Risposta al documento del CE del PCInt. del luglio 2009

Creato: 30 Ottobre 2009 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 2275

Dolore e nuova vita

Ci corre l’obbligo politico a fianco di quello umano di dare una risposta al documento del CE del PCInt. del luglio 2009 “A proposito degli ultimi, dolorosi, avvenimenti”. Molto modestamente noi pensiamo che il dolore possa lasciar spazio a nuova vita ed a questa ci stiamo accingendo.

Non per insidiare ai compagni di Battaglia comunista (d’ora in poi Bc) il primato di eredi e fedeli continuatori della sinistra comunista italiana, come non ci spinge nessun intento bellicoso, né la polemica o il battibecco. C’è un fatto nuovo, seppur minuscolo, e si chiama Istituto Onorato Damen. Questo è il nostro impegno. Intendiamo semplicemente esistere con l’orgoglio e l’umiltà di proporre e aggiornare il filo che, attraverso Onorato, si lega al vivo pensiero di Marx e di Lenin. Questa intenzione che ci anima è tutta dentro al monito che abbiamo appreso da Marx: “Tutto quello che so, è che non sono marxista io!”. Questo è l’unico modo per non fossilizzare un pensiero vivo un metodo ed una prassi, per ricercarlo ed elaborarlo. Non ci attardiamo più nel cercare giustificazioni al distacco in motivi di personalismo, di psicosi, di deriva od altro; questo era ieri. Vogliamo però precisare che tutti i membri del CE del PCInt. sono stati ugualmente responsabili di quanto è successo (sarebbe meglio dire tutta l’AGM), mentre riteniamo puerile imputare alla ‘deriva purista’ di due membri del CE l’immobilismo del partito. Ci conforta invece sapere che abbiamo tolto il nostro pesante fardello a Bc, fardello che l’aveva condotta all’immobilità.

Ma dobbiamo ai nostri lettori alcune brevi precisazioni, almeno su tre questioni; torniamo quindi all’obbligo che ci siamo prefissi ed anche in questo caso con l’unico intento di fare chiarezza in noi stessi.

Partiamo dalla prima questione, quella di fascismo-antifascismo. Riprendiamo la fonte della discussione perché questo è l’argomento. Riandiamo così al numero 10 di Battaglia comunista, ottobre 2008, articolo “Una lunga scia di sangue, lotte e ideali”. Qui, alla fine dell’articolo, si può leggere: “Ed è questa menzogna che noi vogliamo respingere, perché la maggior parte dei partigiani rossi hanno combattuto nella speranza di vedere sorgere, prima o poi e con tutta la confusione ideologica che si vuole, un mondo senza classi e senza frontiere, così come tutti i “cuori rossi” che dal dopoguerra a oggi sono caduti sotto i feroci colpi della violenza antioperaia e anticomunista”. La menzogna sarebbe il mettere sullo stesso piano i “cuori i rossi” e i “cuori neri”, sia per screditare il movimento partigiano, sia perché, alla fine, tutti hanno combattuto per la patria. Però per Bc non è così, sebbene tutti lottassero “su un terreno del tutto nazionalistico e borghese”. La differenza sembra farla, per “i cuori rossi”, la speranza di veder sorgere prima o poi, seppur confusamente, un mondo senza classi e senza frontiere; come pure “una passione che parla di uguaglianza, libertà e fraternità” (a fine ‘700 si sarebbe detto liberté, egalité, fraternité). Così il respingimento della menzogna viene esteso fino a oggi, a tutti quei “cuori rossi” che hanno subito la violenza antioperaia ed anticomunista. Ora, durante la seconda guerra mondiale quella ‘speranza’ si chiamò URSS, un polo dell’imperialismo e della guerra imperialista, alleato con Usa e Inghilterra. La lotta partigiana, di liberazione nazionale, la si può sezionare e leggere in modi diversi, ma nella sostanza è stata tutta all’interno della logica della guerra imperialista. Qui non vi sono differenze tra ‘ideologia fascista’ e ‘ideologia antifascista’, nei fronti della guerra vi erano l’una e l’altra, come vi sono nell’odierna società borghese. Durante la guerra l’Italia, come stabilirono Stalin e Churcill, ricadde nella sfera di influenza dell’imperialismo anglo/americano, con gran sollievo dell’odierno Gianpaolo Pansa. Così fu decisa, indipendentemente dalla lotta partigiana, l’appartenenza dell’Italia ad un polo imperialista dello stesso fronte di guerra. Fortuna anche nostra, potremmo dire, diversamente quei “cuori rossi” ci avrebbero massacrato; differenze tra dittatura e democrazia che ai compagni di Bc non sarà difficile rilevare. Comunque nell’articolo in questione, mancano le classi, la lotta fra le classi e il loro insanabile antagonismo; i “cuori rossi” non sono una classe sociale e nemmeno un buon argomento cardiologico prima che sociologico. Successivamente la speranza del prima o poi si chiamò sempre URSS/Pci, ’68, operaismo, Cina, Cuba, autonomia, ’77, centri sociali, comitati di base, sinistra radicale, no-global ecc. Dunque la menzogna starebbe nel fatto che tutto venga messo sullo stesso piano senza tener conto delle diverse speranze e passioni, e che le speranze antifasciste siano migliori di quelle fasciste. L’aderenza espressa in difesa della memoria del movimento partigiano ci è così sembrata una corda lanciata a quelle “scomode frange della sinistra radicale” che ancora si abbeverano al mito della Resistenza. Diversamente si è passati al mito della speranza prima o poi, forse mai, dei “cuori rossi”; segno dei tempi che vedono l’avanzare delle ideologie di destra/fasciste a scapito di quelle democratiche/antifasciste.

