Elezioni amministrative: vince l’astensionismo

Creato: 12 Ottobre 2021 Ultima modifica: 12 Ottobre 2021
Scritto da Giorgio Paolucci Visite: 506

…Che, al di là del pianto greco dei suoi corifei, non è che, poi, dispiaccia più di tanto a sua maestà il capitale.

astensioneNonostante nel corso dell’ultima campagna elettorale per le elezioni amministrative siano scesi in campo tutti i massimi dirigenti dei partiti in lizza, nessuno di essi può dire di averle veramente vinte: su 13 milioni di aventi diritto, un elettore su due non ha votato, ha vinto cioè solo il “partito” dell’astensionismo.

  Stando alle analisi dei flussi elettorali, hanno disertato le urne soprattutto gli elettori delle grandi città e in particolare quelli delle loro periferie. “È colpa dei partiti anzi della Politica!”, hanno tuonato all’unisono tutti i mezzi di informazione mainstream. “Essa, chiusa come è nella sua autoreferenzialità, è ormai incapace di cogliere ciò che si agita nel profondo del tessuto sociale e del malessere che lo pervade, soprattutto gli strati sociali più svantaggiati.”

 E giù, un vero e proprio pianto greco circa i rischi che correrebbe la democrazia a causa dell’allontanamento di tanta parte della società dalle sue istituzioni.

Ora, che la Politica sia sempre più latitante rispetto ai bisogni e al disagio crescente che attraversa strati sempre più ampi della popolazione e in particolare del mondo del lavoro, è certamente vero; ma assumerla per via del tutto astratta e metterla sul banco degli imputati per essere latitante come se fosse un soggetto a sé stante in grado di agire autonomamente dai rapporti socioeconomici vigenti è del tutto fuorviante e mistificante. A essere latitanti semmai sono le forze politiche, i partiti ossia i soggetti concreti che la praticano che però, per loro stessa ammissione, a prescindere dallo schieramento in cui si collocano, ritengono questi rapporti intoccabili e da difendere e conservare ad ogni costo. Sono, cioè, tutti parimenti portatori degli interessi della conservazione borghese. Ora, è del tutto evidente che se nel corso del tempo questi interessi mutano, muta necessariamente anche la politica che essi devono portare avanti.

Ora, come Marx a suo tempo ha ampiamente descritto e dimostrato, vi è incistata nei rapporti di produzione vigenti e nelle leggi della libera concorrenza, l’impulso alla crescente concentrazione e centralizzazione dei capitali e di conseguenza anche del potere che ne deriva ai suoi possessori, i capitalisti, più in generale: la borghesia.

Si concentrano i capitali in poche mani e di conseguenza si riduce anche il numero dei soggetti che si contendono il potere per cui i luoghi, come il parlamento, deputati alla mediazione di questo conflitto si ritrovano sempre più a essere relegati a un ruolo di pura e semplice rappresentanza di una democrazia del tutto formale dietro cui si cela la dittatura della classe dominante. In essi, quindi, si continua a parlare tanto, ma si decide sempre meno e comunque sempre e solo nel rispetto degli interessi della conservazione capitalistica e non certo dei lavoratori e degli strati sociali ad essi assimilabili.

Ragion per cui agli occhi di una parte crescente di loro, il diritto al voto perde di qualsiasi significato; insomma: un’inutile perdita di tempo. E così che ormai nei paesi capitalisticamente più avanzati, dove i partiti parlamentari ormai si contano a malapena sulle dita di una mano, già da tempo l’affluenza alle urne raramente supera il 50% degli aventi diritto.

L’eccezione italiana

 Fino a qualche decennio fa, l’Italia, per la forte presenza nel suo tessuto produttivo della piccola e media impresa nonché per la sua storia particolare, è stata in una certa misura un’eccezione facendo registrare un’affluenza alle urne di gran lunga superiore a quella degli altri paesi industrializzati. Ma con l’accelerazione dei processi di concentrazione e centralizzazione dei capitali impressi dalla crisi epocale in cui si dimena il capitalismo già da qualche decennio, anche qui la partecipazione elettorale ha preso a declinare e ora è nella media dei paesi Ue dove oscilla fra poco più del 40% e poco più del 50%.[1] E, peraltro, viste le modalità con cui è stato insediato il governo Draghi, non occorre la sfera di cristallo per prevedere che è più facile che scenda ulteriormente e non che risalga.  C’era, infatti, da gestire i fondi del cosiddetto Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) e le oligarchie dominanti per assicurarsi che avvenisse in maniera consona ai loro interessi, hanno sostituito il governo in carica con loro uomini chiamando a presiederlo, guarda caso, un banchiere, l’ex presidente della Bce Mario Draghi. E quel che più conta, senza che le forze politiche vi mettessero becco.  Anzi esse, salvo qualcuna che per puro calcolo elettorale ha preferito accucciarsi all’opposizione, al di là dei distinguo formali che le dividono, giusto il compito loro assegnato di dare copertura istituzionale e legittimità a decisioni prese nelle e segrete stanze dove si esercita realmente il potere, ne hanno votato anche la fiducia.

 La debacle del Movimento 5 Stelle

Alla luce di tutto ciò, non desta alcuna meraviglia se la forza politica più colpita dall’astensionismo sia stato proprio il Movimento 5 stelle.

Aveva promesso addirittura lo scardinamento dell’attuale assetto istituzionale per dar vita a una non altrimenti definita: democrazia diretta che avrebbe dovuto governare non già a tutela e a favore della solita esigua minoranza, ma della grande maggioranza dei “cittadini onesti”.  Come si sa, però, è andata a finire che quel sistema che dicevano di voler scardinare, lo ha letteralmente fagocitato e dopo averlo scalzato dal governo legittimamente conquistato, ridotto a fare da notaio alle decisioni assunte dal nuovo governo benché insediato per via del tutto extraparlamentare.

A chi, credendo alle sue promesse elettorali, lo aveva votato, non è rimasto, quindi, che prenderne atto e rifluire nell’astensionismo. Che poi, a ben vedere, almeno finora, risolvendosi per lo più nel rinchiudersi di ognuno nei suoi stenti quotidiani, contrariamente a quanto lascia suppore il pianto greco dei suoi corifei, non è che preoccupi più di tanto sua maestà il capitale. Se ne preoccuperebbe e come invece se grazie alla presenza attiva e operante di un partito autenticamente comunista, quell’astensionismo di oggi diventasse lievito per la crescita di una diffusa presa di coscienza che soltanto ponendo fine al modo di produzione capitalistico può vedere la luce uno Stato (semi-stato proletario) che operi esclusivamente in funzioni degli interessi della collettività e non per la difesa dei privilegi di un’infima minoranza.

[1] Fonte: https://www.europarl.europa.eu/election-results-2019/it/risultati-nazionali/germania/2019-2024/