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Dalla rivista D-M-D' n °4
L’ultimo biennio del confronto tra capitale e forza lavoro, si conferma con la doppia porta in faccia al sindacato considerato più estremista, e meno incline a svolgere un ruolo subalterno alla CGIL. Tutto inserito in una crisi globale, dove la stessa forza lavoro deve assurgere alla sua funzione storica per il capitalismo, ossia alla produzione del plusvalore ma a condizioni ben peggiori, mentre il sindacato a quella di depotenziare i conflitti all’interno del meccanismo di produzione.
In questo scorcio del 2011, tra manovre economiche e attacchi speculativi, spiccano due sentenze, non ancora definitive, sulla disputa legale aperta dalla FIOM, sia riguardo la vicenda dei tre operai di Melfi, accusati dalla SATA-FIAT di aver sabotato durante uno sciopero la produzione di linea, prima licenziati e poi riammessi tramite sentenza del giudice di Melfi; sia riguardo la spinosa questione Fabbrica Italia ideata da Marchionne, per cui il giudice di Torino ha ritenuto legittimi gli accordi stipulati a Pomigliano, tra l’azienda italo-americana e tutti i sindacati esclusa la FIOM. Ma questi contenziosi partono da lontano e hanno come sfondo la riscrittura dei rapporti tra capitale e lavoro, sia all’interno delle fabbriche italiane che nel settore del pubblico impiego, attraverso la modifica legislativa che li regolamenta, legandoli sempre più alla produttività e allo sfruttamento nel luogo di lavoro.
Riforme strutturali
Ad inizio 2009, a fronte di una crisi economica globale senza eguali, la classe borghese rappresentata da confindustria, ottiene le tanto invocate riforme strutturali (riorganizzazioni delle fabbriche e dei luoghi di lavoro del pubblico impiego, con avalli legislativi e sindacali) e con un’accelerata improvvisa, si formalizza un accordo quadro in cui si riscrivono i principi e le regole da adottare poi nei contratti[1].
Nell’incipit stesso si legge: “Il Governo e le parti sociali firmatarie del presente accordo, con l’obiettivo dello sviluppo economico e della crescita occupazionale fondata sull’aumento della produttività, l’efficiente dinamica retributiva e il miglioramento di prodotti e servizi resi dalle pubbliche amministrazioni, convengono di realizzare – con carattere sperimentale e per la durata di quattro anni – un accordo sulle regole e le procedure della negazione e della gestione della contrattazione collettiva, in sostituzione del regime vigente”[2]. Si depotenzia il già esile contratto nazionale, legando il salario dell’operaio ai guadagni aziendali dichiarati, ma soprattutto tendente a controllare e gestire il più possibile la conflittualità e la rabbia crescente, al fronte delle migliaia di ore di cassa integrazione e alla fuoriuscita di lavoratori dal ciclo produttivo a causa della crisi.
Per il pubblico impiego, l’attivissimo ministro Brunetta, su questo fronte ha già da tempo aperto la breccia, ma e’ con lo “Schema del decreto legislativo di attuazione della legge 4 marzo 2009 n. 15 in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni”[3] che formalizza definitivamente tutta la normativa contrattuale. La produttività della pubblica amministrazione sarà assicurata attraverso sistemi di misurazione di performance (Cap. II e Cap. III del decreto) sia del singolo che dell’area di impiego, definiti per obiettivi da raggiungere nel periodo della validità del contratto. Saranno previsti contratti di secondo livello o territoriali (regionali, provinciali ecc..) dove :”Lo stanziamento delle risorse aggiuntive per la contrattazione integrativa è correlato all’affettivo rispetto dei principi in materia di misurazione, valutazione e trasparenza della performance”[4]. Quindi’ “A tal fine destina al trattamento economico accessorio collegato alla performance individuale una quota prevalente del trattamento accessorio complessivo”[5]. Molto dipenderà dagli stanziamenti territoriali integrativi; ma vista la profonda crisi in cui versa la pubblica amministrazione, di fatto tagliata in tutte le sue voci, ai lavoratori pubblici rimarrà ben poco, indipendentemente dalle buone o coattive performance.
