La guerra imperialista permanente infuria in ogni angolo del mondo e si configura ormai come una vera e propria guerra mondiale

Categoria: Asia
Creato: 08 Ottobre 2014 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 4468
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La narrazione corrente tende a rappresentare tutte le guerre in corso come ognuna a sé stante e ognuna figlia di specifici contenziosi ( religiosi, territoriali, etnici ecc.  ecc.) in realtà, poiché la posta in palio è il sistema dei pagamenti internazionali, ognuna di esse si configura in tutto e per tutto come uno dei tanti capitoli della più generale, e ormai mondiale, guerra imperialista permanente.

La guerra che verrà non è la prima.

Prima ci sono  state altre guerre.

Alla fine dell’ultima

C’erano vincitori e vinti.

Fra i vinti la povera gente, Faceva la fame.

Fra i vincitori Faceva la fame la povera gente,

egualmente.

Bertolt Brecht

Ovunque c’è anche una sola traccia di petrolio, di gas o di qualche altra materia prima strategica infuria la guerra. Anche il conflitto fra Israele e Hamas - il cui ultimo round si è appena concluso - seppure sullo sfondo di un’annosa e irrisolta questione territoriale, si è ulteriormente acuito da quando sono stati scoperti importanti giacimenti di gas nei fondali di Gaza Marine.[1] Si sarebbe, dunque, tentati di concludere che non c’è nulla di nuovo in quest

a ultima ondata di conflitti che, estendendosi dall’Ucraina, all’Iraq; dalla Striscia di Gaza alla Libia e, di fatto, all’intera Africa, non risparmia ormai nessun continente e vede coinvolte tutte le maggiori potenze imperialistiche. Ma non è così o, quanto meno, lo è solo in parte, nel senso che alle cause di sempre se ne sono aggiunte almeno altre due specifiche di questa fase della crisi strutturale in cui da qualche decennio si dimena il modo di produzione capitalistico: il fallimento delle politiche monetarie attuate dalle maggiori banche centrali, in funzione anticiclica e l’ormai conclamata tendenza alla depressione permanente.[2]

Come è noto, tutte le maggiori banche centrali, e in particolare la Federal Reserve e quella giapponese, per fronteggiare la crisi esplosa nel 2007, hanno inondato di liquidità il sistema economico- finanziario mondiale ma con risultati di gran lunga inferiori alle attese. I dati più recenti segnalano un ciclo economico ancora in sostanziale stagnazione. Addirittura in calo in Europa e in tutti paesi emergenti (Bric), ivi compresa la Cina “Dove- ci informa l’economista, premio nobel nel 2001, Michael Spence – la produzione può avere delle momentanee fiammate ma resta come tendenza in diminuzione”[3].

Ma il caso più significativo è dato proprio dagli Stati Uniti.  Nonostante la Federal Reserve sia stata, fra tutte le banche centrali, quella che abbia immesso più di ogni altra liquidità nel sistema economico-finanziario: “ La crescita – ci dice ancora Spence - è debole e incerta… come provano i numeri contraddittori del Pil da un trimestre all’altro.”[4] E, soprattutto, come ha ammesso pochi giorni fa anche l’attuale presidente della Fed, Janet Yallen: “Il tasso di disoccupazione rimane significativamente al di sopra di quello che la maggior parte dei membri della Federal Reserve considerano normale nel lungo periodo, e le risorse sono sottoutilizzate… Il ritmo lento dell'aumento dei salari riflette le difficoltà del mercato del lavoro"[5].

Che è come dire che la politica monetaria fin qui perseguita dalle banche centrali non ha dato i frutti sperati. I romani direbbero: parturient montes, nascetur ridiculus mus (la montagna ha partorito un ridicolo topolino).

