Finanza, inquinamento e capitalismo. Quale futuro?

Creato: 20 Giugno 2016 Ultima modifica: 13 Ottobre 2016
Scritto da Spohn Visite: 2661
inquinamentoL’ultimo libro scritto da Luciano Gallino prima della sua scomparsa (L. Gallino, Il denaro, il debito e la doppia crisi, spiegata ai nostri nipoti, Einaudi, Torino, 2015) fa parte di quelle indagini economiche e sociali che non negano le contraddizioni capitalistiche, pur non utilizzando a pieno gli strumenti di comprensione del materialismo storico e della critica all’economia politica di Karl Marx. Tuttavia, la questione ecologica e soprattutto le colpe dell’attuale situazione ambientale nel mondo non vengono imputate, come in genere si suol fare, a un generico e impalpabile responsabile collettivo quanto, invece, vengono ascritte direttamente alla cerchia capitalista che governa il mondo dell’industria e della finanza mondiale.
 

Sia l’approfondimento sulla cosiddetta «finanza del carbonio», sia la lettura classista su cui Gallino struttura, sulla falsariga di movimenti come Occupy, la contrapposizione tra un’élite mondiale del 1% e un proletariato del 99%, comunque privo della necessaria coscienza di classe, offrono però un grosso numero di spiegazioni sintetiche sulle dinamiche del capitalismo, sul ruolo e le funzioni della finanza, sul perché della crescita del debito pubblico e sui meccanismi tipici dell’irrazionalità di questo modo di produzione attuale.

 

Gallino si è concentrato anche sulla cosiddetta «finanza del carbonio», di cui ha svelato le truffaldine speculazioni, architettate in nome di un falso ambientalismo. Dietro l’etichetta di “azienda attenta all’ambiente” si nascondono in realtà una serie di speculazioni finanziarie e di ingegnosi imbrogli sotto copertura di una fumosa burocrazia internazionale. Gallino, però, parte da lontano cioè da una distruzione del «mito del Progresso» e si spinge fino a presupporre la necessità di un’uscita dal capitalismo:

 

A questo punto occorre però far fronte a un interrogativo di fondo. I problemi elencati sopra sono da ultimo risolvibili dal capitalismo, sia pure trasformato e incivilito, oppure si deve ammettere che soltanto la crisi finale del capitalismo – che tali problemi ha creato a causa della sua doppia crisi – e la sua sostituzione con un sistema economico alternativo renderebbero realistico il compito di farvi fronte? (p. 75)

 

Il libro vuole essere una guida per le prossime generazioni ed effettivamente esprime la brutalità e l’ingiustizia profonde con le quali quelle dovranno confrontarsi.

 

Ma, prima di riprendere la disamina di Gallino sulle speculazioni nascoste dietro un presunto ambientalismo del Capitale, c’è un altro aspetto che merita uno spazio a parte: si tratta della critica che Gallino avanza nei confronti della tradizione di pensiero marxista e degli autori che attualmente intendono portarla avanti. Questi sarebbero rei, a suo dire, di aver sottovalutato, con Marx e non contro Marx, la centralità della questione ambientale nel futuro dell’umanità:

 

La crisi economica e finanziaria esplosa nel 2008 ha moltiplicato le analisi delle sue radici da un punto di vista marxista. In generale esse hanno una profondità sconosciuta alle numerose disamine della crisi dovute a economisti mainstream, la corrente improntata dalle dottrine neoclassiche o neoliberali che non hanno né previsto la crisi né prodotto – tranne casi rari – spiegazioni convincenti di essa. Nondimeno anche le analisi orientate dal pensiero marxista presentano un serio limite quanto a trattazione delle componenti ecologiche della crisi. Questo perché al fondo del pensiero marxista, anche nelle sue espressioni contemporanee, è radicata pur sempre l’idea che l’emancipazione del proletariato, la costruzione di una società non fondata come l’attuale sullo sfruttamento del lavoro di molti da parte di pochi, richiedano una crescita ininterrotta delle cosiddette «forze produttive». Esse dovrebbero venire socializzate per costituire la base di una società più equa, ma la crescita composita della produzione e dei consumi, con i suoi effetti sull’ambiente e sulla stessa condizione umana, dalla maggior parte degli autori di questo orientamento non viene affatto problematizzata. (p. 17)

 

Questa supposizione per quanto possa essere veritiera se riferita a dei non precisati “pensatori marxisti” non è però suffragata da un’attenta lettura del rapporto tra uomo e natura secondo Marx. Il comunismo di Marx è rifiuto dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo ma anche ricerca di un equilibrio tra uomo e natura; una relazione che, qualora si raggiungesse una società comunista, sarà certamente fondata sul rispetto della materia organica e inorganica.