Modestamente ci siamo chiesti: cosa c’entra tutto ciò col marxismo?

La seconda questione è quella legata alla legge della caduta tendenziale del saggio del profitto. Su questa questione siamo stati rinviati a un articolo pubblicato su Prometeo ; comunque l’AGM del PCInt. ha ribadito che per i compagni del PCInt. e secondo loro anche per Marx, il plusvalore relativo è il più importante acceleratore della legge e non la più importante causa antagonistica (noi preferiamo utilizzare causa antagonistica invece di controtendenza). L’articolo pensiamo sia “La caduta del saggio medio del profitto, la crisi e le sue conseguenze” apparso su Prometeo, numero 1, luglio 2009. Tenendo fermo il punto che il plusvalore relativo è il più importante acceleratore della legge,  andiamo al suddetto articolo. Qui possiamo leggere: “L’ineguale rapporto tra capitale e lavoro non si limita a dare soltanto un profitto qualsiasi, ma il massimo profitto possibile. In questo rapporto la massimizzazione del profitto è ottenibile soltanto attraverso la produzione allargata sulla base dell’aumento dello sfruttamento della forza lavoro, incrementando il saggio del plusvalore”. (1)  L’ineguale rapporto? Vediamo cosa scrisse in proposito Marx: “Dunque il cambiamento deve verificarsi nella merce che viene comprata nel primo atto, D-M, ma non nel valore di essa, poiché vengono scambiati equivalenti, cioè la merce viene pagata al suo valore. Il cambiamento può derivare dunque soltanto dal valore d’uso della merce come tale, cioè dal suo consumo” (2). Ed ancora “Il possessore del denaro ha pagato il valore giornaliero della forza-lavoro; quindi a lui appartiene l’uso di essa durante la giornata, il lavoro di tutt’un giorno. La circostanza che il mantenimento giornaliero della forza-lavoro costi soltanto una mezza giornata lavorativa, benché la forza-lavoro possa operare, cioè lavorare, per tutta una giornata, .… non è affatto un’ingiustizia verso il venditore”, e poco oltre, spiegando come il denaro si sia finalmente, per il capitalista, trasformato in capitale: “Tutti i termini del problema sono risolti e le leggi dello scambio delle merci non sono state affatto violate. Si è scambiato equivalente con equivalente..” (3). Donde l’ineguale rapporto se vi è scambio di equivalenti? Questo era il difficile ed il problema: scoprire la natura dello sfruttamento del lavoro salariato in presenza di scambio di equivalenti. Marx non escluse che possa esserci, e ci sia scambio ineguale, ma, teoricamente e scientificamente, doveva dimostrare l’esistenza dello sfruttamento sulla base dello scambio di equivalenti. Diversamente tutto sarebbe ridotto a questione di mera giustizia sociale all’interno del medesimo rapporto o modo di produzione. Prendiamo atto che per i compagni di Bc è l’ineguale rapporto tra capitale e lavoro a dare, non solo un profitto qualsiasi, ma il massimo profitto. La condizione proletaria è così fondata sull’ingiustizia, sull’ineguaglianza. Su questa base occorrerebbe semplicemente ripristinare o conformare la società ad un rapporto di uguaglianza tra capitale e lavoro, permanendo pur sempre sia il capitale che il lavoro salariato. Insomma basterebbe un sano e battagliero riformismo o, come estremo rimedio, una rivoluzione politica. Vogliamo chiudere questo punto tornando a Marx  per ribadire che la condizione storica d’esistenza del capitale e con esso del proletariato “nasce soltanto dove il possessore di mezzi di produzione e di sussistenza trova sul mercato il libero lavoratore come venditore della sua forza-lavoro e questa sola condizione storica comprende tutta una storia universale” (4). Questa condizione storica non ha niente a che vedere con la morale, l’ingiustizia o l’ineguaglianza. Ma andiamo avanti. Scopriamo che la lotta di classe per la riduzione dell’orario di lavoro ha imposto al capitale “di imboccare la strada della riduzione del tempo di lavoro necessario, attraverso l’uso sempre