Abbiamo 30 visitatori e nessun utente online
È prerogativa delle società classiste una specifica dialettica che vede la classe dominante unita e compatta nell’esercitare la più infaticabile oppressione nei confronti della classe dominata e, allo stesso tempo, l’essere dilaniata dalla più feroce battaglia intestina. Non rappresenta una novità del modo di produzione capitalistico, nonostante la fase imperialista espanda la lotta intestina a tutto il pianeta, la circostanza per la quale, all’interno dei molteplici covi di briganti, anche le alleanze che appaiono più solide possano venir meno al cospetto di modificazioni nell’orizzonte degli affari e degli interessi del Capitale o dei singoli capitalisti.
Dalla fine della Seconda guerra mondiale, parte dell’Europa ha vissuto sotto il cosiddetto ombrello della NATO; oggi, però, le cose sembrano nuovamente cambiare. In continuità con le prospettive di dominio originatesi da Yalta, anche con l’ultimo capitolo della guerra permanente - la guerra in Ucraina - gli Stati Uniti hanno potuto mettere bastoni tra le ruote negli affari interni del vecchio continente e soprattutto nella solida relazione tra Berlino e Mosca. Nondimeno Washington minaccia seriamente l’alleanza atlantica, rischiando di mandare in soffitta l’ideologia della difesa delle democrazie liberali e dei valori dell’Occidente [n.d.r. comunque da intendere come falsa coscienza storica] pur di seguire i propri interessi – in ragione delle nuove sfide poste dalla contesa globale – in altri lidi.
È quello che noi leggiamo dalla quasi irreversibile crisi climatico-ambientale.
Abstract: lo sfruttamento delle risorse naturali e l’inquinamento della natura stessa galoppano senza sosta verso scenari danteschi. Le guerre permanenti per le risorse energetiche, le conseguenze dell’attuale guerra in Ucraina, la logica sempre più avvitata su sé stessa di un capitalismo oramai fuori controllo, generano incessantemente guasti e, con lo scorrere del tempo, risulta più difficile porvi rimedio.
Di che parliamo
Mentre molti esperti si affannano – chissà, forse per il caldo sempre più intenso! – a preoccuparsi dei cambiamenti climatici, nel mondo proseguono imperterrite: guerre in territori pieni di centrali nucleari, estrazioni di petrolio utilizzando ogni tipo di tecnica invasiva, iperproduzioni di plastica, immissione di scarti chimici in falde, fiumi e mari, cementificazioni, estrazioni di metalli da tutti i luoghi possibili, utilizzo di carbone a dosi sempre più massicce, ecc. Insomma, il Capitale viaggia e non si ferma certo per qualche grado in più nell’atmosfera.
Se ci riferiamo all’attuale guerra in Ucraina, il rischio nucleare è più che concreto e lo si evince direttamente dagli eventi bellici in atto oramai da più di tre anni. In Ucraina si stanno avendo, oltre alle morti tra la popolazione civile o la sua emigrazione, dei danni irreversibili al patrimonio boschivo e naturale in generale. Il Donbass è la parte dell’Ucraina più ricca di industrie, ma anche di giacimenti dei preziosi metalli per sistemi elettronici d’avanguardia, in particolare del Litio. La fascia di terra che va dalla Bielorussia a nord, fino al mare d’Azov a sud, è ricca di questo minerale, il cui sfruttamento prevede, come ovunque nel mondo, un grosso impatto sull’ambiente. Molti problemi, del resto, si stanno evincendo dall’improvviso abbandono di miniere di carbone, o di stoccaggio di rifiuti tossici prodotti dalle industrie chimiche del paese¹. Senza contare poi il numero sproporzionato di bombe o missili lanciati sul territorio e rimasti inesplosi, oppure le vaste aree disseminate di mine antiuomo o anticarro. Occorreranno anni e chissà a quale costo umano sminare e riportare il tutto a una parvenza accettabile.
