Guerra, riarmo e contraddizioni ideologico-sociali

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Creato: 30 Aprile 2025 Ultima modifica: 30 Aprile 2025
Scritto da F. Fera, A. Esotico ed E. Zaccaria Visite: 48

È prerogativa delle società classiste una specifica dialettica che vede la classe dominante unita e compatta nell’esercitare la più infaticabile oppressione nei confronti della classe dominata e, allo stesso tempo, l’essere dilaniata dalla più feroce battaglia intestina. Non rappresenta una novità del modo di produzione capitalistico, nonostante la fase imperialista espanda la lotta intestina a tutto il pianeta, la circostanza per la quale, all’interno dei molteplici covi di briganti, anche le alleanze che appaiono più solide possano venir meno al cospetto di modificazioni nell’orizzonte degli affari e degli interessi del Capitale o dei singoli capitalisti.

Dalla fine della Seconda guerra mondiale, parte dell’Europa ha vissuto sotto il cosiddetto ombrello della NATO; oggi, però, le cose sembrano nuovamente cambiare. In continuità con le prospettive di dominio originatesi da Yalta, anche con l’ultimo capitolo della guerra permanente - la guerra in Ucraina - gli Stati Uniti hanno potuto mettere bastoni tra le ruote negli affari interni del vecchio continente e soprattutto nella solida relazione tra Berlino e Mosca. Nondimeno Washington minaccia seriamente l’alleanza atlantica, rischiando di mandare in soffitta l’ideologia della difesa delle democrazie liberali e dei valori dell’Occidente [n.d.r. comunque da intendere come falsa coscienza storica] pur di seguire i propri interessi – in ragione delle nuove sfide poste dalla contesa globale – in altri lidi.

In questo cambio di passo, le borghesie del vecchio continente stanno nuovamente cercando di correre ai ripari e, allo stesso tempo, cogliere un’occasione: un piano, di riarmo in questa circostanza, come ulteriore espressione della dialettica “crisi-opportunità”. In Europa non sono poche le voci di intellettuali, e non, che predicano, un giorno sì e l’altro pure, per la costituzione di un polo unitario al fine di sopravvivere nella competizione globale [n.d.r. leggasi imperialistica] ma sarebbe un errore pensare l’Europa come un blocco monolitico di interessi condivisi. È opportuno tener sempre presente le differenze e divergenze, più o meno profonde, circa la solidità finanziaria, gli interessi industriali, i tradizionali legami ad est o ad ovest e le prospettive geopolitiche (volgarmente dette ma meglio qualificabili come mezzi per l'appropriazione parassitaria di plusvalore globalmente estorto).

La “minaccia”
Sono così palesemente contraddittorie le argomentazioni sostenute da tutta quella parte del mondo politico e del sistema dell’informazione favorevoli al piano di riarmo europeo proposto da Ursula Gertrud Albrecht, in arte Ursula von der Leyen, ed approvato a grande maggioranza dai parlamentari europei, che, d’emblée, verrebbe da pensare che siamo al cospetto di una manica di invasati che non sanno quel dicono e fanno. Giustificano la corsa al riarmo come deterrenza necessaria per scoraggiare l’Orso russo dall’invadere l’intera Europa, se non l’intero Occidente; quell’orso che però, sempre a loro dire, non è stato in grado di occupare, se non in minima parte, l’Ucraina e neppure tutto il Donbass.

Scrive l’ISPI: «[...] il comportamento bellico di Mosca, in tre anni di invasione si può leggere sia nell’ottica della difficoltà a prevalere contro un avversario più debole ma anche attraverso la capacità di sostenere e promuovere, a livello di massa e tecnologia, un grande sforzo militare di fronte a un paese sostenuto dai preziosi aiuti forniti dai membri della NATO»¹.

