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dalla rivista D-M-D' N°14
Tentativo e sconfitta di un partito mondiale della rivoluzione comunista
Un secolo fa nasceva, dopo il fallimento della Seconda Internazionale e il completo tradimento della socialdemocrazia, l’Internazionale Comunista (IC). Quella della Terza internazionale è una vicenda centrale della storia dei moderni lavoratori salariati. È il tentativo di fondare il Partito internazionale col quale dirigere la rivoluzione e instaurare su scala mondiale la dittatura del proletariato, avviando così il superamento del modo di produzione capitalistico e del dominio borghese in direzione di una superiore società comunista.
La fondazione dell’Internazionale comunista rappresenta un contributo di straordinaria importanza, con lezioni, anche nelle criticità, ancora oggi preziose. La controrivoluzione che prevalse negli anni Venti, schiacciando il proletariato che nel 1917 era stato vittorioso in Russia, e i proletari in ogni Paese, portò alla sconfitta della stessa Terza Internazionale. Prima perduta alla causa socialista, poi sciolta dai suoi stessi sicari stalinisti.
Per favorire una rinnovata riflessione sui problemi di questo tentativo, proponiamo ai nostri lettori, in particolare ai compagni più giovani, una selezione di documenti essenziali per conoscere i contenuti politici dell’esperienza della IC.
Mentre dal punto di vista storiografico la sua vicenda è facilmente ricostruibile, le ragioni politiche della sua fondazione e della sua sconfitta sono infatti di norma celate dietro i fumi delle ideologie borghesi (staliniste o democratiche che siano), che ne mistificano il reale significato. E questo significato crediamo debba tornare ad essere al centro dell’approfondimento e della discussione dei comunisti.
La sua storia e il suo bilancio critico sono parte integrante del lavoro verso la costituzione del Partito comunista mondiale, lavoro che impegna la nostra associazione così come le altre avanguardie che, al di là delle differenze che certamente esistono, sono collocate nel campo di battaglia della rivoluzione proletaria.
In questa ottica, proponiamo i testi che seguono.
Il primo, “Le direttive marxiste della nuova Internazionale”, è un articolo pubblicato da Bordiga su L’Avanguardia nel 1918, un anno prima della fondazione della Terza Internazionale. Nel testo si pone in evidenza la necessità che nasca una nuova Internazionale proletaria, organizzativamente coesa e centralizzata, caratterizzata nella dottrina dall’interpretazione marxista della storia e della società, nel programma dalla conquista violenta del potere e dall’esercizio di esso per attuare la socializzazione dei mezzi di produzione, nel metodo dall’azione politica intransigente di classe con disciplina collettiva.
Segue la “Piattaforma dell'Internazionale comunista”, documento centrale per cogliere la natura e la prospettiva di questa organizzazione. La Piattaforma fu scritta da Bucharin, e venne approvata dal I Congresso (1919). Dello stesso congresso si propone poi il documento “Tesi e risoluzione sulla democrazia borghese e la dittatura del proletariato”. Del congresso successivo i famosi “21 punti per l’ammissione all’Internazionale Comunista”, che nel 1920 stabilirono i criteri d’adesione dei partiti che si candidavano a essere sezioni della IC.
Dopo si potrà leggere il “Manifesto dell’Internazionale comunista al proletariato di tutto il mondo”, del 1919, scritto da Trotsky e che rappresenta lo storico appello della nuova organizzazione ai lavoratori di ogni Paese perché si unissero «sotto la bandiera comunista sotto cui [erano] già state ottenute le prime grandi vittorie».
Un ponte verso il bilancio della futura bancarotta stalinista dell’Internazionale è invece rappresentato dall’articolo “Il pericolo opportunista e l'Internazionale”, che Bordiga pubblica nel 1925 sulle colonne de L’Unità. La Sinistra comunista aveva già combattuto in seno all’IC per contrastare delle scelte e delle linee che si ponevano al di fuori della rigorosa aderenza al marxismo rivoluzionario, col crescente e concreto rischio di deragliare dai binari di classe. Bordiga qui denuncia pubblicamente la possibilità (non ancora tuttavia certezza) che l'Internazionale finisse per cadere nell'opportunismo.
La vicenda dell’Internazionale, delle lotte delle sinistre comuniste nel suo seno e poi al di fuori dei suoi ranghi, quando effettivamente si dimostrò essere ormai irrecuperabile, sono complesse e meritano approfondimenti critici e discussioni aperte.
Il percorso di letture che proponiamo vuole essere parte di questa riattualizzazione delle istanze di classe che portarono alla nascita dell’IC. Nel XXI secolo, la battaglia per un Partito comunista internazionale e internazionalista parte anche da qui, consapevoli dei successi, degli errori e dell’effettivo significato degli avvenimenti del passato.
Coscienti dei mutamenti nel capitalismo contemporaneo, nella composizione di classe del proletariato, nelle dinamiche in virtù delle quali potrà avvenire il rilancio della lotta di classe.
Convinti che, senza un partito mondiale, la rivoluzione proletaria non avrà possibilità di darsi e riuscire nell’emancipazione comunista dell’umanità, e che la vita stessa sul pianeta sarà minacciata dalla barbarie che il dominio capitalistico prepara e mette in campo.
DOCUMENTI
Le direttive marxiste della nuova Internazionale
di Amadeo Bordiga
L’Avanguardia, 26 Maggio 1918
L'enorme lavorio polemico delle diverse scuole e tendenze socialiste, spinto al massimo fervore in presenza della crisi bellica, deve essere coordinato ad una conclusione precisa nella ricostruzione della Internazionale.
Questa non deve essere un'accozzaglia di gruppi e metodi disordinati, ma una compagine omogenea di forze miranti ad uno scopo unico, con metodo esattamente stabilito e delimitato.
Un simile criterio diminuirà forse il numero degli aderenti all' atto costitutivo" del nuovo grande organismo rivoluzionario mondiale, ma l'avvierà a successo sicuro. Si può provare con svariati esempi, tratti anche dalla storia della rivoluzione russa, e dalla stessa vita del nostro partito in Italia, come ad ogni delibera equivalente ad una 'restrizione" del campo della tattica socialista sia succeduto un notevole rifiorire del movimento.
L'ossatura delle concezioni teoriche adottate dall'Internazionale non potrà essere altra che quella marxista, il metodo interpretativo dei fenomeni storici e dell'organismo sociale non potrà essere altro che il materialismo economico, lumeggiato nelle sue affermazioni basilari da una vasta indagine intorno all'esperienza storica oggi febbrilmente vissuta dal mondo. Per questo noi siamo e restiamo marxisti, nel senso più alto e comprensivo della parola, ritenendo che il proletariato socialista moderno sia il continuatore dell'opera critica iniziata dai primi comunisti sul fondamento del Manifesto del 1847.
Nelle sue linee fondamentali, il comunismo critico costituisce il superamento non solo di tutte le dottrine ideologiche e metafisiche intorno alla vita dell'umanità, ma soprattutto delle ideologie democratiche borghesi di tutta la filosofia cresciuta dai germi dell'89 e tessuta intimamente sulla doppia trama del laicismo e del patriottismo quella filosofia che ha per coronamento le illusioni dell'ottimismo evoluzionista intorno allo sviluppo graduale e pacifico dell'umanità verso la civiltà e il progresso sulla base delle istituzioni presenti.
Nel tempo stesso il marxismo rivela definitivamente l'errore del socialismo utopistico, che, pur avendo scorto l'esistenza della questione sociale e la necessità di sopprimere la proprietà privata, s'illude di pervenirvi per lodevole inclinazione dei dominatori dell'oggi.
P, indistruttibile il risultato del metodo marxistico in quanto esso servì a confutare questo triplice ordine di errori, edificando al loro posto le verità della lotta di classe e della rivoluzione proletaria collettivizzatrice del capitale. L'esperienza degli ultimi anni autorizza a respingere come erronee o tendenziose tutte le revisioni - borghesi o socialiste - del pensiero marxista, in quanto investano quei caposaldi essenziali...
La nuova Internazionale sarà una grande forza collettiva, esattamente situata nel campo sociale e nell'epoca storica che attraversiamo, intesa unicamente allo scopo di sostituire alla società capitalista quella comunista, col mezzo dell'azione proletaria di classe.
Tutto ciò è molto semplice, ma molto importante, perché vuol dire che la finalità del movimento sarà la trasformazione rivoluzionaria delle attuali istituzioni economiche e politiche; e non la curatela delle condizioni di vita presenti degli operai negli aspetti di dettaglio offerti dalle varie categorie e dai vari paesi. Non laburismo o operaismo o riformismo dunque, ma socialismo proletario.
Soppressa l'antica capziosa distinzione tra programma massimo e minimo, lasciata alla democrazia borghese, se ne avrà tempo e voglia, la cura di riformare le istituzioni del capitalismo morituro, affidata alle organizzazioni di mestiere la difesa quotidiana delle classi proletarie contro le cupidigie padronali, la Internazionale si darà ad organizzare le forze specificamente capaci di porre ovunque in atto il grande "passo" che l'umanità dovrà compiere.
Questo compito grandioso è dunque d'indole sociale e quindi politica. Sovvengono qui le prospettive marxiste...
(censura)
Il motore primo dei fatti sociali e politici è, nella nostra concezione della società, l'economia.
Da questa verità scaturisce l'altra dell'avvicendamento delle classi al potere. Quando la tecnica della produzione è matura per nuove forme economiche, la classe che detiene il potere viene costretta a cederlo sotto l'urto violento dell'altra classe che ha interesse a dar vita alla nuova economia.
(censura)
Il passaggio del potere da una classe all'altra è fatto politico, crisi politica che consente all'evoluzione economica di svolgersi liberamente compiendo un trapasso reso necessario dallo stadio della tecnica produttiva, ma inceppato dai vecchi istituti politici, difensori di sorpassati sistemi economici. Il proletariato moderno deve dunque condurre una lotta politica per arrivare, con la forza, ad impadronirsi del potere togliendolo alle classi borghesi, ed esercitarlo per rendere possibile l'economia comunista che è il metodo di utilizzazione razionale degli odierni progressi della tecnica. Ogni altra concezione di questo processo è irreale e non marxista. Così non sono accettabili le concezioni ed i metodi sindacalisti ed anarchici, secondo i quali la rivoluzione consisterebbe nella soppressione dell'attuale potere politico (Stato borghese) per sostituirvi "'ipso facto' l'assoluta libertà sociale che darebbe luogo alla produzione gestita spontaneamente dai sindacati di professione o in genere da libere associazioni di produttori. Una facile critica dimostra che tali programmi non sono rivoluzionari, perché non hanno un reale costrutto storico, ma si basano su astrazioni filosofiche intorno alle idee di libertà, di nefasta influenza di ogni potere e simili, prescindendo così dalla logica dello sviluppo della società umana.
Nessuna rivoluzione può liberarsi di colpo delle tradizioni del passato, delle sopravvivenza morbose di un regime secolare di sfruttamento per cui gli individui non sono suscettibili di diventare libere molecole moventesi ordinatamente nel "cosmos" sociale al solo infrangersi dell'autorità che oggi mantiene il regime del privilegio con tutte le sue nefaste derivazioni.
Il regime socialista (censura) dovrà lottare contro le sopravvivenze dell'individualismo economico borghese, per stabilire la coordinazione razionale e perciò in massima volontaria degli sforzi produttivi dei singoli per trarne il maggiore benessere collettivo; avvalendosi anche della coercizione, almeno finché vi saranno dei borghesi restii alla espropriazione, e degli individualisti in genere, ancora dominati dalle conseguenze antisociali della miseria e della depressione presente. Vi dovrà essere dunque un potere politico disciplinatone dell'organismo sociale. Il socialismo marxistico è veramente rivoluzionario, in quanto esso è ben situato nella storia e nella vita della società umana; è una leva il cui punto d'appoggio è solidamente stabilito nella realtà odierna e sulla cui impugnatura sicuramente agisce la "potenza" delle energie proletarie. La nuova Internazionale sarà dunque il partito politico socialista mondiale, organizzazione collettiva della classe lavoratrice per la conquista violenta del potere e l'esercizio di esso, per la trasformazione dell'economia capitalistica in quella collettiva. Tale partito aspira ad una collettiva e cosciente "disciplina" e sarà il vero ambiente della futura amministrazione proletaria universale.
A conclusione di questa rapida corsa attraverso i postulati che ci paiono essenziali per il programma dell'Internazionale di domani, aggiungiamo alcune ovvie delucidazioni su argomenti ampiamente dibattuti negli ultimi tempi.
Corollario del principio della lotta di classe è l'assoluta intransigenza tattica e l'esclusione di ogni accordo, anche temporaneo, con classi e partiti borghesi, qualunque ne sia la finalità. Ossia la condanna del blocchismo.
Altro corollario è l'assoluta reiezione di ogni guerra. [Censura] In altre parole, la condanna del socialnazionalismo.
Il postulato fondamentale della conquista del potere non va confuso con la sopravvalutazione dell'azione parlamentare.
Anzi, dovranno essere nettamente condannati i concetti secondo cui il proletariato può giungere ad impadronirsi del potere attraverso la maggioranza degli attuali istituti rappresentativi, che esso (censura) sopprimerà per dar luogo ad organi rappresentanti la sola classe proletaria e non tutto il popolo nelle diverse classi che lo compongono, destinate a sparire gradualmente.
I fondamenti positivi sui quali dovrà basarsi la nuova Internazionale, in sintesi conclusiva, così ci proviamo a riassumerli:
dottrina: interpretazione marxista della storia e della società;
programma: conquista violenta del potere ed esercizio di esso per attuare la socializzazione dei mezzi di produzione;
metodo: azione politica intransigente di classe con disciplina collettiva.
Piattaforma dell'Internazionale comunista approvata dal I Congresso
Internazionale Comunista (scritto da Nikolaj Ivanovič Bucharin), 1919
Le contraddizioni del sistema capitalistico mondiale, che gli stanno nascoste in seno, scoppiarono con forza enorme in una gigantesca esplosione, nella grande guerra mondiale imperialista.
Il capitalismo cercò di sopraffare l'anarchia che aveva in sé organizzando la produzione. Al posto dei numerosi uomini d'affari in concorrenza fra loro, furono formate delle potenti organizzazioni capitalistiche (gruppi monopolistici, cartelli, trust), il capitale finanziario si unì al capitale industriale; tutta la vita economica fu dominata dall'oligarchia finanziario-capitalistica, che ottenne l'assoluto predominio organizzandosi in base a questo potere. Il monopolio prese il posto della libera concorrenza. Il capitalista individuale diventò monopolista. La folle anarchia fu sostituita dall'organizzazione.
Ma mentre nell'ambito di ciascun paese l'anarchia del modo di produzione capitalistico fu soppiantata dall'organizzazione capitalistica, nell'economia mondiale le contraddizioni, la lotta concorrenziale e l'anarchia diventarono più acute che mai. La lotta tra i massimi stati, predoni organizzati, portò con ferrea necessità alla mostruosa guerra mondiale imperialista. L'avidità di profitti indusse il capitale mondiale a battersi per nuovi mercati, nuove prospettive d'investimento, nuove fonti di sostanze grezze, per la forza-lavoro a basso prezzo degli schiavi coloniali. Gli stati imperialisti che si dividevano tra di loro il mondo intero, che avevano trasformato molti milioni di proletari e contadini africani, asiatici, australiani e americani in bestie da soma, in quel terribile conflitto dovettero presto o tardi smascherare la vera natura anarchica del capitale. Questa fu l'origine del maggiore fra tutti i crimini -la guerra mondiale di rapina.
