Jobs Act: lavoratori all’asta, e per un salario sempre più basso

Creato: 17 Aprile 2015 Ultima modifica: 13 Ottobre 2016
Scritto da Giorgio Paolucci Visite: 3696

E’ la loro totale mercificazione, la loro condanna a farsi una comune merce di scarso valore

Il coprecario_4ntratto a tutele crescenti previsto dal cosiddetto Jobs act è dunque legge dello stato. Il presidente del consiglio se l’è immediatamente appiccicato al petto come una medaglia al “valore civile” . Subito dopo che il consiglio dei ministri ha approvato il relativo decreto attuativo, com’è suo costume, ha twittato: “ Giornata storica, attesa da un’intera generazione. Rottamati anche i co. co. pro”.  E ancora, a voler significare che a trarne vantaggio saranno soprattutto i lavoratori e in particolare i giovani: “Gli imprenditori non avranno più alibi”. Ovviamente ad assumere.

 

Si sa, Renzi, come lui stesso si vanta a ogni piè sospinto, è un uomo immediato e d’azione e come tutti gli uomini d’azione è portato a scambiare- come acutamente osservava Dostoevskij nel suo capolavoro Ricordi dal sottosuolo: “Per cause prime quelle più prossime e appena concomitanti, e in tal modo si convincono più presto e più facilmente degli altri di aver trovato alla loro attività un sicuro fondamento.” Per Dostoevskij, di conseguenza: “ Tutti gli uomini immediati e d’azione se sono attivi (E di Renzi tutto si può dire tranne che non sia iperattivo - ndr) è perché sono stupidi e limitati[1]

 

Renzi, stupido? Chissà, forse.  Certamente è un Monsù Travet del capitale, un fedele esecutore di ordini impartiti dall’alto in difesa degli interessi della conservazione capitalistica poiché, a ben vedere, le nuove regole rimuovono soltanto i residui ostacoli che, anche solo in via teorica, potevano frenare la tendenza alla riduzione del livello generale medio del salario in relazione alla costante svalutazione del valore della forza-lavoro causata dalle nuove tecnologie .

 

Lavoro astratto e Lavoro concreto

 

Grazie a queste, infatti, la gran parte dei lavori, ivi compresi molti di quelli che fino a ieri richiedevano un’elevata qualificazione professionale, sono stati ormai talmente semplificati da non richiedere più né particolari conoscenze, né particolari abilità del lavoratore. Di conseguenza la gran parte del lavoro è divenuta solo un semplice dispendio di forza-lavoro umana, puro lavoro astratto[2]. Un lavoratore può essere impiegato indifferentemente oggi come cameriere in un fast food, domani come magazziniere in un qualsiasi deposito di merci, dopodomani come cassiere in una banca o in un supermercato. E’ saltata, cioè, la divisione del mondo del lavoro nelle sue diverse categorie ed è divenuta predominante la figura, ampiamente anticipata da Marx, del lavoratore libero. Ossia del lavoratore che, nello svolgimento di un qualsiasi lavoro concreto, anche il più complesso, cede, per un periodo di tempo più o meno lungo, soltanto la sua energia lavorativa, semplice fatica fisica e nervosa. Poiché egli può essere sostituito in qualsiasi momento e comunque non appena, per una qualsiasi ragione, il capitalista “ non ricava da lui nessun utile o non ricava l’utile che si prefiggeva[3], o sul mercato trovi un altro lavoratore disposto a svolgere lo stesso lavoro per un salario più basso, non c’è motivo, dunque, perché il capitalista lo trattenga presso di sé, e lo paghi, anche quando non ne ha più bisogno. Di conseguenza egli deve poterlo licenziare in qualsiasi momento. Un qualsiasi limite che lo vincoli a trattenere il lavoratore, anche quando non gli è più utile o non può sostituirlo con un altro che accetti un salario più basso, è per lui un costo supplementare del tutto ingiustificato. Libero lui e, specularmente, libero anche il lavoratore. Con la differenza che il lavoratore, non avendo per vivere altro modo che vendere la propria forza-lavoro, è libero solo nel senso che può: “Vende[re] se stesso, e a pezzo a pezzo… mette[re] all’asta 8, 10, 12, 15 ore della sua vita ogni giorno al miglior offerente…Egli non appartiene a questo o a quel borghese, ma alla borghesia, alla classe borghese; ed è affar suo disporre di se stesso, cioè trovarsi in questa classe borghese un compratore.[4]

