Forme del potere proletario

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Creato: 29 Giugno 2019 Ultima modifica: 29 Giugno 2019
Scritto da ML Visite: 2245

Dalla rivista D-M-D' n° 12

potere proletario«Quale trasformazione subirà lo Stato in una società comunista? In altri termini: quali funzioni sociali persisteranno ivi ancora, che siano analoghe alle odierne funzioni dello Stato? A questa questione si può rispondere solo scientificamente, e componendo migliaia di volte la parola popolo con la parola Stato non ci si avvicina alla soluzione del problema neppure di una spanna.

Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico transitorio, il cui Stato non può essere altro che la dittatura rivoluzionaria del proletariato».

Così K. Marx, nella celebre Critica del Programma di Gotha1, aveva posto in termini scientifici la questione. La transizione dalla società capitalistica a quella comunista è caratterizzata da una fase storica di trasformazione rivoluzionaria della prima nella seconda, che politicamente vede la necessità di uno Stato proletario, una Comune. Un vero e proprio semi-Stato, per sottolineare che dal momento in cui viene istituito inizia da subito a diventare sempre più superfluo, fino ad estinguersi2: il suo potere, indirizzato a rimuovere le condizioni stesse di esistenza delle classi sociali, elimina progressivamente quindi le ragioni di ogni Stato, organo di una classe contro un’altra.

 

I cento anni dall’Ottobre russo rimandano l’attenzione, tra i vari aspetti della prospettiva dell’emancipazione umana attraverso la rivoluzione comunista, anche alle forme del potere proletario.

Nell’esperienza russa, quest’ultimo prese la forma dei Soviet i Consigli dei deputati operai, contadini e soldati. Questi Consigli sono contraddistinti da una specificità, che ne fa un riferimento storico ancora attuale (non un modello da “applicare” dall’esterno del movimento reale): «I consigli operai, anche nelle loro forme primitive e meno evolute, presentano già verso il 1905 questo carattere: costituiscono un contro governo. Mentre altri organi della lotta di classe possono adattarsi tatticamente, cioè possono condurre avanti il lavoro rivoluzionario anche in quelle circostanze, è proprio invece dei consigli operai di porsi rispetto al potere statale della borghesia nel rapporto di un secondo governo concorrenziale. Quando perciò ad esempio Martov, pur riconoscendo nei consigli degli organi di lotta, nega la loro qualifica a diventare apparati statali, egli elimina con ciò dalla teoria proprio la rivoluzione, la reale presa del potere del proletariato. Quando invece, dal lato opposto, alcuni teorici estremisti di sinistra fanno del consiglio operaio una organizzazione di classe permanente del proletariato e vogliono servirsene per soppiantare partito e sindacato, mostrano di non comprendere la distinzione tra situazioni rivoluzionarie e non rivoluzionarie e di non comprendere la funzione peculiare dei consigli operai»3. A caratterizzare la storia dei Soviet russi ci sono altri due aspetti, da contestualizzare nel quadro di una rivoluzione che resta isolata, alla quale non arriva l’atteso ossigeno da una rivoluzione tedesca, e che ben presto finirà soffocata nella controrivoluzione. Il primo di questi aspetti è la cosiddetta “bolscevizzazione” dei Soviet, con l’avvizzirsi degli stessi in quanto effettivi organismi di vita pubblica del proletariato, il monopartitismo, la messa al bando degli altri partiti socialisti; il secondo è la conseguente, crescente identificazione tra partito bolscevico e Stato. Commenta S. Isaia che «molti hanno voluto vedere nella bolscevizzazione dei Soviet un’inaccettabile forzatura da parte di Lenin e dei suo compagni, anche se non hanno potuto negare che, come documenta anche Oscar Anweiler nella sua “classica” Storia dei soviet, tra l’agosto e il settembre il bolscevismo divenne un vero e proprio movimento di massa, e non solo a Pietrogrado e a Mosca; si sarebbe trattato di una prevaricazione rispetto all’autonomia dei Soviet. Personalmente credo invece che in quel momento storico solo i bolscevichi furono in grado di difendere ed esaltare la natura proletaria e rivoluzionaria di quegli organismi. Ma posso anche sbagliare». E prosegue sostenendo che i Soviet, per Lenin, «apparissero davvero, e non in chiave puramente strumentale-tattica, la “forma scoperta” della marxiana dittatura rivoluzionaria del proletariato, e che il loro svuotamento già nel corso del “Comunismo di guerra”, dovuto alla “pesantezza” e all’originalità dei problemi a cui i bolscevichi e l’intera compagine sociale si trovarono a dover fare i conti, più che a una scelta assunta freddamente dal partito leninista, rappresentò innanzitutto una sua durissima sconfitta politica»4.