Il capitalismo cercò anche di eliminare le contraddizioni nella propria struttura sociale. La società borghese è una società di classe. Nei maggiori stati "civili" il capitale volle mascherare le contraddizioni sociali. Il capitale corruppe i propri schiavi salariati a spese dei depredati popoli coloniali, creò una comunanza d'interessi tra gli sfruttati e gli sfruttatori nei confronti delle colonie oppresse -i popoli coloniali gialli, neri e rossi e incatenò la classe operaia europea e americana alla "patria" imperialista.
Ma lo stesso sistema di, solida corruzione che. creò il patriottismo della classe operaia, e la sua sottomissione morale, dalla guerra fu trasformato, nell'opposto. L'annientamento fisico, il completo asservimento del proletariato, la tremenda oppressione, l'impoverimento e il deterioramento, l'indigenza mondiale -questi furono i frutti finali della pace civile. Essa fallì. La guerra imperialista si trasformò in guerra civile.
E' nata una nuova epoca! L'epoca della dissoluzione (lei capitalismo, della sua disgregazione interna. L'epoca della rivoluzione comunista del proletariato.
Il sistema imperialista sta andando in sfacelo. Fermento nelle colonie, fermento tra le piccole nazioni che in passato erano dipendenti, insurrezioni del proletariato, rivoluzioni proletarie vittoriose in certi paesi, dissoluzione degli eserciti imperialisti, completa incapacità delle classi dirigenti di continuare a guidare i destini dei popoli - questo è oggi lo stato di cose in tutto il mondo.
L'umanità, la cui intera civiltà va ora in rovina, è minacciata dal completo annientamento. C'è una sola forza che può salvarla, ed è il proletariato. Il vecchio "ordine" capitalista non esiste più, non può più esistere. Il risultato finale del sistema di produzione ' capitalistico è il caos. E tale caos può essere sopraffatto soltanto dalla classe più vasta, dalla classe che produce, dalla classe operaia. Essa deve creare l'ordine autentico, l'ordine comunista. Deve distruggere il dominio del capitale, rendere impossibile la guerra, abolire le frontiere degli stati, mutare il mondo intero in un'unica comunità cooperativa, rendere realtà la fratellanza e la libertà dei popoli.
D'altra parte, il capitale mondiale si sta armando per la sua ultima battaglia. Sotto il manto della “Società delle Nazioni", vomitando torrenti di parole pacifiste, sta compiendo sforzi estremi per rabberciare il sistema capitalistico, che spontaneamente sta andando a pezzi, e per volgere le proprie forze contro la rivoluzione proletaria che cresce continuamente. Il proletariato deve dare una risposta a questa nuova e mostruosa cospirazione della classe capitalista con la conquista del potere, volgendo questo potere contro i propri nemici di classe e usandolo come leva per dare avvio alla rivoluzione economica. La vittoria finale del proletariato mondiale significa l'inizio della vera storia dell'umanità liberata.
1. La conquista del potere politico
La conquista del potere politico da parte del proletariato significa l'annientamento del potere politico della borghesia. I più potenti strumenti dell'esercizio del potere da parte della borghesia sono costituiti dalla macchina statale borghese con il suo esercito borghese guidato da ufficiali junker-borghesi, la sua polizia e -gendarmeria, i suoi giudici e direttori di carcere, i suoi preti, funzionari ecc. La conquista del potere politico non significa soltanto un cambiamento della compagine ministeriale, ma l'annientamento dell'apparato statale del nemico, la conquista di una forza effettiva, il disarmo della borghesia, degli ufficiali controrivoluzionari, delle guardie bianche e l'armamento del proletariato, dei soldati rivoluzionari, della guardia rossa operaia; la destituzione di tutti i giudici borghesi e l'insediamento di tribunali proletari; l'abolizione del dominio dei funzionari statali reazionari e la creazione di nuovi organi d'amministrazione proletari. La vittoria del proletariato sta nel distruggere l'organizzazione del potere avversario e nell'organizzazione del potere proletario; sta nella distruzione del meccanismo statale borghese e nella costruzione della macchina statale proletaria. Soltanto dopo che il proletariato si sia conquistato la vittoria e abbia infranto la resistenza della borghesia esso può utilizzare i propri antichi avversari nel nuovo ordine tenendoli sotto controllo e recuperandoli gradualmente all'opera di edificazione comunista.
2. Democrazia e dittatura
Come tutti gli stati, lo stato proletario è uno strumento di repressione, ma è rivolto contro i nemici della classe operaia. Il suo scopo è di infrangere la resistenza degli sfruttatori, che utilizzano qualsiasi mezzo a propria disposizione nella disperata battaglia per soffocare nel sangue la rivoluzione, di rendere impossibile la loro resistenza. La dittatura del proletariato, che dà palesemente una posizione privilegiata al proletariato nella società, è comunque una istituzione provvisoria. Appena la resistenza dei borghesi sia infranta, appena essi siano stati espropriati, e trasformati gradualmente in un ceto lavoratore, la dittatura proletaria scompare, lo stato svanisce, e con esso le classi stesse.
La cosiddetta democrazia, cioè la democrazia borghese, non è niente altro che la dittatura mascherata della borghesia. La tanto esaltata "volontà collettiva del popolo" non esiste più di quanto esista il popolo come un tutto unico. Quello che esiste realmente sono le classi con volontà opposte e incompatibili. Ma dato che la borghesia è una piccola minoranza, ha bisogno di questa finzione, di questa impostura della “volontà del popolo” nazionale, cosicché dietro a queste parole altisonanti può consolidare il proprio dominio sulle classi lavoratrici e imporre loro la propria volontà di classe. Di contro il proletariato, in quanto larga maggioranza della popolazione, utilizza apertamente il potere delle proprie organizzazioni di massa, dei propri soviet, per abolire i privilegi della borghesia e garantire il passaggio alla società comunista senza classi.
Nella democrazia borghese viene data importanza alle dichiarazioni meramente formali di diritti e libertà, benché per i lavoratori, per i proletari e semiproletari privi di beni materiali, questi siano irraggiungibili, mentre la borghesia utilizza le proprie risorse materiali, la propria stampa e le proprie organizzazioni per ingannare e frodare. Di contro il sistema sovietico, questo nuovo tipo di potere statale, attribuisce la massima importanza al fatto di dare al proletariato la possibilità di rendere reali i propri diritti e le proprie libertà. Il regime sovietico dà i palazzi, le case, gli stabilimenti tipografici, le scorte migliori di carta al popolo per la sua stampa, le sue riunioni, le sue associazioni. Soltanto in questo modo è possibile avere una effettiva democrazia proletaria.
E' solo sulla carta che la democrazia borghese con il proprio sistema parlamentare dà alle masse una partecipazione nell'amministrazione dello stato. Di fatto le masse e le loro organizzazioni sono totalmente estromesse dall'effettivo potere e dall'effettiva amministrazione statale. Nel sistema sovietico l'amministrazione passa per le organizzazioni di massa, e tramite loro per le masse stesse, poiché i soviet accostano un numero sempre crescente di lavoratori all'amministrazione statale; questo é il solo modo in cui saranno gradualmente introdotti al governo dello stato tutti quanti i lavoratori. Il sistema sovietico é quindi basato sulle organizzazioni di massa del proletariato, sugli stessi soviet, sui sindacati rivoluzionari, sulle cooperative ecc.
Con la separazione tra potere legislativo e potere esecutivo, con la mancanza del diritto di revoca sui mandati parlamentari, la democrazia borghese e il sistema parlamentare allargano l'abisso tra le masse e lo stato. Il sistema sovietico, al contrario, con il proprio diritto di revoca, con la fusione di potere legislativo ed esecutivo, col carattere dei soviet in quanto comitati collegiali dei lavoratori, unisce le masse con gli organi dell'amministrazione; e allo stesso obiettivo mira il sistema elettorale sovietico, che non si basa su artificiosi collegi elettorali territoriali, ma sull'unità di produzione.
Perciò il sistema sovietico determina l'autentica democrazia proletaria, democrazia con e per il proletariato contro la borghesia. In questo sistema il proletariato industriale è privilegiato in quanto classe preminente, meglio organizzata e politicamente più matura, sotto la cui egemonia il livello dei semiproletari e dei piccoli contadini viene gradualmente elevato. Questi privilegi temporanei (lei proletariato industriale debbono venire utilizzati per liberare le masse più povere della piccola borghesia di campagna dall'influenza dei contadini ricchi e della borghesia, e per organizzarle e prepararle alla cooperazione nella edificazione del sistema comunista.
3. Esproprio della borghesia e socializzazione della produzione
In questo quadro dei rapporti di classe la dissoluzione dell'ordine capitalistico e della disciplina capitalistica della manodopera rendono impossibile ricostruire la produzione sulle antiche basi. Le lotte salariali dei lavoratori, anche quando hanno successo, non portano nelle loro condizioni di vita il miglioramento sperato, perché l'aumento dei prezzi di tutti i generi di consumo rende illusorio ogni successo. Le condizioni di vita dei lavoratori possono venir migliorate soltanto se é il proletariato, non la borghesia, a controllare la produzione. La pressione di possenti lotte salariali, condotte dai lavoratori in tutti i paesi, che ne rispecchiano con chiarezza le disperate condizioni e che tendono a generalizzarsi, rende impossibile la produzione capitalistica. Per far crescere le forze produttive, per spezzare il più in fretta possibile la resistenza della borghesia, che prolunga l'agonia mortale della vecchia società e che minaccia quindi la vita economica di rovina totale, la dittatura del proletariato deve espropriare l'alta borghesia e gli junker e rendere i mezzi di produzione e di scambio proprietà comune dello stato proletario.
Il comunismo sta ora sorgendo dalle rovine del capitalismo; la storia non offre nessun'altra via per l'umanità. Gli opportunisti che continuano utopisticamente a richiedere la ricostruzione della società capitalistica per rimandare la nazionalizzazione, non fanno che prolungare il processo di dissoluzione, che comporta il pericolo della rovina totale. La rivoluzione comunista è nel contempo il migliore e l'unico metodo con cui si può sostenere la forza produttiva più importante - il proletariato - e con essa la società stessa.
La dittatura proletaria non comporta assolutamente alcuna spartizione dei mezzi di produzione e di distribuzione. Al contrario, suo scopo è centralizzare anche di più le forze di produzione e subordinare la produzione globale ad un piano unificato.
I primi passi in direzione della nazionalizzazione dell'intera economia includeranno: la nazionalizzazione delle grosse banche, che ora controllano la produzione: la presa di possesso degli organi economici dello stato capitalista e il loro trasferimento al potere statale proletario; l'acquisizione del controllo di tutte le aziende municipali, la nazionalizzazione delle industrie organizzate in gruppi monopolistici e in trust e di quei rami dell'industria in cui la concentrazione e la centralizzazione del capitale la rendono tecnicamente possibile; la nazionalizzazione dei latifondi agricoli e la loro trasformazione in imprese agricole socialmente amministrate.
Quanto alle piccole aziende, il proletariato deve fonderle gradualmente insieme in modo adatto alle loro dimensioni.
In questo caso bisogna mettere esplicitamente in evidenza che le piccole proprietà non saranno espropriate, e che i proprietari che non utilizzano manodopera salariata non saranno sottoposti a nessuna misura coercitiva. Questa classe sociale deve essere gradualmente inserita nell'organizzazione socialista, con l'esempio, con la dimostrazione pratica dei vantaggi derivanti dal nuovo regime, un regime che libererà i piccoli contadini e la piccola borghesia urbana dalla pressione economica del capitale usuraio e degli junker, dal gravame fiscale (in particolar modo con la cancellazione del debito pubblico, ecc.).
Il compito della dittatura del proletariato in campo economico può essere portato a termine soltanto in condizioni che mettano in grado il proletariato di creare degli organi centralizzati per la gestione della produzione e di rendere effettiva l'amministrazione da parte dei lavoratori. In questo lavoro ci si servirà necessariamente di quelle organizzazioni di massa che sono più strettamente legate al processo di produzione.
Nel campo della distribuzione la dittatura del proletariato deve sostituire al commercio l'equa distribuzione dei beni; i passi in questa direzione comportano le misure seguenti: la nazionalizzazione del commercio all'ingrosso, il rilevamento da parte del proletariato di tutto il meccanismo borghese di distribuzione a livello statale e municipale, il controllo delle grandi associazioni cooperative, la cui organizzazione continuerà a giocare un ruolo economico importante nel periodo di transizione; la centralizzazione graduale di tutti questi organi e la loro trasformazione in un tutto unico che comporti una razionale distribuzione dei beni. Nella distribuzione, come nella produzione, bisogna utilizzare tutti i tecnici e gli specialisti qualificati quando se ne sia spezzata la resistenza politica e abbiano imparato ad adattarsi non al capitale, ma al nuovo sistema di produzione.
Il proletariato non li opprimerà, ma darà loro, per la prima volta, l'opportunità di sviluppare il lavoro creativo più intenso. La dittatura del proletariato sostituirà la separazione tra lavoro manuale e intellettuale, che il capitalismo incoraggiava, con la cooperazione e in questo modo unirà la scienza con il lavoro.
Oltre all'esproprio di fabbriche, miniere, poderi, ecc., il proletariato deve anche abolire lo sfruttamento della popolazione da parte dei proprietari terrieri capitalisti, consegnare gli edifici pubblici ai consigli operai locali, trasferire i lavoratori nelle case borghesi, ecc.
In questo periodo di grandi mutamenti il potere sovietico deve continuare fermamente a centralizzare l'intero meccanismo amministrativo, introducendo nello stesso tempo più vasti settori di lavoratori nell'amministrazione diretta.
4. La strada verso la vittoria
L'epoca rivoluzionaria esige che il proletariato si serva di quei metodi di lotta che ne concentrano tutta l'energia, vale a dire i metodi dell'azione di massa che conducono logicamente a scontri diretti in lotta aperta con l'apparato dello stato borghese. Tutti gli altri sistemi, come ad esempio l'uso rivoluzionario dei parlamenti borghesi, devono essere subordinati a questo scopo.
Per la riuscita di questa lotta è necessario rompere non solo con i puri e semplici lacchè del capitale e con i carnefici della rivoluzione comunista - ruolo giocato dalla destra socialdemocratica - ma anche cori il "centro" (kautskiani) che; nei momenti più critici, abbandona il proletariato per civettare con i suoi nemici dichiarati.
D'altra parte è necessario formare un blocco con quegli elementi del movimento rivoluzionario dei lavoratori che, benché non appartengano ufficialmente al partito socialista, ora aderiscono nel complesso al punto di vista della dittatura del proletariato sotto forma di potere sovietico, per esempio, certi quadri sindacali.
La crescita del movimento rivoluzionario in tutti i paesi, il pericolo che l'alleanza degli stati capitalisti soffochi questo movimento, i tentativi da parte dei partiti socialtraditori di unirsi (la formazione dell’"internazionale gialla" a Berna) per rendere dei servizi alla cricca di Wilson, infine l'assoluta necessità di coordinare l'azione proletaria - tutto ciò deve indurre alla fondazione di un'internazionale comunista veramente rivoluzionaria, veramente proletaria.
