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Dalla morte di Lenin ad oggi la conoscenza critica del suo pensiero e della sua opera se ha interessato la cultura per un approfondimento e affinamento della coscienza teorica di alcune generazioni di rivoluzionari, nel contempo è servita all’opportunismo per isterilire e svisare la parte più feconda del suo insegnamento e mettere in evidenza quanto della sua elaborazione teorica e della sua opera di uomo di Stato, del primo Stato Operaio, fosse ritenuto particolarmente prezioso per ricostruire una fisionomia di Lenin tutto proteso all’empiria, realista, duttile, sensibilissimo al concreto, costruttore, in una parola, di uno Stato anche se nuovo e diverso, tuttavia fatto di cose e di realtà umana, lontano dal suo modello ideale e dalle sue stesse premesse dottrinarie.
Un Lenin dunque che ha impersonato la interpretazione dialettica della storia nel modo più conseguente al marxismo e che nell’azione per essere calato nel modo diretto e determinante che conosciamo nel cuore della vicenda umana non solo come interprete, ma come protagonista e divenendo egli stesso momento vivo e operante della stessa interpretazione, è un Lenin che gli epigomi hanno limitato, compresso, quasi costretto a forza negli schemi, come in un letto di Procuste, facendolo apparire come spinto, per naturale inclinazione, al compromesso con la realtà che gli si poneva di fronte, ostile in ogni caso al suo pensiero originario di marxista e di rivoluzionario.
Chi volesse risalire il breve tratto di tempo in cui si è conclusa la vicenda umana di Lenin, così ricca di eventi, seguendo il filo rosso, come siamo soliti chiamare il modo proprio dei marxisti di interpretare la storia, approderebbe in questo suo viaggio ideale, al primo episodio indicativo della complessa sua personalità messa di fronte all’esplodere delle prime contraddizioni che attendevano una soluzione su di un piano superiore di sintesi: la costruzione del partito emerso dalla crisi della socialdemocrazia come strumento di classe essenziale e indilazionabile nella prospettiva di lotte profonde che avrebbero in pochi decenni cambiato il volto della Russia.
Ebbene, un esame di questo periodo che si accontentasse delle apparenze finirebbe per attribuire a Lenin una concezione eccessivamente strumentale, quella della necessità di una organizzazione del partito più rispondente alle reali esigenze della lotta e al terreno del suo svolgimento, ponendola in posizione di contrasto aperto e insanabile con la concezione del partito democratico e parlamentare prevalente nella vecchia socialdemocrazia russa modellata sulla grande esperienza tedesca e con il pensiero del maggiore teorico russo, Plekanof, alla cui guida spirituale Lenin doveva in buona parte la sua formazione teorica.
Nella battaglia che si sarebbe conclusa con la rottura del partito socialdemocratico russo, Lenin non si poneva la soluzione di un problema particolare e di stretta necessità organizzativa. Si trattava di creare una organizzazione accentrata di combattenti rivoluzionari al posto di una associazione basata su rapporti di accettazione formale, scarsamente formativa in evidente, profondo contrasto con uno svolgimento programmatico di tradizione parlamentare in cui il problema rivoluzionario rimaneva semplice attesa messianica che non si urtava con una visione del mondo e della storia in cui la dialettica era soltanto formale e le leggi del superamento legate alla gradualità più che alla lacerazione del tessuto della società capitalista da cui doveva uscire la nuova società.
A questo proposito si può legittimamente riferire a Lenin quanto Lenin stesso affermava in contraddittorio con Martov e Akserold:
ogni piccola divergenza può diventare grande se vi si insiste, se la si pone al primo piano, se ci si mette a cercare tutte le radici e tutte le ramificazioni. Ogni piccola divergenza può assumere una importanza enorme, se serve come punto di partenza per una svolta…
Lenin: Un passo avanti, due passi indietro
In questa affermazione Lenin racchiudeva la visione esatta dello svolgimento reale della crisi del partito che egli stesso aveva voluto. Infatti la piccola divergenza è servita a Lenin come punto di partenza per una svolta che doveva portare alla creazione del partito bolscevico, il partito della rivoluzione; come è servito a Martov e comp. per una svolta verso certe concezioni errate, verso posizioni di instabilità, esitazione e amorfismo politico che li avrebbe condotti al socialpatriottismo.
Cerchiamo di precisare, intanto, i termini «apparenti» della piccola divergenza per capire i termini «reali» della scissione che ne è seguita e che a Lenin stesso sembrava in un primo tempo come conclusione inattesa e sproporzionata alla modestia dell’iniziale dissenso tra i «duri» e i «molli»
Dal 1900 al 1903, epoca della scissione, l’«Iskra» (organo dell’ortodossia militante, che si era meritato l’onore di essere detestato dagli opportunisti della Russia e dell’Europa occidentale), la vecchia «Iskra» è stata di fatto il trampolino di lancio della grande battaglia condotta per via interna, sul piano poco appariscente d’un dissenso organizzativo, ma in realtà si trattava’ di uno scontro frontale tra due diverse concezioni del partito, tra due ideologie incapaci di trovare in una stessa organizzazione un serio punto di convergenza e di convivenza. Per Lenin:
il programma e la tendenza dell’” Iskra” dovevano diventare il programma e la tendenza del partito
l’idea del centralismo era diventata l’idea base dell’«Iskra» e avrebbe informato di sé lo statuto del partito e quindi tutti i dibattiti che avrebbero preceduto la sua approvazione.
