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Da Battaglia comunista n. 11 — novembre 1968
Sono, più precisamente, i nodi lasciati in eredità dalla sconfitta della Rivoluzione d’Ottobre alle forze internazionali comuniste che ancora si richiamano alla validità storica della sua ideologia e della sua esperienza. le quali hanno aperto l’era del socialismo nel mondo.
I volti dei due nodi che prendono massimo rilievo sullo sfondo tragico della sconfitta, sono quelli di Stalin e di Trotsky.
Quella stalinista si precisa sempre di più come l’esperienza che meglio di ogni altra ha saputo realizzare, sulle macerie del primo Stato operaio, la costruzione di una economia capitalista di Stato nella fase del massimo sviluppo monopolistico, utilizzando a questo fine certe strutture economiche della Rivoluzione, come quella della industria passata dalla proprietà privata alla proprietà dello Stato operaio. Su questa base era facile dar vita alla grande menzogna di far apparire come socialista la più smaccata realtà capitalista.
Ed è in questa fase d’imbroglio che è stato possibile, ad esempio, al PCI di costruirsi una politica bifronte rivolta alla scalata del potere sulla strada della democrazia parlamentare (la strada italiana al socialismo) e a turlupinare volta a volta le grandi masse, ora con la più ovvia delle tattiche sindacali, quella delle rivendicazioni salariali, accortamente filtrata nella conciliazione delle parti, ed ora con lo specchietto della opposizione rivoluzionaria.
Ma è l’altro nodo, quello del trotskismo, che oggi particolarmente interessa il nostro esame, soprattutto per i motivi della crisi interna che lo travaglia. Si tratta di una crisi che ha messo a nudo la incapacità del trotskismo, preso nel suo insieme, di vedere la reale natura della economia sovietica da cui è scaturita la spassosa teoria della rivoluzione politica contro la burocrazia accampata nello Stato, divenuto per ciò stesso degenerato. L’assurdo, cioè, di una teoria basata sulla ipotesi di uno Stato burocratico degenerato che amministrerebbe dispoticamente una realtà economica ancora socialista, e provocando così un ribaltamento nei rapporti della determinazione dialettica propria del marxismo. Un assunto, questo, che avrebbe fatto arrossire di vergogna o di rabbia il compagno Trotsky se avesse avuto la possibilità di analizzare, con gli strumenti della sua impareggiabile critica marxista, il ruolo della potenza russa alla conferenza di Yalta, a cui era demandato il compito della suddivisione del mondo secondo le esigenze di una ridistribuzione del potere imperialista tra le maggiori potenze vittoriose; ma soprattutto se avesse vissuto le giornate della rivolta degli operai di Budapest che espressero dal seno della classe i “consigli” e l’armamento del proletariato contro la dominazione e lo sfruttamento dello “Stato Guida”.
Che dire inoltre della tattica “entrista” inserita dai trotskisti in certe frange della organizzazione stalinista, con l’inevitabile intrecciarsi di uomini di paglia e di interessi più o meno confessabili, e che doveva servire, come è servita, da valvola di sicurezza per la continuità della stessa politica picista e della tanto “vituperata” burocrazia? E’ veramente strana questa sfuggente fauna politica che sa mimetizzarsi, quale che sia il terreno in cui manovra, e non consente che altri ne scoprano la vera fisionomia politica. Che tutto ciò possa passare con l’etichetta della personalità di Trotsky, il combattente rivoluzionario la cui sincerità è semmai venata di generosa ingenuità, lo lasciamo alla considerazione dei compagni della “rivolta ideologica” che, se non altro, hanno fin qui dato prova di una coraggiosa autocritica.
Solo al ripetersi dell’episodio tragico della occupazione, questa volta, della Cecoslovacchia, alcuni elementi marxisticamente più sensibili e conseguenti del trotskismo, hanno finalmente avvertito nel rapporto semicoloniale intercorrente tra la Russia e i suoi satelliti, la vera natura del regime di classe della realtà russa e in essa i segni inconfondibili del dominio capitalista, sinistramente proiettati in tutti gli aspetti essenziali della sua politica interna ed estera.
Il ripensamento critico di questi compagni porrà in concreto la necessità di un nuovo e più conseguente orientamento politico, compreso quello di una diversa collocazione organizzativa?
Quello che accadrà alla tradizionale organizzazione “quartista”, abituata a questi collassi interni e ad improvvise dispersioni, non è problema di gran conto se osservato nella dinamica quantitativa e qualitativa delle forze dello schieramento delle minoranze rivoluzionarie. Tuttavia riteniamo fatto positivo la “rivolta ideologica” di questi giovani che hanno spezzato il velo mistificatorio dello Stato burocratico degenerato, che è servito fin qui da cortina fumogena, impedendo a più generazioni di combattenti rivoluzionari di vedere nella struttura economica sovietica la rinnovata forma del capitalismo nella variante storica del capitalismo di Stato.
E’ il più basso servizio che il trotskismo internazionale poteva rendere, ed ha abbondantemente reso, al potere sovietico a danno del proletariato rivoluzionario. E’ stata necessaria la marcia dei carri armati su Praga per spezzare il velo mistificatorio in molte coscienze e mettere a nudo il vero volto imperialista della Russia.
Un’ultima considerazione. Non è chiaro fino a che punto la “rivolta ideologica”, di cui parliamo, porti in sé la chiara coscienza di un orientamento rivoluzionario di classe, specie quando questi giovani si illudono di vedere i motivi di certa politica antirussa dei maoisti come una politica rivoluzionaria. Si farebbero inconsciamente portatori di una ulteriore dispersione di forze verso una nuova e più ingannevole mistificazione, quella cinese del maoismo, e determinerebbero il loro inevitabile ingabbiamento in un diverso settore dello stesso schieramento imperialista.
Onorato Damen