Come nel romanzo di L. Frank Baum, siamo al cospetto di un Mago di OZ che riesce [n.d.r. vorrebbe farlo] a convincere gli spettatori dei suoi presunti poteri, salvo, poi, scoprire che in realtà si tratta solo di un abile trucco. Per ingigantirne la pericolosità, dicono che la Russia spende in armamenti il doppio di quel che spendono tutti assieme i 27 paesi dell’Ue mentre, come ha dimostrato - non un pericoloso putiniano, ma l’economista, ed ex senatore del Partito Democratico - Carlo Cottarelli, è vero esattamente il contrario: sono i 27 che spendono il 38% in più di quanto spende la Russia benché sia da più di tre anni in guerra contro l’Ucraina².

Il piano in estrema sintesi
Von der Leyen ha annunciato un piano di circa 800 miliardi di euro. Di questi, circa 150 miliardi dovrebbero essere spesi all’interno del pacchetto SAFE (Security action for Europe); si tratterebbe di spendere attraverso un meccanismo di debito comune tra due o più stati membri dell’Unione, nell’ottica di una cooperazione. Il denaro costa ed il costo del denaro, chiesto in prestito, varia in funzione della riconosciuta solidità finanziaria; questione che già propone una differenziazione nell’utilizzo del SAFE.

Per quanto riguarda i restanti 650 miliardi scrive il Post: «dovrebbero essere spesi direttamente dai singoli stati che potrebbero ricorrere alla cosiddetta “escape clause”, cioè a una clausola che consente di derogare ai margini di spesa previsti nel Patto di Stabilità e dunque di indebitarsi superando i limiti delle regole fiscali europee»³. Un meccanismo, però, che prevede di rientrare nel debito accumulato dopo i primi quattro anni; ulteriore questione che affonda mani e piedi nelle divergenze economico-finanziarie interne al vecchio continente.

Riconversione industriale
Sostiene Scandizzo su Formiche.net che il “riarmo” sarà anzitutto un’opportunità per il rilancio dell’industria. Il Re è nudo? Nessun cosacco è alle porte di S. Pietro? Non è azzardato ipotizzare circa gli affari di qualche nostrano (europeo) capitalista: «il piano ReArm EU va compreso anche alla luce della profonda crisi del capitalismo europeo, ed in particolare di quello industriale che vede il suo cuore in Germania. In questi giorni ne abbiamo la palese dimostrazione: Rheinmetall, uno dei più grandi produttori di armi in Europa, a quanto pare sarebbe disposta a rilevare uno degli stabilimenti di Volkswagen dal futuro incerto e che l’azienda potrebbe vendere. Si parla apertamente di riconversione del settore automotive in industria delle armi anche in Italia: le prime dichiarazioni sul tema sono state quelle del ministro delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, che […] [ha] detto di essere interessato alle “ricaduta in termini di crescita economica” che comporterebbe la riconversione dell’automotive al sistema della difesa».

Si accennava, in precedenza, alla crisi-opportunità: concettualizzazione dialettica pertinente a tutte le vicende umane, nella loro astrattezza. Ma crisi-opportunità, di storico senso conservativo, sono anche i conflitti mondiali dell’epoca imperialista, con precisi momenti di distruzione e ricostruzione post-bellica. Per gli storici beneficiari, si trattava di conservare la prosperità del Capitale e da quella prospettiva lo è tuttora; checché ne pensino e dicano essi stessi, il Capitale prospera per mezzo dello sfruttamento della forza-lavoro, per la cui particolare intensificazione emergono movimenti contradditori generali che invertono le pretese originarie. La crisi-opportunità da ciclica diventa permanente, come permanenti sono le volontà di pianificare il “rilancio dell’industria” e la “ristrutturazione dell’economia” e, in ultimo ma non da ultimo, permanente diventa la guerra.

Germania favorita?
Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova. Nonostante maneggiare le vicende del mondo mediante Agatha Christie può essere problematico, qualche fatto (dalla testa dura) si accumula. «Berlino [...] ha archiviato l’epoca del rigore di bilancio, approvando [...] in via definitiva la modifica costituzionale che elimina il tetto al debito». Un via libera alla riforma fiscale “Bazooka” in ragione della quale vi sarà «la creazione di un fondo di 500 miliardi di euro destinato a ulteriori investimenti in infrastrutture, insieme all’esenzione delle spese per la difesa superiori all’1% del Pil [...] iniziativa, inaspettata e temeraria, [che] offre alla Germania l’opportunità di colmare quasi completamente il suo divario infrastrutturale, stimato fino a 600 miliardi di euro».