 

Nell’Ideologia tedesca Marx precisava ciò che distingue l’uomo dall’animale. Il fatto stesso di produrre i mezzi necessari alla propria sopravvivenza e al sostentamento costituisce un esercizio razionale specificamente umano, ordinato secondo un progetto a priori tramite cui performare la materia:

 

Gli uomini possono essere differenziati dagli animali per via della coscienza, della religione, per via di tutto quel che si desidera; però essi presero a differenziarsi dagli animali nel momento in cui iniziarono a produrre i loro mezzi di sostentamento, avanzamento che risulta determinato dalla loro struttura fisica. Tramite la produzione dei loro mezzi di sostentamento, gli uomini producono in maniera indiretta la loro stessa esistenza materiale.[1]

 

Il rapporto tra uomo e natura è basato su quest’attività tipicamente umana. E qualche riga dopo Marx precisa che:

 

Pertanto ciò che essi sono si identifica con la loro produzione, tanto con quel che producono, quanto con la maniera tramite cui lo producono. Di conseguenza, ciò che gli individui sono è legato alle condizioni materiali del loro produrre.[2]

 

Gallino ha forse sottovalutato che per Marx resta essenziale il modo e le finalità di questo scambio tra uomo e ambiente.[3] Una relazione che se finalizzata al profitto e se retta dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo non può che produrre danni sia all’umanità che, appunto, alla natura.

 

Ritornando ai funzionamenti odierni del capitalismo, il libro di Gallino è utile perché spiega come non sia la sola industria mondiale a essere la causa dell’inquinamento. E’ anche la finanza a essere coinvolta sia nel commercio delle materie prime che nella compravendita di “aria pulita”, suddivisa nel Trattato di Kyoto per nazioni di “appartenenza”. Leggendo la ricostruzione oggettiva dei meccanismi “ambientalisti” si scopre l’esistenza di una serie di prodotti finanziari direttamente collegati con il business della riduzione dell’inquinamento e che, come tutti gli altri strumenti finanziari, non servono ad altro che a montare enormi speculazioni. Come è detto con chiarezza «la finanziarizzazione contribuisce alla crisi ecologica» (p. 43).

 

La cosiddetta «finanziarizzazione dell’inquinamento», avviata nel 1997 con l’approvazione da parte di 200 paesi del protocollo di Kyoto, ha generato un mercato specifico di titoli il cui “sottostante” è una fantomatica operazione di risanamento dell’ambiente:

 

In campo finanziario, la complessità dei titoli confezionati e messi sul mercato è tale che, così come avvenne a suo tempo con i «mutui facili» che furono un fattore di rilievo nello scatenamento della crisi del 2008, è quasi inevitabile che nell’intrico di soggetti operativi, catene di operazioni sovrapposte e quasi completa perdita di visibilità del cosiddetto «sottostante» (la o le realtà concrete cui il titolo si riferisce), qualche individuo o società commetta una frode, restando magari ignoto agli altri membri della catena. Le difficoltà di misurazione e valutazione delle innumerevoli variabili coinvolte, più la presenza di un numero tangibile di frodi, spiegano come mai molti esperti nutrano da tempo seri dubbi circa l’efficacia dei dispositivi del Protocollo di Kyoto nel ridurre le emissioni di carbonio e degli altri gas serra. (p. 47)

 

A ciò si sommano le compravendite di “aria” pulita, di modo che l’ambiente-mondo è venduto pezzo per pezzo come una merce, senza che ciò determini per giunta un calo nella produzione di materie inquinanti:

 

Ad esempio, rispetto al 1990, le emissioni misurate dalle tonnellate di CO2 immesse nell’atmosfera, al fine di conformarsi a tale valore dovevano essere ridotte dell’8 per cento nella Ue (quale media tra i paesi membri), mentre numerosi altri paesi erano al di sotto di tale valore. Un paese Ue, ovvero la sua industria, aveva quindi la scelta fra investire molto, anche in termini di tempo, allo scopo di ridurre le emissioni mediante tecnologie appropriate per portarle al limite stabilito, oppure «comprare» certificati autorizzanti l’emissione di tot tonnellate/anno di CO2 da un altro paese che era al di sotto del limite prefissato dal Protocollo. (...) Un gran numero di imprese industriali europee e americane scelse pertanto la strada di continuare a inquinare come prima, a fronte di un altro paese che avendo venduto a esse i diritti (per così dire) di effettuare tot emissioni, accettava di veder ridotti di altrettanto i propri. (p. 44)

 