Uno spettro si aggira per il mondo: il debito

Sono state salvate le banche, trasformando il loro debito in debito pubblico, ma poiché la ripresa dell’economia reale non vi è stata o, almeno, non in misura da tale da poter compensare la massa monetaria emessa in surplus, l’intera manovra si è risolta in una stratosferica produzione di nuovo debito.  “ La banca dei regolamenti internazionali – scriveva nel marzo scorso F. Fubini - stima che dal 2007 il debito dell’economia globale sia salito del 40% a 100 miliardi di dollari. Le grandi banche centrali hanno risposto a una crisi di debito aiutando il sistema a generarne sempre di più. Essa si riflette specularmente sotto forma di attivi (cioè di crediti) nei bilanci della Federal Reserve, della Bank of Japan, della Banca centrale europea o della Bank of England. Con le sue politiche di creazione di moneta la Fed ha prodotto e immesso circa mille miliardi di dollari; solo nell’ultimo anno il suo bilancio è quintuplicato…Quello della Bce, spesso criticata per non aiutare abbastanza il sistema finanziario, è triplicato (solo di recente ha cominciato a declinare). E anche la Bank of England e la Bank of Japan hanno creato moneta in quantità senza precedenti.” [6]

Dopo più di 7 anni dalla crisi dei subprime e dopo non si sa più quante manovre e contromanovre monetarie, tagli indiscriminati al salario diretto e indiretto e milioni di disoccupati, la macchina è ancora ferma al punto di partenza con in più nel motore un debito gigantesco che prima o poi qualcuno dovrà pur pagare.

Il signoraggio del dollaro

Ed è proprio nella ricerca di questo qualcuno che dovrà farvi fronte che entra prepotentemente in gioco il controllo della produzione delle fonti energetiche e delle altre materie prime strategiche poiché il loro prezzo è una delle più importante variabili macroeconomiche sottostanti alla produzione e alla gestione della massa monetaria e quindi anche del debito e dei suoi derivati. Infatti, poiché i prezzi dei prodotti energetici e di quelli di tutte le materie prime d’importanza strategica sono espressi prevalentemente in dollari, ogni loro variazione si riflette inevitabilmente anche sul valore della massa monetaria statunitense.

Così, per esempio, se il prezzo del petrolio, grazie a qualche guerra che ne blocca o riduce sensibilmente la produzione, cresce, chi dovrà comprarlo al nuovo prezzo, a parità di condizioni, dovrà comprare anche una maggiore quantità di dollari e così facendo assorbirà anche una quota parte della massa monetaria emessa in surplus dalla banca centrale americana, che, in ultima istanza, altro non è che una quota parte del debito statunitense. Si tratta del meccanismo mediante il quale si esercita il cosiddetto signoraggio del dollaro, peraltro già descritto altrove più dettagliatamente. [7]

Per evitare facile e fuorvianti semplificazioni occorre dire subito, però, che a trarne vantaggio non è soltanto la borghesia Usa a danno dell’intera borghesia del resto del mondo. Trattandosi del sistema sui cui si fonda il processo di formazione dei prezzi su scala mondiale, in realtà i vantaggi e/o gli svantaggi sono dati dalla posizione che ogni frazione di essa di volta in volta occupa nel sistema economico-finanziario mondiale in relazione all’andamento del ciclo economico.

