6% |
11,8% |
- Indipendente |
5,1% |
4,5% |
Imprenditore e libero professionista |
* |
* |
Altro indipendente |
6,7% |
6,0% |
NON OCCUPATO |
6,1% |
7,7% |
- In cerca di occupazione |
23,2% |
26,7% |
- Ritirato dal lavoro |
3,7% |
4,2% |
- In altra condizione |
9,1% |
11,9% |
* Secondo l’Istat, «valore non significativo a motivo della scarsa numerosità campionaria»[9]
Più forte l’incidenza nel Sud Italia, in particolare nei Centri di area metropolitana, dove passa dal 5,8% al 10,1; cresce comunque anche al Nord, sia nelle aree metropolitane che in quelle periferiche.
Povertà e miseria
Con l’incedere della crisi capitalistica, diventa sempre più grave l’attacco alle condizioni del proletariato, fino a mettere in discussione la stessa sopravvivenza di un numero sempre maggiore di venditori di forza lavoro.
In base alla legge dell’accumulazione capitalistica descritta ne Il Capitale, «quanto maggiore è la ricchezza sociale, ossia il Capitale in funzione, l'ampiezza e la energia nel suo accrescimento, quindi anche la grandezza assoluta del proletariato e la forza produttiva del suo lavoro, tanto maggiore è l'esercito industriale di riserva»[10].
Secondo la critica marxista dell’economia politica infatti «le stesse cause sviluppano tanto la forza-lavoro disponibile, quanto la forza di espansione del capitale. La grandezza proporzionale dell'esercito industriale di riserva cresce dunque insieme con le potenze della ricchezza. Ma quanto maggiore è l'esercito di riserva in rapporto all'esercito attivo del lavoro, tanto più massiccia è la sovrappopolazione stagnante la cui miseria sta in rapporto inverso al suo tormento di lavoro. Ed infine, quanto più vasti sono gli strati di Lazzari della classe operaia e l'esercito industriale di riserva, tanto maggiore è il pauperismo ufficiale»[11].
Tra miseria crescente e povertà assoluta non c’è necessariamente proporzionalità né esiste un rapporto di identità. In Lavoro salariato e capitale Marx spiega che la miseria consiste nel fatto che ai proletari risulta sempre meno disponibile la ricchezza sociale. Non si tratta dunque di termini assoluti ma relativi.
Come scrive Marx, cioè, «i nostri bisogni e i nostri godimenti sorgono dalla società; noi li misuriamo quindi sulla base della società, e non li misuriamo sulla base dei mezzi materiali per la loro soddisfazione. Poiché sono di natura sociale, essi sono di natura relativa»[12]; la miseria si misura tendenzialmente nella proporzione tra salario e profitto, che sono sempre in rapporto inverso: più profitto, meno salario relativo e viceversa. Questo non implica cioè che necessariamente la miseria crescente dei proletari, definita in relazione alla ricchezza sociale, significhi anche povertà assoluta. Ma quand’anche il salario aumentasse, il profitto crescerebbe necessariamente in modo proporzionalmente maggiore, polarizzando sempre più le classi anche in ragione della disponibilità di quote di ricchezza sociale.
Il perdurare e l’aggravarsi della crisi fa sì, comunque, che sia necessario al capitale attaccare il salario anche e sempre più in senso assoluto e relativo:
«La crisi infinita, con tutto il suo carico di povertà e di dilagante degrado sociale, è in realtà il rovescio della medaglia di questo nuovo regime di accumulazione in cui l’appropriazione parassitaria di plusvalore mediante la produzione di capitale fittizio, il dilagare della disoccupazione, della povertà e della miseria è divenuta una condizione imprescindibile per la conservazione del sistema. Nuovo – è bene precisare – non perché non si fondi o si fondi meno sull’estorsione del plusvalore ma per significare che questa è sempre più appannaggio del capitale fittizio, sebbene esso non contribuisca in alcun modo alla sua produzione»[13].
Sempre più pare profilarsi all’orizzonte quanto prospettato nel Manifesto del Partito comunista, secondo il quale la borghesia finisce per diventare incapace di dominare, « perché non è capace di garantire l'esistenza al proprio schiavo neppure entro la sua schiavitù, perché è costretta a lasciarlo sprofondare in una situazione nella quale, invece di esser da lui nutrita, essa è costretta a nutrirlo. La società non può più vivere sotto la classe borghese, vale a dire la esistenza della classe borghese non è più compatibile con la società»[14].
In quello scenario il Manifesto indica uno dei segni del tramonto della società capitalistica. Nelle sue contraddizioni, la possibilità del suo superamento: l’unica prospettiva che consenta anche solo di pensare seriamente a un futuro per l’umanità.
[1] https://www.istat.it/it/files//2018/06/La-povert%C3%A0-in-Italia-2017.pdf
[2] Ib.
[3] La soglia di povertà assoluta si può calcolare qui: https://www.istat.it/it/dati-analisi-e-prodotti/contenuti-interattivi/soglia-di-poverta.I
[4] Ib.
[5] Ib.
[6] https://www.istat.it/it/files//2012/07/glossario_.pdf
[7] https://www.istat.it/it/files//2018/06/La-povert%C3%A0-in-Italia-2017.pdf
[8] Ib.
[9] Ib.
[10] K. Marx, Il Capitale. Per traduzione e commento, v. A. Bordiga, Precisazioni su "Marxismo e miseria" e "lotta di classe e offensive padronali", "Battaglia Comunista", n. 40, 1949.
[11] Ib.
[12] K. Marx, Lavoro salariato e capitale, https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/lavcap.htm#n62
[13] G. Paolucci, L’Unione europea nella tormenta della crisi infinita.
[14] K. Marx – F. Engels, Il Manifesto del Partito comunista, https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1848/manifesto/mpc-1c.htm