Ad Ottobre, forti del consenso politico, soprattutto del ministro del lavoro, e del fronte sindacale connivente e minoritario, si arriva alla formalizzazione dell’accordo separato per i metalmeccanici che sostituisce quello in vigore fino al 2011; sostanzialmente FIOM e CGIL si oppongono, in quanto l’accordo non e’ stato valutato con una votazione democratica da parte dei lavoratori, e soprattutto per la modalità di conduzione della trattativa stessa, in quanto esclusi quasi subito dal tavolo. Balza all’occhio l’aumento contrattuale minimo, in cui un terzo livello riceverà a partire dall’ anno successivo (2010) circa 16 euro netti, “il più basso rinnovo contrattuale degli ultimi decenni”[6]. E’ chiaro che con l’accordo quadro, la contrattazione si sposterà nelle aziende, e teoricamente la parte mancante dovrebbe essere integrata attraverso gli obiettivi (di profitto) raggiunti. Una chimera vista la crisi e le forze in campo. Quest’aumento da fame e’ il risultato preciso dell’accordo quadro di Gennaio, infatti per il lavoratore dipendente del settore privato, gli incrementi dei salari saranno ulteriormente ridotti, rispetto al già diluito indice previsionale IPCA, ossia i prezzi al consumo armonizzati a livello europeo; valore questo che risulta anche depurato dal costo dei beni energetici importati. Il risultato finale di questa ennesima truffa erosiva del potere d’acquisto, e’ lo scostamento al ribasso tra l’inflazione reale e quello che poi il nuovo contratto produrrà in busta paga. Ad esempio, se raffrontiamo il modello contrattuale definito nel protocollo del 23 luglio 1993, con l’accordo separato del 22 Gennaio 2009, otteniamo il seguente risultato[7]:
Tasso medio annuo
Periodo 2009-2012
|
Protocollo del 23 luglio 1993 |
Accordo separato del 22 gennaio 2009 |
Retribuzioni contrattuali |
2,1% |
1,8% |
Inflazione effettiva (IPCA) |
2,1% |
2,1% |
Differenza reale |
0 |
–0,3% |
Risultato |
0 |
– 540 euro |
In definitiva l’accordo, oltre a erodere sensibilmente il potere d’acquisto e buttare il lavoratore nelle fauci dello sfruttamento tout court; e’ la rottura definitiva di quella che era ritenuta a torto o a ragione, l’unita sindacale tra le varie confederazioni. Unità per la verità che non si e’ mai dimostrata nei fatti, se non attraverso la firma continua di accordi peggiorativi, e nei momenti di tensione e di lotta, un continuo distinguo di posizioni e di vedute (strumentali) di volta in volta atti a screditare la parte più avanzata. Ne consegue che il fronte sindacale consenziente nonostante la minoranza degli iscritti dei lavoratori, rispetto alla FIOM, stralci in maniera unilaterale gli accordi presi precedentemente, e votati dalla maggioranza dei lavoratori stessi.
Parallelamente agli accordi separati, l’ariete Marchionne, l’avanguardia assoluta del fronte padronale, impone senza troppi giri di parole un contratto, cucito appositamente per Pomigliano, ma esteso poi ad altri stabilimenti della filiera FIAT. Se si guarda più da lontano la scena; si osservano due forze avanzare, da un lato l’attacco al lavoro pubblico e privato attraverso accordi quadro che si elevano a norme legislative di stato, e dall’altro l’avanzata inesorabile di Marchionne nella ristrutturazione totale della fabbrica Italia. Alla fine di questa avanzata vedremo che rimarrà sul terreno spappolato non solo l’articolo 18, ma soprattutto frantumati definitivamente i diritti generali (ossia quelle regolamentazioni concrete che permettevano al lavoratore di non essere completamente soggiogato al capitale, costati anni e anni di lotte e di morti) e con essi il salario nella sua forma più larga: diretto, indiretto, differito. Messa all’angolo la FIOM che impelagata in pastoie giudiziarie, non aprirà di fatto nessuna feritoia nel fronte padronale.
Pomigliano
Sergio Marchionne annuncia il suo piano senza troppi peli sulla lingua. Parla deciso, e se lo può permettere, sa bene quali sono le forze in campo, e alla stoccata di fioretto preferisce la primitiva clava del padrone. "Tutti gli sforzi che Fiat ha fatto, a livello gestionale, industriale ed economico, non sono più sufficienti. Ed oggi, di fronte alla crisi globale del settore auto c´é la necessità di una razionalizzazione per contrastare una sovraccapacità produttiva cronica. Consapevoli che azioni di conflitto immotivate portano solo danni perché non fanno altro che regalare occasioni d´oro alla concorrenza "[8]. E rincarando successivamente la dose: “A Pomigliano bisogna chiudere e se non si chiude l'investimento non parte. La cosa importante è trovare l'accordo. Senza l'accordo non si possono fare gli investimenti: ci sono 700 milioni che stanno aspettando”. Il ricatto per l’amministratore unico e’ facile, se i sindacati (soprattutto FIOM, Cobas) si oppongono, lui sposta la produzione all’estero, ritira l’investimento ed abbandona l’Italia. Intanto proprio a Pomigliano i lavoratori più sindacalizzati e pronti allo sciopero o quelli considerati più assenteisti, vengono isolati in un centro logistico a Nola costruito ad hoc e che poi sarà dato in gestione a una società terza. All’amministratore non serve avere il consenso della maggioranza dei lavoratori, il suo piano fabbrica Italia prevede l’asservimento totale ai nuovi ritmi di produzione, da parte di tutti, non una sola goccia di plusvalore deve essere sprecata. Forte inoltre di una campagna ideologica possente, tramite tutti i canali informativi, e i corifei di turno; si arriva alla votazione del piano, e i lavoratori da scegliere hanno ben poco. La FIOM che comunque si e’ opposta al piano, anche con picchetti e manifestazioni, non rimane altro che attendere l’esito della votazione, ben sapendo che se passa, il suo campo d’azione all’interno della fabbrica viene notevolmente ridimensionato, se non annullato.