L'Internazionale, che subordina i cosiddetti interessi nazionali agli interessi della rivoluzione internazionale, darà forma concreta al mutuo soccorso del proletariato di diversi paesi, perché senza mutuo soccorso in campo economico e in altri campi il proletariato non sarà in grado di organizzare la nuova società. D'altra parte, in contrasto con l'internazionale gialla socialpatriottica, il comunismo proletario internazionale appoggerà i popoli coloniali sfruttati nelle loro lotte contro l'imperialismo al fine di favorire la rovina definitiva del sistema imperialistico mondiale.
Allo scoppio della guerra i criminali capitalisti affermarono di limitarsi a difendere la propria patria comune. Ma con le proprie azioni sanguinose in Russia, in Ucraina, in Finlandia, l'imperialismo tedesco svelò in breve tempo la propria natura predatoria. Ora gli stati dell'Intesa vengono smascherati anche agli occhi delle classi sociali più arretrate della popolazione, e si rivelano ladri e assassini del proletariato. Insieme alla borghesia e ai socialpalrioti tedeschi, con ipocrite parole di pace sulle labbra, stanno usando le proprie armi e le proprie truppe coloniali , barbare e abbrutite, per soffocare la rivoluzione del proletariato europeo. Il terrore bianco dei cannibali borghesi è indescrivibile. Le vittime nella classe operaia sono innumerevoli . I migliori - Liebknecht, la Luxemburg - li abbiamo perduti.
Il proletariato deve difendersi, ad ogni costo. L'Internazionale comunista chiama il proletariato di tutto il mondo a quest'ultima battaglia...
Abbasso la cospirazione imperialista del capitale! Viva la repubblica internazionale dei soviet proletari!
Tesi e risoluzione sulla democrazia borghese e la dittatura del proletariato
Internazionale Comunista, 1919
1. Lo sviluppo del movimento rivoluzionario del proletariato in tutti i paesi ha suscitato gli sforzi convulsi della borghesia e dei suoi agenti nelle organizzazioni operaie al fine di trovare gli argomenti politici e ideologici per difendere il dominio degli sfruttatori. Tra questi argomenti vengono messi in particolare rilievo la condanna della dittatura e la difesa della democrazia. La falsità e l’ipocrisia di quest’argomentazione, ripetuta in tutti i toni sulla stampa capitalistica e alla conferenza dell’Internazionale gialla, tenutasi a Berna nel febbraio 1919, sono evidenti per chiunque non voglia tradire i postulati fondamentali del socialismo.
2. Prima di tutto, in quest’argomentazione, si opera con i concetti di «democrazia in generale» e di «dittatura in generale», senza che ci si domandi di quale classe si tratta. Impostare così il problema, la di fuori o al di sopra delle classi, come si trattasse di tutto il popolo, significa semplicemente prendersi gioco della dottrina fondamentale del socialismo, cioè appunto della dottrina della lotta di classe, che viene riconosciuta a parole ma dimenticata nei fatti da quei socialisti che sono passati alla borghesia. In effetti, in nessun paese civile capitalistico esiste la «democrazia in generale», ma esiste soltanto la democrazia borghese, e la dittatura di cui si parla non è la «dittatura in generale», ma la dittatura della classe oppressa, cioè del proletariato, sugli oppressori e sugli sfruttatori, cioè sulla borghesia, allo scopo di spezzare la resistenza che gli sfruttatori oppongono nella lotta per il loro dominio.
3. La storia insegna che nessuna classe oppressa è mai giunta e ha potuto accedere al dominio senza attraversare un periodo di dittatura, cioè di conquista del potere politico e di repressione violenta della resistenza più furiosa, più disperata, che non arretra dinanzi a nessun delitto, quale è quella che hanno sempre opposto gli sfruttatori. La borghesia, il cui dominio è difeso oggi dai socialisti che si scagliano contro la «dittatura in generale» e si fanno in quattro per esaltare la «democrazia in generale», ha conquistato il potere nei paesi progrediti a prezzo di una serie di insurrezioni e guerre civili, con la repressione violenta dei re, dei feudatari, dei proprietari di schiavi e dei loro tentativi di restaurazione. I socialisti di tutti i paesi, nei loro libri e opuscoli, nelle risoluzioni dei loro congressi, nei loro discorsi d’agitazione, hanno illustrato al popolo migliaia e milioni di volte il carattere di classe di queste rivoluzioni borghesi, di questa dittatura borghese. E pertanto, quando oggi si difende la democrazia borghese con discorsi sulla «democrazia in generale», quando oggi si grida e si strepita contro la dittatura del proletariato fingendo di gridare contro la «dittatura in generale», non si fa che tradire il socialismo, passare di fatto alla borghesia, negare al proletariato il diritto alla propria rivoluzione proletaria, difendere il riformismo borghese nel momento storico in cui esso è fallito in tutto il mondo e la guerra ha creato una situazione rivoluzionaria.
4. Tutti i socialisti, chiarendo il carattere di classe della civiltà borghese, della democrazia borghese, del parlamentarismo borghese, hanno espresso la stessa idea che già Marx e Engels avevano esposto con il massimo rigore scientifico, dicendo che la repubblica borghese più democratica è soltanto una macchina che permette alla borghesia di schiacciare la classe operaia, che permette a un pugno di capitalisti di schiacciare la masse lavoratrici. Non c’è un solo rivoluzionario, non c’è un solo marxista, tra coloro che oggi strepitano contro la dittatura e a favore della democrazia, che non giuri e spergiuri dinanzi agli operai di accettare questa fondamentale verità del socialismo. Ma proprio ora, mentre il proletariato rivoluzionario è in fermento e si muove per distruggere questa macchina di oppressione e per conquistare la dittatura del proletariato, questi traditori del socialismo presentano le cose come se la borghesia avesse regalato ai lavoratori la «democrazia pura», come se la borghesia, rinunciando a resistere, fosse disposta a sottomettersi alla maggioranza dei lavoratori, come se nella repubblica democratica non ci fosse stata e non ci fosse alcuna macchina statale per l’oppressione del lavoro da parte del capitale.
5. La Comune di Parigi, che tutti coloro i quali desiderano passare per socialisti onorano a parole, poiché sanno che le masse operaie nutrono per essa una simpatia appassionata e sincera, ha mostrato con singolare evidenza il carattere storicamente convenzionale e il valore limitato del parlamentarismo e della democrazia borghese, istituzioni sommamente progressive rispetto al medioevo, ma che richiedono inevitabilmente una trasformazione radicale nell’epoca della rivoluzione proletaria. Proprio Marx, che ha valutato meglio di ogni altro la portata storica della Comune, ha mostrato, nel farne l’analisi, il carattere sfruttatore della democrazia borghese e del parlamentarismo borghese, in cui le classe oppresse si vedono concesso il diritto di decidere, una volta ogni tanti anni, quale esponente delle classi abbienti dovrà «rappresentare e reprimere» il popolo in parlamento. Proprio oggi, mentre il movimento dei soviet, abbracciando il mondo intero, prosegue l’opera della Comune sotto gli occhi di tutti, i traditori del socialismo dimenticano l’esperienza e gli insegnamenti concreti della Comune di Parigi, riprendendo il vecchio ciarpame borghese sulla «democrazia in generale». La Comune non è stata un’istituzione parlamentare.
6. Il significato della Comune sta inoltre nel fatto che essa ha tentato di spezzare, di distruggere dalle fondamenta l’apparato statale borghese, burocratico, giudiziario, militare, poliziesco, sostituendolo con l’organizzazione autonoma delle masse operaie, che non conosceva distinzioni tra il potere legislativo e il potere esecutivo. Tutte le repubbliche democratiche borghesi contemporanee, compresa quella tedesca, che i traditori del socialismo a disprezzo della verità definiscono proletaria, mantengono questo apparato statale. Viene così confermato ancora una volta, e con assoluta evidenza, che gli strepiti in difesa della «democrazia in generale» sono di fatto una difesa della borghesia e dei suoi privilegi di sfruttatrice.
7. La «libertà di riunione» può essere presa a modello delle istanze della «democrazia pura». Ogni operaio cosciente, che non abbia rotto con la sua classe, capirà subito che sarebbe assurdo promettere la libertà di riunione agli sfruttatori in un periodo e in una situazione in cui gli sfruttatori oppongono resistenza per non essere abbattuti e difendono i propri privilegi. La borghesia, quando era rivoluzionaria, sia in Inghilterra nel 1649 sia in Francia nel 1793, non ha mai concesso «libertà di riunione» ai monarchici e ai nobili, che avevano chiamato gli eserciti stranieri e che «si radunavano» per organizzare un tentativo di restaurazione. Se la borghesia odierna, che è diventata già da tempo reazionaria, esige dal proletariato che esso garantisca preventivamente la «libertà di riunione» agli sfruttatori, qualunque sia la resistenza opposta dai capitalisti per non essere espropriati, gli operai possono soltanto ridere di questa ipocrisia borghese.
D’altra parte, gli operai sanno bene che la «libertà di riunione» è una frase vuota persino nella repubblica borghese più democratica, perché i ricchi dispongono di tutti i migliori edifici pubblici e privati, hanno abbastanza tempo per riunirsi e godono della protezione dell’apparato borghese del potere. I proletari della città e della campagna e i piccoli contadini, cioè la stragrande maggioranza della popolazione, non hanno nessuna di queste cose. E, fino a quando la situazione rimarrà immutata, l’«uguaglianza», cioè la «democrazia pura», è un inganno. Per conquistare l’uguaglianza effettiva, per realizzare di fatto la democrazia per i lavoratori, bisogna prima togliere agli sfruttatori tutti gli edifici pubblici e i lussuosi edifici privati, bisogna prima assicurare ai lavoratori tempo libero, bisogna fare in modo che la libertà delle loro riunioni sia difesa dagli operai armati e non dai nobili e dagli ufficiali capitalisti con i loro soldati abbrutiti.
Solo dopo questo cambiamento si potrà parlare di libertà di riunione e di uguaglianza, senza che ciò suoni come un insulto agli operai, ai lavoratori, ai poveri. Ma nessuno potrà realizzare questo cambiamento, se non l’avanguardia dei lavoratori, il proletariato, che abbatte gli sfruttatori, la borghesia.
8. Anche la «libertà di stampa» è una delle parole d’ordine fondamentali della «democrazia pura». Tuttavia, gli operai sanno, e i socialisti di tutti i paesi hanno riconosciuto milioni di volte, che questa libertà è un inganno, fino a quando le migliori tipografie e le immense provviste di carta rimangono nelle mani dei capitalisti, fino a quando permane sulla stampa il potere del capitale, che si manifesta nel mondo intero in forma tanto evidente, brutale cinica, quanto più sono sviluppati la democrazia e il sistema repubblicano, come ad esempio in America. Per conquistare l’uguaglianza effettiva e la democrazia reale per i lavoratori, per gli operai e i contadini, bisogna prima togliere al capitale la possibilità di assoldare gli scrittori, di comprare le case editrici e di corrompere i giornali, e, per far questo, bisogna abbattere il giogo del capitale, rovesciare gli sfruttatori, schiacciare la loro resistenza. I capitalisti hanno sempre chiamato «libertà» la libertà di arricchirsi per i ricchi e la libertà di morire di fame per gli operai. I capitalisti chiamano libertà di stampa la libertà per i ricchi di corrompere la stampa, la libertà di usare le loro ricchezze per fabbricare e contraffare la cosiddetta opinione pubblica. In realtà i difensori della «democrazia pura» sono i difensori del più immondo e corrotto sistema di dominio dei ricchi sui mezzi d’istruzione delle masse, essi ingannano il popolo, in quanto lo distolgono, con le loro belle frasi seducenti e profondamente ipocrite, dal compito storico concreto di affrancare la stampa dal suo asservimento al capitale. L’effettiva libertà e uguaglianza si avrà nel sistema costruito dai comunisti e in cui non ci si potrà arricchire a spese altrui, in cui non ci sarà la possibilità oggettiva di sottomettere direttamente o indirettamente la stampa al potere del denaro, in cui niente impedirà a ciascun lavoratore (o gruppo di lavoratori di qualsivoglia entità) di godere in linea di principio e nei fatti dell’eguale diritto di usare le tipografie e la carta appartenenti alla società.
9. La storia dei secoli XIX e XX ha mostrato ancor prima della guerra che cosa sia nei fatti la famigerata «democrazia pura» in regime capitalistico. I marxisti hanno sempre sostenuto che, quanto più la democrazia è sviluppata e «pura», tanto più diventa palese e implacabile la lotta di classe, tanto più il giogo del capitale e la dittatura della borghesia appaiono nella loro «purezza». L’affare Dreyfus nella Francia repubblicana, le sanguinose repressioni di scioperanti ad opera di squadre assoldate e armate dai capitalisti nella libera e democratica repubblica americana, questi e migliaia di altri fatti del genere mettono a nudo quella verità che la borghesia si sforza con ogni cura di nascondere, la verità che nelle repubbliche più democratiche regnano di fatto il terrorismo e la dittatura della borghesia, i quali si manifestano apertamente ogni volta che agli sfruttatori comincia a sembrare vacillante il potere del capitale.
10. La guerra imperialistica del 1914-1918 ha rivelato definitivamente, persino agli operai più arretrati, il reale carattere della democrazia borghese anche nelle repubbliche più libere: la democrazia borghese è la dittatura della borghesia. Decine di milioni di uomini sono stati uccisi e persino nelle repubbliche più democratiche è stata instaurata la dittatura militare della borghesia per consentire al gruppo dei milionari e miliardari tedeschi o inglesi di arricchirsi. Questa dittatura militare è ancora in vigore nei paesi dell’Intesa anche dopo il crollo della Germania. Proprio la guerra, più d’ogni altra cosa, ha aperto gli occhi ai lavoratori, ha strappato alla democrazia borghese i suoi orpelli, ha mostrato al popolo quali ingenti profitti e speculazioni erano stati fatti durante la guerra e in occasione della guerra. La borghesia ha fatto questa guerra in nome della «libertà» e dell’«uguaglianza», e, in nome della «libertà» e dell’«uguaglianza», si sono arricchiti favolosamente i fornitori militari. Nessuno sforzo dell’Internazionale gialla di Berna riuscirà a nascondere alle masse il carattere sfruttatore – ormai definitivamente smascherato – della libertà borghese, dell’uguaglianza borghese, della democrazia borghese.
11. In Germania, nel paese capitalistico più progredito del continente europeo, i primi mesi della completa libertà repubblicana apportata dal crollo della Germania imperialistica, hanno mostrato agli operai tedeschi e a tutto il mondo in che cosa consista la reale sostanza di classe della repubblica democratica borghese. L’assassinio di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg è un fatto di portata storica mondiale, non solo perché sono caduti tragicamente gli elementi migliori e i capi dell’effettiva Internazionale proletaria comunista, ma anche perché uno Stato europeo progredito (e, si può dire senza esagerazione, uno Stato progredito su scala mondiale) ha rivelato sino in fondo la sua sostanza classista. Se dei cittadini in stato d’arresto, presi cioè dal potere statale sotto la sua protezione, possono essere assassinati impunemente dagli ufficiali e dai capitalisti, mentre è al potere un governo di socialpatrioti, da ciò consegue che la repubblica democratica dove questo fatto può accadere è una dittatura della borghesia. Chi esprime la sua indignazione per l’assassinio di Karl Liebknecht e di Rosa Luxemburg ma non comprende questa verità dà prova soltanto della sua ottusità o ipocrisia. La «libertà» in una delle repubbliche più democratiche e progredite del mondo, nella repubblica tedesca, è la libertà di assassinare impunemente i capi del proletariato in stato d’arresto. Né può succedere diversamente, fino a quando sussiste il capitalismo, perché lo sviluppo della democrazia non attenua ma acuisce la lotta di classe, che, per effetto di tutti i risultati e influssi della guerra e delle sue conseguenze, giunge al punto cruciale.
