Falsificazione di Lenin

Creato: 23 Settembre 2009 Ultima modifica: 03 Ottobre 2016
Scritto da Onorato Damen Visite: 2604

Falsificazione di Lenin


Da Battaglia comunista n. 3, marzo 1970

 

Su scala internazionale c’è indubbiamente un ritorno di interesse, ma quasi sempre formale e commemorativo, verso Lenin e ciò che colpisce non non è tanto il fatto che quasi sempre si sottovaluta o si ignora del tutto il Lenin di Stato e Rivoluzione, quanto il tentativo di piegare la sua dottrina, la sua esperienza e la sua statura umana di rivoluzionario marxista alla bisogna di chi scrive e commemora, adattandolo in ogni caso alla misura del proprio e sempre meschino interesse di parte. Marx diceva scherzandi di non essere marxista, di non riconoscersi, cioè, nel marxismo del suo tempo; Lenin purtroppo non ha avuto il tempo di ripetere per sé lo scherzo, così profondamente vero, del suo maestro.

 

Il PCI, trai partiti e i movimenti legati al centro di potere russo con le sue varianti e neo-staliniste, è quello che più e più efficacemente si è servito di Lenin e del leninismo come copertura ideologica e politica a giustificazione di tutte le capriole della sua politica opportunista.

 

Per i dirigenti picisti ciò che è vivo di Lenin, e appare come il suo maggiore insegnamento, è soprattutto la sua estrema flessibilità tattica che gli consentiva di inserirsi in ogni situazione adattando ogni volta la condotta politica del partito alle esigenze del movimento, al mutare, a volte repentino, delle condizioni obiettive. Ne è venuto fuori un Lenin all’italiana, preso dal sacro furore delle realizzazioni ad ogni costo, personificazione dell’attivismo più volontaristico e situazionista.

 

E’ evidente che ci troviamo di fronte ad un capovolgimento totale, politicamente falso e intellettualmentwe canagliesco, del pensiero e delle indicazioni tattico-strategiche di Lenin; ma se è evidente per noi rivoluzionari marxisti, non lo è ancora nella coscienza di quella parte delle masse operaie che tuttora seguono il PCI, che credono di seguire un partito rivoluzionario mentre non si accorgono di seguire un partito pantofolaio e di burocrati, in un periodo di estesa disoccupazione operaia, in pianta stabile.

 

Affrontiamo ancora una volta questo problema che può essere sintetizzato in una sola e brutta parola: compromesso.

 

Questa teoria del compromesso ha fatto la sua prima e assai timida apparizione in quello che fu il nostro partito nella fase di riflusso del movimento operaio internazionale; veniva sussurrata sommessamente da pochi elementi, tradizionalmente di destra, relegati in qualche ufficio amministrativo del partito o della organizzazione sindacale, dove era più visibile l’azione sotterranea della corrente o, meglio, della correntina, facente capo a Tasca. Ma quando è esplosa la lotta interna su alcuni problemi d’importanza fondamentale, e ciò in seguito alla defenestrazione dei rappresentanti della Sinistra, la teorizzazione del compromesso si è allargata a macchia d’olio tra i nuovi dirigenti. Primi, tra questi, Gramsci, Togliatti e Scoccimarro che si erano fatte politicamente le ossa sotto le ali generose e altrettanto ingenue di Bordiga.

 

Alla teoria del compromesso si riconduce la tattica del fronte unico, che trova la sua più ampia e tragicomica applicazione nell’azione parlamentare del partito di fronte agli avvenimenti suscitati dal caso Matteotti. Azione parlamentare che, irretita dalla falsa prospettiva della liquidazione del regime fascista, puntava le sue carte non su una ripresa offensiva certamente possibile delle masse operaie, ma sull’alleanza delle forze della borghesia antifascista e sulla rivalutazione della monarchia che si riteneva disposta ad un ennesimo tradimento.

 

Ebbene, un errore di questa dimensione, che sfigurava le più elementari nozioni della strategia rivoluzionaria, reso possibile in compagni che avevano filtrato nel contesto di una pratica di compromesso, la vera natura della classe da cui provenivano e più ancora il modo di concepire il mondo e la vita del tutto intellettualistico ed idealistico insieme, ha provocato tale trauma psichico di inferiorità e di sconfitta nella parte più avanzata e più volitiva del proletariato, che lo renderà per lungo tempo scettico, incapace di ogni iniziativa, politicamente abulico, obbediente solo per legge di consuetudine al partito e all’organizzazione sindacale o politica inquadra. Un proletariato, insomma, al guinzaglio dell’opportunismo che percorrerà, senza coscienza critica anche se mugugnando e con dispetto, le tappe della progressiva degradazione della sua classe.

 

Di fatto, nel clima delle leggi eccezionali, la dispersione dell’organizzazione territoriale del partito nato a Livorno doveva portare a conclusione il periodo della bolscevizzazione del partito ridotto come era a pochi e scarni centri clandestini a carattere più o meno cospirativo, ad un piccolo esercito di funzionari addetti al loro collegamento , esposti gli uni e gli altri a tutti gli imprevisti e a tutti i rischi di una vigile e inesorabile repressione poliziesca e fascista e ad un centro di direzione politica posto al sicuro e il cui potere si esercitava ormai al di fuori di ogni regola di vita democratica.

 

E’ questo il periodo della grande mistificazione: lo stalinismo trionfante viene integrato e praticato come continuità ideologica e politica del pensiero di Lenin; la costruzione del capitalismo di Stato viene fatta apparire come fase avanzata della costruzione del socialismo; la seconda guerra mondiale verrà esaltata come la guerra della democrazia contro il nazi-fascismoe non come la continuazione storica dello scontro tra imperialisti per il dominio del mondo; e la guerra partigiana per una nuova patria democratica, per un nuovo patriottismo, finirà miseramente come episodio marginale della strategia dell’imperialismo russo-americano. Essere stati protagonisti della guerra, che si è voluto far passare per guerra rivoluzionaria in nome del proletariato, ha significato per questi rivoluzionari da operetta il diritto al loro inserimento, sempre in nome del proletariato, nelle strutture del sistema capitalista e negli organi di potere dello Stato repubblicano. Altro che teoria del compromesso secondo la formulazione e la pratica leninista, che cercheremo di analizzare con la cura e la obiettività che tale argomento merita.

 

Onorato Damen

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