Le leggi di bilancio, anche quella del governo Meloni lo conferma: le scrivono i governi ma a dettarle è la fabbrica della finanza&Co

Creato: 11 Marzo 2024 Ultima modifica: 11 Marzo 2024
Scritto da Giorgio Paolucci Visite: 355

A sentire i commenti della presidente del consiglio, dei suoi ministri e parenti vari, nonché degli esponenti dei partiti di maggioranza, l’ultima legge di bilancio è destinata a fare dell’Italia una sorta di giardino dove è sempre primavera, soprattutto per i lavoratori e le fasce sociali meno abbienti. Occupazione alle stelle, bonus a favore della maternità (ma solo per le lavoratrici con almeno due figli), taglio del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, fondi per ridurre le liste di attesa nella sanità pubblica; insomma, l’Italia come mai prima d’ora, come se San Francesco, il suo protettore, si fosse reincarnato in Giorgia Meloni consentendole almeno un miracolo al giorno, ovviamente sempre a favore degli “ultimi”.

Senonché appena si spulcia oltre gli annunci roboanti, ecco che il miracolo si riduce a poche briciole peraltro riservate a soggetti con requisiti così stringenti da risultare inaccessibili per i più anche con redditi di pura sopravvivenza o come nel caso delle persone anziane con gravi disabilità. Non così invece per quella folta schiera di evasori fiscali, anzi vittime del "pizzo di stato" a cui sono stati concessi ben 18 condoni pur dovendo qualche miliarduccio all’erario. Idem, se non peggio, per le banche e il grande capitale monopolistico. Benché la stessa presidente del consiglio, sin dal suo insediamento avesse sparato ad alzo zero contro di essi per gli enormi extraprofitti che hanno realizzato a seguito del rialzo dei tassi di sconto deliberati dalla Bce e dei prezzi delle materie prime ed energetiche, quando si è trattato di passare dalle parole ai fatti, alle banche è stato permesso di scegliere tra il versare l’imposta all’erario o destinarla al consolidamento del loro stato patrimoniale. Ovviamente hanno tutte scelto di trattenerla per sé o, meglio, per i loro amministratori e i loro azionisti.

Per avere un’idea delle cifre in ballo, basti sapere che nel 2023, a fronte di una crescita del pil di un miserabile 0,7%: «I grandi istituti quotati in borsa – ci informa Alessandro Bonetti de Il fatto Quotidiano - chiuderanno l’esercizio con 21,5 miliardi di utili complessivi: quasi il doppio rispetto al 2022... Questi mega utili… si riverseranno in cedole, acconto sui dividendi e riacquisti di azioni mandando in estasi gli azionisti…. Di questi, secondo Intermonte, la sola UniCredit ne elargirà 19,5, Intesa San Paolo 16,5. Ai correntisti, invece, sono rimaste le briciole; di contro (n.d.r.) il tasso medio pagato dai mutui è al 4,92% più che raddoppiato rispetto al 2022»¹. Invece, addirittura zero imposte sugli enormi extraprofitti realizzati nel settore energetico e dell’industria bellica e dell’agroalimentare benché anche in questi settori negli ultimi due anni si siano registrati incrementi dei profitti di diverse centinaia di punti. Tassandoli sarebbe stato possibile un sostanzioso incremento della spesa sociale a cominciare da quella per il sistema sanitario ormai al collasso, e contrastare la povertà ormai crescente anche fra i lavoratori occupati. Invece è stato abolito il reddito di cittadinanza per sostituirlo con un "Assegno di inclusione" (anche esso percepibile solo a tali e tante condizioni che di fatto è più facile vincere una lotteria che percepirlo)²; sono state reintrodotte le accise sui carburanti; è stata aumentata l’Iva anche su beni di prima necessità; ridotta l’indicizzazione per l’adeguamento delle pensioni in ragione dell’aumento dell’inflazione e così via. Per di più, le briciole di cui sopra, il rinnovo della riduzione del cuneo fiscale e la riduzione dell’Irpef per i redditi più bassi varranno solo per l’anno in corso, guarda caso giusto in vista della prossime elezioni europee.

Insomma: pura campagna elettorale. D’altra parte, nonostante in passato la presidente del consiglio abbia sbraitato contro l’Ue: “è finita la pacchia!”, il suo governo - a ennesima conferma che a dettare legge è quel grumo di interessi che fa capo alla fabbrica della finanza intrecciata con il grande capitale monopolistico - ha sottoscritto in sede Ecofin il nuovo “Patto di stabilità e crescita” che, per i paesi come l’Italia che hanno rapporto debito pubblico/pil maggiore del 60% e quello deficit/Pil maggiore del 3%, prevede un piano di rientro per molti versi ancora più stringente del precedente. Ora, con un rapporto debito/Pil di circa il 140% e del deficit/pil del 5,3%, l’Italia, per rientrare nei parametri stabiliti dal nuovo patto, nella migliore delle ipotesi, dovrà tagliare la spesa pubblica dai 12 ai 23 miliardi all’anno, a seconda che concordi con la Commissione Ue un piano di aggiustamento calcolato su un arco temporale di sette o quattro anni.

Con questi numeri e tenuto conto dell’impegno assunto in sede Nato di aumentare la spesa militare fino al 2% del Pil, non ci vuole la sfera di cristallo per prevedere ancora una nuova stagione di lacrime e sangue per tutti coloro che, vivendo di salari, stipendi e pensioni, già ora fanno una gran fatica ad arrivare alla tanto agognata fine del mese. E questo mentre quel famoso 1% a cui fanno capo la fabbrica della finanza&Co e che, secondo l’ultimo rapporto Oxfam, detiene già il 45,6% della ricchezza continuerà a inanellare profitti da record e accumulare ricchezza su ricchezza. È che ormai dire: “destra”, “sinistra”, “centro”; “centro-destra”, “ centro-sinistra” ecc. non significa più nulla.

Essendo comunque tutte forze espressione della conservazione capitalistica, la loro musica è sempre la stessa: innanzitutto il profitto, costi quel che costi! Anche la miseria generalizzata per la gran parte dell’umanità e la guerra imperialista permanente con il suo carico di morti e distruzione con il rischio di porre fine alla stessa vita sulla faccia della terra. La verità è che - come direbbe Saramago: ”Questo mondo non va bene” e, aggiungiamo noi - ne occorre un altro, occorre il comunismo.

 

[1] Banche, utili d’oro nel 2023

[2] Di più sull’argomento, vedi: Sul Decreto lavoro 2023 della sorella Meloni