In tutto il mondo civile i bolscevichi vengono oggi espulsi, perseguitati, incarcerati, così avviene, per esempio, in Svizzera, cioè in una delle repubbliche borghesi più libere; pogrom antibolscevichi vengono effettuati in America, ecc. Sotto il profilo della «democrazia in generale» o della «democrazia pura» è persino ridicolo che dei paesi progrediti, civili, democratici, armati fino ai denti, temano la presenza in essi di poche decine di uomini provenienti dalla Russia arretrata, affamata, devastata, che i giornali borghesi, diffusi in decine di milioni di copie, chiamano selvaggia, criminale, ecc. È chiaro che la situazione sociale che ha potuto generare una contraddizione così stridente è di fatto la dittatura della borghesia.
12. In questo stato di cose la dittatura del proletariato è non solo legittima, come mezzo per abbattere gli sfruttatori e schiacciarne la resistenza, ma assolutamente necessaria per tutta la massa dei lavoratori, come unica difesa contro la dittatura della borghesia, che ha già portato alla guerra e che prepara nuove guerre.
Il punto essenziale, che i socialisti non comprendono e in cui consiste la loro miopia teorica, la loro soggezione ai pregiudizi borghesi e il loro tradimento politico nei confronti del proletariato, è che nella società capitalistica, di fronte all’acuirsi più o meno forte della lotta di classe che ne costituisce il fondamento, non può darsi alcun termine medio tra la dittatura della borghesia e la dittatura del proletariato. Ogni sogno d’una qualsiasi terza via è querimonia reazionaria piccolo-borghese. Lo attesta anche l’esperienza dello sviluppo più che secolare della democrazia borghese e del movimento operaio in tutti i paesi progrediti e, in particolare, l’esperienza dell’ultimo quinquennio. Lo afferma inoltre tutta la scienza dell’economia politica, tutto il contenuto del marxismo, il quale chiarisce come in ogni economia di mercato sia economicamente inevitabile la dittatura della borghesia, una dittatura che può essere soppiantata soltanto dalla classe dei proletari, cioè dalla classe che si sviluppa, si moltiplica, si unifica e si consolida con lo sviluppo del capitalismo.
13. Un altro errore teorico e politico dei socialisti consiste nell’incomprensione del fatto che le forme della democrazia sono necessariamente cambiate nel corso dei millenni, fin dai primi germi nell’antichità, con il succedersi di una classe dominante all’altra. Nelle antiche repubbliche greche, nelle città del medioevo, nei paesi capitalistici progrediti la democrazia ha assunto forme diverse e un diverso grado d’applicazione. Sarebbe la peggiore delle assurdità credere che la rivoluzione più profonda della storia dell’umanità, il trapasso – compiuto per la prima volta nel mondo – del potere di una minoranza di sfruttatori alla maggioranza degli sfruttati, possa realizzarsi entro il vecchio quadro della vecchia democrazia borghese parlamentare, possa realizzarsi senza le fratture più radicali, senza la creazione di nuove forme di democrazia, senza la creazione di nuovi istituti, che ne incarnino le nuove condizioni d’applicazione, ecc.
14. La dittatura del proletariato è affine alla dittatura delle altri classi solo in quanto è imposta, come ogni altra dittatura, dalla necessità di schiacciare con la violenza la resistenza della classe che perde il suo dominio politico. La differenza radicale tra la dittatura del proletariato e la dittatura delle altri classi – la dittatura dei grandi proprietari fondiari nel medioevo, la dittatura della borghesia in tutti i paesi capitalistici progrediti – è nel fatto che la dittatura dei grandi proprietari fondiari e della borghesia schiacciava con la violenza la resistenza della stragrande maggioranza della popolazione, cioè dei lavoratori, mentre la dittatura del proletariato schiaccia con la violenza la resistenza degli sfruttatori, cioè un’esigua minoranza della popolazione, dei grandi proprietari fondiari e dei capitalisti.
Deriva di qui, a sua volta, che la dittatura del proletariato deve inevitabilmente portare con sé non solo un mutamento delle forme e degli istituti democratici in generale, ma un mutamento tale che implichi un’estensione senza precedenti dell’effettiva utilizzazione della democrazia da parte di coloro che sono oppressi dal capitalismo, da parte delle classi lavoratrici.
E, in realtà, la forma di dittatura del proletariato, che è stata già elaborata nella pratica, cioè il potere sovietico in Russia, il Rate-System in Germania, gli Shop Stewards Committees e altre analoghe istituzioni sovietiche negli altri paesi, dimostrano tutti e rendono effettiva per le classi lavoratrici, cioè per la stragrande maggioranza della popolazione, la possibilità di esercitare i diritti e le libertà democratiche, possibilità che non è mai esistita, nemmeno approssimativamente, nelle repubbliche borghesi migliori e più democratiche.
L’essenza del potere sovietico sta nel fatto che l’intero potere statale, l’intero apparato statale ha come fondamento unico e permanente l’organizzazione di massa proprio di quelle classi che sono state finora oppresse dal capitalismo, cioè degli operai e dei semiproletari (contadini che non sfruttano il lavoro altrui e che vendono regolarmente anche solo una parte della loro forza-lavoro). Proprio queste masse, che persino nelle repubbliche borghesi più democratiche, pur avendo uguali diritti dinanzi alla legge, sono di fatto escluse in mille modi e con mille sotterfugi dalla vita politica e dall’esercizio delle libertà e dei diritti democratici, vengono ora associate in modo permanente e necessario, ma soprattutto in modo decisivo alla gestione democratica dello Stato.
15. L’uguaglianza dei cittadini, indipendentemente dal sesso, dalla religione, dalla nazionalità, – uguaglianza che la democrazia borghese ha promesso sempre e dappertutto, ma che non ha mai realizzato e potuto realizzare, permanendo il dominio del capitale, – viene realizzata subito e integralmente dal potere sovietico, o dittatura del proletariato, poiché soltanto il potere degli operai, che non sono interessati alla proprietà privata dei mezzi di produzione e alla lotta per la loro spartizione e ripartizione, è in condizione di farlo.
16. La vecchia democrazia, cioè la democrazia borghese, e il parlamentarismo erano organizzati in modo che proprio le masse dei lavoratori venivano soprattutto estraniate dall’apparato amministrativo. Il potere sovietico, cioè la dittatura del proletariato, è invece strutturato in modo da avvicinare le masse lavoratrici all’apparato amministrativo. A questo scopo tende anche l’unificazione del potere legislativo e del potere esecutivo nell’organizzazione sovietica dello Stato e la sostituzione delle circoscrizioni elettorali territoriali con le unità elettorali fondate sui luoghi di produzione: fabbrica, officina, ecc.
17. L’esercito era uno strumento di oppressione non solo in regime monarchico. È rimasto tale anche in tutte le repubbliche borghesi, persino nelle più democratiche. Solo il potere sovietico, come organizzazione statale permanente delle classi oppresse dal capitalismo, ha la possibilità di sopprimere la subordinazione dell’esercito al comando borghese e di fondere realmente il proletariato con l’esercito, di realizzare l’effettivo armamento del proletariato e il disarmo della borghesia, senza di che è impossibile la vittoria del socialismo.
18. L’organizzazione sovietica dello Stato è adatta alla funzione dirigente del proletariato, come classe che il capitalismo ha maggiormente concentrato e istruito. L’esperienza di tutte le rivoluzioni e di tutti i movimenti delle classi oppresse, l’esperienza del movimento socialista mondiale ci insegna che soltanto il proletariato è in condizione di unire e guidare gli strati dispersi e arretrati della popolazione lavoratrice e sfruttata.
19. Soltanto l’organizzazione sovietica dello Stato può realmente spezzare di colpo e distruggere definitivamente il vecchio apparato, cioè l’apparato burocratico e giudiziario borghese, che è rimasto e doveva necessariamente rimanere intatto in regime capitalistico persino nelle repubbliche più democratiche, poiché era di fatto il maggiore ostacolo alla realizzazione della democrazia per gli operai e per i lavoratori. La Comune di Parigi ha fatto il primo passo su questa strada, un passo che ha una portata storica mondiale; il potere sovietico ha fatto il secondo passo.
20. La soppressione del potere dello Stato è il fine che tutti i socialisti, e Marx per primo, si sono posti. Se non si raggiunge questo obiettivo, non si può realizzare la vera democrazia, cioè l’uguaglianza e la libertà. Ma verso questa mèta può condurre nella pratica soltanto la democrazia sovietica, o proletaria, poiché essa, facendo partecipare in modo permanente e necessario le organizzazioni di massa dei lavoratori alla gestione dello Stato, comincia a preparare immediatamente la completa estinzione di ogni Stato.
21. Il totale fallimento dei socialisti riuniti a Berna, la loro completa incomprensione della nuova democrazia proletaria risulta evidente da quanto segue. Il 10 febbraio 1919 Branting ha chiuso a Berna la conferenza dell’Internazionale gialla. L’11 febbraio 1919, a Berlino, Die Freiheit, giornale degli aderenti a quest’Internazionale, pubblicava un appello del partito degli «indipendenti» al proletariato. Nell’appello si riconosceva il carattere borghese del governo Scheidemann, a cui si faceva rimprovero di voler abolire i soviet, definiti «Tràger und Schùtzer der Revolution», portatori e custodi della rivoluzione, e si proponeva di legalizzare i soviet, di concedere a essi diritti statali, il diritto di sospendere le decisioni dell’Assemblea nazionale e fare ricorso al referendum popolare.
Questa proposta rivela il completo fallimento ideologica dei teorici che difendono la democrazia senza capirne il carattere borghese. Il ridicolo tentativo di collegare il sistema dei soviet, cioè la dittatura del proletariato, con l’Assemblea nazionale, cioè con la dittatura della borghesia, smaschera sino in fondo la povertà di pensiero dei socialisti e socialdemocratici gialli, il loro spirito politico reazionario di piccoli borghesi, le loro pusillanimi concessioni alla forza della nuova democrazia proletaria che si sviluppa in modo incontenibile.
22. Nel condannare il bolscevismo, la maggioranza dell’Internazionale gialla di Berna, che, per timore delle masse operaie, non si era decisa di approvare formalmente su questo problema una risoluzione, ha agito correttamente del punto di vista di classe. Proprio questa maggioranza è pienamente solidale con i menscevichi e con i socialisti-rivoluzionari russi, nonché con gli Scheidemann in Germania. I menscevichi e i socialisti-rivoluzionari russi, lamentandosi di essere perseguitati dai bolscevichi, cercano di nascondere il fatto che tali persecuzioni sono causate dalla partecipazione dei menscevichi e dei socialisti-rivoluzionari alla guerra civile dalla parte della borghesia contro il proletariato. Proprio nello stesso senso si sono mossi in Germania gli Scheidemann e il loro partito partecipando alla guerra civile dalla parte della borghesia contro gli operai.
È quindi assolutamente naturale che la maggioranza degli aderenti all’Internazionale gialla di Berna si sia pronunciata per la condanna dei bolscevichi. Si è avuta qui non la difesa della «democrazia pura», ma l’autodifesa di chi sa e sente che nella guerra civile si schiererà con la borghesia contro il proletariato.
Ecco perché, da un punto di vista di classe, non si può non ritenere giusta la decisione della maggioranza dell’Internazionale gialla. Il proletariato deve guardare in faccia la verità, senza temerla, e deve trarre tutte le conclusioni politiche che si impongono.
21 punti per l’ammissione all’Internazionale Comunista
Internazionale Comunista, 1920
1. Tutta l’attività di propaganda e di agitazione deve essere di natura autenticamente comunista e conforme al programma e alle decisioni dell’Internazionale Comunista. Tutta quanta la stampa di partito deve essere sotto la direzione di comunisti fidati che abbiano dato prova di devozione alla causa del proletariato. La dittatura del proletariato non dev’essere considerata semplicemente come formula d’uso corrente meccanicamente appresa; bisogna propugnarla in modo da renderne comprensibile la necessità a qualsiasi comune operaio od operaia, ad ogni soldato e contadino, partendo dai fatti della loro vita di tutti i giorni, che bisogna riferire e utilizzare quotidianamente nella nostra stampa. I periodici e le altre pubblicazioni, e tutte le case editrici del partito, devono essere completamente subordinate al praesidium del partito, indipendentemente dal fatto che in quel dato momento il partito sia legale o clandestino. Non bisogna permettere che le case editrici abusino della propria indipendenza e portino avanti una linea politica che non sia in assoluta armonia con la linea politica del partito. Negli articoli del giornale, nelle assemblee popolari, nei sindacati e nelle cooperative, ovunque gli aderenti all’Internazionale Comunista siano presenti, è necessario denunziare, sistematicamente ed implacabilmente, non soltanto la borghesia, ma anche i suoi servi, i riformisti di ogni sfumatura.
2. Qualsiasi organizzazione che voglia aderire all’Internazionale Comunista deve rimuovere, sistematicamente, i riformisti e i centristi da tutti gli incarichi di responsabilità all’interno del movimento operaio (organizzazioni di partito, comitati di redazione, sindacati, gruppi parlamentari, cooperative, organi di governo locali) e sostituirli con comunisti collaudati, anche se, soprattutto all’inizio, sarà necessario sostituire degli opportunisti “esperti” con dei semplici lavoratori di base.
3. Praticamente in tutti i paesi d’Europa e d’America la lotta di classe sta entrando nella fase della guerra civile. In questa situazione i comunisti non possono assolutamente contare sulla legalità borghese. Essi sono costretti a creare ovunque un’organizzazione clandestina parallela che nel momento decisivo aiuterà il partito a fare il suo dovere per la rivoluzione. In tutti i paesi in cui i comunisti non sono in grado di operare legalmente, a causa dello stato d’assedio o di leggi d’emergenza, è assolutamente indispensabile affiancare al lavoro legale quello clandestino.
4. Il dovere di divulgare le idee comuniste include il preciso dovere di portare avanti un’attività di propaganda sistematica ed energica nell’esercito. Laddove tale opera di agitazione sia impedita dalle leggi d’emergenza, bisogna portarla avanti clandestinamente. Il rifiuto d’assumersi un compito di questo genere equivarrebbe al ripudio del dovere rivoluzionario ed è incompatibile con l’appartenenza all’Internazionale Comunista.
5. Bisogna fare opera d’agitazione sistematica e programmata nelle campagne. La classe operaia non può consolidare la propria vittoria se con la propria linea politica non si è assicurato l’appoggio di almeno parte del proletariato rurale e dei contadini più poveri, e la neutralità di parte della popolazione rurale rimanente. Attualmente l’attività comunista nelle zone rurali va acquistando un’importanza di primo piano. Bisogna portarla avanti soprattutto valendosi dell’aiuto dei lavoratori comunisti urbani e rurali che hanno stretti rapporti con le campagne. Il trascurare questo lavoro o l’abbandonarlo nelle mani malfide dei semiriformisti equivale alla rinuncia alla rivoluzione proletaria.
6. Ogni partito che voglia aderire all’Internazionale Comunista è tenuto a smascherare non soltanto il socialpatriottismo dichiarato, ma anche la falsità e l’ipocrisia del socialpacifismo; a rammentare sistematicamente ai lavoratori che senza l’abbattimento rivoluzionario del capitalismo nessuna corte internazionale d’arbitrato, nessun accordo par la limitazione degli armamenti, nessuna riorganizzazione “democratica” della Società delle Nazioni, potrà impedire delle nuove guerre imperialistiche.