Prendiamo per esempio la Russia

Anche essa, in quanto paese produttore, ha sicuramente  in comune con gli Usa l’interesse a che si formi sul mercato mondiale un prezzo dei prodotti energetici maggiore di quello che si avrebbe sulla sola base della legge della domanda e dell’offerta e quindi, per esempio, ad appoggiare un’eventuale guerra scatenata dagli americani che favorisca questo processo al rialzo. Ma se quella stessa guerra, a seconda dei suoi esiti, dovesse comportare anche il rischio di un radicale mutamento della sua posizione sul mercato mondiale dei prodotti energetici e di quello valutario a vantaggio solo di altri produttori o solo degli Stati Uniti, i suoi interessi contrasteranno inconciliabilmente con quelli di Washington. Che poi è il rischio che corre nel caso, per esempio, l’Ucraina uscisse completamente dalla sua area di influenza.  Dunque, da un lato, fra le due potenze vi è, almeno in via del tutto teorica, un’oggettiva convergenza di interessi, ma dall’altro, anche forti motivi di conflitto. Con la crisi e con la valanga di dollari che, come abbiamo visto, si aggira per il mondo alla ricerca di un pagatore di ultima istanza, per la Russia, per i paesi del Brics, come per tutti i paesi che non disponendo di una valuta accettata come mezzo di pagamento internazionale, devono, per regolare tutti i loro scambi anche diversi da quelli relativi ai prodotti energetici, servirsi, obtorto collo, del dollaro il rischio di finire per l’essere il pagatore di ultima istanza del debito statunitense è divenuto altissimo nonostante il comune interesse a un prezzo del petrolio più alto di quello che si formerebbe senza interferenze extraeconomiche sul mercato internazionale. In altri termini a causa della crisi il signoraggio del dollaro è divenuto ormai troppo oneroso anche per chi fino a qualche tempo addietro ne ha comunque tratto considerevoli vantaggi. Per molti versi, si sta riproponendo, e su una scala ben più grande, lo stesso contesto per il quale anni addietro i paesi dell’attuale eurozona si videro costretti a creare prima una moneta di conto comune ( Sme) e poi l’euro.[8]

La Russia vende treasuries e compra oro

Peraltro è lo stesso Putin che ci conferma che a dare forza ai conflitti in corso sia, per la quasi totalità dei paesi la cui economia è incentrata sull’export, in particolare di materie prime strategiche, proprio la sopravvenuta insostenibilità del signoraggio del dollaro. “So – ha dichiarato recentemente nel corso di una conferenza stampa - che molti leader europei (ossia dei paesi con cui la Russia intrattiene la gran parte dei suoi scambi commerciali) vorrebbero sospendere le sanzioni contro di noi”. E poi: “ Proveremo a vendere il nostro petrolio in rubli. Il dominio del dollaro è diventato dannoso.” [9] Dove è sottinteso: soprattutto per i paesi europei. Volendo con ciò sottolineare che vi è più convergenza di interessi fra il suo paese e questi ultimi che non fra loro e gli Stati Uniti e dunque che non hanno alcuna convenienza a schierarsi con questi ultimi nella vicenda ucraina, vissuta dalla Russia come una manovra tutta americana mirata a spezzare l’asse – oggi essenzialmente di tipo commerciale- che unisce Berlino, e buona parte dei paesi dell’eurozona, a Mosca e Pechino. Un asse che qualora dovesse consolidarsi potrebbe costituire il fulcro su cui far leva per dar vita a una nuova regolamentazione del commercio mondiale e a un nuovo sistema di pagamenti internazionali non più incentrato sul dollaro. Si tratterebbe, come si rimarca anche nell’editoriale del n. 8/2014 della rivista Limes: “Della riscrittura delle regole del commercio mondiale: dove si gioca il destino del dollaro vera arma strategica di Washington.[10]

Un pericolo troppo grande perché gli Usa possano restarsene con le mani nelle mani. Sottrarre l’Ucraina all’influenza di Mosca per bloccare la più importante via attraverso la quale il metano russo giunge nell’Europa occidentale ed aprirne altre per sostituirlo con quello proveniente dai produttori dell’area caucasica e, in un futuro più o meno prossimo, eventualmente anche dagli stessi Stati Uniti.[11] è per questi ultimi di importanza vitale. Infatti, se la manovra, come sembra ormai molto improbabile, riuscisse, gli Usa coglierebbero i famosi due piccioni con una fava: isolerebbero quello che è tuttora il loro più pericoloso antagonista e nel contempo riporterebbero Berlino e i suoi alleati sotto la loro ala protettiva, spezzando quell’asse che minaccia di privarli della loro migliore arma strategica.

Quindi, era perfino scontato che la Russia rispondesse rafforzando i suoi accordi commerciali con la Cina,[12] si ri-prendesse la Crimea e si assicurasse, sostenendo il movimento separatista filo russo, il controllo del Donbass, l’area più ricca ed economicamente più sviluppata dell’Ucraina.