L’esito della consultazione al “Giambattista Vico” di Pomigliano fornisce il 63% dei consensi al piano FIAT che produrrà una newco[9], su un totale votante del 95% di aventi diritto. Ma l’amministratore delegato non e’ contento “l'azienda lavorerà con le parti sindacali che si sono assunte la responsabilità dell'accordo al fine di individuare ed attuare insieme le condizioni di governabilità necessarie per la realizzazione di progetti futuri”. E’ chiaro che il 63% di consensi (a ricatto) non mettono in sicurezza la governabilità totale del progetto. E molti pensano che alla fine l’amministratore unico non rispetterà nemmeno i patti. Infatti le confederazioni collaborazioniste sono già in allarme; Raffaele Bonanni, segretario generale della Cisl, afferma: “La Fiat ora non scherzi e proceda con gli investimenti su Pomigliano. Il sì ha vinto e quindi ora non ci sono scuse”. Mentre il ministro Sacconi, anche lui allarmato dichiara: “Non voglio nemmeno ipotizzare che Fiat cambi idea - ha detto- Fiat non può che riconoscere che vi sono tutte le condizioni per realizzare il promesso investimento”.
La FIOM esce invece con le ossa abbastanza rotte, la sua opposizione alla newco a Pomigliano, si e’ rivelata più una questione di forma che di contenuti, e tendente a non perdere il proprio orto all’interno dello stabilimento. Infatti sottolinea il segretario generale della Fiom, Maurizio Landini che e’ intenzionato a negoziare, qualora la Fiat riaprisse le trattative, affinché l’investimento venga fatto “senza però forzature su pause, diritti e dignità”. Quando poi la FIOM depositerà presso il tribunale di Torino l’azione legale contro la FIAT e in particolare contro la newco di Pomigliano, il segretario affermerà “La newco e' costruita in modo da lasciare fuori le realtà sindacali che non hanno firmato l'accordo”. Questo ricorso evidentemente viene visto come “un atto importante ma il lavoro sindacale non lo affidiamo solo alla magistratura e ai giudici. Fino a oggi abbiamo fatto di tutto perché si potesse aprire la strada per una trattativa vera con Fiat. Eravamo già pronti con il ricorso, ma abbiamo atteso che si riaprisse il dialogo. Ma questo non è stato possibile”[10]. Ci si appellerà quindi al contenzioso legale, nella speranza di trovare giudici pronti ad avallare le tesi della FIOM. I punti contestati[11] sono sostanzialmente questi:
Intanto i malumori all’interno della CGIL sull’estremismo di Landini, aprono crepe sempre più vistose. I rapporti tra le due confederazioni si induriscono, nonostante la prova di forza con la manifestazione di Roma del 16 ottobre organizzata dalla FIOM. L’elezione della Camusso poi, riavvia per la CGIL la linea del dialogo con Confindustria, soprattutto sui contratti di secondo livello, ossia quello che dovrebbe ritornare in busta paga attraverso l’andamento dei profitti dell’azienda e che non e’ stato erogato al primo livello del contratto; questa mossa isola definitivamente Landini, mentre Marchionne procede senza intoppi con i suoi programmi.
I tre operai di Melfi
La fabbrica di Melfi è considerata un fiore all’occhiello per la produzione e per la sua organizzazione in catena di montaggio, con produttività altissima e conflittualità tenuta a bada con licenziamenti coatti. Nonostante questo biglietto da visita, è norma sempre più diffusa mettere in cassa integrazione a rotazione il personale, per poi far ricadere il carico di lavoro sui rimanenti operai. Ciò significa lavorare per due, allo stesso stipendio e nello stesso arco temporale, oltre che erodere soldi di cassa, in realtà non necessaria. A Melfi si consuma un conflitto costante, e la Fiat non ci pensa due volte a licenziare chi osa ribellarsi ai dettami aziendali; ciò produce un continuo contezioso legale tra azienda e lavoratore, il più delle volte il reintegro avviene, ma a fronte di un calvario giudiziario davvero estenuante. Ma nulla poi sarà come prima nei rapporti di lavoro, l’isolamento è quasi certo e a lungo andare si preferisce abbandonare e trovarsi un nuovo lavoro.