L’esperienza storica ci conferma in ogni caso, in positivo e in negativo, alcuni caratteri fondamentali dello Stato proletario:

  1. è lo Stato di un periodo politico transitorio, che corrisponde a quella fase di trasformazione rivoluzionaria dal capitalismo al comunismo, che può avviarsi grazie a una vittoriosa rivoluzione proletaria su scala internazionale;
  2. è la dittatura rivoluzionaria del proletario, cioè il suo potere organizzato, centralizzato, esclusivo, indirizzato al superamento del capitalismo e alla liberazione di una forma sociale superiore;
  3. è destinato all’estinzione, per naturale esaurimento dei suoi compiti di classe, con l’estinzione delle classi stesse;
  4. la sua forma politica, in quanto tale essa stessa destinata all’estinzione, è la più ampia democrazia5proletaria.

Il punto dirimente è in cosa consista la “democrazia” propria del potere proletario.

La Comune di Parigi

E’ noto che fu nella Comune di Parigi che Marx vide il concretizzarsi di quell’idea di dittatura del proletariato che aveva concepito come una fase politica, transitoria ma necessaria, attraverso la quale i lavoratori potevano mettere mano dispoticamente6 ai rapporti di produzione e sociali del capitalismo, in direzione di una società superiore, finalmente umana.

Nell’Indirizzo del consiglio generale dell’Associazione Internazionale dei lavoratori, il Moro scrisse che la Comune «fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta della classe dei produttori contro la classe degli appropriatori, la forma politica finalmente scoperta che consentiva di realizzare l’emancipazione economica del lavoro». In che cosa consisteva questa forma politica?

In primo luogo, nel fatto che «la Comune non doveva essere un organismo parlamentare, ma un organo di lavoro esecutivo e legislativo nello stesso tempo». Non è un parlamento l’organo politico dello Stato proletario, anzi il semi-Stato che, già nascendo, inizia ad estinguersi assieme al processo di estinzione delle classi sociali che ne motivano l’esistenza. I lavoratori si uniscono in un organo dove decidere e mettere in pratica le loro stesse decisioni.

Alcuni tratti caratteristici ne delineano il profilo essenzialmente di classe.

L’esercito viene sciolto: sono ora gli operai che si armano e che ne prendono il posto. La polizia al soldo del governo borghese ha la stessa sorte: i corpi di polizia diventano dipendenti dalla Comune proletaria e responsabili di fronte ad essa: a garanzia di questa responsabilità, l’incarico non è permanente ma può essere immediatamente revocato.

La Comune, come organo proletario, era composta da operai o da loro rappresentanti, che avevano un rapporto diretto con i proletari che li avevano eletti, nelle cui mani restava il potere di revocare gli incarichi di chi non ne rispettava le decisioni condivise. L’elezione avveniva in base al suffragio universale, ma non nei termini del parlamentarismo: era piuttosto un meccanismo per selezionare le persone giuste per gli incarichi giusti.

I consiglieri eletti, come la polizia ma anche come ogni funzionario, non avevano privilegi. Il loro compenso era pari al salario degli operai. Le cariche degli alti funzionari vennero abolite. Tutti i funzionari, inclusi i magistrati, erano eletti dal proletariato, responsabili e revocabili.

Chiesa e Stato vennero separate effettivamente, e la Chiesa fu espropriata. Tutti poterono accedere gratuitamente alla formazione che divenne laica.

Il progetto, che non ebbe la possibilità di esser poi realizzato, era di istituire in ogni provincia, in ogni città e villaggio, l’autogoverno proletario. Un sistema di deleghe avrebbe dovuto creare vari livelli di rappresentanza, dalle assemblee dei centri più piccoli fino al governo centrale di Parigi. Con il vincolo di responsabilità e di revocabilità, si sarebbe creato un ordine politico transitorio che coniugava la centralizzazione necessaria alla più ampia partecipazione diretta alla vita pubblica da parte di ogni lavoratore. Questo sistema resta di particolare importanza per l’organizzazione politica consiliare del futuro, che inevitabilmente si costituirà su scala internazionale, con più complesse esigenze di garanzia di una adeguata dialettica tra istanze centrali e territoriali. Gli strumenti tecnologici contemporanei, in particolare nell’ambito informatico e mediatico, potranno supportare i processi di centralizzazione e partecipazione a livello globale, rendendo non solo possibile ma all’ordine del giorno una Repubblica universale dei Consigli proletari.

Soviet, forma della dittatura proletaria

Nel 1921, il Partito Comunista d’Italia, appena costituito a Livorno, sottolineava come gli istituti dello Stato proletario non potessero che essere radicalmente diversi da quello borghesi. Nella sottolineatura del PCd’I emerge in particolare il superamento della democrazia formale, che caratterizza il parlamentarismo borghese:

«Quei cosiddetti socialisti che non intendono come le istituzioni rappresentative dello Stato borghese: parlamenti, consigli comunali e provinciali, non possono essere le rappresentanze di uno Stato proletario, non intendono nulla del contenuto centrale del marxismo: la critica della democrazia. Non intendono come il principio fondamentale democratico di dare eguale diritto elettorale politico a cittadini di tutte le classi sia nato con la borghesia e debba morire con essa, in quanto il suo funzionamento equivale alla garanzia che il potere resti nelle mani della classe capitalistica. Non vogliamo ripetere gli argomenti teorici di questa dimostrazione, ma solo ricordare che l’attuale confusionario periodo nel quale sono germinati governi d’ogni specie, non solo non v’è esempio di un governo socialista su base democratica parlamentare che assolva la funzione di demolizione dei privilegi borghesi, ma quei governi di tal natura che esistono in alcuni paesi sono i più feroci complici della borghesia interna ed estera ed esercitano la reazione antirivoluzionaria peggiore».