più accentuato del plusvalore relativo” (5). Il plusvalore relativo è il risultato di una forma di produzione di plusvalore, il plusvalore è una somma di denaro, lavoro non pagato in quanto eccedente il tempo di lavoro necessario. Cosa vuol dire uso del plusvalore relativo? Come si può, se si può, ridurre il tempo di lavoro necessario usando il plusvalore relativo? Il plusvalore relativo viene prodotto proprio diminuendo il tempo di lavoro necessario, cioè diminuendo il valore della forza lavoro senza però ridurre il salario al di sotto del suo valore, e  si può diminuire il valore della forza-lavoro solo se la massa dei mezzi di sussistenza del lavoratore diminuisce di valore. “Ma ciò è impossibile senza un aumento della forza produttiva del lavoro. … Deve dunque subentrare una rivoluzione nelle condizioni di produzione del suo lavoro, cioè nel suo modo di produzione, e quindi nello stesso processo lavorativo. Per aumento della forza produttiva del lavoro intendiamo qui in genere un mutamento del processo lavorativo per il quale si abbrevia il tempo di lavoro richiesto socialmente per la produzione di una merce, per il quale dunque una minor quantità di lavoro acquista la forza di produrre una maggior quantità di valore d’uso. Dunque, mentre nella produzione del plusvalore nella figura che abbiamo fin qui considerato, si supponeva come dato il modo di produzione, per la produzione di plusvalore mediante trasformazione di lavoro necessario in pluslavoro, non basta affatto che il capitale s’impossessi del processo lavorativo nella sua figura storicamente tramandata ossia presente e poi non faccia altro che prolungarne la durata. Il capitale non può fare a meno di metter sotto sopra le condizioni tecniche e sociali del processo lavorativo, cioè lo stesso modo di produzione, per aumentare la forza produttiva del lavoro, per diminuire il valore della forza-lavoro mediante l’aumento della forza produttiva del lavoro, e per abbreviare così la parte della giornata lavorativa necessaria alla riproduzione di tale valore. Chiamo plusvalore assoluto il plusvalore prodotto mediante prolungamento della giornata lavorativa; invece, chiamo plusvalore relativo il plusvalore che deriva dall’accorciamento del tempo di lavoro necessario e dal corrispondente cambiamento nel rapporto di grandezza delle due parti costitutive della giornata lavorativa” (6). Il plusvalore, nella sua forma ‘assoluta’ o ‘relativa’, viene prodotto sempre dallo sfruttamento del lavoratore, ma con mezzi diversi, ed in condizioni diverse del rapporto tra le classi. Di fatto il plusvalore relativo non si usa, questa è solamente una pericolosa volgarizzazione de “Il Capitale” di Marx. Non si riduce il tempo di lavoro necessario attraverso l’uso del plusvalore relativo, ma, al contrario, si riduce il tempo di lavoro necessario grazie all’aumento della forza produttiva del lavoro per mezzo del rivoluzionamento delle condizioni tecniche del processo produttivo, per aumentare la produzione di plusvalore nella forma relativa. Però per Prometeo è quest’uso del plusvalore relativo che “ha consentito al capitale di aumentare ulteriormente la produttività sociale del lavoro, il tasso di sfruttamento, di aumentare la massa dei profitti ma, contemporaneamente, sostituendo la forza lavoro con macchinari tecnologicamente avanzati, è andato ad innalzarne la composizione organica ponendo in essere le condizioni per la caduta del saggio del profitto”. (7) Insomma è una parte del plusvalore, una somma di denaro che, come un dio, determina le sorti del capitale, agisce e ne ‘innalza’ la composizione organica, complice il capitale stesso. Invece parrebbe che “il plusvalore relativo sta in rapporto diretto alla forza produttiva del lavoro. Cresce col crescere della forza produttiva, e cala col calare di essa”. (8) Aumenta la produttività del lavoro e aumenta il plusvalore relativo, aumenta il plusvalore e con esso il suo saggio; se