In virtù della sonora sconfitta del Terzo Reich, l’ideologia borghese ne ha propinato a qualsiasi latitudine la condanna di stampo, talvolta, teologico. Filosofi, registi, intellettuali di ogni genere hanno propagandato l’importanza della difesa delle libertà democratiche, garantite e salvaguardate dalla potenza militare statunitense, o della superiorità del capitalismo di Stato, spacciato per comunismo, della potente Unione sovietica, mettendo la cornice ad una fotografia della storia.

Misconoscere la continuità strategica di una nazione, oltre le forme politiche, appartiene a quel pensiero borghese che non brilla di acume quando si tratta di porre in questione il proprio dominio sociale: la Germania, sconfitta in due momenti decisivi della storia dell'imperialismo, non ha dismesso la prospettiva di intestarsi, in pace o in guerra, il destino del vecchio continente. Già il crollo sovietico ne ha liberato alcune capacità e volontà, obtorto collo, riconosciute; se la stessa dovesse riuscire in un riarmo, dopo ottant’anni, è ipotizzabile che l’obiettivo della critica democratica possa spostarsi sempre più verso oriente.

Contraddizioni ideologico-sociali
Per nessuno son rose e fiori; questa corsa al riarmo, per chiunque la vinca e laddove la vinca, avrà necessariamente da fare i conti anche con un’ideologia, forse la più trita e ritrita ossia affinata, propinata ad almeno due generazioni di donne e di uomini: l’ideologia sullo stare al mondo dell’individuo che, stante l’attuale modo di produzione, preteso metafisicamente, è “self made man” quando c’è da fare denaro e “consuma et labora” quando il denaro devono farlo gli altri.

Un’ideologia di fatto corresponsabile di quella che pure gli intellettuali borghesi sono costretti a riconoscere come una «svanita combattività di popoli da otto decenni pacificati, demograficamente invecchiati e profondamente gentrificati», che si pone in contraddizione con la constatazione che per «fare la guerra, anche soltanto una guerra difensiva, c’è [sì] bisogno di armi adeguate ma resta, ostinato […] anche il bisogno di giovani uomini (e di donne, se volete) capaci, pronti e disposti a usarle. Vale a dire di uomini risoluti a uccidere e a morire».

E, tuttavia, questa stessa intelligencija borghese, per di più proveniente dall’area del progressismo, dopo anni di ipocrite promesse su un futuro democratico, e pacifico, e di caricature del mondo bellicista, evitando di giungere alla radice della questione e lì trovare le ragioni proprie della riluttanza, cerca di porre rimedio ad una simile controversia ideologica intentando un nuovo, ed alquanto grottesco, panegirico alla guerra come «l’arte […] che ha mosso la storia d’Europa […], l’accadimento fatidico, il momento della verità nel quale si sono generate le forme della politica, i valori della societ໹⁰, ma finisce anche per individuare nelle conseguenze delle guerra stessa ciò che «ha estirpato questa tradizione millenaria»¹¹

A giudizio della narrazione borghese tout court furono, infatti, i due grandi conflitti mondiali del XX secolo a portare sul palcoscenico della storia umana l’insensatezza dell’esperienza della guerra che aveva annichilito gli animi dimostrando che non c’era niente al mondo per cui valesse la pena di morire. Una narrazione che, tuttavia e come al solito, dimentica che la guerra, anche come arte, è una conseguenza delle contraddizioni strutturali del modo di produzione¹², e che, soprattutto, mette in ombra tutte le articolazioni ideologiche innestate sulla nuova prosperità capitalistica, successiva al secondo conflitto mondale, che accumula tuttora le manifestazioni più pervasive dell’individualismo.