La borghesia deve essere invece esclusa da ogni accesso alla vita politica. Le funzioni economiche degli sfruttatori non possono essere soppresse da un momento all’altro. La possibilità che la borghesia possa prender parte ad attività di carattere politico comprometterebbe la fine della vecchia società e la nascita, la liberazione anzi, della futura società finalmente umana.

L’esperienza storica «ha dimostrato che l’unica forma possibile di potere proletario è quella che ha per organi di rappresentanza non i parlamenti ed altri istituti democratici, ma i consigli eletti solo dai membri della classe proletaria. A una simile forma di potere, alla dittatura proletaria, non si arriva attraverso la democrazia, ma attraverso la demolizione di essa»7.

È il Soviet, il Consiglio dei deputati operai, contadini e soldati che nasce in Russia, che viene visto come modello, e rivendicato dalla Terza Internazionale, per mano di Zinoviev, come la forma di potere proletario per eccellenza.

«La piattaforma comune sulla quale ci si deve unire è oggi il riconoscimento della lotta per la dittatura del proletariato nella forma del potere dei Soviet». Tale forma veniva considerata come generale: «Qual è la forma della dittatura proletaria? Noi rispondiamo: i Soviet; una esperienza a carattere mondiale lo ha dimostrato. Il potere dei Soviet è conciliabile col parlamentarismo? No, tre volte no»8.

Questo carattere è oggi da rivendicare con una forza anche maggiore: gli istituti del potere proletario sono radicalmente altri da quelli borghesi, sono alternativi ad essi e ne prevedono la distruzione; non sono parlamentari, non includono rappresentanze né partecipazioni di alcun tipo da parte della borghesia.

 

Quando possono nascere i Consigli

I Consigli dei deputati dei lavoratori non possono nascere in qualunque momento, pena essere una realtà farsesca.

L’Internazionale comunista trasse a tal proposito un bilancio dall’esperienza russa e da quelle austriaca e tedesca, raccolto poi nelle Tesi sulle condizioni di costituzione dei Consigli operai del 1920. In primo luogo veniva messo in risalto che i Soviet nascono (nel 1905) all’”apogeo” del movimento rivoluzionario. «Esso era allora forte nella sola misura in cui aveva delle prospettive di conquista del potere politico. Non appena la controrivoluzione zarista si rafforzò, e il movimento operaio cominciò a defluire, il Soviet, dopo un breve periodo di vegetazione, cessò addirittura di esistere». I bolscevichi nel 1916 evidenziarono, in seno al proletariato, che i Soviet possono essere opportunamente costituiti quando la lotta per la conquista del potere è «all’ordine del giorno».

Quando il proletariato insorge, i Consigli nascono naturalmente: così accadde in Russia, in Austria e in Germania. I social-traditori in questi frangenti sostengono invariabilmente la borghesia nel riprendere con saldezza il potere nelle proprie mani, e i Consigli così indeboliti finiscono per morire. Questo dimostra che ci sono tre condizioni per costituire i Consigli:

«a) Una spinta rivoluzionaria di massa nella più vasta cerchia di operai e operaie, soldati e popolazione lavoratrice in genere; b) Un acuirsi della crisi economica e politica tale, che il potere cominci a sfuggire dalle mani dei governi costituiti; c) La maturazione nelle file di strati notevoli di operai e soprattutto del partito comunista della ferma decisione di impegnare una lotta decisa, sistematica e pianificata per il potere».

Un altro aspetto essenziale delle Tesi è la messa in guardia dal presentarsi ai lavoratori con un bel piano, dettagliato sulla carta, su come organizzare i Consigli, ma anche dal costituire Soviet in miniatura, dopo decisione nelle segreterie dei partiti operai. La vita dei Consigli è in un collegamento dinamico e irrinunciabile a quella della lotta di classe e della guerra civile. Prescinderne è un vuoto esercizio retorico, che apporta più danni che altro. «Senza rivoluzione, i Soviet sono una farsa»9.

