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Ossia la vittoria dell’oppio e del capitale. Che come sempre vanno a braccetto.
La narrazione è talmente convincente che a Parigi, e un po’ ovunque in tutti i paesi dell’Eldorado occidentale, si sono ritrovati proletari e borghesi, governati e governanti di destra e di sinistra, a milioni a manifestare contro l’attacco condotto da una cellula, di non si sa ancora bene quale organizzazione islamista, contro la redazione del giornale satirico Charlie Hebdo. E altri milioni, sull’altro versante, manifestano ancora oggi contro l’oltraggio che, secondo loro, Charlie Hebdo avrebbe recato alla loro religione.
Intanto, si occulta completamente il contesto reale da cui l’attacco è scaturito ossia la guerra imperialista permanente, ormai divenuta, seppure con caratteristiche che la distinguono nettamente dalle precedenti, una vera e propria guerra mondiale la cui posta in palio è come sempre più prosaicamente l’argent, il dominio del mondo. D’altra parte di quale Islam più o meno radicale e di quale Occidente e i suoi valori si parla? Le varianti dell’uno e dell’altro sono talmente tante che per elencarle non ci basterebbero le pagine di un poderoso volume. In realtà I fronti sono estremamente compositi e variamente articolati a seconda del mutare di alcune variabili macroeconomiche e, in questa fase, specificatamente del prezzo del petrolio.
Come già in altre occasioni abbiamo avuto modo di dimostrare, esso è una, se non la più importante, variabile macroeconomica per la determinazione della massa monetaria espressa in dollari in circolazione su scala mondiale. A ogni sua variazione di una certa entità, corrisponde anche una variazione dei rapporti di cambio fra tutte le più importanti valute e una ridistribuzione dei vantaggi e degli svantaggi dei diversi segmenti della borghesia mondiale in relazione alla posizione che ognuno di esso occupa nel sistema economico-finanziario mondiale. Ebbene, negli ultimi mesi, come è noto, il prezzo del petrolio - e con esso del gas - è sceso di circa il 50 per cento a causa dell’immissione sul mercato nordamericano dei famigerati shale oil e shale gas e della contemporanea contrazione della domanda dovuta al perdurare della crisi economica mondiale.
Ne è scaturita una guerra senza esclusioni di colpi fra le diverse fazioni della borghesia internazionale schierate sull’uno o sull’altro fronte a seconda dei vantaggi e/o degli svantaggi che derivano loro da un prezzo così basso.
In un primo momento, soprattutto fra l’Arabia Saudita - che utilizza tecniche di estrazione convenzionali, insieme alle maggiori compagnie petrolifere che ne detengono le concessioni - fra cui anche le big statunitensi del settore- e le imprese che si avvalgono di tecniche non convenzionali[1] quali, appunto, quelle usate per lo shale oil e lo shale gas. Avrebbero potuto, per evitare i contraccolpi dell’eccesso di offerta sui prezzi, ridurre la produzione ma così facendo avrebbero dovuto rinunciare per sempre a una cospicua quota dei loro profitti. Quindi, forti del fatto che i costi di estrazione con le tecniche non convenzionali sono elevatissimi, hanno optato per un’ulteriore discesa dei prezzi al fine di fare fuori, ora e per sempre, lo shale. Infatti – ci informa l’analista M. Ricci: “ A 45 dollari a barile il 95 per cento della produzione di shale oil- è fuori mercato”.[2]
Tanto più che con un prezzo a questo livello sono destinati a fallire anche i non pochi produttori che, pur utilizzano tecniche di estrazione convenzionali, hanno costi di estrazione più elevati o vincoli di budget che non consentono loro di assorbire un ribasso di queste dimensioni e così prolungato nel tempo.
Per esempio, la Russia nonostante i suoi costi di produzione siano fra i più bassi al mondo (poco più di 4 dollari/ barile) e benché sia, come l’Arabia Saudita, fortemente interessata a far fuori la concorrenza dello shale oil statunitense e, se possibile, anche un po’ di produttori tradizionali, poiché le esportazioni di petrolio e gas costituiscono il 50 per cento del suo budget federale, è molto probabile che, qualora il prezzo del petrolio dovesse stabilizzarsi per molto tempo al di sotto dei 60 dollari al barile avrebbe seri problemi a rimanere in partita.[3] Tant’è che per non sfilarsi ha chiesto e ottenuto dall’Arabia Saudita di “monitorare insieme i livelli del surplus produttivo, l’aspetto più preoccupante della situazione di mercato.” [4]
In altre parole, i fronti possono variare a seconda dei diversi livelli del prezzo e i nemici di ieri possono diventare i migliori amici di oggi e viceversa. In questo senso è davvero una guerra di tutti contro tutti e non solo fra le diverse frazioni della borghesia del solo settore petrolifero. Negli Usa, per esempio, il fallimento dello shale oil avrebbe ripercussioni oltre che sulle imprese del settore, per lo più di piccole e medie dimensioni, anche sul sistema bancario che, approfittando dell’abbondante liquidità messa a disposizione dalla Federal Reserve con i ripetuti quantitative easing da 80 mld di dollari al mese, le ha finanziate senza andare troppo per sottile. Così come, nel caso di un rialzo del prezzo del petrolio, verrebbe a trovarsi in gravi difficoltà anche il settore dell’export poiché già ora i suoi margini di competitività si stanno riducendo a causa della rivalutazione del dollaro rispetto a quasi tutte le valute dei suoi concorrenti.