In questo quadro generale, si inserisce la storia di tre operai che a fronte di uno sciopero improvviso a causa dell’ennesima cassa e dai ritmi insostenibili, vengono accusati dalla Fiat di sabotare la catena di montaggio e per questo prima vengono sospesi e poi licenziati, sono tutti iscritti alla FIOM, di cui due rappresentati RSU. Come era successo pure per un altro lavoratore di Mirafiori il mese addietro, quando utilizzando il sistema di posta elettronica aziendale, aveva inoltrato ai colleghi di Pomigliano un volantino di solidarietà fatto dai lavoratori di Tychy in Polonia: “La Fiat gioca sporco. Quando trasferirono la produzione qui ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli altri. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d’Europa e non sono ammesse manifestazioni di dissenso”[12].
Ad una prima sentenza, i tre lavoratori vengono reintegrati all’interno dello stabilimento, ma la Fiat li confina in una sala destinata all’RSU. Possono continuare a occuparsi di attività sindacali, ma mai permettersi di avvicinarsi alla produzione. Di fatto un carcere stipendiato: “Noi stiamo in una stanzetta a mezzo chilometro dalla produzione, sempre nello stabilimento Sata e quando i lavoratori ci chiamano riusciamo a malapena a svolgere l’attività sindacale”[13]. Se questa storia serve da monito per i restanti lavoratori, non solo Fiat, allora probabilmente questo accanimento è del tutto funzionale al prosieguo della politica di Marchionne. L’azienda Torinese ricorre contro la prima condanna a comportamento antisindacale, e un secondo giudice accoglie il ricorso: “non c’è comportamento antisindacale”[14]. Al momento, in attesa del pronunciamento del terzo giudice, questa volta di Potenza, per i tre rimane la stanzetta a mezzo chilometro di distanza dal lavoro, e l’illusione che fa tenerezza di aver sconfitto Marchionne[15]. Anche questa vicenda dice che la scelta fatta dalla FIOM di porre la questione, solo su inosservanze di diritti da parte della Fiat e di rappresentanza in fabbrica, non produce risultati utili alla classe operaia. Non serve convincersi che una sentenza favorevole, possa ribaltare i centenari rapporti di produzione esistenti. Il ministro del lavoro che tanto ha tritato i diritti dei salariati, dando strumenti di ogni tipo proprio ai Marchionne di turno, si autoassolve affermando che “devono risolvere le parti tra di loro: nessun governo potrebbe entrare tra le parti”[16]. Mai come in questi frangenti sono chiari i rapporti di forza tra le classi, e soprattutto del ruolo dello stato non affatto imparziale, ma fondamentale per la conservazione del predominio e dei profitti della classe borghese.
Mirafiori e Grugliasco
Mentre prosegue il confronto tra confindustria, sindacati (compresa la CGIL) e governo, sui contratti di secondo livello, e i confini di derogabilità del contratto nazionale vigente; Marchionne conquistata Pomigliano e abbandonata Termini Imerese; passa all’attacco di Mirafiori e poi di Grugliasco.
Il piano per Mirafiori e per Grugliasco (Ex-Bertone) è quello di Pomigliano, stesse finalità e stessa modalità: accettare senza fiatare o chiusura. La FIOM si comporta un po’ come a Pomigliano, oppone manifestazioni e picchetti con volantinaggio e presenza sui media costante, mentre le altre confederazioni sono in linea con l’amministratore unico. Ma non “inganni la contrapposizione tra le diverse sigle sindacali in quanto la FIOM avrebbe firmato l’accordo se non fosse stato per le clausole sulla rappresentanza che, di fatto, trasformano il sindacato in una sorta di appendice aziendale, un “organo ratificatore” con ciò che ne discende in termini di ridimensionamento drastico del proprio potere contrattuale e politico, cosa che non può andar bene alla FIOM che si fa forte del numero dei suoi iscritti e che, di converso, va più che bene alla FIM, alla UILM, alla FISMIC, fortemente minoritarie tra gli operai metalmeccanici.”[17].
