La corruzione continua a imperversare

Creato: 18 Marzo 2010 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 2007

Così pure l’affarismo e l’ipocrisia borghese

I lai si  levano sempre più alti al cielo.

I cosiddetti “maitres à penser” dell’intellettualismo borghese, quelli che “scrivono per compiacere” sono sempre più preoccupati in quanto, a loro dire, il fenomeno sta superando il livello di guardia con tutti gli effetti negativi che si può portar dietro.

Le cifre sono impietose: ci dice la Corte dei Conti, in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, che i reati di corruzione sono aumentati del 229%, quelli di concussione del 153% più altre irregolarità di varia natura e rilievo.

Il trend è significativo: praticamente la corruzione procede indisturbata da 20 anni e “Mani pulite “ è come se non fosse mai esistita, anzi il confronto tra la situazione attuale e quella che contrassegnava i giorni di “Tangentopoli” fa sembrare quest’ultima roba di poco conto.

Se infatti i “mariuoli” che imperversavano nei primi anni ’90 riscuotevano, di fatto, un “pizzo”, esercitavano, cioè, una attività estortiva nei confronti dell’economia, oggi la tecnica s’è notevolmente affinata e potenziata potendosi impunemente praticare la trasgressione fiscale ed il riciclaggio criminoso.

Tutto ciò ha trovato un più che adatto brodo di coltura nella cosiddetta “deregulation” dei movimenti di capitali che, aggiunta all’abolizione dei monopoli pubblici ed alle privatizzazioni, ha costituito, a partire dagli anni ’80, l’asse portante di una dottrina di politica economica che va sotto il nome di Reaganomics.

In una crisi di ciclo come quella attuale, segnata sempre più, perlomeno a livello dei maggiori paesi occidentali, dalla delocalizzazione delle attività produttive in paesi periferici, ad assumere un peso specifico sempre maggiore è, di converso, l’attività speculativa, alimentata da capitali di varia origine e, per tale ragione, oltre ai  capitali provenienti dalla cosiddetta “economia legale” è diventato del tutto naturale imbattersi in capitali provenienti da attività malavitose.

Il punto centrale è questo. E’ da qui che dobbiamo iniziare ad indagare.

Che sia attivo un intreccio tra corruzione e politica è noto ma a ciò si è aggiunto, in virtù delle considerazioni esposte, il fatto che le organizzazioni malavitose siano esse, oramai, a dettare l’agenda sia alla politica che all’economia.

Faccendieri, politici, imprenditori, esponenti anche di primo piano dell’establishment finanziario fanno a gara nel proporsi come interlocutori privilegiati di un mondo, di una struttura che non è solo un’organizzazione criminale – come, ad esempio, nel caso della ‘ndrangheta – ma anche una grande holding economico-finanziaria  che fattura annualmente 44 miliardi di euro (il 3% del PIL). Pecunia non olet. A questa massima è stata data una pregnanza ancor più rilevante di quanto non accadesse in passato soprattutto se nell’economia è attivo un processo osmotico che fa sì che i confini tra il legale e l’illegale siano sempre più volatili, più impercettibili, quasi inesistenti e  se, di conseguenza, la macchina statale va sempre più plasmandosi intorno a questa nuova dimensione.

D’altra parte, come scrive con chiarezza Engels,” lo Stato è una macchina essenzialmente capitalistica che ha lo scopo, in particolare, di mantenere con la violenza la classe sfruttata nelle condizioni di oppressione determinate dal modo di produzione esistente”.

Lo Stato non può quindi non legittimare tutti questi “comitati d’affari” che operano in funzione della realizzazione di ricavi, di utili; che operano organicamente in funzione delle compatibilità capitalistiche.

Non è tanto una questione di sigle: Fastweb, BTP, Telecom Sparkle, Protezione civile spa, Difesa spa sono facce di una realtà medesima.

E’ la logica sottesa a queste dinamiche ad essere unica: è la logica del profitto.

Quali riguardi possono essere fatti, quali riserve possono essere avanzate se questa marea di capitali provenenti da attività criminali sostiene, di fatto, le performances di Borsa – a Milano come a Francoforte, a Sidney come a New York - di aziende, imprese la cui” asset allocation” (ripartizione degli investimenti)  vede sempre più incisivamente privilegiare l’attività di pura speculazione?

La sola ‘ndrangheta - tanto per citare un esempio - potendo disporre di una inesauribile liquidità  si trova nell’invidiabile posizione di poter tessere rapporti col mondo imprenditoriale italiano, europeo, internazionale, di stratificare solide relazioni borghesi, professionali ed economiche tali da consentirle di assumere un ruolo di contrattazione e di condizionamento che va facendosi sempre più pervasivo specialmente se ha la possibilità di potersi incuneare sempre più nelle istituzioni.

Ciò vale per il parlamento nazionale così come per le regioni o le province ossia per tutti quei centri di spesa attraverso cui passano fiumi di danaro che diventano oggetto di redistribuzione tra soggetti politici, imprenditoriali e mafiosi.

E’ fenomeno che ha assunto dimensioni internazionali ed è tale la vastità delle relazioni che intercorrono tra questi tre attori che, come prevede un rapporto della Cia al presidente Obama, di qui a non molto potrebbero fare la loro comparsa veri e propri Stati criminali.

Verrebbe a trattarsi, in fin dei conti, della conseguente evoluzione di ciò che viene descritto con dovizia di particolari da Loretta Napoleoni nel suo libro La nuova economia del terrorismo.[1]

Esistono, infatti, già Stati ai quali si può applicare l’etichetta di “Stati mafiosi”: ci si può comodamente riferire alla Colombia, alla Russia o a qualche altro paese di recente conio.

Di certo il fenomeno è destinato ad espandersi in quanto espressione plastica del processo di decadimento della formazione sociale imperante: quella borghese.

C’è un però da tenere nella dovuta considerazione: questa decadenza non porta con sé, necessariamente e quindi meccanicisticamente, alla sua estinzione ma di sicuro esaspera tutte le sue contraddizioni  e la spinta allo sfruttamento sempre più intenso e feroce del proletariato internazionale e a una più accentuata polarizzazione della ricchezza verso questi centri di potere con conseguente crescita della miseria che tende sempre più a generalizzarsi.

Vie d’uscita da una prospettiva di decadenza e abbruttimento che prescindano da una rottura rivoluzionaria realizzata attraverso l’intervento consapevole del proletariato non ne esistono.

Gianfranco Greco


[1] Loretta Napoleoni – La nuova economia del terrorismo Marco Tropea Editore - 2004