 

E dal momento che le specifiche abilità e i saperi di gran parte del lavoro concreto sono stati trasferiti al sistema delle macchine e ai capitalisti servono solo venditori di forza-lavoro, lavoratori che erogano tutti solo semplice lavoro astratto, sono divenuti inutili sia i contratti di categoria sia quelli a tempo indeterminato, benché in passato siano stati voluti dalla borghesia perché funzionali alla programmazione capitalistica degli investimenti e della produzione. E sono divenuti un costo ingiustificato anche tutti quegli ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione speciale, che erano stati concepiti per evitare che i lavoratori, che per una qualsiasi ragione risultavano in esubero, si disperdessero e con essi si disperdessero anche tutte quelle abilità e i saperi necessari per lo svolgimento di quella specifica attività lavorativa e la cui acquisizione richiedeva periodi più o meno lunghi e costosi di formazione.

 

Altro che giornata storica e gli imprenditori non hanno più alibi, con il Jobs act lo Stato - che - per dirla con Lenin - è : “L’organo del dominio di classe, un organo di oppressione di una classe da parte di un’altra; è la creazione di un "ordine" che legalizza e consolida questa oppressione” ha preso semplicemente atto delle nuove esigenze della conservazione capitalistica, che è bene ricordarlo si fonda sul crescente sfruttamento della forza lavoro, e ha legiferato di conseguenza. Lo richiedeva sua maestà il capitale e Renzi, come peraltro tutti i suoi colleghi in ogni parte del mondo, si è messo sugli attenti e ha portato a compimento quel  processo di totale liberalizzazione del mercato del lavoro peraltro già avviato dal primo governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi.

 

Che fosse questa, e solo questa, l’esigenza da soddisfare, ce lo dice, senza tanti fronzoli, anche la Bce.  Nel suo bollettino mensile del luglio del 2012, si legge, infatti : “ Incoraggiare la flessibilità dei mercati del lavoro e la moderazione salariale, in modo da agevolare la riallocazione settoriale dei lavoratori in esubero, favorire la creazione di posti di lavoro e ridurre così la disoccupazione… In vari paesi la correzione al ribasso dei salari è stata modesta, e ciò malgrado l’aumento della disoccupazione, a indicazione della necessità di ulteriori riforme che favoriscano la flessibilità dei salari.

 

Il nuovo contratto

 

Ed ecco quindi il contratto unico, cosiddetto a tutele crescenti, che si applica a tutti i nuovi assunti, indipendentemente dal settore in cui opera l’impresa. Vale, cioè, sia per il lavoratore assunto da un’ impresa metalmeccanica sia da un fast food. Inoltre, giusto quanto si è detto finora, prevede la licenziabilità individuale e collettiva e, in caso di licenziamento ingiustificato, il capitalista non è più obbligato a reintegrare il lavoratore. Al lavoratore licenziato ingiustamente spetta solo un’indennità pari a due mensilità dell’ultima retribuzione per ogni anno di servizio, fino a un massimo di 24 mensilità ma non inferiore a quattro. Questo limite è stato posto per evitare che il capitalista licenzi il lavoratore subito dopo averlo assunto lucrando la differenza fra l’incentivo di circa ottomila euro che riceve per ogni lavoratore assunto con questo tipo di contratto e un risarcimento che potrebbe essere anche pari a una sola mensilità. Ma l’ufficio studi della Uil ha calcolato che anche con questo limite , dati gli attuali livelli salariali, restano comunque tanti i casi in cui il capitalista potrebbe avere tutto l’interesse a licenziare un lavoratore poco dopo averlo assunto per sostituirlo con un altro. Sicuramente nelle piccole imprese, dove l’indennità si riduce a una mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di due e un massimo di sei.

