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Da Battaglia comunista n. 3, marzo 1971
Sono in circolazione, per il cinquantenario di Livorno, dei fascicoletti di sommaria ricostruzione storica di questo avvenimento, qualcuno con pretesa di notazioni critiche verso personaggi di maggior spicco e verso movimenti che a Livorno giocarono un ruolo di importanza fondamentale. E’ questo il caso del ciclostilato a firma Lotta Comunista che si cimenta in problemi di critica assai più grandi della statura ideologico-politica di chi li affronta con tanta leggerezza.
Secondo questi leninisti della dodicesima ora e dei molteplici approdi…
… era in Bordiga una insufficienza centrale che lo avrebbe allontanato dal leninismo”. Insufficienza, si aggiunge e in modo assai confusionario, che “in fondo non era sua ma della esperienza del proletariato italiano di quegli anni (già, quella della occupazione delle fabbriche e della terra e nella quale le masse avevano dimostrato di essere più innanzi del loro stesso partito, il Partito Socialista Italiano…); d’altronde, tale insufficienza sarebbe stata, probabilmente, superata se il proletariato avesse potuto continuare (sentite! sentite!) nella esperienza rivoluzionaria aperta nel 1917.
In altre parole, se Bordiga si è allontanato dal leninismo, ciò e dovuto al declinare della presenza operaia sul piano della lotta, mentre se lo stesso proletariato avesse potuto continuare nella esperienza rivoluzionaria apertasi nel 1917, in tal caso anche Bordiga non si sarebbe allontanato dal leninismo.
In base a tale metodologia fondata sulla scienza (!) il rivoluzionario leninista rimane tale nella fase montante del conflitto di classe, e mette la testa sotto le ali, si allontana cioè dal leninismo, quando la fase del conflitto di classe è calante.
La prova? Questi compagni l’hanno bella e pronta:
… a Bordiga è mancata la capacità di una analisi scientifica perché non ha analizzato la composizione delle classi, il rapporto fra le classi in Italia; non ha analizzato il grado di sviluppo dell’imperialismo italiano: se avesse fatto ciò, se da questa analisi fosse uscita una proposta strategica, essa sarebbe stata analizzata e confrontata all’interno della Internazionale Comunista.
E’ difficile riunire in un solo periodo tanta copia di saccenteria e di disconoscenza dei dati reali; e bisogna essere analfabeti politici per attribuire, proprio a Bordiga, una carenza così macroscopica dei problemi che allora impegnavano direttamente il PCd’Italia nella sua lotta quotidiana.
Non è che Bordiga non abbia analizzato gli strati intermedi tra borghesia e proletariato; basta riandare ai suoi numerosi saggi degli anni 1920 (cito a caso: Il movimento d’annunziano, e l’altro, pregevolissimo, La questione agraria) per vedere con quale attenzione, profondità di analisi e rigore di metodo, l’autore abbia affrontato il problema dei ceti medi, delle zone del precapitalismo e il ruolo che queste forze avrebbero potuto giocare in quel momento e in una prospettiva storica.
Ma il vero problema non è qui, ma nel modo di considerare il ruolo politico di queste forze subalterne, prive in ogni caso di autosufficienza e di autodeterminazione politico-sociale, spinte dal variare delle contingenze a dover scegliere tra i due poli opposti dello schieramento sociale e politico: quello della borghesia e quello del proletariato, le protagoniste insostituibili del futuro scontro di classe. Per Bordiga, e per la Sinistra italiana, nella fase montante della azione rivoluzionaria, la media e la piccola borghesia sono l’oggetto di un accorgimento tattico da parte del partito rivoluzionario che funziona da polo di attrazione e di convergenza rivoluzionaria. Questo mentre il quadro strategico ha come suo pilastro l’esigenza fondamentale e storica della classe contro classe, di cui la tattica della polarizzazione della stratificazione dei ceti medi è soltanto una componente marginale, anche se necessaria, ma in definitiva non indispensabile per l’evento rivoluzionario.
Quanto poi all’accusa fatta a Bordiga di non aver analizzato il grado di sviluppo dell’imperialismo italiano, ha quasi il carattere di una banalità dovere ancora una volta affermare che Bordiga non ha mai pensato che per un marxista si dovesse porre l’analisi del grado di sviluppo dell’imperialismo italiano se non come momento assai parziale e contingente dell’imperialismo nella sua totalità; la strategia rivoluzionaria di classe non è un fatto nazionale ma si articola su scala internazionale. Parlare di imperialismo nazionale è una forma inequivocabile di sciovinismo strategico che nega la formulazione leninista dell’imperialismo.
Sono proprio certi leninisti, figli della media e piccola borghesia e che non sono mai riusciti a rompere il cordone ombelicale con la loro matrice naturale, la borghesia, — sono proprio loro a rimproverare i rivoluzionari e il marxismo in genere di non tener conto della tattica, che è quanto dire di non tener conto del ruolo rivoluzionario del mondo studentesco e degli intellettuali come ala marciante della borghesia nel suo complesso.
Scrive Bordiga:
Non possiamo qui inserire una critica interpretativa del fascismo in generale, ma ci limiteremo a dire che questo, a nostro avviso, costituisce una mobilitazione delle classi medie e intellettuali, operata da parte e a beneficio dell’alta borghesia industriale, bancaria e agraria; mobilitazione che le classi medie medesime scambiano dapprincipio col problematico avvento di una loro funzione storica autonoma e decisiva, quasi di arbitre nel conflitto tra borghesia tradizionale e proletariato rivoluzionario.