Intanto, ha cominciato a liquidare una parte delle sue riserve in dollari[13] vendendo tresaures (buoni del tesoro) statunitensi per comprare oro. Nel solo mese dello scorso luglio ne ha acquistato “… Quasi 10 tonnellate, il peso di cinque autocarri, per un valore di 400 milioni di dollari. A tanto ammontano gli acquisti di metallo giallo effettuati in luglio dalla Banca centrale russa, che ora è tra le prime cinque al mondo per riserve auree detenute, dietro Usa, Germania, Italia e Francia.”[14]

Una vendita che vuole essere, nello stesso tempo, una sorta di contro- sanzione contro quelle varate dagli Stati Uniti e un invito ai suoi partner commerciali a fare altrettanto nella prospettiva di abbandonare il dollaro sostituendolo, almeno negli scambi diretti, con rubli, euro, yen e yuan, oppure, come con sempre maggiore insistenza reclama la Cina, con una moneta di conto del tipo Bancor di keynesiana memoria. [15]

Nel frattempo fa buon viso a cattivo gioco di fronte ai bombardamenti effettuati dalla cosiddetta alleanza dei volenterosi, capitanata, more solito, dagli Usa, delle aree petrolifere controllate dall’Isis - il sedicente califfato islamico- situate sia in territorio siriano che iracheno, attendendosi dalla loro distruzione la riduzione della produzione complessiva del petrolio mediorientale e il rallentamento, se non del tutto l’inversione della tendenza al ribasso del prezzo del petrolio innescata dalla riduzione della sua domanda dovuta alla crisi e all’incremento della sua offerta ottenuto grazie alle più recenti tecniche di estrazione.[16]

Of course, la narrazione corrente tende a ricondurre questo conflitto come, peraltro tutti i conflitti attualmente in corso ognuno a uno specifico contenzioso ( religioso, territoriale, etnico, tribale ecc.  ecc.) per occultarne la vera posta in palio, ossia l’intero sistema dei pagamenti internazionali e con esso il controllo delle principali variabili macroeconomiche sottostanti ai meccanismi di appropriazione parassitaria del plusvalore estorto al proletariato su scala mondiale. Ovverosia, per occultare che esso scaturisce, in ultima istanza, dalle contraddizioni insanabili ed immanenti al processo di accumulazione capitalistico in questa fase storica e che ormai, data la posta in palio, ognuno di essi costituisce in realtà un capitolo di quella che ormai si può considerare come un’unica grande guerra su scala  mondiale. Una guerra il cui unico esito certo è che a pagarne l’altissimo  prezzo saranno comunque soltanto i proletari. Sia dei paesi vinti che dei vincitori.



[1] A tale riguardo riportiamo parte dell’articolo che, alla luce degli eventi successivi potremmo definire profetico, di Margherita Piccioni, apparso su Limes n. 5/2007, Il Gas di Gaza, l’ultima spiaggia . Mentre la rottura fra l’Anp storica di Abu Mazen e Hamas ha aperto un vuoto di gestione senza precedenti in campo palestinese, è in pieno svolgimento una trattativa che Tony Blair, nei suoi nuovi panni di costruttore di pace inviato dal Quartetto, non esita a definire <<storica per cementare i rapporti tra Abu Mazen e Olmert>>. Ma che storica rischia davvero di diventare, in senso negativo, anzitutto per gli abitanti di Gaza, che potrebbero veder crollare di colpo il sogno di accedere un giorno a una migliore qualità di vita grazie alle risorse di gas accertate sette anni fa dal gruppo British Gas nell’offshore palestinese prospiciente la Striscia, divenute nel tempo una risorsa sempre più pregiata. Ed accertata in quantità tali – 40 miliardi di metri cubi- da poter soddisfare il fabbisogno di alimentazione della centrale di Gaza, inclusa la fornitura al dissalatore marino, conservando un ampio margine destinato all’esportazione… Ma il negoziato cui si riferisce Tony Blair prefigura una prospettiva molto diversa: si sta mettendo a punto nei dettagli, in un consesso ristretto e criptato, un programma di fornitura che destina al fabbisogno di gas di Israele tutta la produzione di gas del giacimento di Gaza Marine stimata possibile in quindici anni…Più semplicemente qui si tratta di un’operazione volta a risolvere gli impellenti problemi di budget e di sicurezza energetica di Israele e a sostenere gli interessi economici e commerciali delle imprese angloamericane e internazionali attirate nel paese dall’imminente boom del settore del gas”.