7. I partiti che vogliono aderire all’Internazionale Comunista sono tenuti a riconoscere la necessità di una frattura completa ed assoluta con il riformismo e con la linea politica del “centro”, e a propugnare il più diffusamente possibile questa frattura tra i propri membri. Senza di ciò non è possibile nessuna linea politica coerentemente comunista. L’Internazionale Comunista esige assolutamente e categoricamente che si operi tale frattura il più presto possibile. L’Internazionale Comunista non può accettare che dei noti opportunisti, come Turati, Modigliani, Kautsky, Hilferding, Hilquit, Longuet, MacDonald, ecc. abbiano il diritto di apparire quali membri dell’Internazionale Comunista. Ciò non potrebbe non portare l’Internazionale Comunista ad assomigliare per molti aspetti alla Seconda Internazionale, che è andata in pezzi.
8. Per i partiti dei paesi la cui borghesia possiede delle colonie ed opprime altre nazioni è necessario tenere un atteggiamento particolarmente esplicito e chiaro sulla questione delle colonie e dei popoli oppressi. Ogni partito che voglia aderire all’Internazionale Comunista è tenuto a smascherare i trucchi e gli inganni dei “propri” imperialisti nelle colonie, ad appoggiare non solo a parole ma con i fatti ogni movimento di liberazione nelle colonie, ad esigere che i propri imperialisti vengano espulsi da tali colonie, ad instillare nei lavoratori del proprio paese un atteggiamento di autentica fratellanza nei confronti dei lavoratori delle colonie e dei popoli oppressi, e a fare sistematicamente opera d’agitazione tra le truppe del proprio paese perché non collaborino all’oppressione dei popoli coloniali.
9. Ogni partito che voglia aderire all’Internazionale Comunista deve dare attività sistematica e durevole nei sindacati, nei consigli operai e nei comitati di fabbrica, nelle cooperative e nelle altre organizzazioni di massa dei lavoratori. Bisogna costituire all’interno di tali organizzazioni delle cellule comuniste che attraverso un’opera costante ed indefessa conquistino alla causa del comunismo i sindacati, ecc. Nel corso del proprio lavoro quotidiano le cellule debbono smascherare ovunque il tradimento dei socialpatrioti e l’instabilità del “centro”. Le cellule comuniste debbono essere completamente subordinate al partito nel suo complesso.
10. Ogni partito appartenente all’Internazionale Comunista è tenuto ad ingaggiare una lotta inesorabile contro l'”Internazionale” di Amsterdam dei sindacati gialli. Deve propagandare con il massimo vigore tra i sindacalisti la necessità di una rottura con l’Internazionale gialla di Amsterdam. Deve fare tutto il possibile per appoggiare l’Associazione internazionale dei sindacati rossi, aderente alla Internazionale Comunista, in via di formazione.
11. I partiti che vogliono aderire all’Internazionale Comunista sono tenuti a sottoporre a revisione i componenti dei propri gruppi parlamentari e a destituire tutti gli elementi infidi, a far sì che tali gruppi siano subordinati al praesidium del partito non soltanto a parole ma nei fatti, esigendo che ogni singolo parlamentare comunista subordini tutta la sua attività agli interessi di una propaganda e di un’agitazione autenticamente rivoluzionarie.
12. I partiti appartenenti all’Internazionale Comunista debbono basarsi sul principio del centralismo democratico. Nell’attuale momento di aspra guerra civile, il Partito comunista potrà assolvere al proprio compito soltanto se la sua organizzazione sarà il più possibile centralizzata, se si imporrà una disciplina ferrea, e se la centrale del partito, sorretta dalla fiducia degli iscritti, avrà forza ed autorità e sarà dotata dei più vasti poteri.
13. I partiti comunisti dei paesi in cui i comunisti operano nella legalità ogni tanto debbono intraprendere un’opera di epurazione (reiscrizione) tra i membri del partito per sbarazzarsi di tutti gli elementi piccolo borghesi che vi siano infiltrati.
14. Ogni partito che voglia aderire all’Internazionale Comunista è tenuto ad appoggiare incondizionatamente tutte le repubbliche sovietiche nella lotta contro le forze controrivoluzionarie. I partiti comunisti debbono portare avanti una propaganda esplicita per impedire l’invio di munizioni ai nemici delle repubbliche sovietiche; debbono anche fare opera di propaganda, con tutti i mezzi, sia legali sia illegali, tra le truppe inviate a soffocare le repubbliche operaie.
15. I partiti che mantengono ancora i vecchi programmi socialdemocratici sono tenuti a sottoporli a revisione quanto prima possibile, e a redigere, tenendo conto delle particolari condizioni del loro paese, un nuovo programma comunista che sia conforme ai deliberati dell’Internazionale Comunista. Di regola il programma di ogni partito appartenente all’Internazionale Comunista dev’essere ratificato da un regolare congresso dell’Internazionale Comunista o dal Comitato Esecutivo. Se il programma di un partito non ottenesse la ratifica del CEIC, il partito in questione ha il diritto di appellarsi al congresso dell’Internazionale Comunista.
16. Tutti i deliberati dei congressi dell’Internazionale Comunista, così come i deliberati del suo Comitato Esecutivo, sono vincolanti per tutti i partiti appartenenti all’Internazionale Comunista. L’Internazionale Comunista, che opera in una situazione di aspra guerra civile, deve avere una struttura assai più centralizzata di quella della Seconda Internazionale. Naturalmente l’Internazionale Comunista e il suo Comitato Esecutivo debbono tener conto in tutte le proprie attività della diversità di situazioni in cui si trovano a lottare ed operare i singoli partiti, e debbono prendere delle decisioni vincolanti per tutti unicamente quando tali decisioni siano possibili.
17. A questo proposito, tutti i partiti che vogliono aderire all’Internazionale Comunista debbono cambiare nome. Ogni partito che voglia aderire all’Internazionale Comunista deve chiamarsi: Partito Comunista del tale paese (sezione dell’Internazionale Comunista). Il fatto del nome non è soltanto una questione formale, ma una questione squisitamente politica e di grande importanza. L’Internazionale Comunista ha dichiarato guerra a tutto il mondo borghese e a tutti i partiti della socialdemocrazia gialla. La differenza tra i partiti comunisti e i vecchi partiti “socialdemocratici” o “socialisti” ufficiali, che hanno tradito la bandiera della classe operaia, dev’essere resa comprensibile ad ogni semplice lavoratore.
18. Tutti i principali organi di stampa di partito di tutti i paesi sono tenuti a pubblicare tutti i documenti ufficiali importanti del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista.
19. Tutti i partiti appartenenti all’Internazionale Comunista e quelli che hanno fatto domanda d’ammissione sono tenuti a convocare al più presto, e in ogni caso entro quattro mesi dal secondo congresso dell’Internazionale Comunista, un congresso straordinario per esaminare tutte queste condizioni d’ammissione. A questo proposito tutte le centrali di partito devono provvedere a che i deliberati del secondo congresso dell’Internazionale Comunista siano rese note a tutte le organizzazioni locali.
20. I partiti che ora vogliono aderire all’Internazionale Comunista, ma che non hanno ancora cambiato radicalmente la loro vecchia strategia, prima di entrare nell’Internazionale Comunista debbono provvedere a che il loro comitato centrale e tutti gli organismi dirigenti centrali siano composti per non meno dei due terzi da compagni che già prima del secondo congresso propugnassero pubblicamente e inequivocabilmente l’entrata del proprio partito nell’Internazionale Comunista. Si possono fare delle eccezioni con il consenso del Comitato Esecutivo dell’Internazionale Comunista. Il CEIC ha anche il diritto di fare delle eccezioni nel caso dei rappresentanti del centro menzionati nel paragrafo 7.
21. I membri del partito che rifiutino in via di principio le condizioni e le tesi elaborate dall’Internazionale Comunista debbono essere espulsi dal partito. Lo stesso vale specialmente per i delegati ai congressi straordinari.
Manifesto dell'Internazionale Comunista al proletariato di tutto il mondo
Internazionale Comunista (scritto da Lev Trotsky), 1919
Sono passati settantadue anni dacché il partito comunista annunciò al mondo il proprio programma sotto forma di un Manifesto scritto dai massimi maestri della rivoluzione proletaria, Karl Marx e Friedrich Engels. Anche a quel tempo il comunismo, che era appena entrato nell'arena della lotta, fu aggredito con irrisione, menzogne, odio, e persecuzione dalle classi possidenti, che giustamente sentivano in esso il proprio nemico mortale. Nel corso di quei settant'anni il comunismo si sviluppò per vie intricate, periodi di precipitose avanzate alternatisi con periodi di declino; ha conosciuto dei successi, ma anche delle dure sconfitte. Tuttavia il movimento procedette essenzialmente sulla via indicata in anticipo dal Manifesto del partito comunista. L'epoca della lotta finale, decisiva, giunse più tardi di qual che gli apostoli della rivoluzione sociale avevano creduto e sperato. Ma ora è giunta. Noi comunisti, rappresentanti del proletariato rivoluzionario di vari paesi d'Europa, America, e Asia, che ci siamo riuniti nella Mosca sovietica, ci sentiamo e ci riteniamo gli eredi e gli esecutori della causa il cui programma fu annunciato 72 anni fa. E' nostro compito generalizzare l'esperienza rivoluzionaria della classe operaia, ripulire il movimento dagli inquinamenti disgregatori dell'opportunismo e del socialpatriottismo, mobilitare le forze di tutti i partiti autenticamente rivoluzionari del proletariato mondiale e così facendo facilitare e accelerare la vittoria della rivoluzione comunista in tutto il mondo.
Oggi, mentre l'Europa è coperta di macerie e rovine fumanti, i più infami incendiari sono occupati a scovare i criminali responsabili della guerra. Dietro di loro stanno i loro cattedratici, membri del parlamento, giornalisti, socialpatrioti, e altri ruffiani politici della borghesia.
Per molti anni il socialismo predisse l'inevitabilità della guerra imperialista, vedendone le cause nella cupidigia insaziabile delle classi possidenti dei due maggiori schieramenti, e, in generale, di tutti i paesi capitalisti. Al congresso di Basilea, due anni prima dello scoppio della guerra, dirigenti socialisti responsabili di tutti i paesi bollarono l'imperialismo come autore dell'imminente conflitto, e minacciarono alla borghesia la rivoluzione socialista come vendetta proletaria per i crimini del militarismo. Oggi, dopo l'esperienza degli ultimi cinque anni, dopo che la storia ha messo a nudo le brame predatorie della Germania, e le azioni non meno criminali dell'Intesa, i socialisti di stato dei paesi dell'Intesa continuano insieme con i propri governi ad accusare il deposto Kaiser tedesco. Per giunta, i socialpatrioti tedeschi che nell'agosto 1914 proclamarono che il libro bianco diplomatico degli Hohenzollern era il più sacro vangelo delle genti, ora, come vili leccapiedi, seguono le orme dei socialisti dell'Intesa e denunciano la monarchia tedesca caduta, che un tempo hanno servito in modo abbietto, come il principale criminale. Sperano così di far dimenticare la loro propria colpa e al tempo stesso di meritare la benevolenza dei vincitori. Ma la luce gettata da avvenimenti rivelatori e da rivelazioni diplomatiche smaschera, fianco a fianco, le vacillanti dinastie Romanov, Hohenzollern e Asburgo, le cricche capitaliste dei loro paesi, le classi dominanti di Francia, Inghilterra e Stati Uniti in tutta la loro sconfinata infamia.
La diplomazia inglese non uscì allo scoperto fin proprio al momento in cui scoppiò la guerra. Il governo dei finanzieri ebbe cura di non rilasciare alcuna dichiarazione esplicita della propria intenzione di entrare in guerra al fianco dell'Intesa per non spaventare il governo di Berlino. A Londra volevano la guerra. Ecco perché si comportarono in modo che Berlino e Vienna contassero sulla neutralità dell'Inghilterra, mentre Parigi e Pietrogrado confidavano fermamente sull'intervento dell'Inghilterra.
Maturata per decenni da tutto il corso degli avvenimenti, la guerra fu scatenata grazie alla provocazione diretta e deliberata della Gran Bretagna. Il governo inglese calcolò di offrire alla Russia e alla Francia quel tanto di appoggio da farle procedere finché, trovandosi queste ai limiti della resistenza, anche il nemico mortale dell'Inghilterra, la Germania, fosse paralizzato. Ma la potenza della macchina militare tedesca si rivelò troppo formidabile e non lasciò all'Inghilterra altra scelta che l'immediato intervento in guerra. Il ruolo di tertius gaudens cui la Gran Bretagna, seguendo un'antica tradizione, aspirava, toccò agli Stati Uniti. Il governo di Washington si rassegnò con la massima facilità al blocco inglese, che limitava unilateralmente la speculazione della Borsa valori americana sul sangue europeo, dato che i paesi dell'intesa compensarono la borghesia americana con pingui profitti per le violazioni della "legge internazionale". Ma la schiacciante superiorità militare della Germania costrinse il governo di Washington ad abbandonare la propria fittizia neutralità. Rispetto all'insieme dell'Europa, gli Stati Uniti assunsero il ruolo che aveva assunto l'Inghilterra rispetto al continente in guerre precedenti e che cercò di assumere nell'ultima guerra, vale, a dire: indebolire un campo aiutando l'altro, intervenire nelle operazioni militari solo quel tanto che basti ad assicurarsi tutti i vantaggi della situazione. Rispetto al livello delle speculazioni americane, la puntata di Wilson non era molto alta, ma fu la puntata definitiva, e gli assicurò il premio.
La guerra ha reso consapevole l'umanità delle contraddizioni del sistema capitalistico che si configurano in sofferenze primordiali, fame e freddo, epidemie, crudeltà morali. Questo ha risolto una volta per tutte la controversia accademica all'interno del movimento socialista a proposito della teoria dell'impoverimento e dell'indebolimento progressivo del capitalismo da parte del socialismo. Per decenni studiosi di statistica e pedanti fautori del superamento delle contraddizioni hanno cercato di scovare in ogni angolo del globo fatti veri o presunti che attestino il maggior benessere di vari grippi e categorie della classe operaia. Si suppose che la teoria dell'impoverimento fosse stata sepolta sotto alle irrisioni sprezzanti con cui la bersagliavano gli eunuchi della professoralità borghese e i mandarini dell'opportunismo socialista. Oggigiorno quest'impoverimento, non più solamente di genere sociale, ma anche fisiologico e biologico, ci si pone di fronte in tutta la sua spaventosa realtà.
La catastrofe della guerra imperialista ha spazzato via ogni conquista delle lotte sindacali e parlamentari. Perché questa guerra fu un prodotto delle tendenze insite nel capitalismo tanto quanto lo furono quegli accordi economici e quei compromessi parlamentari che la guerra seppellì nel sangue e nel fango.
