Il martoriato paese dei cedri

Categoria: Asia
Creato: 19 Agosto 2020 Ultima modifica: 19 Agosto 2020
Scritto da Gaetano Fontana Visite: 1249

beirutL’enorme esplosione che ha distrutto il porto di Beriut e causato centinaia di vittime è soltanto uno degli ultimi episodi della guerra imperialistica permanente. Una guerra alimentata dalle contraddizioni del modo di produzione capitalistiche, che ha di fatto hanno trasformato il paese dei cedri in un teatro di morte.

L’Ainfijar, l’esplosione

Il 4 Agosto 2020 rimarrà impresso nella memoria del popolo libanese come il giorno della «Ainfijar!», l’esplosione. L’esplosione che ha coinvolto un deposito dove erano stipate 2750 tonnellate di nitrato di ammonio sequestrate nel 2014. La deflagrazione è enorme, devasta Beirut con una forza paragonata ad un decimo della prima bomba atomica, qualcuno arriva a definire questo evento  la “Ground Zero libanese”. 

Le ipotesi che si aprono davanti gli inquirenti sono diverse, dall’incuria per la custodia del nitrato di ammonio, all’attentato da parte di cellule terroristiche, alla missione militare israeliana ai danni di Hezbollah (la zona del porto è proprio sotto il controllo del “partito di Dio”). Già la presenza di una quantità di nitrato di ammonio tanto rilevante in quella zona pone più di un interrogativo.

Ricostruiamo brevemente la storia. La nave MV Rhosus, battente bandiera Moldava, salpa dal porto di Batumi, nel Mar Nero, nel settembre del 2013; dopo due mesi di navigazione si presenta al porto di Beirut chiedendo di poter attraccare. La nave, destinata alla “Fabrica de Explosivos de Moçambique”,  con tutto il suo carico di morte rimane ormeggiata al porto di Beirut, ufficialmente perché il proprietario non aveva i soldi per pagare il passaggio del canale di Suez. La magistratura libanese, nell’agosto del 2014, libera l’equipaggio e sequestra la nave con tutto  il carico, che viene stipato nell’hangar 12 del porto. La versione dell’armatore ha lasciato tanti dubbi e tante perplessità, anche perché al porto mozambicano, come successivamente confermato dal Ministro dei trasporti, non era mai stato notificato l’arrivo del cargo.

Che in quella zona di Beirut ci fosse solo nitrato d’ammonio qualche dubbio lo solleva Danilo Coppe, uno dei massimi esperti italiani di esplosivi, che nell’estate del 2019 ha diretto i lavori per l’abbattimento del ponte Morandi di Genova, in vista della ricostruzione. In un’intervista rilasciava la seguente dichiarazione: «Il nitrato di ammonio quando detona genera una nuvola gialla. Invece dai video dell’esplosione, oltre alla sfera bianca, che si vede allargarsi, che è condensa dell’aria in riva al mare, si vede chiaramente una colonna arancione mattone tendente al rosso vivo, tipica della partecipazione di litio. Che sotto forma di litio-metallo è il propellente per i missili militari. Penso che lì ci fossero degli armamenti» (Corriere della Sera, 05/08/2020).

Un’area di tensioni imperialistiche

Ma al di là del non semplice compito di rintracciare la causa effettiva dell’esplosione, la questione rilevante è che il Mediterraneo ritorna ad essere il centro di tensioni internazionali.

Crocevia di culture diverse, culla di antiche civiltà, la terra dei cedri è nota al mondo per la devastante guerra civile che dal 1975 al 1990 ha visto contrapporsi cristiani maroniti, musulmani sunniti, sciiti e drusi. Nel 1982, la forza multinazionale americana-francese-italiana diede vita alla operazione di peacekeeping “Missione Italcon”, in via ufficiale con il compito di difendere la popolazione civile.

Successivamente, nel 2006 l’ONU dispone l’”Operazione Leonte” (attualmente ancora operativa) allo scopo di attuare il cessate il fuoco tra Israele e Libano, protagonisti della seconda guerra israelo-libanese.

Questo travagliato processo vede un’altra tappa fondamentale nello sconfinamento della guerra Siriana del 2011 in territorio libanese, con l’appoggio della milizia Hezbollah. Ed è proprio Hezbollah, in questi giorni tristemente tornata alla ribalta della cronaca, ad essere chiamata in causa come responsabile principale del disastro economico libanese, e che – secondo il quotidiano saudita Arabnews – sarà verosimilmente incolpata di quanto accaduto in questi giorni.

Hezbollah, il partito di Dio

Tracciamo un breve profilo, senza entrare nei dettagli – in quanto esula da quanto ci prefiggiamo in questa sede - del movimento sciita libanese, la cui principale colpa di fondo, agli occhi delle potenze occidentali (nella fattispecie gli USA), è quella di essere alleato di Siria e Iran.