nonostante ciò il saggio del profitto diminuisce, forse è perché tutto quell’aumento non riesce a compensare la modificazione della composizione del capitale che ha permesso l’aumento dello sfruttamento del lavoro che l’ha prodotto. Se, per Bc, tutto questo aumento di plusvalore non ha niente a che vedere con le cause antagoniste sarà forse a causa del plusvalore relativo. Ne consegue la conclusione che “L’aumento della produttività sociale del lavoro, la creazione del plusvalore relativo (creazione? Non era l’uso del plusvalore relativo a consentire l’aumento della produttività del lavoro?), hanno dunque messo in atto la più importante delle contraddizioni del capitalismo, la caduta tendenziale del saggio medio del profitto”. (9) Adesso è l’aumento della produttività e la creazione del plusvalore relativo (donde questa creazione?), ad aver messo in atto ecc. A questo punto Prometeo inserisce la variazione della composizione del capitale quale fattore della diminuzione del saggio del profitto: “L’aumento di capitale morto in rapporto a quello vivo (capitale morto? Si sarebbe dovuto scrivere lavoro morto in rapporto a quello vivo), di capitale costante su quello variabile … ha fatto si che aumentasse l’estrazione di plusvalore, che si ingigantisse la massa dei profitti, ma che ne diminuisse il saggio”. (10) Se non sbagliamo ad interpretare, è sempre il plusvalore relativo in quanto acceleratore della legge a ingenerare questa modificazione della composizione del capitale. Insomma c’è un po’ di tutto e, di sfuggita, ci pare che la maggiore causa antagonista sia la ‘devalutazione’ del salario (11) cioè, rimanendo all’interno della critica dell’economia politica di Marx, la vendita della forza-lavoro al di sotto del suo valore. All’iniziale ineguale rapporto tra capitale e lavoro si somma questa ulteriore ineguaglianza. Per concludere ancora da Prometeo: “di solito, è proprio l’aumento della produttività sociale del lavoro, l’incremento dello sfruttamento attraverso il plusvalore relativo che sono alla base della legge”. (12) E’ poi sempre la solita formuletta con in più un indefinito “di solito”, si chiede ora: come si può incrementare lo sfruttamento, aumentare la produttività attraverso il plusvalore relativo? E’ che se non si vuole la trasformazione del plusvalore in capitale, se non si vuole l’accumulazione capitalistica si può politicamente proporre di tornare alla riproduzione semplice. Si badi inoltre che accumulazione non è sinonimo di ‘plusvalore relativo’, l’accumulazione è trasformazione di plusvalore in capitale ed inoltre avviene anche eguale rimanendo la composizione del capitale. Oppure è soltanto sotto accusa quel plusvalore relativo che va a modificare la composizione del capitale, perché vi è pure quello relativo che “non va a modificare la composizione organica del capitale e che, quindi, funge da efficace controtendenza” (13). Quest’ ultimo plusvalore relativo, il suo uso, come il plusvalore assoluto sono efficaci controtendenze, perché è solamente quel plusvalore relativo che, soggetto attivo, va a modificare la composizione del capitale che pone in essere ed accelera la caduta tendenziale del saggio del profitto. Ah! Se potessimo individuare e bloccare quella frazione del plusvalore relativo, solo quella, avremmo così risolto i problemi del capitale ed anche quelli del lavoro. Però il fatto è che “una volta date le basi generali del sistema capitalistico, nel corso dell’accumulazione si giunge ogni volta a un punto in cui lo sviluppo della produttività del lavoro sociale diventa la leva più potente dell’accumulazione” (14); ciò può avvenire per mezzo della crescita della massa dei mezzi di produzione in relazione alla massa di lavoro. Questo mutamento si caratterizza per l’aumento della parte costante del capitale a spese della parte variabile; è la modificazione della composizione del capitale. E il plusvalore relativo quale acceleratore della legge?