Nell’Introduzione del 1857 a Per la critica dell’economia politica, per Marx: «mediante la produzione non è solo prodotta la materia del consumo, ma anche il modo del consumo; la produzione opera non solo sul piano oggettivo, ma anche su quello soggettivo. La produzione crea anche i consumatori»¹³. Attraverso la produzione di una gigantesca massa di merci il modo di produzione capitalistico crea una massa estesa di consumatori per le merci ed un potente pensiero-merce. Pensare-merce pone la mercificazione come significato della vita, «come un dato strutturale irreversibile da cui derivò la penetrazione dell’ideologia capitalista anche nella classe operaia di cui i giovani sono ora figli»¹⁴. Pensare-merce significa anche accogliere il modo proprio di produzione di una merce: la divisione del lavoro pone in questione la parcellizzazione delle intelligenze e delle coscienze e, laddove tende ad una soluzione individuale, dalla merce traspare la pretesa di stare al mondo come un Robinson Crusoe.

Ma c’è - ancora - un dato strutturale che si accompagna con l’ideologia: l’affermazione, pura ed astratta, dell’individuo lavoratore in concorrenza con suoi pari. A distanza di circa due secoli, la modernità della produzione capitalistica valorizza ancor più quel che Marx scriveva in Lavoro salariato e capitale nel 1847: «Gli operai si fanno concorrenza non soltanto vendendosi più a buon mercato l’uno dell’altro; essi si fanno concorrenza nella misura in cui uno fa il lavoro di cinque, di dieci, di venti, e la divisione del lavoro, introdotta dal capitale e sempre accresciuta, costringe gli operai a farsi questo genere di concorrenza»¹⁵.

Ma ancor più stringente e, convincentemente, attuale: «Le macchine portano agli stessi risultati su una scala molto più vasta, perché sostituiscono operai qualificati con operai non qualificati [..] e dove vengono migliorate e perfezionate, sostituite ad altre più redditizie, provocano il licenziamento degli operai a gruppi più piccoli. [..] questa guerra [quella industriale tra capitalisti] ha come carattere specifico che le battaglie in essa vengono vinte meno con l’arruolamento di nuove armate di operai che con il loro licenziamento. I comandanti, i capitalisti, fanno a gara a chi può licenziare il maggior numero di soldati dell’industria»¹⁶.

Posto lo sfruttamento della forza-lavoro come fondamenta dell’attuale modo di produzione, siamo, però, al cospetto di una strutturata miseria anche nel proletariato attivo, da un lato e, dall’altro, di una costante emarginazione dalla vita veracemente sociale, quello della produzione e dell’umana attività trasformatrice. A queste donne e uomini, più o meno giovani, viene riproposta, ogni giorno, una vita sociale parcellizzata: il consumo di merci, ormai anche a debito, ed un lavoro tedioso e privo di soddisfazioni quando Capitale comanda. Ma questa, a ben vedere, è un’arma a doppio taglio nelle mani borghesi poiché, se le condizioni di una vita disumana e la potenza dell’ideologia individualista operano tuttora come conservazione dello status quo, le stesse rappresentano anche un ostacolo alla diffusione presso nuove generazioni di un radicato patriottismo collettivo, un bene-comunismo declinato da destra, un sentimento militarista così caro alla signora von der Leyen.

Non meravigliano i dati di un recente sondaggio secondo cui gli italiani che combatterebbero per il proprio paese sarebbero solo il 14%¹⁷. La percentuale più bassa di tutta l’Unione Europea che ben dimostra come nei giovani non domini un sentimento di attaccamento alla patria, quanto piuttosto quello scollamento dalla vita sociale che si manifesta anche con un forte risentimento nei confronti di un mondo diverso dalle promesse fatte ad opera dell’ideologia borghese. È pur vero che la miseria può contrastare la riluttanza ad un arruolamento sebbene le manovre governative di Russia ed Ucraina, nell’attuale guerra in corso, mostrino evidenze contrastanti¹⁸.