Hezbollah  (partito di Dio), nato dopo l’invasione israeliana del 1982, cresce negli anni sotto l’ala protettrice iraniana. Si rende presto protagonista di un duplice attentato contro la forza di pace internazionale a Beirut. Il passaggio da milizia militare a partito islamista sciita avviene grazie al vuoto politico lasciato dai partiti più tradizionali, e questo gli consente nelle elezioni legislative del 2005 di conquistare 14 seggi in parlamento, e costituire di fatto nel tempo uno Stato nello Stato.

Prima della nascita del partito di Dio, la comunità sciita in Libano, nei primi del Novecento, era composta da mezzadri e braccianti sottomessi al potere dei latifondisti (zu’ama) in un vero e proprio sistema feudale, dove le famiglie sciite di alto rango facevano da tramite tra le masse popolari e lo Stato, avocando a sé il  ruolo di garante, essendo però di fatto detentrici di privilegi e potere.

Stretti in una morsa tra lo sfruttamento dei potenti latifondisti e abbandonati dagli apparati statali la maggior parte degli sciiti libanesi si vede costretta ad abbandonare le campagne, per emigrare verso i sobborghi di Beirut[1], costituendo una nascente forma di sottoproletariato urbano. Questo farà sì che fra gli sciiti libanesi e i rifugiati palestinesi, accomunati dal percepirsi “popoli oppressi”, si formi una forma di “empatia”.

Non a caso è da queste aree che provengono personaggi come Muhammad Hussein Fadlallah e Muhammad Mehdi Shams el-Din, fondamentali punti di riferimento del futuro partito di Dio, e Abbas al-Moussawi, il futuro primo Segretario Generale di Hezbollah.

Il partito di Dio, fortemente radicatosi come milizia militare in seguito all’invasione israeliana del 1982, come visto si trasforma in partito islamista, trovando un’importante ispirazione in Ruhollàh Mostafàvì Mòsavì Khomeinì, il fondatore dello Stato islamico. E’ quest’ultimo che, in aperto contrasto con la frangia più conservatrice del mondo sciita, elabora un’ideologia e una dottrina che, in nome di guerra, fede e martirio, caratterizzerà la “rivoluzione islamica” del febbraio 1979. Sarà questa l’ideologia ispiratrice di Hezbollah, che con la “Lettera aperta agli oppressi in Libano e nel mondo”, redatta nel 1985, rende esplicito il  suo profilo politico, in nome dell’instaurazione di un governo islamista in Libano.

Un’area instabile

Nel frattempo questa zona del Mediterraneo diventa sempre più instabile. Già nella primavera del 2002 circolavano voci di un probabile attacco americano in Iraq. Nella notte tra il 19 e il 20 marzo 2003 i bombardieri americani iniziavano le incursioni aree a Baghdad, il 9 aprile cade il regime di Saddam Hussein.

Ristabilire la centralità del dollaro era ed è di primaria importanza per l’impero americano. Con un massiccio intervento militare in Medio Oriente, gli USA si sono assicurati una presenza bellica incontrastata e un costante controllo dell’area per via diretta o per procura[2]. In seguito le primavere arabe, il Califfato, le invasioni americane, l’intervento russo, turco, e da ultime le incursioni aeree dei jet israeliani, hanno inevitabilmente causato il massacro di popolazioni inermi, la fuga di milioni di profughi e il collasso dell’economia di interi paesi.

Sono lontani i tempi in cui la sterlina libanese, ancorata al dollaro USA, poteva vantare una buona stabilità finanziaria, quando i depositi  bancari superavano di tre volte il PIL, tanto da far definire il Libano la Svizzera del Medio Oriente[3].

Oggi gli interessi che convergono in quest’area sono tanti e per tutti irrinunciabili, dall’Iran che sfrutta la posizione del Libano e l’alleanza con Hezbollah come posizione strategica nel Mediterraneo, agli Emirati che detengono somme importanti nelle banche libanesi.

Dopo il default  del 9 marzo 2020, dichiarato dal governo che non ha ripagato prestiti obbligazionari per 1,2 miliardi di dollari, in scadenza a marzo, e 1.3 miliardi, in scadenza tra aprile e giugno, il Fondo Monetario Internazionale sta valutando una linea di credito di 10 miliardi di dollari, naturalmente alle condizioni dettate dai negoziatori internazionali.

Terreno di scontri imperialistici

Non è un caso che il presidente francese Macron si trovasse sul posto già il giorno seguente la sciagura, a tutelare gli interessi economici e strategici francesi, e a puntualizzare che i finanziamenti ci saranno, ma monitorati da Stati Uniti e Banca Mondiale[4]: del resto gli sciacalli sentono subito l’odore del sangue.