 

In caso di ristrutturazione aziendale, invece, è previsto il cosiddetto demansionamento, ovverosia la possibilità di impiegare il lavoratore in una qualsiasi mansione diversa da quella per la quale era stato assunto .Un lavoratore, cioè, potrà essere impiegato indifferentemente come addetto alle pulizie o nell’ufficio progettazione. A prima vista il ricorso al demansionamento, essendo previsto solo in caso di ristrutturazione aziendale, può sembrare una garanzia per il lavoratore che con esso eviterebbe il licenziamento, ma chi potrà mai contestare che anche solo lo spostamento di uno o più lavoratori da un posto di lavoro a un altro e da una mansione all’altra non sia di per sé un processo di ristrutturazione aziendale? Nessuno, tant’è che la Fca (ex Fiat), per la prima tranche di 300 assunzioni per un posto di operaio comune delle mille previste a Melfi, ha selezionato solo giovani in maggioranza laureati, molti dei quali addirittura ingegneri. Alcuni di loro, che evidentemente si erano illusi che si trattasse solo dell’inizio di una splendida carriera professionale, dopo quindici giorni, non reggendo i ritmi folli del lavoro in linea di montaggio, organizzata secondo i dettami del WCM[5], sono letteralmente scappati via fra l’indignazione dei media che vi hanno letto la conferma che i giovani d’oggi sarebbero piuttosto - come ebbe a dire qualche tempo fa l’ex ministra Fornero, choosy (schizzinosi) e poco disposti al sacrificio.

 

In  estrema sintesi, dunque: a) il lavoratore può essere licenziato in qualsiasi momento; b) se non viene licenziato prima, il contratto può, alla scadenza dei tre anni, non essergli rinnovato senza alcun onere per il capitalista; c) a discrezione dell’azienda, può essere impiegato in qualsiasi mansione. Infine, grazie all’incentivo, il costo degli oneri sociali è a carico della fiscalità generale cui, come è noto, i lavoratori dipendenti e i pensionati contribuiscono per oltre l’ottanta per cento.

 

Con una combinazione di fattori tutti così favorevoli per i capitalisti e sfavorevoli per i lavoratori, non occorre il mago Merlino per prevedere che nel volgere di poco tempo questo tipo di contratto soppianterà tutti gli altri fino alla completa trasformazione di tutto il mercato del lavoro in un mercato unico del lavoro astratto in cui sarà, appunto, un affare del lavoratore libero, in concorrenza con gli altri, trovarsi “in questa classe borghese un compratore”.

 

Il sindacato di servizio

 

Quella che scompare, dunque, non è la precarietà (peraltro, tranne i co.co.pro. nessuno degli oltre quaranta contratti di lavoro parasubordinato è stato abolito), ma la contrattazione collettiva di settore e/o di categoria a favore di quella individuale per cui viene meno quella che è stata la principale ragione fondante del Sindacato .  Un pericolo non da poco se si tiene conto che proprio il Sindacato, in quanto organo di intermediazione fa capitale e lavoro, è stato, per tutta una fase storica, il più efficace argine di contenimento del conflitto fra capitale e lavoro nell’ambito delle compatibilità del sistema capitalistico.

 

Se n’è accorto, per esempio, Landini, il segretario della Fiom, che, infatti, subito dopo l’approvazione del nuovo contratto, ha lanciato, in vista del superamento dell’attuale forma organizzativa del sindacato, la proposta di dar vita a una non meglio precisata coalizione sociale, a metà fra una sorta di partito neo- riformista e un sindacato unico per la difesa dei diritti di tutti i lavoratori. Ma soprattutto se n’è accorto il governo che ha già annunciato, per il prossimo mese di maggio, un decreto attuativo che, nell’ambito delle cosiddette politiche attive per l’impiego, assegnerà proprio ai sindacati, al pari di un’agenzia privata per l’impiego, il compito di ricollocare tutti quei lavoratori che resteranno disoccupati, come vedremo meglio qui di seguito, anche dopo aver perduto il diritto alla Naspi (Nuova assicurazione sociale per l’impiego).