Di tutto ciò rimane la lotta per l’eguaglianza nel rapporto tra capitale e lavoro. Anzi neppure quella poiché, potendone scaturire una diminuzione del plusvalore relativo, in base a quanto sostiene Prometeo, si rallenterebbe anche la caduta tendenziale  del saggio medio del profitto. Cosa che  assicurerebbe vita eterna al capitale… E qui metteremmo volentieri il punto a questa discussione se non fosse per un altro passaggio che ci ha colpito come un pugno in un occhio. Ancora a pagina 3 di Prometeo, articolo citato, si legge che la: “relazione fra pv e C  è l’indice del rapporto organico del capitale…”. La relazione pv/C (vedi “Il Capitale”, libro III, cap. 13°) è invece il saggio del profitto e in ogni caso non sarebbe un indice. E anche il rapporto fra capitale costante e capitale variabile, non è, come si sostiene qualche rigo dopo, l’indice del rapporto organico di un dato capitale, ma la sua composizione (organica) percentuale. In ogni caso, nell’esempio considerato, questo presunto indice non sarebbe uguale al 4% ma al 25%. 80/20 infatti è = a 4, ovvero: v = ¼ di c x 100 = 25%; invece essendo c = 4 volte v, c = 4 di v x 100 = 400%.

Sulla terza questione, quella legata al rapporto partito-classe, abbiamo davvero poco da aggiungere a quanto scritto nel nostro “Punto e a Capo”. Infatti, nella stessa dolente replica a esso, Bc ribadisce che non considera  i gruppi di fabbrica organismi della lotta di classe in se stessa e che ritiene che non solo il partito, ma anche  gli organi del potere proletario  sarebbero il frutto della trasformazione meccanica in essi degli organismi della lotta economica che eventualmente la classe si dà. Esattamente quanto noi abbiamo contestato e respinto per essere un approdo a posizioni spontaneiste più prossime all’anarco-sindacalismo che alle posizioni classiche della stessa Bc e della sinistra comunista italiana (al riguardo si veda su questo stesso sito l’introduzione all’articolo di Onorato Damen “ Organismi di fabbrica e compiti del partito Rivoluzionario”).

Istituto Onorato Damen

(1) Prometeo n.1, 2009 articolo citato pag. 3.

(2) K. Marx, “Il Capitale”, libro I, seconda sezione, capitolo 4, pag. 199, Ed. Riuniti.

(3) Id., terza sezione, capitolo 5, pagg. 228-229, Ed. Riuniti.

(4) Id., seconda sezione, capitolo 4, pagg. 202-203, Ed. Riuniti.

(5) Prometeo, cit. pag. 3.

(6) K. Marx, “Il Capitale”, libro I, quarta sezione, capitolo 10, pagg. 353-354, Ed. Riuniti.

(7) Prometeo, cit. pag. 3.

(8) K. Marx, “Il Capitale”, libro I, quarta sezione, capitolo 10, pag. 359, Ed. Riuniti.

(9) Prometeo, cit. pag. 3.

(10) Prometeo, cit. pag. 3.

(11) Prometeo, cit. pagg. 9-13.

(12) Prometeo, cit. pagg. 3-4.

(13) Prometeo, cit. pag. 10.

(14) K. Marx, “Il Capitale”, libro I, settima sezione, capitolo 23, pag. 680, Ed. Riuniti