Il Libano, già in ginocchio per una crisi economica devastante, con la disoccupazione al 30% e l’inflazione al 56%, crisi che la pandemia ha ulteriormente peggiorato, con una classe politica inetta e corrotta fino all’osso, adesso privato anche del suo porto principale e con risorse ridotte al lumicino, non ha altre carte da giocarsi per non affondare definitivamente.

L’occasione era troppo ghiotta affinché la super coalizione USA-Israele-sauditi non ne approfittasse. In Libano si riapre il grande gioco del Medio Oriente, al fine di ridimensionare gli scomodi Hezbollah, l’influenza siriana e iraniana e l’avanzata turca nel mediterraneo. L’enorme esplosione del 4 agosto 2020 ha messo in moto delle dinamiche interimperialistiche che trovano nel Libano uno dei punto di maggior tensione e che rischiano di allargare ancor di più i teatri della guerra imperialistica permanente.

Le manifestazioni dei giorni successivi al tragico evento, in assenza di un punto di riferimento politico di classe che inchiodi alle proprie responsabilità il capitalismo, avranno con ogni probabilità come epilogo un avvicendamento politico di facciata, con il solito balletto di un governo di unità nazionale, con la priorità di far uscire il Paese da questa empasse, e che tenga in debito conto le indicazioni delle istituzioni internazionali. Il copione di un film già visto, in cui, come nel “Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa, cambia tutto affinché nulla cambi. Intanto, come spiegava qualche giorno fa l’inviato del World Food Program, dopo aver visto i silos saltati in aria: «Il Libano ha pane e farina per due settimane e mezza. Facciamo arrivare delle navi, ma potrebbero esserci problemi…»[5]; in Libano si potrebbe insomma tornare alla guerra del pane.

È questo il solo futuro che sa prospettarci il capitalismo: fame e guerra imperialistica permanente. Spetta alle sparute avanguardie rivoluzionarie il compito di indicare la via maestra della rivoluzione per farla finita una volta per tutte con la barbarie del capitale.

[1]               Dove successivamente a causa del Nakba confluirà una cospicua ondata di profughi palestinesi, scacciati dal nascente Stato israeliano.

[2]             Per una lettura più approfondita e dettagliata, cfr. G. Paolucci, “Petrolio e rendita da petrolio hanno mosso la Guerra del Golfo e rimescolato le carte”, Prometeo, n. 1, V Serie, 1991.

[3]             Cfr. R. Bongiorni, “Libano, corsa contro il tempo per salvare il paese dal collasso”, Il Sole 24 ore, 06/08/2020.

[4]             Come ha scritto Antonio Negri: «C’è ovviamente il tradizionale ruolo della Francia ex potenza coloniale, il compito che si è assunta Parigi di garante degli aiuti internazionali, l’appoggio francese alla famiglia Hariri legata mani e piedi all’Arabia Saudita. Inoltre la Francia vuole la sua fetta di torta di forniture civili ma anche militari per rafforzare l’esangue esercito libanese da contrapporre alle milizie sciite. Ma c’è anche dell’altro, la partita strategica nel Mediterraneo e la creazione di una nuove alleanze anti-turche. Anche il Libano rientra in questo quadro. La Francia si scontra con Ankara in Libia, dove finora ha sostenuto il generale Haftar, ha un contenzioso aperto – come del resto pure l’Italia – per lo sfruttamento delle risorse energetiche offshore nell’Egeo. Erdogan è dunque un rivale contro il quale creare alleanze alternative. Non solo Erdogan è anche il grande protettore dei Fratelli Musulmani, detestati dall’Arabia Saudita con cui la Francia ha enormi affari bellici. Macron così sponsorizza un asse composto da Grecia, Egitto, Cipro e Israele che comprende anche la realizzazione del gasdotto EastMed per costituire un blocco di interessi del fronte anti-Ankara. Il Libano fa parte sistema “alla francese” e non è un caso che Beirut abbia affidato l’esplorazione offshore di gas e petrolio a un consorzio capeggiato dalla francese Total con l’Eni e la russa Novatek. Il piano di salvataggio del Libano, prima della deflagrazione al porto, era stimato 10-15 miliardi di dollari, oggi è molto di più. Lo capisce anche un bambino che è un piatto troppo ricco per lasciarlo a Hezbollah e ai loro alleati iraniani: ecco perché a Beirut è arrivato il “commissario” Macron» (Cfr. A. Negri, “Il “commissario” Macron in Libano prova a dettare le regole”, Il manifesto, 07/08/2020).

[5]             V. Nigro, “Il deputato tycoon: ‘Il Libano distrutto da banchieri e politici’”, La Repubblica, 12/08/2020.