I corifei di sinistra, alla Ichino o Fassino che di Torino e’ il sindaco, non possono che plaudire al loro nuovo eroe, e fanno a gara a chi può scavalcare l’altro in lodi e appoggi incondizionati: “tutti gli esponenti più autorevoli della maggioranza del partito, da Bersani a Letta, a Fassino, hanno detto che gli accordi Fiat sono positivi, comprese le deroghe al contratto nazionale, tranne che per la parte in cui negano alla Fiom il diritto alla rappresentanza; dunque l’intero partito potrebbe far propria la proposta della sua minoranza, contenuta nel mio disegno di legge.”[18]. Mentre piu’ seccamente il neo sindaco afferma: “Se fossi un lavoratore della Fiat voterei sì al referendum sull'accordo a Mirafiori”. Una piccola considerazione l’apostolo del libero mercato Ichino la dedica ancora alla FIOM sperando che “rimanga dentro il sistema costituzionale delle relazioni industriali, anche se non ha firmato l’accordo. Conviene anche alla Fiat che essa abbia i propri rappresentanti sindacali in azienda e non diventi un “super-Cobas”[19]. A Mirafiori i lavoratori a denti stretti, sapendo bene cosa li aspetta[20] votano per il piano di Marchionne, e successivamente anche a Grugliasco, alla ex Bertone il risultato è lo stesso.
Ecco la Fabbrica Italia
L’avanguardia del fronte patronal borghese, ormai è vicina al traguardo. Ha realizzato i piani in meno di due anni, ha fatto da locomotiva e apripista, tracciando la via direttamente sui diritti della classe lavoratrice, spazzandoli via lontano. Il progetto Fabbrica Italia è quasi una realtà. Una realtà di carta. Durante la presentazione di quello che i vertici della casa torinese definivano “il più straordinario piano industriale che il nostro Paese abbia mai avuto”, annunciavano “Nei prossimi cinque anni la produzione di auto e veicoli commerciali in Italia passerà da 800 mila a 1 milione e 650 mila unità all’anno”, spiegavano John Elkann e Sergio Marchionne. A oggi, secondo le loro stime di settembre, siamo fermi a quota 746.000 unità[21]. A fronte di una crisi devastante, la produzione di auto è calata su tutto il fronte Fiat, soprattutto in Europa. A Pomigliano, nel biennio 2009-2010 si e’ passati da 40 mila auto prodotte, circa 20mila per anno a scarse 18 mila previste per l’anno corrente. A Melfi, da 266 mila del 2009 alle scarse 250 mila del 2011, previste. Stessi cali in percentuale a Cassino, come pure a Tychy in Polonia, dove la produzione in un anno è calata del 10%. A Mirafiori infine si è passati della 172 mila auto del 2009, alle 68 mila previste per il corrente anno. Solo Termini Imerese, lo stabilimento destinato ad essere ceduto da Fiat, risulta in controtendenza con un aumento della produzione[22]. All’ultimo momento di questo già poco lusinghiero conto, si aggiunge la vicenda ancora tutta da decifrare della IRISBUS della Valle Ufita di Avellino. All’inizio dell’epopea Marchionne, questo stabilimento di circa 700 lavoratori più 300 nell’indotto, era destinato ad essere ceduto, ma a trattativa quasi chiusa, il compratore non compra più, e la Fiat avvia la procedura di chiusura. Un successo senza eguali, per il modernizzatore filosofo di Chieti.
Mentre i successi per la casa torinese si accumulano, passando da esplua’ in borsa dove il titolo Fiat in un anno ha entusiasmato, come un ambo nella tombola; ad affermazioni mondiali come il declassamento di Moody’s o di Fitch con outlook negativo[23]: “La decisione - ha spiegato Falk Frey, vice presidente dell'agenzia e capo analista per Fiat - riflette l'idea di Moody's che le affidabilità creditizie di Fiat e di Chrysler saranno sempre più allineate in futuro a mano a mano che le strategie e le operazioni dei due gruppi diventano gradualmente più interconnesse”. I burocrati della CGIL insieme ai loro compari di CISL e UIL, formalizzano a giugno un nuovo accordo con Confindustria, e supervisionato dal governo. E’ stato voluto intensamente dalla CGIL, per riaccreditarsi dopo una dieta dai tavoli di trattativa. Si armonizzano i contratti di primo e secondo livello e si burocratizzano alcuni passi sulla deroga di quello nazionale, e si depotenzia di molto il diritto di sciopero, con clausole che ne limitano la manovra e l’agibilità’ di conflitto. Roba già vista nell’accordo separato precedente, solo che questo permette alla CGIL di rientrare nei giochi, troncando le sponde di supporto alla FIOM; imbufalito Landini afferma: “La Cgil ha sbagliato. L’intesa non solo non prevede il voto dei lavoratori ma indebolisce il contratto nazionale, apre cioè a quelle deroghe a cui abbiamo già detto di no”[24].