Lo stesso capitale finanziario, che fece precipitare l'umanità nell'abisso della guerra, nel corso della guerra subì mutamenti catastrofici. Il rapporto tra carta moneta e base materiale della produzione è completamente spezzato. Perdendo costantemente importanza come tramite e regolatore della circolazione capitalistica dei beni, la carta moneta è divenuta strumento di requisizione, di ladrocinio, di violenza militare-economica in generale. L'assoluto svilimento della carta moneta rispecchia la mortale crisi generale dello scambio capitalistico dei beni. Nei decenni precedenti la guerra, la libera concorrenza, in quanto regolatrice della produzione e della distribuzione, era già stata sostituita nei campi più importanti della vita economica dal sistema dei trust e dei monopoli; ma durante la guerra il corso degli eventi strappò questo ruolo dalle mani di tali associazioni economiche e lo trasferì direttamente al potere statale militare. La distribuzione delle materie prime, l'utilizzazione del petrolio di Baku o romeno, del carbone del Donetz e del frumento ucraino, la sorte delle locomotive, dei vagoni e delle automobili tedesche, l'approvvigionamento di pane e cibo per l'Europa affamata – tutte queste questioni fondamentali della vita economica del mondo non vengono decise dalla libera concorrenza, né dalle associazioni di trust e consorzi nazionali e internazionali, ma dall'esercizio diretto del potere militare negli interessi della propria prolungala conservazione. Se la assoluta soggezione del potere statale al potere del capitale finanziario condusse l'umanità alla carneficina imperialista, in seguito attraverso questo macello di massa il capitale finanziario ha completamente militarizzato non soltanto lo stato ma anche se stesso, e non è più in grado di adempiere alle proprie funzioni economiche primarie altrimenti che per mezzo del sangue e del ferro.
Gli opportunisti, che prima della guerra fecero appello agli operai perché esercitassero la moderazione nell'interesse della transizione graduale al socialismo, e che durante la guerra richiesero la docilità di classe in nome della pace civile e della difesa nazionale, ora chiedono di nuovo l'abnegazione del proletariato per sormontare le terrificanti conseguenze della guerra. Se le masse operaie dovessero dar retta a questa paternale, lo sviluppo capitalista celebrerebbe la propria restaurazione in forme nuove, più intense e più mostruose, sopra le ossa di molte generazioni, con la prospettiva di una nuova e inevitabile guerra mondiale. Fortunatamente per l'umanità ciò non è più possibile.
Il controllo statale della vita economica, cui il liberalismo capitalista si opponeva tanto strenuamente, è diventato una realtà. Non c'é nessuna possibilità di un ritorno alla libera concorrenza, e neppure alla dominazione di trust, gruppi monopolistici, ed altri mostri economici. C'é soltanto un unico problema: d'ora innanzi chi si incaricherà della produzione nazionalizzata – lo stato imperialista o lo stato del proletariato vittorioso?
In altre parole: tutta l'umanità che lavora duramente diventerà schiava di una cricca mondiale vittoriosa che, sotto il nome di Società delle Nazioni e aiutata da un esercito "internazionale" e da una marina "internazionale", qui deprederà e reprimerà e lì getterà le briciole, ovunque incatenando il proletariato con il solo scopo di mantenere il proprio dominio; oppure la classe operaia d'Europa e dei paesi avanzati di altre parti del mondo prenderà in mano essa stessa l'economia disgregata e distrutta per assicurarne la ricostruzione su basi socialiste?
E' possibile abbreviare l'attuale epoca di crisi soltanto per mezzo della dittatura del proletariato, che non guarda al passato, che non tiene in considerazione né privilegi ereditari né diritti di proprietà, ma che prende come punto di partenza la necessità di salvare le masse affamate e mobilita a tal fine tutte le forze e le risorse, introduce l'obbligo universale del lavoro, stabilisce il regime della disciplina operaia, non soltanto alfine di risanare nel corso di qualche anno le ferite aperte dalla guerra ma anche al fine di sollevare l'umanità ad altezze nuove e inimmaginate.
Lo stato nazionale, che impartì un possente impulso allo sviluppo capitalistico, é diventato troppo angusto per l'ulteriore sviluppo delle forze produttive. Questo rende ancor più insostenibile la posizione dei piccoli stati circondati dalle maggiori potenze d' Europa e d'altri continenti. Questi piccoli stati, che sorsero a seconda delle volte come frammenti ricavati da altri più grandi, come spiccioli in pagamento di svariati servizi resi o come cuscinetti strategici, hanno dinastie loro proprie, cricche dominanti proprie, pretese imperialistiche proprie, propri intrighi diplomatici. La loro illusoria indipendenza poggiava, prima della guerra, sulle stesse basi su cui poggiava l'equilibrio di potere europeo - l'antagonismo ininterrotto tra i due campi imperialisti. La guerra ha disgregato quest'equilibrio. Dando un'enorme preponderanza alla Germania nelle prime fasi, la guerra costrinse i piccoli stati a cercare salvezza nella magnanimità del militarismo tedesco. Quando la Germania fu sconfitta, la borghesia dei piccoli stati, insieme ai loro "socialisti" patriottici, si accostò agli imperialismi alleati vittoriosi e incominciò a cercare garanzie per il mantenimento della propria esistenza indipendente nelle clausole ipocrite del programma wilsoniano. Nello stesso tempo il numero dei piccoli stati aumentò; dalla monarchia austroungarica, da parti dell'antico impero zarista, sono state ricavate nuove entità statali, che non appena nate balzarono l'una alla gola dell'altra per la questione delle frontiere di stato. Intanto gli imperialisti alleati stanno componendo alleanze di piccole potenze, sia vecchie sia nuove, ad essi legate con la garanzia della loro mutua inimicizia e comune impotenza.
Mentre opprimono e coartano i popoli piccoli e deboli, con ampi ceti intermedi tanto nelle campagne quanto nelle città sono ostacolati dal capitalismo, e sono in ritardo nel proprio sviluppo storico. Al contadino del Baden e della Baviera che non è ancora capace di vedere al di là del campanile della chiesa dei paese, al piccolo produttore di vino francese che viene rovinato dai capitalisti che operano su vasta scala e che adulterano il vino, e al piccolo coltivatore americano derubato e truffato dai banchieri e dai membri del Congresso - a tutti questi ceti sociali, spinti dal capitalismo fuori della corrente principale dello sviluppo, apparentemente si fa appello, in regime di democrazia politica, per dirigere lo stato. Ma in realtà, in tutte le questioni importanti che determinano i destini dei popoli, l'oligarchia finanziaria decide alle spalle della democrazia parlamentare. Ciò fu soprattutto vero per quel che riguardava la guerra; è vero ora per quel che riguarda la pace.
Quando l'oligarchia finanziaria ritiene opportuno avere una copertura parlamentare per i propri atti di violenza, lo stato borghese ha a propria disposizione a questo scopo molteplici strumenti ereditati da secoli di dominio di classe e moltiplicati da tutti i miracoli della tecnologia capitalista - menzogne, demagogia, irrisione, calunnia, corruzione, e terrore.
Esigere dal proletariato che, come un mite agnello, ottemperi alle prescrizioni della democrazia borghese nella lotta finale, per la vita o per la morte, con il capitalismo, è come chiedere ad un uomo che lotta per la propria vita contro dei tagliagole di osservare le regole artefatte e restrittive della lotta francese, redatte ma non osservate dai suoi avversari.
In questo regno della distruzione, dove non soltanto i mezzi di produzione e di scambio ma anche le istituzioni della democrazia politica giacciono sotto rovine insanguinate, il proletariato deve creare il suo proprio apparato, destinato in primo luogo a collegare la classe operaia e ad assicurare la possibilità di un intervento rivoluzionario nello sviluppo futuro dell'umanità. Questo apparato è il soviet degli operai. I vecchi partiti, i vecchi sindacati, hanno dimostrato nelle persone dei propri dirigenti di essere incapaci di condurre a buon fine, persino di comprendere, i compiti indicati dalla nuova epoca. Il proletariato ha creato un nuovo tipo di apparato, che abbraccia l'intera classe operaia indipendentemente dall'occupazione specifica e dalla maturità politica, un apparato flessibile capace di rinnovamento e di estensione continui, capace di attirare nella propria orbita ceti sempre più vasti, aprendo le porte ai lavoratori della città e della campagna che siano vicini al proletariato. Questa organizzazione insostituibile dell'autogoverno della classe operaia, della sua lotta, e poi della sua conquista del potere statale, è stata collaudata nell'esperienza di vari paesi e rappresenta la conquista maggiore e l'arma più potente del proletariato del nostro tempo.
In tutti i paesi in cui le masse si sono risvegliate alla coscienza, continueranno a costituirsi i soviet dei delegati degli operai, soldati, e contadini. Rafforzare i soviet, accrescerne l'autorità, erigerli in contrapposizione all'apparato statale della borghesia - questo è oggi il compito più importante dei lavoratori leali e dotati di coscienza di classe di tutti i paesi. Per mezzo dei soviet la classe operaia può salvarsi dalla disgregazione introdotta nel suo seno dalle orribili sofferenze della guerra e della fame, dalla violenza delle classi possidenti e dal tradimento dei suoi vecchi dirigenti. Per mezzo dei soviet la classe operaia sarà in grado di arrivare con maggiore sicurezza e facilità al potere in tutti quei paesi in cui i soviet sono in grado di raccogliere la maggioranza dei lavoratori. Per mezzo dei soviet la classe operaia, una volta conquistato il potere, dirigerà tutte le sfere della vita economica e culturale, com'è attualmente il caso della Russia.
Il crollo dello stato imperialista, da quello zarista a quello più democratico, va di pari passo col crollo del sistema militare imperialista. Gli eserciti innumerevoli mobilitati dall'imperialismo potevano reggersi soltanto finché il proletariato fosse rimasto obbedientemente sotto il giogo della borghesia. Lo sfacelo dell'unità nazionale significa anche uno sfacelo inevitabile dell'esercito. Questo è quanto accadde prima in Russia, poi in Austria-Ungheria e in Gerso di tutti gli strumenti a propria disposizione per paralizzare l'energia del proletariato, prolungare la crisi, e rendere così anche maggiori le calamità dell'Europa. La lotta contro il centro socialista è la premessa indispensabile per la lotta vittoriosa contro l'imperialismo.
Nel respingere la pavidità, le menzogne e la corruzione degli antiquati partiti socialisti-ufficiali, noi comunisti, uniti nella terza Internazionale, riteniamo di continuare in successione diretta gli sforzi eroici e il martirio di una lunga serie di generazioni rivoluzionarie da Babeuf a Karl Liebknecht a Rosa Luxemburg.
Se la prima Internazionale previde il futuro corso degli eventi e indicò le vie che esso avrebbe seguito, se la seconda Internazionale raccolse e organizzò milioni di proletari, la terza Internazionale, dal canto suo, è l'Internazionale della aperta lotta di massa, l'Internazionale della realizzazione rivoluzionaria, l'Internazionale dell'azione.
L'ordine mondiale borghese è stato fustigato a sufficienza dalla critica socialista. Il compito del Partito comunista internazionale consiste nel rovesciare quell'ordine e nell'erigere al suo posto l'edificio dell'ordine socialista.
Noi facciamo appello ai lavoratori e alle lavoratrici di tutti i paesi perché si uniscano sotto la bandiera comunista sotto cui sono già state ottenute le prime grandi vittorie.
Proletari di tutti i paesi! Nella battaglia contro la ferocia imperialista, contro la monarchia, contro le classi privilegiate, contro lo stato borghese e la proprietà borghese, contro tutti i generi e le forme di oppressione sociale e nazionale: Unitevi!
Sotto la bandiera dei soviet degli operai, sotto la bandiera della lotta rivoluzionaria per il potere e la dittatura del proletariato, sotto la bandiera della terza Internazionale - proletari di tutti i pesi, unitevi!
Il pericolo opportunista e l'Internazionale
Amadeo Bordiga
L’Unità, 30 settembre 1925
Crediamo alla possibilità che l'Internazionale cada nell'opportunismo.
Badiamo di non tradurre possibilità in certezza, o anche in probabilità maggiore o minore. Troviamo assurdo supporre che una qualunque Internazionale, anche costituita secondo le nostre ricette, oggetto di tanta ironia, possa per virtù misteriosa, per garanzie fissate a priori, formarsi una specie di assicurazione contro il pericolo di deviazioni opportuniste. Non possono bastare i precedenti storici più gloriosi e smaglianti a garantire un movimento, anche e soprattutto un movimento di avanguardia rivoluzionaria, contro l'eventualità di un revisionismo interno. Le garanzie contro l'opportunismo non possono consistere nel passato, ma devono essere in ogni momento presenti e attuali.
Non vediamo poi gravi inconvenienti in una esagerata preoccupazione verso il pericolo opportunista. Certo il criticismo e l'allarmismo fatti per sport sono deplorevolissimi; ma dato anche che essi siano, anziché il preciso riflesso di qualche cosa che non cammina bene e l'intuizione di deviazioni gravi che si preparano, puro prodotto di elucubrazioni di militanti, è certo che non avranno modo di indebolire minimamente il movimento e saranno facilmente superati. Mentre gravissimo è il pericolo se, all'opposto, come purtroppo è avvenuto in tanti precedenti, la malattia opportunista grandeggia prima che si sia osato da qualche parte dare vigorosamente l’allarme. La critica senza l'errore non nuoce nemmeno la millesima parte di quanto nuoce l'errore senza la critica.
Ci pare che l'atteggiamento e la mentalità con la quale si accolgono le obiezioni della sinistra italiana alle direttive adottate dai dirigenti dell'Internazionale, rivelino una contraddizione stranissima colla negazione della presenza di un pericolo opportunista, di cui ci si deve preoccupare.
Si polemizza in questo modo: la sinistra dice che l'Internazionale sbaglia. L'Internazionale non può sbagliare; quindi la sinistra ha torto. Da buoni marxisti non filistei, non bonzificati o bonzificantisi, la questione andrebbe messa così: la sinistra dice che l'Internazionale sbaglia. Per le ragioni a, b, c, inerenti al problema sollevato, dimostriamo che la sinistra stessa invece è in errore. Questo prova che ancora una volta l'Internazionale non ha commesso errori, ed è sulla buona via.
Invece nessuno dei pretesi difensori a spada tratta dell'Internazionale, che sistematicamente confondono questa con il suo comitato dirigente, vuole compiere lo sforzo di arrecare questo apporto positivo e attivo alla elaborazione delle direttive di cui sostiene la giustezza. Invece di sostenere l'Internazionale, i pretesi ortodossi se ne fanno sostenere, e la caricano di tutto il peso delle proprie responsabilità, dei propri errori, la chiamano in gioco e la compromettono senza esitazione ogni volta che si trovano in passi difficili. Questo è internazionalismo a rovescio. Questo metodo è trasparentemente giustificato dalla maggiore facilità e comodità che presenta, agli effetti dell'immediato successo, la utilizzazione delle simpatie per alcuni enti e nomi, adoperati in maniera scevra da ogni vitalità, da una vera e generosa solidarietà che voglia dare, e non ricevere, aumentare e non consumare la potenza di ciò che dice di sostenere. E così sentiamo ad ogni momento gettarci addosso l'Internazionale, la rivoluzione russa, il leninismo, il bolscevismo, da molti che non altro rapporto hanno con questo insieme grandioso di forze storiche che quello del rimorchio al suo motore, per non adoperare l'immagine del parassitismo.