Col solito atteggiamento criminale il governo israeliano ha rotto la tregua del 19 gennaio e ripreso a bombardare la popolazione palestinese causando centinaia di morti. Naturalmente i media e la propaganda atlantista, come sempre, hanno tiepidamente evidenziato le responsabilità di Netanyahu e del suo padrino statunitense, per dare risalto alle accuse rivolte contro Hamas. Trump e tutte le amministrazioni americane prima di lui hanno sempre difeso incondizionatamente Tel Aviv, una pedina fondamentale in Medio Oriente, da foraggiare con dollari e armi per i propri fini. A maggior ragione oggi, visti i tempi difficili per l’imperialismo americano in declino.
Dalla fondazione dello Stato di Israele nel 1948 fino a prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023 il conflitto ha prodotto 35.000 vittime palestinesi. Il 7 ottobre dopo pochissimo tempo dall’inizio del genocidio messo in atto dal governo israeliano, perpetrato sotto gli occhi di tutti e con la complicità delle cosiddette democrazie occidentali, le cose sono andate ancora peggio rispetto all’esodo forzato del 1948: “Dopo un mese e mezzo dal suo inizio questo conflitto è già la più mortale e distruttiva delle pur numerose tragedie della storia del popolo palestinese. Con 14.854 morti a Gaza al 22 novembre, cui vanno aggiunti più di 200 morti in Cisgiordania nello stesso periodo, si supera la soglia dei 15.000 morti, da confrontare con i 13.000 stimati per l’intera Nakba, la «Catastrofe» del 1948. Anche il fatto che almeno il 40 per cento delle vittime di Gaza siano bambini non ha precedenti. E l’esodo di 1,7 milioni di civili all’interno della Striscia di Gaza supera di gran lunga le maree umane della Nakba e dei suoi circa 750.000 profughi.”¹
Introduzione a cura della Redazione
Scegliamo di ripubblicare il testo de I capitali contro il capitale, articolo di G. Paolucci apparso su Prometeo n.9 del 1995, a distanza di 30 anni poiché, già dal titolo, si avverte la necessità di ri-approdare ad una concettualizzazione del modo di produzione capitalistico a partire delle sue più radicali contraddizioni: “in realtà il capitalismo è sempre uguale a se stesso e non sta facendo altro che riorganizzarsi in chiave di auto conservazione secondo le linee di sviluppo dettate dalla legge della caduta tendenziale del saggio medio del profitto”. Vecchio e nuovo allo stesso tempo; continuità della legge generale e novità “delle influenze antagonistiche, che contrastano o neutralizzano l’azione della legge generale”.
La novità tecnologica, quale propulsore di produttività della forza-lavoro, funziona da antagonista finché riesce ad allargare anche la base produttiva ma nel momento in cui agisce perlopiù come alterazione, a favore della quota costante, della composizione organica del Capitale, con una base produttiva allargata, conferma la legge generale aggravandone ulteriormente le crisi che ne derivano.
Mentre parlano di volere la pace in Ucraina, il capitalismo prepara il terreno a nuove guerre di ben altra portata.
Siamo nel quarto anno della sanguinosa guerra imperialista in Ucraina, che ha prodotto milioni di sfollati fuori dai confini nazionali per sfuggire alla furia del conflitto, centinaia di migliaia di morti e feriti e che ha di fatto trasformato il paese in un cumulo di macerie. Secondo gli ultimi dati forniti da varie organizzazioni internazionali la popolazione ucraina si è ridotta in questi anni di conflitto di oltre 10 milioni di persone, scappate nei paesi occidentali limitrofi per sottrarsi alla violenza di una guerra che, come tutte le guerre degli ultimi due secoli, è una guerra che trae le proprie origini dalle profonde contraddizioni in cui si dimena il capitalismo a livello mondiale. Vi è un unico responsabile nel conflitto ucraino ed è il capitalismo che pur di imporre la legge del profitto scatena guerre sull’intero pianeta ed impone a miliardi di proletari condizioni di vita e di lavoro sempre più disumane. Come abbiamo scritto nel nostro quaderno “Alle radici della guerra in Ucraina” il conflitto iniziato il 24 febbraio 2022 è soltanto un capitolo della guerra imperialista permanente che ormai da decenni imperversa ai quattro angoli del mondo¹.