 

Caratteri generali e funzionamento dei Consigli proletari

A proposito dei Soviet, scrive Trotsky:

«Se il regime parlamentare, persino nel periodo dello sviluppo “pacifico” stabile, era un metodo piuttosto rozzo per scoprire l’opinione del paese, e all’epoca della tempesta rivoluzionaria perdette completamente la capacità di seguire il corso della lotta e lo sviluppo della coscienza rivoluzionaria, il regime dei Soviet, che è più direttamente e più onestamente legato alla maggioranza del popolo che lavora duramente, acquista significato creando dinamicamente una maggioranza, non riflettendola statisticamente. Postasi sulla via della dittatura rivoluzionaria, la classe operaia russa ha con ciò proclamato che, durante il periodo di transizione, la sua politica non è quella di una rivalità chimerica con i partiti-camaleonte per la conquista dei voti dei contadini, ma quella di una reale immissione delle masse contadine, a fianco del proletariato nel lavoro di governare il paese secondo il reale interesse delle classi lavoratrici. Una tale democrazia è un po’ più profonda del parlamentarismo!»10

Trotsky sostiene anche, però, che il grado di democrazia non è ciò che caratterizza i Soviet: solo la loro natura di classe11 è l’aspetto davvero essenziale.

La sinistra comunista in Italia, quando era ancora corrente del partito socialista, fissò alcuni punti fermi relativi alla natura e al funzionamento dei Soviet12, cui è possibile riferirci ancor oggi.

I Consigli proletari, innanzitutto, dopo l’abbattimento rivoluzionario dello Stato borghese, diventano dunque gli organi di Stato della fase di transizione dal capitalismo al comunismo. Tutti gli organi borghesi, da quelli locali a quelli centrali, vengono sciolti dalla rivoluzione stessa.

La borghesia è esclusa da ogni diritto di elettorato attivo e passivo. I deputati dei Consigli sono eletti dai soli lavoratori. «In ciò consiste la loro sostanziale caratteristica, tutte le altre modalità della loro costituzione essendo affatto secondarie. La esclusione della classe borghese da ogni rappresentanza, anche come minoranza, negli organi politici della società, ossia la “dittatura del proletariato”, costituisce la condizione storica per la lotta politica contro la resistenza controrivoluzionaria borghese, per la eliminazione di ogni sfruttamento e per la organizzazione della economia comunista».

Nella società, interessi specifici e peculiari di gruppi di lavoratori potranno trovare organi che li esprimono, ma «tutta l’attività di tali organi dev’essere subordinata alle direttive tracciate dal sistema dei soviet politici, che per la loro essenza e costituzione rappresentano gli interessi generali».

Le Tesi della sinistra proseguivano con la posizione del problema del Partito: come si relaziona il partito comunista ai Consigli?

Partito e Consigli

Nelle Tesi del 1920, la Frazione Comunista Astensionista individua come compito del partito comunista quello di battersi, nei Consigli già costituiti, per conquistare «la maggioranza dei loro mandati e gli organi centrali del sistema dei Consigli».

Con la conquista del potere i Soviet non devono essere svuotati di funzioni e sostituiti dal Partito: al contrario, nell’opera di lavoro politico all’interno dei Consigli proletari il partito «persevera dopo la conquista del potere, sempre con l’obbiettivo di dare coscienza politica e unità d’intenti all’azione proletaria, combattendo gli egoismi ed i particolarismi». Niente sostituzionismi!

Eppure l’idea che il Partito comunista possa o debba sostituire i Consigli dei deputati dei lavoratori nell’esercizio del potere proletario serpeggiava già in quegli anni, e iniziava a far capolino in molte opere del movimento rivoluzionario. Fino a teorizzare una vera e propria dittatura del partito, unico, quest’ultimo, in grado di realizzare effettivamente le misure necessarie per la trasformazione rivoluzionaria della vecchia società nel comunismo.

La dittatura del partito e Trotsky

La posizione di Trotsky in Terrorismo e comunismo sulla dittatura del partito è particolarmente significativa: «nelle mani del partito viene concentrato il controllo generale. Esso non amministra direttamente, dato che il suo apparato non è adatto a questo scopo. Ma esso ha l’ultima parola in tutti i problemi fondamentali. Inoltre, la nostra esperienza ci ha convinti che, in tutte le questioni controverse [...] in generale l’ultima parola spetta al Comitato Centrale del partito.»13

E ancora, scrive: «in realtà la dittatura dei Soviet è stata possibile solo attraverso la dittatura del partito. [...] In questa “sostituzione” del potere del partito, al potere della classe operaia non c’è nulla di accidentale, in realtà non c’è stata affatto una sostituzione. I comunisti esprimono gli interessi fondamentali della classe operaia. E’ naturale che in un periodo in cui la storia mette all’ordine del giorno in tutta la loro grandezza questi interessi, i comunisti siano divenuti i rappresentanti riconosciuti dell’intera classe operaia.»14

Per tutta la vita continuò a sostenere che la dittatura del partito bolscevico fosse corretta, indispensabile, e che fosse irrinunciabile, in quel frangente, il monopartitismo:

