E' morto Eric Hobsbawm, lo storico del secolo breve

Creato: 09 Ottobre 2012 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 3167
Il 2 Ottobre scorso, a 95 anni, si è spento Eric Hobsbawm. Storico divenuto celebre per la definizione del Novecento quale “secolo breve”, è stato autore di oltre 20 saggi che, al di là delle tesi sostenute, sono in grado di offrire quel raro materiale di studio e approfondimento che non è possibile ignorare.

Nacque nel giugno del 1917 ad Alessandra d’Egitto in una famiglia ebraica. Trascorse l’infanzia in Germania e in Austria; orfano dalla pubertà, venne affidato a degli zii, coi quali nel 1933 lasciò il nascente Terzo Reich per trovare rifugio a Londra.

Condusse i suoi studi a Cambridge, insegnando poi in Gran Bretagna e negli Stati Uniti.

Noto in tutto il mondo come “lo storico marxista”, politicamente è stato del tutto lontano dal comunismo rivoluzionario. Fu membro del partito stalinista britannico, dove restò, “per orgoglio dopo i fatti del 1956 oltre che ovviamente per profonda convinzione”, fino al 1989; vicino all'eurocomunismo ed estimatore di Gramsci, è stato poi tra gli ispiratori del neo-laburismo, per quanto poi fortemente critico verso il suo governo.

Il suo stile narrativo ha sempre enfatizzato l’intreccio di dati economici e storie comuni. Con questo approccio iniziò la sua attività di ricerca lavorando sul movimento operaio britannico e sulla storia della rivoluzione industriale. La sua capacità di affondare nel quotidiano, nelle condizioni concrete, nelle trasformazioni sociali che incidevano giorno per giorno sulla vita dei lavoratori ha riempito le sue pagine di testimonianze e cronache importanti per comprendere la storia moderna e contemporanea.

Coltivò un forte interesse per ribelli e banditi, ma anche per le forme embrionali di un movimento di lavoratori che diverrà, con gli anni, adulto.

La sua maturità di storico si andò affermando in particolare con lo studio della modernità.

Dal Lungo Ottocento al Secolo Breve

Hobsbawm elaborò la nozione di Lungo Ottocento, compreso tra la Rivoluzione Francese del 1789 e lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914. Quest’ultima data segnava, nell’analisi dell’autore, la fine dell’epoca aperta dalla Rivoluzione borghese in Francia, aprendo di fatto una nuova fase storica. La sua proposta di periodizzazione del lungo diciannovesimo secolo è basata sulla suddivisione in tre fasi: l’Età della Rivoluzione, che comprende l’arco storico delle rivoluzioni borghesi in Europa (dal 1789 al 1848); l’Età del Capitale, dal 1848 al 1875, periodo che Hobsbawm definisce quello del Trionfo della Borghesia; e l’Età degli Imperi, dal 1875 al 1914.

Il corso della prima guerra mondiale imperialista scardina gli assetti del lungo ottocento: l’autore fa iniziare così da questa data convenzionale il “novecento storiografico”, un Secolo Breve che si concluderà con l’implosione dell’URSS nel 1991.

Sarà proprio il “Secolo Breve” a dargli una forte notorietà internazionale.

Pubblicato nel 1994 in lingua inglese, il saggio definisce quest’arco di tempo come l’Era dei grandi cataclismi. Un secolo di guerre mondiali e conflitti locali, il secolo contraddittorio dello sviluppo tecnologico, dei campi di sterminio, dei movimenti rivoluzionari, «il più violento di tutti quelli che lo hanno preceduto».

Una violenza in crescendo, che Hobsbawm commenta anche dal punto di vista del suo impatto psicologico. “Rimangono da valutare l'impatto e i costi umani delle guerre”, scrive l'autore, proponendo un'ipotesi di assuefazione sociale progressiva: “Il gran numero di vittime, a cui si è già accennato, ne rappresenta solo una parte. E piuttosto curioso che, eccettuata per ragioni comprensibili l'URSS, il numero di vittime della prima guerra mondiale, che fu assai più ridotto, abbia suscitato un impatto psicologico più elevato delle grandi quantità di vittime della seconda, come testimonia il maggior numero di monumenti e di celebrazioni in ricordo dei caduti della Grande Guerra. La seconda guerra mondiale non ha dato luogo a un numero equivalente di monumenti al 'milite ignoto', e dopo di essa la celebrazione dell'armistizio (l'anniversario del 4 novembre 1918 in Italia e dell'11 novembre 1918 in Gran Bretagna e Francia) perse lentamente la solennità che circondava questa commemorazione negli anni tra le due guerre. Forse 10 milioni di morti impressionarono coloro che non si aspettavano una simile ecatombe più brutalmente di quanto milioni di vittime abbiano colpito gli animi di chi aveva già sperimentato una volta il massacro della guerra” (Eric J. Hobwsbawm, Il secolo breve [1994], BUR, Milano IX ed. 2006, pagg.65-66). Per spiegarsi le ragioni di questo tratto distintivo del Secolo Breve, Hobsbawm ragiona su un aspetto che ne caratterizza l'analisi: la democratizzazione della guerra. “I conflitti generali si trasformarono in 'guerre di popolo' sia perché i civili e la vita civile diventarono gli obiettivi diretti e talvolta principali della strategia militare, sia perché nelle guerre democratiche, così come nella politica democratica, gli avversari sono naturalmente, demonizzati allo scopo di renderli odiosi o almeno disprezzabili” (pag.66). Accanto alla democratizzazione della guerra, l'autore pone la “nuova conduzione impersonale della guerra, in base alla quale uccidere e ferire diventavano conseguenze remote del premere un pulsante o del muovere una leva. La tecnologia rendeva invisibili le sue vittime, mentre ciò non accadeva quando si sventravano i nemici con la baionetta o li si inquadrava nel mirino del fucile”. Chiosa lo storico: “le più grandi crudeltà del nostro secolo sono state le crudeltà impersonali delle decisioni prese da lontano, nella routine del sistema operativo, soprattutto quando potevano essere giustificate come necessità operative sia pure incresciose”. (pag.67).