Inevitabilmente la crisi come un vento siderale, spazza via qualsiasi discussione ulteriore e impone al paese, una serie di manovre economiche che dilaniano definitivamente i residui diritti dei salariati. Segretamente (Pulcinella e’ più riservato) al governo arriva dalla BCE, la banca centrale europea, un elenco di punti da rispettare, per correggere i conti (e succhiare ulteriore plusvalore), tra cui spicca il punto in cui si chiedono “delle norme che regolano l'assunzione e il licenziamento dei dipendenti, stabilendo un sistema di assicurazione dalla disoccupazione e un insieme di politiche attive per il mercato del lavoro che siano in grado di facilitare la riallocazione delle risorse verso le aziende e verso i settori più competitivi”[25]; mentre per il pubblico impiego “il Governo dovrebbe valutare una riduzione significativa dei costi del pubblico impiego, rafforzando le regole per il turnover (il ricambio, ndr) e, se necessario, riducendo gli stipendi”[26]. Il punteruolo rosso entra nel cuore tenero della palma, rosicchia senza fermarsi formando una buco largo dove depone le uova, dopo la schiusa queste mangiano tutto il midollo della pianta, scavando lunghe e larghe gallerie, fino a quando della palma non rimane che la corteccia. All’inizio la pianta sembra non subire gli effetti, ma in breve tempo si divarica e secca tutta. Sacconi, il ministro anticomunista del lavoro e delle politiche sociali, con le sue grandi orecchie capta in anticipo i dettami BCE di Trichet e Draghi. Con una furbizia tipica dei mariuoli di provincia, inserisce all’ultimo momento nella manovra economica bis di agosto l’articolo 8, la norma punteruolo che si mangia definitivamente l’articolo 18 e non solo; infatti nel momento in cui si realizzano delle intese tra il sindacato territoriale o d’azienda[27], è possibile derogare alle norme generali che regolano il licenziamento, definite nell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori appunto. Ma questa legge punteruolo depone molte uova, sono i commi pronti a schiudersi e portati in dote dall’articolo 8. Se si pensa a una settimana di 40 ore, è meglio aggiornarsi, perché’ si potrebbe lavorare dalle 20 alle 65, in base all’abbisogna del ciclo produttivo del momento. Le qualifiche dell’operaio o dell’impiegato possono essere decise direttamente dal datore di lavoro, in barba alle vere mansioni poi svolte, come pure gli aumenti salariali di secondo livello. Il comma 2-bis permette di “derogare da tutte le leggi che hanno finora disciplinato le materie di lavoro. Dette leggi comprendono non soltanto lo Statuto dei Lavoratori del 1970, il pacchetto Treu del 1997, la legge 30 del 2003 con il successivo decreto attuativo, ma pure le centinaia di disposizioni legislative introdotte dagli anni 60 in poi che si trovano citate in calce a ogni manuale di diritto del lavoro”[28]. Una manna che nemmeno Marchionne avrebbe immaginato così abbondante: “Quello che ci serviva ci è stato dato. La mossa che è stata fatta adesso dal ministro Sacconi con l'articolo 8 è importantissima e comincerà a dare non solo alla Fiat, ma a tutti quelli che vogliono investire in Italia la certezza che consente di gestire. La manovra di Sacconi ha risolto tantissimi problemi ed è di una chiarezza bestiale”[29]. Un regalo che ha permesso alla Fiat di abbandonare anche confindustria, vecchia compagna di tante battaglie e oramai al cospetto dei sindacati, burocrazia inutile in questa fase di crisi indomabile. Rimane l’ultimo grido impotente di Landini che rivolgendosi al capo dello stato, il vecchio comunista Napolitano, gli chiede di non firmare la norma, ricavandone uno schiaffo a cinque dita: “Sorprende che da parte di una figura di rilievo del movimento sindacale si rivolgano al Presidente della Repubblica richieste che denotano una evidente scarsa consapevolezza dei poteri e delle responsabilità del Capo dello Stato”[30]. Consigliamo di rivolgersi al papa, se non ci ha già pensato.