 

L’intento, poiché per ogni lavoratore ricollocato, all’agenzia o al Sindacato spetterà un premio di entità variabile secondo il grado di difficoltà che, in relazione alle caratteristiche del singolo lavoratore, l’agenzia o il sindacato incontra nel ricollocarlo, è di favorirne la trasformazione in una sorta di Sindacato di Servizi , ossia di mercanti di forza-lavoro a basso costo, ma sempre pronti a riprendere l’antico ruolo nel caso l’acuirsi del conflitto sociale lo dovesse richiedere. Cosa tutt’altro che improbabile visto che anche il nuovo sistema degli ammortizzatori sociali è stato concepito per obbligare il lavoratore a stare permanentemente sul mercato in modo che l’offerta di forza-lavoro risulti sempre maggiore della sua domanda e il livello del salario medio possa tendere costantemente verso il basso.

 

Il nuovo sistema di ammortizzatori sociali

 

Senza entrare nei suoi dettagli, come peraltro quelli dell’intera legge, per i quali rinviamo all’articolo Jobs Act: asserviteci tutti, consultabile su questo stesso sito [6] e all’ottimo opuscolo redatto dall’Assemblea degli studenti della facoltà di Scienze politiche dell’Università Statale di Milano, che pubblichiamo in formato pdf scaricabile dal sito direttamente[7], qui ci limitiamo solo a rilevare che l’idea che lo ispira , seppure non dichiarata esplicitamente, è quella profondamente reazionaria secondo cui in realtà il disoccupato è uno scansafatiche, un individuo che preferisce vivere del sussidio pubblico piuttosto che accettare lavori umili e/o disagiati; che soltanto se gli tagli i viveri lo costringi a cercarsi un’occupazione. E l’altra, ben sintetizzata negli anni ’30 del secolo scorso, dall’imprenditore statunitense Samuel Insull secondo cui: “ il maggior aiuto per accrescere l’efficienza del personale è una lunga fila di uomini al cancello della fabbrica”.[8] Quindi sussidi ridotti all’osso e via via decrescenti in modo  da costringere il disoccupato ad accettare qualsiasi lavoro gli venga proposto.

 

Con il nuovo sistema, infatti, il lavoratore che perde l’impiego ha diritto alla Naspi. Alla condizione, però, che negli ultimi quattro anni abbia cumulato almeno tredici settimane di contribuzione e Il diritto cessa dopo un periodo di tempo pari alla metà del numero delle settimane contributive degli ultimi quattro anni. L’assegno sarà commisurato all’ultima retribuzione, fino a un massimo dell’ottanta per cento e comunque non superiore ai 1300 euro mensili e dopo i primi quattro mesi si ridurrà del 3 per cento al mese. Una volta scaduta la Naspi, il lavoratore disoccupato, che nel frattempo non avrà trovato un nuovo impiego, sarà preso  in carico da un centro pubblico per l’impiego (Jobs Center) che a sua volta lo affiderà, per la sua ricollocazione, a un’agenzia privata per l’impiego che potrà essere, come si diceva poc’anzi, anche a un Sindacato; anzi, preferibilmente un sindacato.

 

Se il lavoratore rifiuta il posto di lavoro che gli viene offerto - qualsiasi esso sia, per qualsiasi salario e anche di qualche ora la settimana- l’agenzia o il Sindacato hanno l’obbligo di comunicarlo al Jobs Center affinché possa procedere alla decurtazione del sussidio di un tot ogni rifiuto fino ad azzerarlo. In Germania il sussidio, che ammonta a 380 euro mensili, viene decurtato del 30 per cento per ogni rifiuto e viene azzerato dopo il terzo rifiuto quando perde anche il diritto all’assistenza sanitaria gratuita.  Insomma , volente o nolente, pena il suo sprofondamento nella più totale emarginazione sociale, il lavoratore è costretto a stare sempre sul mercato anche quando il prezzo della sua merce è così basso da non coprire neppure i costi per il suo sostentamento.  Peggio di una bestia da fatica, per poter vivere come uomo i pochi sgoccioli della vita che gli restano oltre il tempo di lavoro, deve obbligatoriamente farsi un miserabile oggetto, una fra le tante merci di scarso valore di cui è pieno il mercato. E secondo il campione fiorentino dell’immediatezza questa è la modernità, il progresso che avanza.