«Il partito bolscevico esercitò, certo, un monopolio politico nel primo periodo dell’epoca sovietica. […] L’interdizione dei partiti di opposizione fu una misura provvisoria dettata dalle esigenze della guerra civile, del blocco, dell’intervento straniero e della carestia. E il partito governativo, che era allora l’organizzazione autentica dell’avanguardia proletaria, viveva una vita intensa. La lotta dei gruppi e delle frazioni nel suo seno prendeva il posto, in una certa misura, della lotta dei partiti. [Con lo stalinismo invece] l’interdizione dei partiti, misura una volta provvisoria, è divenuta un principio».15

Fino alla fine sosterrà questa idea. Accanto ad essa, tuttavia, nell’ambito della sua tesi dell’Urss come Stato operaio degenerato e non come capitalismo di Stato, agitava la necessità di ripristinare in Russia la democrazia sovietica e il multipartitismo sovietico come condizioni per la rigenerazione di quella rivoluzione che non seppe riconoscere come sconfitta ormai da decenni16.

L’idea del multipartitismo sovietico, scrive Trotsky, può apparire nuova nella forma ma non lo è nel contenuto17, ed in fondo era coerente con la stessa esperienza della rivoluzione russa finché fu viva.

 

La dittatura del partito e Bordiga

Nell’ambito del movimento rivoluzionario, Bordiga fu tra coloro che nel modo più esplicito sostenne la dittatura del partito. Ma «bisognerà attendere la redazione del corpo di tesi del 1951, con un Bordiga slegato da ogni disciplina che la milizia rivoluzionaria impone, per vedere più accentuata la tendenza ad attenuare il nesso tra il partito e la classe, ponendo l’accento più sul ruolo del partito e meno su quello della classe. Il partito — vi si afferma — come avrà diretto da solo ed in modo autonomo la lotta della classe sfruttata per abbattere lo Stato capitalistico, così da solo ed in modo autonomo dirige lo Stato del proletariato rivoluzionario».18

Commenta Onorato Damen:

«Che cos’è questa se non chiara indicazione a negare validità alla dittatura del proletariato, in quanto dittatura di classe, che il partito esercita e a dare il via libera alla teorizzazione della “dittatura del partito”, che non può sostituire la classe nel suo compito di antagonista storico del capitalismo?».

In una serie di articoli dedicata al libro di Lenin L’estremismo, malattia infantile del comunismo19, Bordiga tornerà a definire punto centrale la questione della dittatura del partito. Scrive il rivoluzionario di Resina:

«è proprio in queste pagine, che sarebbero state scritte contro noi veri marxisti di sinistra, che Lenin disperde da par suo ogni esitazione e ogni distinzione di principio tra dittatura del proletariato, dittatura del partito, e anche dittatura di date persone. Lenin infatti, nel suo V paragrafo intitolato: “Il comunismo in Germania. I capi, il partito, la classe, le masse”, cita ampiamente un opuscolo dei comunisti tedeschi di sinistra, che pone la vuota alternativa: si deveper principioaspirare alla dittatura del partito comunistao a quella della classe proletaria? E che poco più oltre contrappone due soluzioni: il partito dei capi che agisce dall’alto, e il partito delle masse che aspetta l’ascesa della lotta dal basso. La critica a questo punto svolta da Lenin si riduce a stabilire che se si rinunzia al “dominio del partito” che scandalizzava quei comunisti, si rinunzia alla dittatura del proletariato e alla rivoluzione, e se si vuole che il partito non agisca per mezzo di “capi” solo per paura di questa parola, si ricade nella stessa impotenza. Il nostro è un partito diverso da tutti i partitiil nostro ingranaggio di uomini rivoluzionari è diverso da tutti gli ingranaggi adulatori e pubblicitari degli altri movimenti. E Lenin riattaccherà questo alla necessità vitale della organizzazione “illegale”. Nella sua formidabile dote di chiarezza, Lenin non ci darà qui definizioni filosofiche di quelle “categorie” che sono masse, classe, partito e capi. I tempi urgevano e la sistemazione venne per altra via. Ma il testo di Lenin toglie di mezzo ogni esitazione sulla necessità che la dittatura sia del partito, e in determinati estremi anche di dati uomini del partito; il che da allora a oggi fa inorridire tutti i ben pensanti, pronti tuttavia sempre a prosternarsi a vertici di quattro duci, o, come diciamo noi, di quattro Battilocchi. Altro che permessi da designazioni elettorali e consultazioni interne! “Il solo fatto di porre il dilemma ‘dittatura del partito oppure dittatura della classe?’ ‘dittatura (partito) dei capi oppure dittatura (partito) delle masse?’ attesta una incredibile e irrimediabile confusione di idee... Tutti sanno che le masse si dividono in classi; che si possono contrapporre le masse e le classi soltanto quando si contrapponga l’immensa maggioranza generica, non articolata secondo la posizione nell’ordinamento sociale della produzione, alle categorie che occupano un posto speciale nello stesso; che le classi sono dirette di solito e nella maggior parte dei casi, almeno nei paesi civili moderni, da partiti politici, che i partiti politici come regola generale sono diretti da gruppi più o meno stabili di persone rivestite della maggiore autorità, dotate di influenza e di esperienza maggiore, elette ai posti di maggiore responsabilità e chiamate capi. Tutto ciò è elementare, semplice e chiaro”. (Ed. Mosca 1948, cfr., pag. 565.)»