Al centro della organizzazione fascista si trova l’affarismo e il parassitismo padronale, e la macchina statale, per quanto apparentemente dedita alle manovre di sinistra del nittismo parlamentare; alla periferia si trova tutto quel misto di idealismi e di appetiti, caotico ed informe, del quale nulla di meglio le classi intermedie sapranno mai portare sul terreno del conflitto sociale”.
Bordiga, Il Movimento Dannunziano — da Prometeo, febbraio 1924
Non sottovalutiamo l’importanza politica dell’adesione alla lotta rivoluzionaria da parte dei transfuga della borghesia, ma che siano autenticamente transfuga della loro classe di origine e non pagliaccetti dal berretto frigio del giacobino, disposti a tutti i giri di valzer come è nelle abitudini di certo piccolo-borghesismo che imperversa e appesta tanto i partiti della democrazia parlamentare che i gruppi extraparlamentari, nessuno escluso.
Ultimo l’appunto, veramente sconcertante per irresponsabilità se si tiene conto del pulpito da cui proviene la predica, che Bordiga (cioè la Sinistra italiana) non ha analizzato il grado di sviluppo dell’imperialismo italiano.
Il solo modo di analizzare il grado di sviluppo dell’imperialismo è quello di sapere innanzitutto come un partito di classe deve comportarsi di fronte alla guerra che dell’imperialismo è la manifestazione più naturale e conseguente. Ebbene, se vogliamo riferirci alla prima guerra mondiale nessuna corrente del Partito Socialista ha saputo analizzare la fase dell’imperialismo e la necessità dell’avversione attiva alla sua guerra più di quanto non abbiano fatto le correnti della sinistra rivoluzionaria, che hanno avuto nel giovane Bordiga la loro espressione più valida.
Quale era la posizione difesa da Lenin a Zimmerwald? Scrive a questo proposito Rosmer nel primo volume della sua storia del movimento operaio durante la guerra, Dall’unione sacra a Zimmerwald:
E’ necessario mostrare innanzitutto che la guerra è una guerra imperialista e trova conseguentemente l’azione che discende necessariamente da questa constatazione: lotta senza quartiere contro i social-patrioti, ma anche contro il centro (Kautsky) che non è meno pericoloso; gli eletti socialisti devono comunque votare contro i crediti di guerra, obbligare i loro ministri a dimettersi; è necessario chiamare le masse alla guerra rivoluzionaria contro i governi capitalisti; è necessario, infine, preparare fin da ora la via alla nuova internazionale.
Tattica leninista classica: lotta intransigente verso lo scopo chiaramente posto, una lotta seriamente preparata sulla base di condizioni date, e non battaglia intrapresa alla leggera e condotta senza rigida direzione.
Ebbene, se questa posizione era ben lontana da quella sostenuta dai raggruppamenti ufficiali del Partito Socialista, quali quelli di Lazzari e Modigliani, era però perfettamente identica a quella sostenuta nello stesso partito dalla sinistra rivoluzionaria e particolarmente da Bordiga. Non è forse questo il modo migliore, o meglio il solo modo di sentire e di esprimere il marxismo allo stesso modo di Lenin, in umiltà e coerenza, di fronte al fenomeno della guerra e dell’imperialismo, quale che sia la dimensione geografica ed umana in cui ognuno è costretto a muoversi?
Se poi vogliamo riferirci alla esperienza più vicina, quella della seconda guerra mondiale, è la stessa esperienza della Sinistra italiana che continua nel Partito Comunista Internazionalista, la sola organizzazione rivoluzionaria che abbia affrontato, con inesorabile e dura coerenza, l’esame della natura della guerra e del fronte imperialista arricchitosi dell’immenso potenziale umano e di risorse economiche della Russia sovietica. Aver capito questo e aver operato conseguentemente significa aver saputo adoperare l’arma del marxismo, che non era certo disposta a sparare sul fronte della guerra di liberazione a difesa della patria borghese e della ricostruzione dell’apparato capitalista come hanno fatto questi leninisti, teorici della strategia dell’imperialismo nazionale.
Non deve aver insegnato proprio nulla, a questi pasticcioni, la lezione della guerra se ricorrono al frusto espediente polemico dei trotzkisti che hanno tuttora nel gozzo il bordighismo e la Sinistra italiana proprio per questi problemi di fondo che distinguono il nostro partito dalla fungaia dei raggruppamenti figliati, più o meno bene, dallo stalinismo. Lotta Comunista compresa.
Battersi innanzitutto contro l’imperialismo del proprio paese non ha mai significato, per la Sinistra italiana, ridurre a livelli settoriali l’analisi dell’imperialismo che va invece visto nella sua globalità di interessi e di strategia. Soprattutto non ha mai significato ridurre il conflitto di classe ad una strategia nazionale che nasconde nelle sue pieghe accorgimenti tattici di alleanze e di compromessi che vengono volta a volta giustificati con le esigenze e le necessità nazionali, ridicolizzando in tal modo il marxismo nella sua essenza rivoluzionaria e internazionalista.
Onorato Damen