Dal nostro punto di vista, individualismo e bene-comunismo – comunque declinato – non consentono, in nessun modo, quel radicale, ed auspicato, scollamento del proletariato dalla prospettiva borghese, essendone specifici prodotti ideologici. Ogni generazione di rivoluzionari ha dovuto fare i conti con le crisi-opportunità del tempo riuscendo, talvolta, ad imprimerle un senso storicamente trasformativo, così qualificando le soggettività in lotta in un movimento di contraddizioni oggettive. Non ci sfugge come dal carattere proprio delle contraddizioni del nostro tempo emerga, più forte, la necessità di una radicale trasformazione ma la società borghese può persistere anche se non ha, storicamente, più nulla da dire.

 

 

[1] Riarmo Europeo: quale paradigma di difesa? - https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/riarmo-europeo-quale-paradigma-di-difesa-203733

[2] Cfr. Carlo Cottarelli e i soldi per la difesa: «Non è vero che l’Europa spende meno della Russia» - https://www.open.online/2025/02/25/carlo-cottarelli-spese-militari-ue-russia/

[3] Il piano di riarmo europeo da 800 miliardi non è proprio da 800 miliardi - https://www.ilpost.it/2025/03/12/riarmo-europeo-800-miliardi-rearmeurope-von-der-leyen/

[4] Vi spiego la rilevanza economica del Piano di riarmo europeo. L’analisi di Scandizzo - https://formiche.net/2025/03/vi-spiego-la-rilevanza-economica-del-piano-di-riarmo-europeo-lanalisi-di-scandizzo

[5] Cfr. per approfondimento: Contraddizioni del modo di produzione capitalistico ossia i capitali contro il capitale - https://www.istitutoonoratodamen.it/index.php/76-questioniteoriche/613-contraddizioni-del-modo-di-produzione-capitalistico-ossia-i-capitali-contro-il-capitale

[6] Il piano di riarmo europeo favorisce solo la Germania - https://www.tempi.it/il-piano-di-riarmo-europeo-favorisce-solo-la-germania/

[7] Ecco gli effetti del bazooka fiscale in Germania - https://www.startmag.it/economia/ecco-gli-effetti-del-bazooka-fiscale-in-germania/

[8] A.Scurati, Dove sono ormai i guerrieri d’Europa?, in «Repubblica», 4 marzo 2025

[9] Cfr. A. Moi, “Dove sono i guerrieri d’Europa?”: da Serra a Scurati, ora gli intellò progressisti li reclamano, ma prima…, in «Secolo d’Italia», 23 marzo 2025

[10] A. Scurati, Dove sono ormai i guerrieri d’Europa?, cit. Si veda anche l’intervento del 10 marzo 2025 di U. Galimberti nella trasmissione La torre di Babele, in cui parla della «dimensione guerriera intesa in senso nobile come difesa della patria, dei propri diritti e valori, della democrazia» - https://www.la7.it/la-torre-di-babele/rivedila7/la-torre-di-babele-anno-i-le-regole-delletica-11-03-2025-585484

[11] A. Scurati, Dove sono ormai i guerrieri d’Europa?, cit.

[12] Cfr. G. Paolucci, Sulla guerra permanente e le sue cause -https://www.istitutoonoratodamen.it/index.php/questioniteoriche/609-sulla-guerra-permanente-e-le-sue-cause

[13] K. Marx, Introduzione a Per la critica dell’economia politica - https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1857/introec/introec2.htm

[14] G. Paolucci, Crisi e ripresa della lotta di classe - https://www.leftcom.org/it/articles/2002-12-01/crisi-e-ripresa-della-lotta-di-classe

[15] K. Marx, Lavoro salariato e capitale - https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1847/lavcap.htm

[16] Ibid.

[17] Cfr. E. Pitzianti, Combatteresti per il tuo Paese? Ecco la risposta degli italiani, in «Esquire», 7 marzo 2025 - https://www.esquire.com/it/news/politica/a64052189/percentuale-difendere-paese-risposta-italiani/

[18] Cfr. Ucraina: la crisi del reclutamento, il flop del Contratto Giovani e la sfiducia nelle élite - https://it.insideover.com/guerra/ucraina-la-crisi-del-reclutamento-il-flop-del-contratto-giovani-e-la-sfiducia-nelle-elite.html