Tuttavia, sovrapporre la questione del ruolo che il partito comunista deve assumere nei Consigli e quella dell’esclusiva dittatura dei partito porta a deformare i termini della questione, finendo per riflettere la sfiducia che la controrivoluzione ha seminato nelle stesse avanguardie, il suo peso ideologico e psicologico. Si finisce per assumere un punto di vista metafisico, che vede nel partito non un’avanguardia della classe ma un corpo illuminato e incorrotto che può condurre tutta l’umanità a un nuovo ordine sociale.

Se la dittatura è del partito e non del proletariato, la trasformazione rivoluzionaria è impossibile: «tanto per la produzione in massa di questa coscienza comunista quanto per il successo della cosa stessa è necessaria una trasformazione in massa degli uomini, che può avvenire soltanto in un movimento pratico, in una rivoluzione; che quindi la rivoluzione non è necessaria soltanto perché la classe dominante non può essere abbattuta in nessun’altra maniera, ma anche perché la classe che l’abbatte può riuscire solo in una rivoluzione a levarsi di dosso tutto il vecchio sudiciume e a diventare capace di fondare su basi nuove la società»20. E la rivoluzione non è solo la presa del potere, ma soprattutto la transizione dal capitalismo al comunismo; essa necessita della partecipazione del proletariato in quanto classe per riuscire in quanto rivoluzione e per consentire la stessa trasformazione degli uomini. «L’emancipazione della classe operaia deve essere l’opera degli operai stessi», sono le parole che aprivano gli Statuti dell’Associazione internazionale dei lavoratori. Nessun dio comunista potrà prenderne il posto.

C’è da dire che lo stesso Damen, nei Punti di dissenso dalla “piattaforma” del 1952 elaborata da Bordiga, scriverà che la formula “La dittatura proletaria è esercitata dal partito” è:

«affermazione teoricamente e politicamente giusta e, ad onta della recente terribile esperienza russa, sempre valida alla condizione però che il partito e i suoi organi direttivi che di fatto esercitano la dittatura, operino come una parte della classe, all’unisono con gli interessi, le lotte e gli obiettivi storici di tutto il proletariato e fino alla scomparsa delle classi e dello Stato. Storicamente la dittatura è del proletariato e non del partito nel senso che è il proletariato, in quanto classe al potere, che convoglia e accentra nel “suo” partito e vi cristallizza motivi, forze e volontà di cui la dittatura proletaria si sostanzia. Fuori di questi termini si ha lo stalinismo, cioè la dittatura dello Stato (stato partito) che ha soppiantato il proletariato e rigettato all’oppressione il giorno in cui è riuscito a far girare all’inverso la ruota della rivoluzione».

Ma già la precisazione porta in evidenza quanto sia scivolosa la stessa formulazione. Più appropriato ribadire invece una prospettiva che, in continuità con la tradizione del comunismo rivoluzionario di Marx, di Lenin e della sinistra comunista in Italia, meglio sappia esprimere la corretta relazione tra avanguardia raccolta nel partito e democrazia consiliare proletaria. Scrive ancora Onorato Damen:

«Nella concezione leninista la dittatura del proletariato significava presenza e continuità di un contenuto di classe basato sui rapporti di democrazia nel quadro della più rigida centralizzazione propria della dittatura, da qui il rapporto dialettico tra democrazia e dittatura. Il deperimento dello Stato e della dittatura di classe aprirà la fase dell’esercizio della più larga e più completa democrazia proletaria in cui concretamente si esprime e si esalta una società socialista. Tale tendenza alla totale socialità della classe che si articola nella fase transitoria nel grembo stesso della dittatura è quanto di avvenire, di vivo e di operante si genera dal processo di deperimento di ogni struttura di autorità, di coazione e di esercizio della forza e non trova posto in una dittatura di partito nella quale si spezza di fatto il rapporto dialettico nella misura in cui ogni decisione viene unilateralmente e unicamente dall’alto e la disciplina rivoluzionaria viene amministrata anche nella fase pre-rivoluzionaria, ad esempio, da Commissari Unici solo per viscerale amore dell’antidemocrazia»21.

 

Autorità e libertà

Onorato Damen contribuirà, in particolare in Autorità e libertà - Introduzione a ‘La Rivoluzione Russa’ di R. Luxemburg, a superare dialetticamente l’apparente dicotomia tra le due posizioni classiche sul partito e sulla dittatura che si confrontano tre le avanguardie rivoluzionarie: quella maggiormente inclinata a porre enfasi sulla spontaneità dei lavoratori e quella che sottolinea con maggior forza la necessità del partito. Attorno alla rivoluzione russa le posizioni su queste questioni divennero molteplici; le teorizzazioni di Lenin e di Luxemburg furono quelle che, maggiormente, espressero con rigore questa polarizzazione del punto d’attenzione su un aspetto o l’altro.