In realtà, nell’epoca dell’economia mondo i confini corrispondono sempre meno a quelli nazionali e sempre più con gli interessi delle diverse frazioni della borghesia internazionale. A tale proposito è emblematico quanto sta accadendo nello scontro fra Russia e Ucraina e all’interno di quest’ultima fra filo russi e filo Kiev. Infatti,qui tutto ci si potrebbe aspettare tranne che una consistente fetta della borghesia ucraina legata a Kiev, continui a far affari con quella russa. E non solo per il “Gas e il carbone e di cui il paese (l’Ucraina – ndr) ha disperatamente bisogno per non morire di freddo: come ha scoperto il Washington Post, le fabbriche di armi – di cui il paese è uno dei primi dieci produttori al mondo- hanno continuato a esportare in Russia anche durante la guerra mentre il paese domandava forniture di materiale bellico all’Occidente. E gli agricoltori hanno approfittato dell’embargo ai prodotti agricoli europei (soprattutto italiani) per rifornire i mercati russi.” [5]
In un simile groviglio di interessi contrastanti, dove comincia e finisce l’”Occidente”, visto che perfino le diverse fazioni della borghesia americana sono in lotta fra loro? E dove comincia e finisce l’Islam? Forse in Siria, dove si contano più fazioni islamiste in lotta fra loro che formiche in un formicaio? O in Nigeria? O in Iraq, dove i sunniti dell’Isis combattono sì gli sciiti filo iraniani ma anche, insieme agli sciiti, i sunniti curdi?
E saranno stati anche islamisti gli sciagurati che hanno compiuto l’attentato a Charlie Hebdo, ma è pur vero che erano tutti francesi di almeno seconda generazione. Che sono andati a scuola in Francia e che là sono cresciuti. In tutto e per tutto moderni proletari che consumavano la loro vita nella ricerca di qualche occasione di lavoro appena decente e sfruttati esattamente come tutti i proletari di questo mondo poiché, a qualsiasi latitudine, il sistema capitalistico non può che fondarsi sul più brutale sfruttamento della forza –lavoro.
Uno dei componenti il commando, come hanno riportato i media di tutto il mondo, nel 2009 ha fatto parte di una delegazione composta da nove operai (da poco assunti a tempo determinato nello stabilimento della Coca Cola di Grigny) scelti per incontrare l’allora presidente Sarkozy e discutere con lui della crescente disoccupazione giovanile. Era così anti occidentale che alla fine dell’incontro, con i giornalisti che gli chiedevano come era andata, elogiò Sarkozy per aver mostrato il suo interesse alla loro richiesta di ottenere un contratto di lavoro a tempo indeterminato in sostituzione di quello a tempo determinato.
Ovviamente rimase precario e come tale costretto a vendere, per dirla con Marx “Se stesso, e pezzo a pezzo … Egli mette all’asta 8, 10, 12, 15 ore della sua vita, ogni giorno, al miglior offerente, al possessore delle materie prime, degli strumenti di lavoro e dei mezzi di sussistenza, cioè al capitalista.”[6] Senza futuro e senza neppure la speranza di un futuro, in un continuo girovagare fra un posto di lavoro e l’altro e fra l’uno e l’altro il nulla.
“Dare un senso alla vita può condurre a follia ma una vita senza senso è la tortura dell’inquietudine e del vano desiderio”, recita una delle più belle poesie di Edagard Lee Masters [7]. Da qui a farsi soldati di un dio che promette il paradiso in cielo e in terra, il passo è breve. Ma in realtà è la rinuncia alla vita. E lo sa molto bene il prete che, con la tonaca che puzza di petrolio e gonfia di denaro lo accoglie al suo servizio e ne fa ora un bomba umana, un’arma a prezzo di svendita, ora un macchina per scannare inermi prigionieri o fucilare inermi giornalisti.
E’ che l’oppio ( la religione qualsiasi essa sia ) e il Capitale, morsa mortale per il proletariato, vanno sempre a braccetto.
[1] Sono considerate non convenzionali tutte quelle tecniche diverse da quelle utilizzate per estrarre il petrolio o il gas direttamente dal sottosuolo. La più nota è quella del fracking che consiste nella frantumazione, con esplosivo o iniettando liquidi ad altra pressione, di rocce o argille in cui è intrappolato il petrolio o il gas.
[2] Maurizio Ricci – Petrolio, è guerra di ribassi – La repubblica del 14 gennaio 2015.
[3] Dati tratti da: Margherita Paolini – Nella guerra del gas Mosca parte da Ankara – Limes – dicembre 2014.
[4] Ib. pag. 182
[5] Dario Quintavalle – Per scacciare i Gattopardi mettiamo l’Ucraina sotto tutela- Limes – dicembre 2014.
[6] K. Marx – Lavoro salariato e Capitale – Ed.Riuniti – pag. 20
[7] Edgar Lee Masters – Antologia di Spoon River – George Gray – Einaudi Editore – pag. 67.