A conclusione della lunga lotta interna della socialdemocrazia russa, Lenin che ne era stato l’animatore più acuto, conseguente e più esplosivo, poteva scrivere:
I verbali del congresso del partito (si tratta del secondo congresso in cui era avvenuta la divisione del partito in “bolscevichi” e “menscevichi”; in “maggioranza”, cioè, e “minoranza” n.d.r.) e solo essi ci dimostrano in quale misura siamo riusciti a spazzare via realmente tutti i residui dei vecchi legami che si annodavano solo attraverso i circoli e a sostituirli con un unico, grande legame, quello del partito.
Per avere una idea chiara di tale partito che era nato da una lunga e così aspra e lacerante gestazione, togliamo dagli scritti di Lenin di questo periodo i tratti salienti del suo pensiero così avvedutamente coerente con la sua opera di politico e di rivoluzionario. L’idea di un partito, con quella particolare strutturazione, era diventata in lui passione, e questa passione aveva assunto nella polemica momenti della più alta tensione: chi non fosse disposto ad una milizia attiva; chi non avesse considerato questa milizia come il compimento d’un dovere di fronte al quale nessun altro poteva essere comparabile; chi non avesse sentito questa totale dedizione di sé al partito, si sarebbe preclusa ogni possibilità di appartenenza ad una tale organizzazione di rivoluzionari.
L’idea del partito centralizzato attraverso una vasta, adeguata rete di rivoluzionari professionali, assume nei suoi scritti («Iskra» N. 4, «Che Fare?», «Lettera ad un compagno» e, infine, «Un passo avanti, due passi indietro»), l’insistenza martellante d’una affermazione di tale evidenza che non ammette la possibilità d’una seria confutazione.
L’organizzazione dei rivoluzionari deve comprendere prima di tutto e principalmente degli uomini la cui professione sia l’azione rivoluzionaria.
Non potrà esservi un movimento rivoluzionario solido senza una organizzazione stabile di dirigenti che assicuri la continuità nel tempo.
Più numerosa è la massa trascinata spontaneamente nella lotta, la massa che è la base del movimento e partecipa ad esso, tanto più siffatta organizzazione è urgente e tanto più deve essere solida (sarà facile altrimenti ai demagoghi trascinare con sé gli strati arretrati della massa).
Solo una organizzazione di tal genere darà alla socialdemocrazia militante l’agilità necessaria e cioè la capacità di adattarsi immediatamente alle più diverse condizioni, alle sempre mutevoli condizioni della lotta, la capacità “da una parte, di evitare la battaglia in terreno scoperto con un nemico di forze superiori, che ha concentrato le sue forze su un solo punto, e dall’altra di approfittare dell’incapacità di manovra del nemico per piombargli addosso nel luogo e nel momento in cui meno se lo aspetta”.
Se non sappiamo elaborare una tattica politica né stabilire un piano di organizzazione per un periodo lunghissimo e che assicurino, attraverso lo svolgimento stesso del lavoro, la capacità del nostro partito di trovarsi sempre al proprio posto e di fare il proprio dovere nelle circostanze più inattese, qualunque sia la rapidità degli avvenimenti, siamo soltanto dei miserabili avventurieri politici.
Il proletariato nella sua lotta per il potere ha soltanto un’arma: la organizzazione… e può diventare e diventerà una forza invincibile soltanto perché la sua unione ideologica, fondata sui principi del marxismo, è cementata dall’unità materiale dell’organizzazione che raggruppa i milioni di lavoratori in un esercito della classe operaia.
Questo partito, così concepito e realizzato, sarà chiamato alla guida dell’insurrezione e ad esercitare la prima dittatura del proletariato per aver saputo risolvere tempestivamente i problemi della formazione di quadri sul piano della organizzazione e della preparazione ideologica e politica, e per aver operato non attraverso l’imposizione di vincoli di una gerarchia di potere, ma attraverso la applicazione d’una disciplina rivoluzionaria liberamente accettata, senza la quale non è concepibile la conquista armata del potere, la difesa della rivoluzione l’esercizio della dittatura e la stessa estinzione dello Stato in quanto potere di classe.
Ma è stato necessario aver sentito il particolare in funzione dell’essenziale, il momento tattico nel quadro d’una visione strategica. La grandezza di Lenin è tutta in questa sua capacità di sensibilizzare il contingente e lo stesso motivo tattico d’arretramento per farsene sicuro strumento di riconquista rivoluzionaria e procedere innanzi.
È quanto vedremo di confermare nel proseguimento del nostro esame del leninismo, considerato come dottrina e come prassi politica della rivoluzione socialista.
Onorato Damen