Anno zero
In Germania anno zero di Rossellini, a un certo punto scorrono le immagini di una Berlino ridotta in macerie, sono immagini a tutto tondo e non lasciano intravedere nessuna costruzione, anche parziale, rimasta in piedi dopo il bombardamento nemico. Potremmo usare questa metafora cinematografica, per riassumere frettolosamente quello che rimane sul campo di diritti e regolamentazione del lavoro, dopo i bombardamenti di questi anni. Oppure sostituire la metafora con la realtà recente del palazzo di Barletta, franato addosso a quattro giovani lavoratrici, dove nello scantinato senza uno straccio di contratto, lavoravano a 4 euro l’ora per almeno 10 ore al giorno. O addirittura più sinistramente, utilizzare il fondo della buca di sette metri e larga poco meno di un metro, dove due edili napoletani si sono calati, senza esitazioni e senza i minimi requisiti di sicurezza, trovando la morte per asfissia, a causa di una improvvisa frana. Probabilmente proprio le macerie, rendono bene il senso di quello che sono diventati i luoghi di lavoro, luoghi dove l’asservimento ai cicli produttivi, alla catena di montaggio che non permette pause nemmeno di millisecondi, oppure alle turnazioni insostenibili, all’impossibilita’ di reagire per non finire subito stritolati dalla repressione militaresca della fabbrica, e dei suoi aguzzini guardaspalle; oppure al licenziamento improvviso o alla cassa integrazione permanente. Emerge emblematicamente in maniera cristallina il ruolo svolto dallo stato, ossia lo strumento che produce le condizioni, il più favorevoli possibili allo sfruttamento del lavoro salariato; come pure quello del sindacato, ridotto in definitiva a ratificatore di norme e leggi. Abbiamo in larga parte una classe, quella proletaria, che si e’ completamente inabissata, disconoscendo totalmente il suo ruolo storico. Anche le innumerevoli lotte spontanee se non supportate dal partito della classe (tutto da costruire) che li incanala sui binari della lotta politica oltre che economica, sono destinati come si e’ visto ad essere un fuoco di paglia. La lettera dei lavoratori Polacchi che abbiamo messo sotto nelle note, rivela un buon livello di coscienza di se, soprattutto dove si afferma con somma lungimiranza: “Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente”; come i lavoratori della Zastava in Serbia a loro volta hanno rimarcato[31].
In definitiva, la crisi economica attuale e’ talmente grave che ci pone definitivamente di fronte a “una svolta storica nel rapporto fra capitale e lavoro. Ma non perché –come sostiene Marchionne- demarca il confine fra conservazione e modernità quanto piuttosto perché dimostra in modo inequivocabile che il sistema capitalistico è giunto a uno stadio per cui la sua permanenza comporta ogni giorno di più per gran parte della società e soprattutto per coloro che vivono vendendo forza lavoro, la discesa di un altro gradino verso il baratro della povertà e della schiavitù propria del lavoro salariato”[32].
Antonio Noviello
Note
[1] Accordo quadro Gennaio 2009: “Riforma degli assetti contrattuali”.
[2] ibid
[3] 2009/10/09 Dlgs_PA legge_4_3_09 n°15 approvato dal consiglio dei ministri.
[4] ibid
[5] ibid
[6] Cremaschi, segretario nazionale FIOM. Dichiarazione del 15 ott. 2009
[7] Elaborazione Ires-CGIL su dati ISTAT.
[8] “FIAT, Marchionne annuncia il cambio di produzione per Pomigliano”. http://www.metropolisweb.it/Notizie/Approfondimenti/fiat_marchionne_annuncia_cambio_produzione_pomigliano.aspx
[9] Dall’inglese New company, nuova azienda.
[10] Annuncio del segretario della Fiom Cigl, Maurizio Landini, nel corso di una conferenza stampa indetta durante l'assemblea nazionale dei delegati della Cigl a Roma.
[11] “Pomigliano separato si puo’”, dal “il manifesto” del 17 Luglio 2011.
[12] Ecco l’integrale: La FIAT gioca molto sporco coi lavoratori. Quando trasferirono la produzione qui in Polonia ci dissero che se avessimo lavorato durissimo e superato tutti i limiti di produzione avremmo mantenuto il nostro posto di lavoro e ne avrebbero creati degli alti. E a Tychy lo abbiamo fatto. La fabbrica oggi è la più grande e produttiva d’Europa e non sono ammesse rimostranze all’amministrazione (fatta eccezione per quando i sindacati chiedono qualche bonus per i lavoratori più produttivi, o contrattano i turni del weekend). A un certo punto verso la fine dell’anno scorso è iniziata a girare la voce che la FIAT aveva intenzione di spostare la produzione di nuovo in Italia. Da quel momento su Tychy è calato il terrore. Fiat Polonia pensa di poter fare di noi quello che vuole. L’anno scorso per esempio ha pagato solo il 40% dei bonus, benché noi avessimo superato ogni record di produzione. Loro pensano che la gente non lotterà per la paura di perdere il lavoro. Ma noi siamo davvero arrabbiati. Il terzo “Giorno di Protesta” dei lavoratori di Tychy in programma per il 17 giugno non sarà educato come l’anno scorso. Che cosa abbiamo ormai da perdere? Adesso stanno chiedendo ai lavoratori italiani di accettare condizioni peggiori, come fanno ogni volta. A chi lavora per loro fanno capire che se non accettano di lavorare come schiavi qualcun altro è disposto a farlo al posto loro. Danno per scontate le schiene spezzate dei nostri colleghi italiani, proprio come facevano con le nostre.