 

Ma sarà almeno vero, come egli va cianciando, che grazie a questa riforma i posti di lavoro aumenteranno a milioni e l’economia riprenderà a crescere come non accade da qualche decennio?

 

In Germania, il paese che per primo ha intrapreso questa strada, con il famoso piano Hartz - varato dal secondo governo Schröder - dal 2005, anno di inizio della quarta parte del piano (Hartz IV) mentre i 2/3 dei lavoratori tedeschi percepiscono stipendi e salari inferiori a quelli di 15 anni prima, il numero totale delle ore lavorative è rimasto lo stesso di dieci anni fa. E’ stato calcolato che mediamente, oggi, le stesse ore di lavoro che prima svolgeva un solo lavoratore, le svolgono tre lavoratori percependo in tre il salario che prima percepiva uno solo.   Ma la cosa più importante è che in questi anni il Pil è mediamente cresciuto solo di pochi decimi di punto percentuale, con una punta massima dello 0,8 per cento.[9]

 

Né le cose vanno meglio altrove, per esempio, in Portogallo e Spagna. Qui, nonostante siano state varate riforme del mercato del lavoro ispirate al piano Hartz , il tasso di disoccupazione è passato rispettivamente dal 7,6 e dal 7,3 del 2007 al 27 e 17,7 per cento di oggi. Nello stesso tempo il costo del lavoro è calato, rispettivamente di dodici e cinque punti percentuali.

 

Nonostante questi dati, e i più recenti sulla situazione italiana che danno il Pil nei primi due mesi del 2015 ancora in flessione rispetto allo stesso periodo del 2014 e la disoccupazione ancora crescita, il pavone fiorentino, continua a dire che il suo Jobs Act è la cosa più di sinistra, ossia più favorevole ai lavoratori, che mai governo prima del suo abbia fatto.

 

E qui delle due l’una: o ha la faccia più tosta delle pietre o ha ragione Dostoevskij.  Ma anche, perché no, le due cose insieme.

 

 


 

[1] F. Dostoevskij – Ricordi dal sottosuolo – Ed. Bur pag. 36

 

[2] Marx distingue il lavoro astratto dal lavoro concreto, ossia il lavoro“in quanto dispendio di forza-lavoro umana, in quanto lavoro astrattamente umano “ che si ha nello svolgimento di tutte le attività lavoratice,  dal lavoro specifico richiesto per la produzione di un determinato valore d’uso, per esempio, per la produzione di un abito, di un paio di scarpe ecc.

 

[3] K. Marx - Lavoro Salariato e Capitale Ed. Riuniti – 1991-pag. 20/21

 

[4] Ib.

 

[5] Vedi : A. Noviello/ Giorgio Paolucci – La falsa modernità di Marchionne e l’attualità di K. Marx-  http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla/lavorolottaclasse/168-falsomarchionne

 

[6] A. Noviello – Job Act: asserviteci tutti. http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla/lavorolottaclasse/299-asservitecitutti

 

[7] L’opuscolo, redatto dall'assemblea degli studenti di Scienze politiche dell'Università Statale di Milano, è rivolto principalmente ad altri studenti con l’intento di offrire loro gli strumenti teorici per affrontare con consapevolezza critica un tema, come quello della riforma del mercato del lavoro, che li riguarda molto da vicino.

 

[8] Vedi: L. Gallino - La lotta di classe dopo la lotta di Classe- Ed. Laterza - pag. 87

 

[9] Questi dati sono stati ripresi da un’intervista rilasciata alla trasmissione Presa diretta del 1° marzo u.s. dal direttore dell’Istituto tedesco per la ricerca economica (Diw) Marcel Fratzer, autore del volume Die Deutschalnd illusion, non ancora tradotto in italiano.