A settant’anni dal 25 Aprile 1945

Creato: 23 Aprile 2015 Ultima modifica: 03 Ottobre 2016
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CONTRO L’ANTIFASCISMO, CONTRO IL FASCISMO

PER IL RILANCIO DELLA PROSPETTIVA COMUNISTA

 

Milano-Donne-partigiane-e-gappistiCon il settantesimo anniversario del 25 Aprile 1945 è partita la campagna delle celebrazioni ufficiali e non della “liberazione” dell’Italia, e, con maggiore spazio rispetto al passato, anche le voci contrarie.

 

Grande assente, ancora una volta, è una voce che si stacchi dal coro borghese, con le sue note ideologiche democratiche o fasciste. Manca la voce del moderno proletariato, della classe che non ha alcun interesse a schierarsi con uno dei fronti del capitale (fascista, antifascista, democratico, stalinista, religioso, laico) ma che ha un proprio distinto interesse di classe, contrapposto a quello borghese.

 

Una voce proletaria, una voce comunista internazionalista, in quei drammatici frangenti, si levò: era la voce dei compagni della sinistra che nella clandestinità si ricostituirono in Partito sotto la guida principale di Onorato Damen.  Il chiaro orientamento della sinistra comunista fu pagato col prezzo del sangue, non solo per mano fascista, ma anche per quella dello stalinismo italiano del Pci, che, convertitosi alla “democrazia progressiva” e alla “pace” imperialista, assassinò i compagni Fausto Atti e Mario Acquaviva.

 

Per ridare spazio a quella voce, ripubblichiamo alcuni documenti dell’epoca, che contribuiscono a inquadrare la necessità che il proletariato esprima la sua posizione indipendente, rivoluzionaria e comunista contro ogni schieramento della classe dominante.

 

A introdurre i documenti, riproponiamo “Garibaldinismo non è marxismo”, un articolo di Onorato Damen uscito nel 1960 su Battaglia comunista.

 

 

 

Garibaldinismo non è marxismo

 

Contributo alla chiarezza (per chi non sa o non vuol sapere)

 

di

 

ONORATO DAMEN

 

 

 

Battaglia Comunista, marzo/aprile 1960

 

 

 

Si impone una più adeguata messa a punto della esperienza partigiana tanto discussa nella sua natura e nelle sue conclusioni e pur così ricca di fermenti per l'eroico disinteresse dei molti e per le disillusioni dei moltissimi che tale esperienza ha portato con sé, e lo facciamo con spirito alieno da polemica antica, da compagno a compagno.

 

Un moto di carattere rivoltoso non va giudicato in base ai sentimenti di questo o quel gruppo che vi partecipa, di questo o quel combattente, nel qual caso il moto partigiano sarebbe inclassificabile a causa della infinita gamma delle ragioni, sentimenti e risentimenti che possono avere spinto ognuno ad aderire a tale iniziativa di lotta contro il fascismo, ma dalla natura del terreno economico-politico da cui si era originato e sul quale era portato ad operare e infine dagli obiettivi a cui tendeva in coerenza storica con le ragioni che sono alla base del movimento stesso.

 

Comune denominatore alla rivolta partigiana è stato l'antifascismo; e tutti sanno quanta fragilità ideologica e quale mistificazione politica nascondeva questo generico atteggiamento antifascista; si è trattato di un anticipato modello d'interclassismo politico-sentimentale applicato ai motivi dall'antifascismo, In nessun caso di un modello di lotta condotta sul piano di classe in funzione anticapitalista e contro la guerra imperialista.

 

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