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Da Battaglia comunista n. 12 — 1970
[…] Le strutture portanti del dominio capitalista sono talmente tarlate da reggere malamente allo sforzo di tenere in piedi più a lungo tutto il marciume di una società basata sullo sfruttamento , sull’ingiustizia e sulla violenza.
Tutto ciò ha approfondito l’epoca della confusione e dello smarrimento politico; tutti si richiamano a Marx, a Lenin e al socialismo, e in tanta babele di lingue e di ideologie che impazzano sulla scena sociale e politica del mondo, si stenta a credere che il tuo Marx, il tuo Lenin, il tuo socialismo siano davvero non contaminati, quelli che certamente conducono il proletariato e il suo partito verso una soluzione rivoluzionaria della crisi che dilania la società capitalista.
Il partito deve pur calare in questa situazione non estranea alla sua lotta, ma come? Ecco il problema della tattica. Se per tattica si intende l’azione da svolgere in una situazione data per degli obiettivi intermedi a sé stanti, questa non è la nostra tattica, perché romperebbe la linea di sviluppo di una visione strategica della lotta. Il momento tattico va sempre considerato come momento di sviluppo sulla linea generale di una strategia rivoluzionaria di classe. Questo momento della azione contingente, in quanto visto e risolto come proiezione verso il fine rivoluzionario, non è mai fine a se stesso ma in funzione di quel fine.
Il nostro IV Congresso ha dovuto quindi affrontare i problemi essenziali della nostra epoca per riconfermare la validità delle impostazioni teoriche del Partito, della sua tattica e della sua strategia, come pilastri fondamentali della sua politica di classe.
Non ci sarà partito rivoluzionario se non si affronta l’ondata di contaminazione ideologica dilagante tra le stesse forze minoritarie che osano richiamarsi al marxismo. Nostro compito, quindi, è quello di lavorare al ripristino dei valori dottrinari del marxismo scientifico e della dialettica del superamento rivoluzionario, contro ogni faciloneria teorica basata sulla dialettica formale. Dalle esperienze intellettualistiche della scuola di Francoforte (Adorno, Marcuse, ecc.) alle più recenti esercitazioni sullo storicismo della scuola di Luis Althusser, il tentativo della cultura borghese è sempre lo stesso, quello, cioè, di piegare dottrina e prassi del materialismo dialettico di Marx alle esigenze della conservazione, ad una interpretazione in chiave idealista del mondo e delle vicende umane, che conduce inevitabilmente per mille canali diversi al compromesso e alla capitolazione.
Non ci sarà partito rivoluzionario se non si sfaterà la troppo facile teoria di coloro che predicano la necessità di una azione che “affretti” lo scioglimento dei nodi e faccia esplodere le contraddizioni del sistema, dimenticando l’assunto del marxismo che la volontà realizzatrice degli uomini diviene operante non per virtù propria, ma sotto la spinta di una condizione obiettiva che la determina.
Non ci sarà partito rivoluzionario se non si avrà chiara la natura di classe dello Stato (e di tutti gli Stati anche se autodefiniti “socialisti”), nella fase della dominazione imperialista. Ogni moto delle zone del sottosviluppo, che perviene alla conquista armata del potere, costruisce lo Stato sul modello più avanzato saltando le fasi intermedie dello Stato liberale, democratico parlamentare, per consentire un processo di sviluppo di una economia pianificata. E, anche in questo caso, saltando tutte le fasi intermedie, per la nota legge della inegualità dello sviluppo economico, tipico del capitalismo in genere e di quello monopolistico in particolare.
Ma si tratta in ogni caso di Stati a struttura capitalista e di una economia che viene sviluppata, dalle forme della feudalità e del pre-capitalismo a quella del capitalismo moderno, sulla base dei rapporti di produzione caratterizzati dal salario, dal profitto e dalla accumulazione; rapporti propri di una società divisa in classi.
In questa analisi, anche ciò che può apparire come “progressivo”, soggiace alla legge ferrea dell’espansione e della dominazione del capitalismo. In termini di strategia generale, tutto ciò vuol dire che alla globalità dello schieramento imperialista deve necessariamente contrapporsi la globalità di classe del proletariato rivoluzionario, quale che sia il grado della sua coscienza di classe e della sua conoscenza del fine.
D’altro canto non esiste, né può esistere, un terzo fronte, una terza strategia oltre quella dell’imperialismo, da una parte, e del proletariato rivoluzionario, dall’altra. Ma sarebbe grave errore del Partito se non sapesse scorgere la presenza e la crescita di un proletariato moderno che verrà fuori dal seno dell’attuale processo di trasformazione capitalista che inevitabilmente investe le varie esperienze in atto di capitalismo di Stato, nel blocco di Varsavia con la Russia in testa, nei paesi del Medio Oriente, nell’America Latina, nel Sud-Est asiatico e principalmente in Cina. Ma soprattutto sarebbe un grave errore se il Partito non sapesse porsi come obiettivo la necessità di collegarsi politicamente e organizzativamente con queste nuove forze del proletariato, che per la loro natura di classe e per i loro stesi interessi di classe saranno spinte a schierarsi sul fronte della lotta rivoluzionaria internazionale. […]
Onorato Damen