In questi giorni noi abbiamo sperato che i sindacati in Italia lottassero. Non per mantenere noi il nostro lavoro a Tychy, ma per mostrare alla FIAT che ci sono lavoratori disposti a resistere alle loro condizioni. I nostri sindacati, i nostri lavoratori, sono stati deboli. Avevamo la sensazione di non essere in condizione di lottare, di essere troppo poveri. Abbiamo implorato per ogni posto di lavoro. Abbiamo lasciato soli i lavoratori italiani prendendoci i loro posti di lavoro, e adesso ci troviamo nella loro stessa situazione. E’ chiaro però che tutto questo non può durare a lungo. Non possiamo continuare a contenderci tra di noi i posti di lavoro. Dobbiamo unirci e lottare per i nostri interessi internazionalmente. Per noi non c’è altro da fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi chiediamo ai nostri colleghi di resistere e sabotare l’azienda che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso.
Lavoratori, è ora di cambiare.
[13] Testimonianze dirette di Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli. Tratta da: http://www.isoladeicassintegrati.com/category/fiat-la_penisola_dei_cassintegrati/
[14] “Fiat per ora vince il secondo round” – Rocco Di Michele, “Il manifesto” del 15/07/2011
[16] Dichiarazioni di Sacconi in relazione alla seconda sentenza del giudice di Melfi.
[17] “LA NEWCO DI MIRAFIORI ED UN MEDIO EVO “PROSSIMO VENTURO” GIA’ ATTUALE” Gianfranco Greco – Istituto Onorato Damen.
[18] Intervista a cura di Maurizio Maggi, pubblicata su l’Espresso del 7 gennaio 2011
[19] ibid
[20] A tal riguardo riferirsi pure a “La falsa modernita’ di Marchionne e l’attualita’ di Karl Marx” – A. Noviello e G. Paolucci – apparso sul numero 3 della rivista DemmeD’ dell’Istituto Onorato Damen.
[21] Linkiesta, elaborazione di dati dei maggiori stabilimenti europei del Lingotto
[22] ibid
[23] Significa “vista” nel senso di “prospettiva”, “veduta”, “previsione di tendenza”. L’outlook può essere positivo, negativo o stabile a seconda che ci siano prospettive di innalzamento, di abbassamento o di invariabilità del rating nel prevedibile futuro.
[24] http://www.rassegna.it/articoli/2011/07/07/75949/contratti-il-dissenso-della-fiom
[25] http://www.corriere.it/economia/11_settembre_29/trichet_draghi_inglese_304a5f1e-ea59-11e0-ae06-4da866778017.shtml?fr=correlati
[26] ibid
[27] Alcune norme prevedono pure la possibilita’ di rinnovare direttamente le RSU (rappresentanti sindacali d’azienda), attraverso i voleri dei sindacati territoriali, senza consultare con il voto i lavoratori.
[28] Luciano Gallino, “La minaccia dell’articolo 8”.
[29] Marchionne ringrazia: "Articolo 8, quello che ci serviva"
[30] Nota di Giorgio Napolitano e diffusa dal Quirinale.
[31] Lettera che il Samostalni, sindacato dei lavoratori della Zastava, ha inviato ai lavoratori della Fiat di Pomigliano:
Cari lavoratori italiani, la crisi economica ha portato alla crisi del mercato di lavoro accompagnata dall'attacco grave ai diritti dei lavoratori. Mai come ora siamo stati così ricattati per mantenere posti di lavoro e si accettano condizioni peggiori di quelle precedenti. I padroni se ne approfittano con l'unico intento di mettere gli uni contro gli altri per fare maggiori profitti. Dicono che è colpa nostra se abbassano i salari, diminuiscono posti di lavoro e spostano produzioni, sempre in cerca di quelli che sono costretti ad accettare di lavorare ad ogni costo. Noi dalla Serbia ribadiamo che non accetteremo questi ricatti. Noi vogliamo lavorare ma in modo dignitoso, senza pressioni e ricatti e queste richieste saranno sicuramente sempre un legame tra noi e voi. Vi diamo la nostra piena solidarietà nella battaglia per difendere interessi e dignità comuni e vi invitiamo a rafforzare l'unità tra tutti i lavoratori con l'obiettivo di poter costruire un mondo migliore per i nostri figli .* Segretario Samostalni, Fiat Auto Serbia.
[32] “Della Fiat o della schiavitù del lavoro salariato” Giorgio Paolucci http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla/economialavorosindacato/125-fiatschiavitusalarariato