«Il tema della disputa che allora sembrò incentrarsi sul problema delta organizzazione del partito, il centralismo democratico, doveva necessariamente ampliarsi e approfondirsi investendo quello dello stato operaio a più precisamente quello della dittatura del proletariato, come essa è apparsa nella fase leninista della sua affermazione».

Come osservò Damen, «è proprio in virtù della polemica di allora tra i due maggiori teorici del marxismo e del posteriore riesame critico della viva esperienza del proletariato russo, che oggi possono essere dette parole definitive sul problema della dittatura e del partito che ne è lo strumento più sensibile dacché uscito dal regno della semplice enunciazione teorica esso ha fatto irruzione nella vita e nella storia».

Secondo Lenin il partito deve essere «una organizzazione di combattimento basata sul centralismo democratico, sul potere d’un omogeneo comitato centrale e su una salda rete di rivoluzionari professionali; un partito cioè concepito come uno strumento cosciente della storia, interprete e protagonista degli avvenimenti». Damen non si nasconde gli inevitabili «pericoli dell’autoritarismo, della politica dall’alto, del funzionarismo e quindi dell’opportunismo» che un modello di partito così concepito può covare. Allo stesso tempo, la forma del partito bolscevico era l’unica possibile «nella Russia zarista, nella cospirazione e nella fase incandescente della insurrezione».

A differenza di Lenin, Rosa Luxemburg aveva maturato la propria esperienza all’interno della socialdemocrazia tedesca, ed era indotta così «a porre l’accento non sui metodi della cospirazione ma sulla organizzazione delle grandi masse operaie, sui diritti della democrazia operaia e sulle conquiste della libertà impossibile senza la democrazia», esprimendo una «illimitata fiducia» nel proletariato e nelle «capacità creative» delle sue lotte. 

Damen sottolinea subito che sarebbe un errore concludere che Lenin non avesse altrettanta fiducia nei lavoratori, «soltanto che al mito della sua autosufficienza sostituiva la necessità del partito forte, accentrato, guida sicura e insostituibile delle masse nella lotta rivoluzionaria».

Questa disputa ha generato schiere di rigidi sostenitori di una posizione o dell’altra. Ma Onorato Damen va oltre, esprimendo così un importante contributo per le generazioni rivoluzionarie seguenti: ora, scrive, «noi non ci chiediamo quale sia stata la via più giusta». La questione infatti va contestualizzata con attenzione.

In Germania si aveva il proletariato «politicamente […] più agguerrito delle armi della ideologia e della organizzazione», la cui tragedia «nel momento della più alta tensione rivoluzionaria del primo dopoguerra è proprio consistita nella incapacità di darsi una guida sicura, conseguente, realizzatrice: fallito nel gennaio 1919 il moto spartachista per non aver potuto né saputo legare l’iniziativa rivoluzionaria all’azione delle grandi masse, fallito nei 1921 il tentativo insurrezionale dei comunisti berlinesi; venuto meno nel 1923 al suo compito fondamentale il Partito Comunista tedesco, nato dall’eroico nucleo spartachista, perché prono a un centro internazionale già malato d’opportunismo».

In questo scenario, La vittoria del partito bolscevico in Russia è l’«unico elemento positivo». Di fronte ad esso, la polemica di Rosa Luxemburg “tace”. La Russia aveva visto “lo strumento-partito” operare «concordemente alle condizioni obiettive, tempestivamente e con mezzi adeguati, saldamente legato agli interessi delle grandi masse operaie in rivolta».

Il corso degli eventi portò poi il partito bolscevico stesso – «armato dello stesso metodo, della stessa fraseologia, persino degli stessi uomini» – a diventare il difensore degli interessi del Capitale e a spacciare per «realizzazione socialista la costruzione del più mostruoso capitalismo di stato».

Per Onorato Damen bisogna superare l’idea di un’azione unilaterale, sia dal basso verso l’alto che dall’alto verso il basso. “Basso” e “alto” infatti possono «realizzarsi solo attraverso un’armonica azione di interdipendenza». Il contributo di Damen si esprime esplicitamente contro le insufficienze speculari dell’operaismo e del volontarismo da una parte, e del «determinismo meccanicistico» e del «partito-demiurgo che dovrebbe operare un bel giorno lo strappo rivoluzionario per delega d’una classe operaia svuotata della sua funzione storica e considerata come semplice massa bruta che verrà spinta all’urto da chi sa quale forza taumaturgica di capo o di Comitato Centrale».

Qual è allora il rapporto tra proletariato e partito e tra proletariato e dittatura?