Un sistema incompatibile col metodo marxista
Non facciamo di questo sistema una critica morale. Indichiamo solo che ci sembra incompatibile con un metodo rivoluzionario. Ed infatti, se è vero che esiste un certo strato di compagni e seguaci solidamente acquisiti a cui un simile modo di ragionare chiude la bocca - pur spingendoli, per ogni volta che lo si impiega, di un piccolo passo più oltre nello scetticismo di domani - al di fuori di questi elementi già nostri, si tratta invece di attrarre, convincere, mobilitare coloro per i quali non rappresenta nessuna autorità il ricorso ai nostri testi ed alle nostre deliberazioni e tradizioni interne, ma che ci guardano con diffidenza, e che con argomenti e mezzi positivi dobbiamo trarre dalla diffidenza alla fiducia. Questo è il compito fondamentale di un partito rivoluzionario, e tanto più per coloro che sento gridare di voler conquistare le masse. Ora, lo stesso modo con cui gli elementi dell'attuale stato maggiore internazionale e nazionale vogliono per le spicciole sbarazzarsi delle nostre opinioni, ci conduce a dubitare della loro capacità a diffondere al di fuori del partito il programma e le direttive comuniste. Un movimento rivoluzionario deve giorno per giorno spostare masse stagnanti dell'opinione, e per questo motivo deve quotidianamente, per così dire, gettare in piazza le sue tesi, per dimostrare la verità.
È solo un partito conservatore che può fare il contrario, e vivere gelosamente del suo patrimonio di principii, nel senso di rispettarli, ma nello stesso tempo di ritenersi esonerato dal discuterli in contraddittorio con chicchessia. Gli esempi storici sono così evidenti da poter fare a meno di citarli: una feroce autocritica ha distinto tutti i partiti che attraversano il vero periodo di fecondità rivoluzionaria ed espansione di potenza.
Questo è poi vero soprattutto per il marxismo rivoluzionario che respinge ogni metafisica ed ogni apriorismo, per basare la verità dei suoi principii sulla dialettica di una vera dimostrazione permanente attraverso la storia e l'azione.
Quando poi si ciancia di leninismo, come di un sistema di cui noi saremmo per definizione gli avversari, e si vuole soffocarci sotto la indiscutibilità dei Nomi di questo sistema, la contraddizione diventa ancor più scandalosa. In realtà quello che allarma di più nel leninismo di taluni è la tendenza alla mutevolezza, alle audaci evoluzioni, la facilità a dire: "è lecito sempre dubitare oggi di tutto quello che ieri demmo per certissimo". In questo dibattito siamo noi i cosiddetti dogmatici, noi che chiediamo una - razionale e dialettica - custodia di certi punti fissi nel metodo; e ci si risponde invece da anni, seguendo molto alla lontana quanto in effetti era proprio della mentalità di Lenin (ma con ben altre garanzie contro ogni mutamento in peggio) ossia il precetto: domattina nulla è escluso che possa essere giusto di dire o fare. Ebbene appunto quelli che si richiamano a Lenin e che gli hanno voluto fabbricare un proprio sistema postumo vogliono erigere questo in dogma intangibile e immutabile. In realtà costoro continuano nel metodo di improvvisare e zigzagheggiare, ma solo vogliono garantirsi contro ogni obiezione e critica, monopolizzando il diritto di dire che agiscono così perché sono seguaci fedeli del pensiero del leninismo autentico, sotto la cui bandiera chissà che cosa dovremmo vedere transitare. La loro rigidità nel sistema leninista è un articolo di uso interno. Lenin si liberava dei suoi contraddittori con un metodo opposto, fatto di realtà e non di autorità, di vita vissuta e non di richiami a nessun vangelo. Il compagno Perrone pone la questione in modo semplice e chiaro quando dice che tutto quanto i dirigenti dell'Internazionale dicono e fanno, è materia di cui rivendichiamo il diritto di discutere, e discutere significa poter dubitare che si sia detto e fatto male, indipendentemente da ogni prerogativa attribuita a gruppi, uomini e partiti. Si tratta di ripetere la santa apologia della libertà di pensiero e di critica come diritto dell'individuo? No, certo, si tratta di stabilire il modo fisiologico di funzionare e lavorare di un partito rivoluzionario, che deve conquistare e non custodire conquiste del passato, invadere i territori dell'avversario, e non chiudere i propri con trincee e cordoni sanitari.
Nella mentalità che si va facendo strada tra gli elementi direttivi del nostro movimento, noi cominciamo a vedere il vero pericolo del disfattismo e del pessimismo latenti. Invece di muovere virilmente contro le difficoltà di cui è circondata in questo periodo l'azione comunista, di discutere coraggiosamente i multiformi pericoli e di ricostituire dinnanzi ad essi le ragioni vitali della nostra dottrina e del nostro metodo, essi si vogliono rifugiare in un sistema intangibile. La loro grande soddisfazione è di assodare, con largo ausilio di ha detto male di Garibaldi, con indagini sulle supposte idee ed intenzioni intime non manifestate ancora, che Tizio e Sempronio hanno contravvenuto al ricettario scritto sul loro taccuino, per gridare dopo: sono contro l'Internazionale, contro il leninismo. Un grazioso esempio sta nel modo con cui si è fabbricato un articolo dialogato su quanto io avrei detto in una riunione di partito, riferito e virgolato dallo scrittore come gli faceva più comodo. Ma vada pure tutto questo; lo strano è che il punto di partenza diventa il punto di arrivo: se pure io sono contro il leninismo; sotto a difendere il leninismo! Invece per i contraddittori tutto è finito: hanno adoperato ancora una volta le grandi ali del nome di Lenin per rifugiarvi sotto la loro pochezza, e sono contenti. Ora che dovremmo dire se un tale metodo si generalizzasse?
Dovremmo dire questo, che tra tanto chiacchierare di strategia e di manovra e di conquista delle masse, in realtà non ci si sente la forza di allargare la nostra influenza e che riduciamo il nostro obiettivo a tenerci attaccati i seguaci già conquistati, non esitando a smembrare il movimento dove sorgono iniziative di discussione e di critica.
Questo sarebbe il vero, il peggiore liquidazionismo del partito e dell'Internazionale, accompagnato da tutti i fenomeni caratteristici e ben noti del filisteismo burocratico. Il sintomo di questo è il cieco ottimismo di ufficio: tutto va bene e chi si permette di dubitare non è che uno scocciatore da mandare al più presto fuori dai piedi. Noi ci opponiamo a questo andazzo, appunto perché, fiduciosi nella causa comunista e nell'Internazionale, neghiamo che questa debba ridursi a consumare volgarmente il suo patrimonio di potenza e di influenza politica.
A quanto abbiamo detto si può fare un'obiezione di carattere organizzativo: sta bene che discutendo con gli avversari o i non ancora convinti alla nostra fede politica noi dobbiamo come base di discussione porre tutto il nostro bagaglio di idee sul tavolo anatomico del dubbio, ma se questo volessimo fare in tutto il lavoro interno di partito se ne andrebbe al diavolo la sua solidità organizzativa e disciplinare. La obiezione non ha nessuna consistenza. Anzitutto noi non diciamo che sempre e dovunque si debbano fare delle discussioni come quella attuale precongressuale. É ammissibilissimo che in un partito come il nostro, per periodi più o meno lunghi, sia sospesa ogni facoltà di critica, ed è poi sempre necessaria la disciplina esecutiva nell'azione. Ma se la discussione si fa come in tutte le sezioni dell'Internazionale se ne fanno assai frequentemente, e assai più frequentemente che nel nostro partito come tutti sanno, noi sosteniamo che perché sia utile e non avvelenatrice debba svolgersi col criterio da noi difeso. Ed infine non si può fare, tanto più da quelli che vogliono tanto larghe le basi organizzative del partito, una distinzione rigida tra lavoro di propaganda tra i compagni e tra le masse: è stolto abituare il compagno che vogliamo mandare nella fabbrica e altrove a convincere gli operai di altro partito o senza partito, a liquidare tutte le discussioni, cui si deve tirocinare attraverso il lavoro politico interno di partito, con un così ha detto il nostro Esecutivo o così sta scritto nel programma del mio partito. Ogni propaganda e agitazione sarebbero frustrate da una simile educazione dei nostri compagni.
La “bolscevizzazione”
Ha destato scalpore enorme la nostra presa di posizione contro la bolscevizzazione e contro le cellule. Possiamo considerare fallito, sotto le precise risposte dei nostri compagni della sinistra, il tentativo gonfiatorio di attribuirci scandalose opinioni sulla questione della natura del partito e della funzione degli intellettuali. Anche circa le cellule la cosa è stata precisata; la nostra posizione si può schematizzare così. Il tipo di organizzazione del partito non può per se stesso assicurarne il carattere politico o garantirlo contro le degenerazioni opportuniste. Non è dunque esatto dire che la base territoriale definisce il partito socialdemocratico, la base di fabbrica quella comunista. La base delle cellule di fabbrica, utile in Russia nel periodo zarista e da non abbandonarsi dopo, non la troviamo opportuna nei paesi di avanzato capitalismo a regime politico democratico borghese (il vecchio e ripescato non so da chi mio studio sulle forze sociali e politiche in Italia sta a significare perché per noi il fascismo non si eccettua dal regime democratico borghese). Altre sono le cellule di fabbrica delle quali parlano le tesi del II Congresso, di cui parlano i documenti della frazione comunista prima di Livorno redatti dagli ordinovisti e da noi concordemente, di cui solo si parlò nelle polemiche contro la tattica sindacale del massimalismo, che furono realizzati in pieno dal nostro partito nel primo periodo, che risposero ottimamente e ai quali va attribuito anche oggi ciò che di buono fanno le famose cellule dove ci sono. I più modesti militanti del partito hanno visto il trucco tentato al proposito dai nostri contraddittori.
Noi non siamo contro le cellule, nemmeno come gruppi di iscritti al partito nelle fabbriche con date funzioni; solo chiediamo che non si sopprima la rete territoriale e che la si consideri come rete fondamentale per l'attività politica del partito, come inquadramento organizzativo e strumento di manovra nei movimenti proletari, insieme a quelli di fabbrica, sindacali, corporativi, ecc.
Ma andiamo un poco più oltre in questo affare della bolscevizzazione, e precisiamo la nostra diffidenza aperta verso di essa. In quanto essa si concreta nell'organizzazione per cellule, cui sovrasta onnipotente, la rete dei funzionari, selezionati col criterio dell'ossequio cieco ad un ricettario che vorrebbe essere il leninismo; in un metodo tattico e di lavoro politico che si illude di realizzare il massimo di rispondenza esecutiva alle disposizioni più inattese, e in una impostazione storica dell'azione comunista mondiale in cui l'ultima parola debba sempre trovarsi nei precedenti del partito russo interpretati da un gruppo privilegiato di compagni; noi consideriamo che essa non raggiungerà i suoi stessi scopi e indebolirà il movimento, e la giudichiamo come una reazione non indovinata al successo poco favorevole di molti esperimenti tattici del metodo prevalente, contro le critiche nostre, nell'Internazionale. Anziché con rimedi più coraggiosi ci pare vi si voglia riparare con questa bolscevizzazione, che senza essere un rafforzamento resterà una specie di cristallizzazione e di immobilizzazione del movimento rivoluzionario comunista e delle sue spontanee iniziative ed energie. Il processo è rovesciato, la sintesi (all'armi...!) precede i suoi elementi, la piramide invece di erigersi sicura sulla base si capovolge ed il suo equilibrio instabilissimo punta sul suo vertice.
Il contatto con le masse e il lanciamento intensivo delle parole d'ordine assicurato dal nuovo sistema sono delle frasi, cui più che una dissertazione può rispondere l'esperienza dei compagni alla periferia.
Il più delle volte il partito gira attorno alla propria coda senza nulla attuare; tutto questo passa per successo dal punto di vista di ufficio, e basta. Ad esempio noi non siamo contro la costituzione dei Comitati operai e contadini, se essi non sono un blocco di partiti né pretendono di essere i Soviet, ma sono una iniziativa di fronte unico della classe operaia fatta dal basso e sulla base di organismi economici e naturali del proletariato. Siamo invece contro la loro costituzione, accompagnata da un abuso incredibile di letteratura a vuoto attorno ad essi, se è manovra tra partiti politici.
Tutto quanto precede può essere considerato molto generico. Venendo al concreto tentiamo di dare noi una versione autentica della portata del nostro dissenso con l'Internazionale.
Noi non abbiamo alcun dissenso col programma dell'Internazionale, inteso non solo nel senso storico e teorico, ma anche come documento preciso elaborato da Bucharin e approvato dal V Congresso. Di tal documento ponderoso avremmo volute eliminate solo due o tre righe sulla questione delle manovre tattiche contingenti, solo perché ci sembrava da liquidare in separata sede.
Ci si dice che il corpo di dottrina dell'Internazionale sarebbe il leninismo e che questo è un sistema da cui noi ci discostiamo fondamentalmente.
Graziosa anzitutto l'ammissione ordinovista, che il leninismo è una completa concezione del mondo e non solo del processo della rivoluzione proletaria. Molto bene; ma come conciliare con questo l'adesione dei leaders ordinovisti alla filosofia idealista, alla concezione del mondo propria non di Marx e di Lenin ma dei neo-hegeliani e di Benedetto Croce? Che sia vero che i dissensi coll'Internazionale siano colpevoli solo quando si proclamano lealmente, e tollerabili quando si tengono celati? A noi pare che proprio dai dissensi volutamente celati ma non liquidati col vantato riconoscimento dell'errore, sorga il pericolo, l'incubazione vera e propria dell'opportunismo di domani. Lenin ha scritto opere fondamentali contro il preteso comunismo su base idealistica; dalla bocca dello stesso Zinoviev sono uscite recenti scomuniche contro tentativi moderni del genere, additati come sicuro indizio di pericolo opportunista (secondo Zinoviev l'opportunismo è sempre possibile, e quando vi sarà egli verrà con me nella... frazione di sinistra: è polemica; ma polemica un pochetto più... bolscevica). Ma l'ordinovismo continua imperterrito ad adoperare Croce, a costituire una vera scuola (attenti) napoletana in materia filosofica, e a difendere il leninismo come sistema e concezione del mondo! E dire che uno dei nostri contraddittori passò deciso all'ordinovismo nello stesso tempo che, come ci disse, si accostava a Croce. Punto di arrivo B. Croce, punto di partenza Andria, grosso centro della... Val d'Aosta: si può essere più qualificati per tuonare contro il comunismo alla napoletana? Che noi dimostreremo essere il comunismo all'antinapoletana, come il comunismo di Lenin era il comunismo all'antirussa?
Alla base del nostro movimento sta un sistema teorico che è una completa concezione del mondo: si tratta del marxismo, del materialismo storico, che in Lenin ebbe il più poderoso dei fautori. Non è necessario, e tanto meno sembrerebbe necessario a Lenin, chiamarlo leninismo. Ma quali furono i rapporti di Lenin con quel sistema? Se egli ne fosse stato un revisionista, si spiegherebbe il termine di leninismo ma egli battagliò fieramente contro i revisionisti di varie scuole, contendendo loro a colpi formidabili il diritto di adoperare il nome e la tradizione marxista. Difese la sua ortodossia con argomenti della storia viva e insieme con una poderosa esegesi dell'opera dei maestri spinta fino alla minuzia, sviscerando da ogni sfumatura, dalle ultime righe dei testi, il contenuto delle conferme apportate dalla storia alla visione precedente.
Il cosiddetto leninismo
Nella mia conferenza su Lenin (dunque non pubblicata in Russia, dove pare si ritenga Lenin non abbastanza grande da fare a meno di una revisione preventiva di quello che non sia soffietto) ho precisato il giudizio sull'opera di lui. Anzitutto egli si presenta come il restauratore del marxismo nel campo della teoria e del programma politico, ossia della concezione del processo emancipatore del proletariato. Quindi come il riorganizzatore del movimento internazionale proletario su basi rivoluzionarie, e il realizzatore grandioso della prima grande vittoria rivoluzionaria in Russia, nella quale azione si verifica una inquadratura completa delle concezioni del marxismo da lui restaurate.