Nel corso della sua opera, come si accennava, Hobsbawm intreccia di continuo la ricerca delle basi materiali degli eventi alla riflessione sui movimenti sociali, politici, alle psicologie sociali, fornendo quadri di insieme che, anche se non sempre condivisibili, sono spesso fonte di riflessione, stimolo a cercare nella complessità dei fenomeni e degli avvenimenti le loro ragioni e contraddizioni in senso più ampio.

Forse a qualche materialista volgare farà pure storcere il naso, ma è un modo di affrontare la storia che può davvero arricchirne la comprensione. Non è banale, ad esempio, e forse oggi ancor più attuale, la conclusione che Hobsbawm trae da questo passaggio che abbiamo ripercorso sulla “guerra totale”. Facendo un bilancio della catastrofe della seconda guerra mondiale, l'autore non può non concludere che “uno dei suoi aspetti più tragici è che l'umanità ha imparato a vivere in un mondo in cui lo sterminio, la tortura e l'esilio di massa sono diventati esperienze quotidiane di cui non ci accorgiamo più” (pagg.68-69).

Hobsbawm periodizza il breve Novecento in tre fasi. L’Età della catastrofe, dall’inizio della Grande Guerra alla fine della Seconda Guerra Mondiale nel ’45; l’Età dell’Oro, che dal secondo dopoguerra promette benessere e sviluppo per tutti, fino al 1973. Da quest’anno prende le mosse la Frana, quella fase di epocali trasformazioni che convenzionalmente chiude, nel più totale disordine, con il 1991. “L'ultima parte del secolo”, scrive l'autore, “è stata una nuova epoca di decomposizione, di incertezza e di crisi...”. “All'inizio degli anni '90 coloro che hanno riflettuto sul passato e sul futuro del secolo sono stati pervasi da un senso crescente di cupezza, tipico della fin-du-siècle”. La stessa Età dell'oro appare, osservata decenni dopo, solo come una sorta di parentesi “da un'epoca di crisi a un'altra epoca di crisi, verso un futuro sconosciuto e problematico, ma non necessariamente apocalittico” (pag.18).

Grazie alla vastità e pluralità di dati, materiali, storie e tracce di riflessione, il lavoro che ne risulta è quindi di una ricchezza rara, ma allo stesso tempo salta agli occhi la sua natura borghese.

Hobsbawm, come nessuno storico borghese può evitare, presenta la storia dal punto di vista della classe sociale dominante; in particolare, per il suo orientamento, lo fa manipolando le storie, le ragioni, le idealità del proletariato e le stesse insegne del socialismo, alla maniera della socialdemocrazia, dello stalinismo e delle varie forme di massimalismo. E' così che gli schieramenti imperialistici di URSS e Alleati negli ultimi anni della seconda guerra mondiale diventano per lui convergenze e alleanze antifasciste tra comunismo e capitalismo, è così che capitalismo e comunismo diventano formazioni economico-sociali che non sarebbero distinguibili così nettamente. Stalinismo, antifascismo e idealismo democratico non sono solo note stonate in un'opera fondamentale, ma sono anche le cifre di una partecipazione di fatto alle cause della sconfitta perdurante del proletariato, consumatasi anche e soprattutto sotto quel tallone.

Se un giorno la storia delle donne e degli uomini riuscirà a essere davvero amministrata da loro stessi come individui liberamente associati, anche il suo racconto potrà essere libero. Cionondimeno l'opera di Hobsbawm ci consente oggi un indispensabile lavoro, critico e selettivo, su materiali vastissimi e spesso profondi da non trascurare.