[2] G. Fontana – Uno spettro si aggira per il mondo: la depressione permanente- http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla/sullacrisi/291-spettroperma

[3] E. Occorsio – Basta con i muscoli dei parametri Ue - La Repubblica del 14.08.2014.

[4] Ib.

[5] La Fed lascia i tassi invariati. Ridotti gli acquisti di bond. http://www.repubblica.it/economia/2014/09/17/news/la_fed_lascia_i_tassi_invariati-96014144/

[6] F. Fubini - Yuan, rublo e real: finisce la corsa dei Bric le svalutazioni presentano il conto all’euro – La repubblica – Affari & Finanza del 17 marzo 2014.

[7] Per ulteriori approfondimenti sulla relazione che intercorre fra il debito pubblico statunitense, la politica monetaria della Fed e il prezzo del petrolio vedi: Il saliscendi del prezzo del petrolio ovvero il dominio del virtuale sul reale -

http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla/sullacrisi/190-petrolioreale

[8] vedi: L’euro della discordia - http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla/sullacrisi/187-eurodiscordia

[9] N. Lombardozzi – La sfida di Putin all’Occidente riparte da Yalta – La Repubblica del 15/08/2014.

[10] Limes n. 8/2014 – Obama e la camionetta di Mao – pag. 27

[11] E’ di questi giorni la notizia che alla fine dell’estate la produzione di petrolio degli Usa è risultata pari a 11,5 milioni come quella dell’Arabia Saudita. Sulla vicenda ucraina vedi anche: G. Greco – Ucraina, cronaca di una deriva annunciata. -http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla/internazionale/57/312-ucrainaderiva

[12] Il 19 maggio scorso, nel pieno della crisi ucraina, Russia e Cina hanno concluso un accordo commerciale che prevede la fornitura per trent’anni, a partire dal 2018, di metano estratto nell’area di Sakhalin di 38 miliardi di metri cubi ( al prezzo di 350 dollari circa al metro cubo contro quello praticato sul mercato europeo di 485 dollari) nonché la costruzione di gasdotti per 4 mila km e strutture di stoccaggio. Progetti che la Cina cofinanzierà con un prestito di 50 miliardi di dollari.

[13] Attualmente stimabili in circa 470 miliardi di dollari.

[14] F. De Palo – Russia, con la guerra in Ucraina vende titoli Usa e compra oro – Il Fatto quotidiano – 01-09-2014.

[15] Nel 1944 a Bretton Woods, Keynes, cogliendo in pieno gli enormi vantaggi che sarebbero derivati agli Usa qualora si fosse dato vita a un sistema di pagamenti internazionale incentrato sul dollaro, come poi avvenne, propose, senza successo, un suo sistema che prevedeva la creazione, (con quote versate da ciascun paese e calcolate ogni tre anni sulla base del volume di commercio internazionale di ognuno di essi) di una stanza di compensazione fra i debiti e i crediti di ciascun paese aderente all’accordo regolati mediante una moneta di conto che si sarebbe dovuta chiamare, a specificazione di questa sua specifica funzione, appunto, Bancor.

[16] Dal 2012 a oggi il prezzo del petrolio è sceso da 125 a 95 dollari al barile e l’offerta sui mercati mondiale di ben 3,5 milioni di barili al giorno.