La vendita delle ‘quote d’aria non inquinata’ non ha ridotto la produzione di materie inquinanti. Nel frattempo si è sviluppata una «finanza del carbonio» la cui Borsa mondiale si trova a Chicago:

 

In pochi anni la pratica dei carbon offsets ha avuto un grandioso successo tra le imprese e ha raggiunto anche le persone comuni. Vi sono linee aeree che invitano a viaggiare sovente con esse perché l’inquinamento diffuso dai loro apparecchi risulterebbe largamente compensato dal tale o talaltro progetto di carbon offsets che la compagnia sostiene in un altro paese. Case costruttrici di Suv, veicoli che usati in città consumano il doppio di un’auto media e inquinano due o tre volte tanto, fanno pubblicità alle loro macchine sostenendo che l’intero ciclo costruttivo è esente da emissioni di carbonio; il che avviene non perché la casa in questione abbia ridotto le emissioni di una sola tonnellata, bensì perché finanzia un progetto in un altro paese, in forza del quale le emissioni dovrebbero essere ridotte in misura più che proporzionale rispetto a quelle che il costruttore produce nella sua regione. (p. 45)

 

Gallino dimostra come i produttori e le aziende che si avvalgono dell’etichetta di “combattere l’inquinamento” spesso nascondano un complesso meccanismo di fittizia riduzione delle emissioni. Grazie a un sistema di controlli privo della necessaria credibilità un’azienda può definirsi “rispettosa dell’ambiente” a patto di contribuire a dubbi progetti di risanamento del territorio:

 

Il Meccanismo per uno sviluppo pulito permette anch’esso a un’impresa di continuare a inquinare giusto come prima, purché abbia promosso un progetto di riduzione del carbonio emesso da realizzare altrove, oppure abbia acquistato o affittato un tratto di bosco o di foresta quali «assorbenti del carbonio», impegnandosi a mantenerlo indenne. Tali scambi sono diventati famosi con il nome di carbon offsets, che significa «compensazioni del carbonio». (p. 45)

 

La gestione delle strategie di riduzione dell’inquinamento è, in sostanza, un’altra burla. Come i tentativi bugiardi di ridurre la fame nel mondo o le complicate diplomazie per fermare quella che resta una “guerra permanente” a livello globale. Libri come quelli di Gallino non favoriranno la nascita di un partito comunista mondiale ma per lo meno chiariscono alcuni aspetti dell’attuale situazione mefistofelica in cui i proletari sono costretti a dibattersi, da una parte all’altra del mondo.

 

 



 

[1] K. Marx, Ideologia tedesca, Bompiani, Milano, 2011, p. 331.

 

[2] Ivi.

 

[3] Parimenti, è stata da noi sviluppata l’annosa questione sul rapporto tra sviluppo delle forze produttive e raggiungimento del comunismo: «Per quanto riguarda la contraddizione fra sviluppo delle forze produttive e i rapporti di produzione, non pensiamo che il suo “affievolimento” sia all’origine “del fallimento dell’impostazione meccanicistica”. Dal nostro punto di vista, il meccanicismo non è una particolare espressione del materialismo storico, ma il prodotto di una sua errata interpretazione e come tale una delle tante varianti dell’idealismo. L’equivoco, per il quale il materialismo storico e il meccanicismo sono stati e sono tuttora spesso assunti come sinonimi, è il frutto di una lettura alquanto lacunosa di Marx, equivoco favorito anche dall’idea della fatalità del progresso, propria dello scientismo neopositivista, imperante per gran parte del XIX e XX secolo. Per esempio, il famoso aforisma di Marx secondo il quale: “ Il mulino a braccia vi darà la società con la signoria feudale, e il mulino a vapore la società con il capitalista industriale”, nonostante Marx nelle stesse pagine precisi che gli uomini possono cambiare “il loro modo di produzione, la maniera di guadagnarsi la vita” e “tutti i loro rapporti sociali“ soltanto “impadronendosi di nuove forze produttive”, dai più è stato interpretato come se per Marx la nascita di nuovi rapporti sociali fosse, in ultima istanza, la conseguenza ineluttabile dello sviluppo della tecnica e delle sue applicazioni al processo produttivo indipendentemente dai rapporti sociali esistenti. Indubbiamente, Marx ha dato un grande rilievo allo sviluppo delle forze produttive come fattore di sviluppo della società, ma non ha mai sostenuto che sviluppo delle forze produttive e sviluppo della società fossero coincidenti né tanto meno che le nuove formazioni sociali siano il sottoprodotto del solo sviluppo del primo». (Discutendo della crisi della Sinistra comunista, consultabile sul sito).