Abbiamo poscia in Lenin il completatore, per parti importantissime, del marxismo. La sua interpretazione della fase imperialista del capitalismo, la sua formulazione della questione agraria e nazionale, da noi accettate (e, se si vuole precisione, nella lettera del programma Bucharin come ho già detto) sono contributi fondamentali allo sviluppo del metodo e del sistema marxista, che egli tiene a riattaccare passo a passo alle esplicite dichiarazioni di Marx e di Engels in materia, verificate e integrate dalla somma degli eventi posteriori. Chi crede necessario chiamare non più marxismo ma leninismo la critica, per esempio delle più recenti fasi del capitalismo, lascia intendere che Lenin abbia in essa modificato talune tesi storiche ed economiche di Marx, e non può chiamare revisionista Graziadei quando questi dai caratteri della nuova fase pretende dedurre una smentita a teorie economiche fondamentali contenute nel Capitale.
Noi dunque non vediamo la necessità di cambiare il nome del nostro sistema dottrinale e politico da marxismo in leninismo, ma non faremo certo una questione di parole, e stabilita l'identità tra esse - sulla fede dello stesso Lenin e di nessun altro - possiamo usarle indifferentemente.
Se per leninismo si intende ammettere per vero tutto quello che piace affermare a quelli che si proclamano i veri e i maggiori leninisti, allora non ci resterebbe che sorridere. Ci riserviamo il diritto di ritenere e provare che molte opinioni dei leninisti etichettati sono quanto mai antileniniste e antimarxiste.
Se per leninismo si intende giurare su ogni e qualsiasi affermazione di Lenin durante la sua vita, allora neppure possiamo essere d'accordo. In molti casi ci mostrereste testi letterari di Lenin e noi tranquillamente enunceremmo opinione diversa. Questo l'ho rivendicato solo per rispondere alla sciocca asserzione che noi sinistri avremmo atteso la morte di Lenin per aprire l'offensiva critica contro l'Internazionale. Abbiamo discusso e criticato Lenin vivente e parlante, e di molte sue controdeduzioni tuttora non siamo affatto convinti. Ma questo non ci toglie il diritto di dire che, pur con questi dissensi leali, consideriamo lontano dal pensiero di Lenin e dal suo metodo molte iniziative e direttive dell'Internazionale dopo la sua morte, e soprattutto affermiamo il diritto di rifiutare di dirsi leniniste alla maggior parte delle elucubrazioni del nostro centrismo ordinovista. Lenin accettò le tesi dell'Ordine Nuovo del 1920 in quanto nella sostanza contenevano la comune critica al massimalismo opportunista, e furono adottate dalla sezione di Torino in maggioranza composta di astensionisti. E fu solo a forza di nostri spintoni che l'ordinovismo capì la tesi leninista della scissione del partito italiano dai riformisti: fino a dopo Bologna esso inneggiava all'unità del partito con Bordiga e Turati. Non noi rifiutammo azioni comuni, cui tutto sacrificammo, ma i centristi attuali a Bologna (ottobre 1919) respinsero il nostro passo di abbandonare la pregiudiziale astensionista a condizione che essi ponessero la questione dell'espulsione dal partito dei riformisti. Lenin riconobbe - pur sconfessando il nostro astensionismo - nelle tesi degli ordinovisti ciò che noi li avevamo obbligati ad imparare, e che, sia pure con molto ritardo, avevano ripetuto.
Chiarito che l'ordinovismo è un sistema non marxista né leninista e che esso contiene non pochi pericoli di deviazioni delle direttive del partito, restiamo nell'argomento dei dissensi effettivi tra noi e Lenin.
La sua posizione tattica chiarita nel libro sulla malattia infantile del comunismo, è sostanzialmente da noi condivisa. Noi non fummo mai blanquisti né putchisti, o seguaci di pose estetiche nel risolvere i problemi di azione marxista. Chiaramente questo è detto negli articoli del 1922. Nell'atteggiamento della nostra delegazione al III Congresso vi fu in parte una stonatura dovuta alla grande facilità di improvvisare di uno degli attuali centristi, che farà bene a prendersene finalmente la responsabilità. Nelle Tesi di Roma non vi è traccia della teoria dell'offensiva su cui si battagliò al III Congresso e che fu strigliata da Lenin . Questo per la pura verità, perché strigliate, da Lenin ne ho avute anch'io, e non mi hanno convertito.
Noi consideriamo il metodo tattico di Lenin come non completamente esatto in quanto non contiene le garanzie contro le possibilità di applicazione che, essendo superficialmente fedeli, perdono la finalità rivoluzionaria profonda che sempre animò quanto Lenin sostenne e fece. Consideriamo come troppo universali certe estensioni di esperienze tattiche russe, a situazioni a cui si aggiungono difficoltà che in quelle non vi erano, come il regime democratico e il lungo avvelenamento democratico del proletariato. Nella Conferenza dissi che Lenin non ci lasciava risolto e consolidato il problema della tattica in modo pari a quello della dottrina: tale problema è ancora aperto, vuol dire che passerà attraverso ulteriori esperienze ed errori. Tuttavia noi affermiamo che la soluzione tattica di Lenin quale egli la trovava sempre, pur compiendo evoluzioni che ci sembravano rischiose, non decampava mai dal terreno dei principii, il che vuol dire che non veniva in contrasto con le finalità rivoluzionarie ultime del movimento.
Uno studio attento, se sulle fonti fosse possibile, delle ultime manifestazioni di Lenin forse ci permetterebbe di concludere che egli tendeva a serrare a poco a poco la grande saracinesca della libertà di tattica. Ripetutamente scrisse di aver errato al III Congresso, nel picchiare più sulla sinistra che sulla destra, pericolo ancora per lui presente. La tattica tenuta alla Conferenza delle Tre Internazionali lo fece un poco arrabbiare. Mi risulta da testimonianza indiscutibile che non fosse favorevole alla fusione col partito massimalista preconizzata dal IV Congresso. Ma questi particolari potrebbero sapere di speculazione e li abbandono per affermare che dopo Lenin si è deviato dalla sana linea tattica comunista; e ciò dimostra che vi era un errore iniziale parziale nelle stesse direttive tattiche che Lenin volle esperimentare su scala internazionale.
Il nostro dissenso con l’IC
Dove dunque arriva il nostro dissenso sulla tattica attuale dei dirigenti l'Internazionale? All'epoca degli articoli del principio 1922 io affermavo recisamente che il disporre sulla tattica rimaneva nei limiti dei principii comunisti e marxisti. Successivamente, su altri punti precisi, noi sinistri abbiamo dovuto, pur nei limiti di una comune finalità rivoluzionaria, spingere più innanzi la nostra critica.
Qualcuno che vuole generalizzare quell'asserzione di allora fu come me e più aspro di me nel pessimismo di epoche posteriori. Non voglio fare questione di nomi o divertirmi a confondere personalmente certi contraddittori. Passo oltre; certo che quando fummo in presenza della formula del governo operaio affermammo nettamente che non si trattava più solo di una soluzione tattica inopportuna e di poco rendimento ma di una vera e propria contraddizione col nostro, marxista e leninista, corpo di dottrina; e precisamente con la concezione del processo di liberazione del proletariato, in ciò si veniva ad inserire la possibilità illusoria di soluzioni sia pure parzialmente pacifiche e democratiche. Ci si rispose che eravamo in errore, che si trattava non già di una diversa possibilità storica, o soluzione politica fondamentale del problema dello Stato, del potere, ma solo di una parola di agitazione del famoso sinonimo della dittatura del proletariato. Dopo le ben note disavventure germaniche della tattica del governo operaio e del fronte unico politico, rivelatosi nella concezione di quelli che la applicarono - da Berlino come da Mosca - come una vera illusione di modificare i termini del problema centrale rivoluzionario attraverso una collaborazione con la sinistra socialdemocratica, fu chiaro che è pericoloso lasciar sopravvivere certe formule anche quando si presentano nella veste innocente di rivendicazioni avanzate a scopo di propaganda. La questione era e restò grave attraverso le formulazioni del IV e V Congresso. Gli eventi posteriori hanno confermata la legittimità della nostra avversione su questo punto, non accessorio, ma fondamentale. Il modo con il quale è stata liquidata la questione tedesca è tutt'altro che soddisfacente. Queste sono enunciazioni sommarie, ma a me preme definire ancora una volta la estensione ed i limiti del dissenso. Oggi ci troviamo in presenza di una nuova tattica. L'ultimo Esecutivo Allargato ha fornito una nuova analisi della situazione. É innegabile che questa si presenta meno favorevole che negli anni trascorsi, ma la diagnosi della stabilizzazione sia pure relativa (si possono trovare cento formulazioni che danno un colpo al cerchio ed uno alla botte) è preoccupante in quanto viene da quegli elementi che all'esame delle situazioni attribuiscono, a nostro credere e per le loro stesse affermazioni, un valore decisivo nello stabilire la linea tattica.
La “nuova tattica”
La nuova tattica si presenta come un ripiegamento in quanto dice: non ponendosi più in modo immediato la questione della conquista del potere, pur mantenendo integri i capisaldi del nostro programma politico, noi dobbiamo mirare nell'azione a risultati più modesti, e si presentano questi nella prevalenza di regimi di sinistra nei vari paesi. Ritorna con parole nuove la vecchissima tesi che un regime di libertà politica sia condizione indispensabile alla ulteriore avanzata della classe operaia. Questa tesi obiettivamente è falsa almeno per tre quarti, e per la parte che è vera resta tremendamente pericolosa. In certe situazioni può la lotta del proletariato essere avvantaggiata dalla presenza di un governo democratico - in altre può essere il contrario - ma sempre vi è un'altra condizione per il successo della lotta rivoluzionaria: l'indipendenza e l'autonomia della politica svolta dal partito di classe proletario.
Questo problema è stato posto come al solito - ciò si riattacca alla nostra critica al modo di lavorare degli organi dell'Internazionale, soprattutto per quanto riguarda la preparazione e la risoluzione delle questioni da sottoporre al dibattito internazionale - quasi all'improvviso e con inadeguata preparazione.
Noi siamo allarmati da questo modo di procedere, degli scenari che si abbassano presentando nuove prospettive che esaminate ponderatamente sarebbero apparse da respingere, mentre con tal sistema finiscono con l'imporsi attraverso una falsa luce. Non identifichiamo questo processo con quello dell'opportunismo dei vecchi partiti socialdemocratici, come ci si vorrebbe far dire, ma rileviamo che una parentela sia pur lontana si stabilisce, e deve suggerirci di mutare strada sul serio. Poche settimane dopo il complesso dibattito del III Congresso, venne fuori il fronte unico di cui nei deliberati di quello nulla si diceva. Il governo operaio comparve solo dopo le decisioni dell'Allargato del febbraio del 1922, scomparve o si attenuò in parte nelle decisioni del IV Congresso, per servire di base nel tempo successivo alla tattica in Germania. Solo allo scorcio del V Congresso e con riluttanza grandissima trapelò qualche cosa dell'altro grave passo della proposta di unità con Amsterdam. La nuova tattica, al solito, è un fatto compiuto, prima che un organo internazionale la abbia esaminata. Ora noi abbiamo sempre chiesto che in materia di tattica le decisioni siano tassative, e... preventive, non postume.
I “Fronti”
Ad esempio è con vivissimo stupore che si ascolta la giustificazione della proposta dell'antiparlamento fatta dal nostro partito all'Aventino. Questa proposta di sfacciato sapore democratico cavallottiano savonaroliano e peggio, per noi non ha diritto di cittadinanza nel campo del comunismo, non vìola solo le norme tattiche, ma gli stessi nostri principii. Quando ci accingiamo a provare che si è nelle tesi tattiche appena ed eccezionalmente tollerato il fronte unico dall'alto ossia col solito metodo delle proposte ai capi di altri partiti, per i soli cosiddetti partiti operai, e che è inaudito fare passi del genere addirittura verso partiti ufficialmente difensori dell'ordine borghese, sapete come si risponde? Il vostro errore, o sinistri, è di prendere la proposta dell'antiparlamento per un caso di applicazione della tattica del fronte unico. Accidenti! E allora di che razza di tattica si tratta? Di una tattica che nessuna decisione ha prevista, in nessun Congresso, ma che vi salta fuori di colpo. E similmente salta fuori l'altra tesi su cui mai si discusse e si votò, perché esaurita anche per i ciechi dalle nostre posizioni di principio, che è dovere del partito comunista manovrare in modo che non riesca Hindenburg, o non vinca Poincaré nelle elezioni. Non per identificare le due situazioni, i due processi, ma per definire il problema, noi neghiamo che sia possibile arrivare a tanta rilassatezza nei metodi di azione, da affermare che tutte le finalità contingenti sono ammissibili per l'attività del partito comunista, e tutti i mezzi adoperabili, purché resti un riconoscimento astratto e teorico delle tesi comuniste sulla dittatura del proletariato e l'insurrezione; in quanto anche l'opportunismo trionfò nei suoi metodi perniciosi pur proclamando che si trattava di operazioni contingenti e transitorie che non escludevano lo scopo del raggiungimento del socialismo e del trionfo della rivoluzione. Non si tratta di sospettare di partito preso revisionistico i dirigenti del movimento, ma di stabilire d'accordo le garanzie perché l'azione di tutti non sdruccioli sulla china di vecchi e tremendi errori. Noi domandiamo quali saranno i provvedimenti per cui una tattica così simile negli aspetti ed in molti argomenti a quella del possibilismo, conservi una direzione e uno sviluppo che devono essere diametralmente opposti. Siccome di questi provvedimenti, né ne vediamo attuati, né crediamo che ve ne possano essere così, domandiamo l'espressa esclusione di manovre ed azioni tattiche che non possono che portare il proletariato in un'altra strada da quella dei fini comunisti.
Sommariamente stabiliti e delineati così i nostri dissensi, nulli verso la dottrina e il programma dell'Internazionale, di Marx e di Lenin, limitati verso metodi tattici da Lenin preconizzati, seri verso le degenerazioni, non marxiste né leniniste, a cui sembra prestarsi la tattica oggi adottata dai dirigenti dell'Internazionale, noi ci attendiamo non il solito urlo: ecco che diffidiamo l'Internazionale Comunista di opportunismo e meritano senz'altro il crucifige; ma la dimostrazione seria delle garanzie che possono valere a separare insuperabilmente la pratica dell'opportunismo dall'esperimento di manovre strategiche come quelle accennate dal governo operaio. Per noi la conclusione è negativa. Bisogna condannare e abbandonare tali metodi. Ove la situazione non renda possibile la lotta per il potere, non per questo il partito comunista cessa di avere un compito politico di azione che trascenda quello di una scuola di propaganda. L'atteggiamento che nello sviluppo della lotta anche nella fase di ritirata il partito pubblicamente assume avrà il suo indispensabile gioco sul successo od insuccesso che gli sarà riserbato nel periodo di ripresa futuro, nel vincere o meno tutte le complesse resistenze controrivoluzionarie. Brillante esempio di queste possibilità era l'ultima situazione italiana in cui pur dinnanzi ad un potere non rovesciabile tanto poteva farsi, mentre tanto poco si è fatto.