Il partito è innanzitutto quell’organo che «in ogni fase della sua azione e in ogni sua istanza interpreta e armonizza su di un piano unitario l’azione di classe». Se non ci fosse l’azione di classe, infatti, non ci sarebbe rivoluzione e nessun partito potrebbe supplire a tale assenza.

Nella rivoluzione russa la vittoria è avvenuta grazie a questa relazione dialettica: un «ritorno dell’alto verso il basso, il ritorno cioè della volontà realizzatrice del partito verso la enorme forza esplosiva della classe da cui quella volontà era stata determinata».

L’accento che la Luxemburg poneva sulla «democrazia operaia come istanza alla libertà», configura la dittatura del proletariato come un unicum nella storia delle società di classe. Il suo tratto caratteristico è la «libertà politica illimitata», non la sua contrazione. E’ solo lo spazio pubblico che rende possibile l’autoemancipazione dei lavoratori. Non certo democrazia formale: quello che intende la dirigente spartachista è «una articolazione sostanziale, democratica della dittatura». La dittatura di classe è già immediatamente democrazia socialista, che è insieme «demolizione della dominazione di classe» e «costruzione del socialismo”. Siamo di fronte a un compito storico di tale portata che non può essere compiuto da una «minoranza a nome della classe», ma che richiede la più attiva partecipazione dei lavoratori stessi.

Per uscire dall’impasse dell’alternativa metafisica tra autorità e libertà, dittatura e democrazia, «meglio ancora, tra le forze sociali della dittatura e gli organi della sua direzione», è necessario pensare dialetticamente, cogliere il «rapporto di vicendevole implicazione».

Il partito è legittimato nella sua funzione nella dittatura nella misura in cui «opera nella classe come forza motrice della rivoluzione per aver accumulato quanto di esperienza, di teoria rivoluzionaria e di potenziale di forze la classe è andata esprimendo nelle sue lotte quotidiane contro il capitalismo».

Lo sbilanciamento verso un termine o l’altro si ha quando viene meno questo rapporto dialettico. La degenerazione è a questo punto la conseguenza che dobbiamo aspettarci.

La conclusione di Onorato Damen è una linea-guida per il futuro di particolare importanza:

«La dittatura del proletariato di domani, qualunque sia il paese nel quale si attuerà, sarà un’esperienza nuova nel senso che contempererà l’intuizione e l’ottimismo rivoluzionario della Luxemburg e il duro insostituibile insegnamento di Lenin; si avrà cioè la sintesi della autorità e della libertà, lo sviluppo di rapporti di democrazia operaia sempre più operanti nei quadri della dittatura, la quale sarà tanto più terribile e inflessibile quanto più fitta e vendicativa si ergerà attorno la selva di baionette del capitalismo internazionale che non vuol morire, costi quel che costi anche se già morto nelle “cose” della sua esperienza storica»22.

                       

Alcuni punti da cui ripartire

Gli aspetti formali, per lo più, non modificano la sostanza del semi-Stato proletario: esso sarà caratterizzato dalla sua natura di classe. L’unico aspetto formale che corrisponde e partecipa a qualificare la sostanza di classe del semi-Stato proletario è la sua strutturazione attraverso organismi consiliari. Consigli proletari che centralizzano e gestiscono unitariamente il potere proletario, in una viva dialettica tra le istanze più minute espresse dai contesti locali, dalle circostanze particolari, e la direzione storica di uscita dal capitalismo. Il partito non può sostituire i Consigli, pena soffocare la rivoluzione stessa. «In nessun caso il potere rivoluzionario del proletariato può corrispondere al potere del partito rivoluzionario esercitato in esclusiva, perché se così fosse non ci sarebbe nessuna rivoluzione in corso e nulla che possa surrogarne la mancanza»23. Naturalmente, tutti gli aspetti specifici che dovrà assumere la democrazia consiliare proletaria del futuro dipenderanno non da statuti preparati a tavolino, ma dalla concreta dinamica della lotta di classe e dalle circostanze del momento. Ma la condizione della nascita di una società finalmente umana è senz’altro una libera, piena, espansiva vita pubblica proletaria nella società, che nei Consigli deve poter trovare la sua massima espressione.

Il partito deve conquistare all’interno dei Consigli la maggioranza del proletariato, per esercitare la sua direzione. Non esiste e non può esistere un partito puro e infallibile, la correttezza teorico-politica e programmatica si misura nella praxis. «La questione se al pensiero umano appartenga una verità oggettiva non è una questione teorica, ma pratica. E’ nell’attività pratica che l’uomo deve dimostrare la verità, cioè la realtà e il potere, il carattere terreno del suo pensiero. La disputa sulla realtà o non-realtà di un pensiero che si isoli dalla pratica è una questione puramente scolastica» (II tesi su Feuerbach). Questo non può che valere anche per quelle forze politiche proletarie che si candidano ad essere avanguardie comuniste, nella rivoluzione e nella dittatura. Nella vita effettiva non ci sono garanzie metafisiche di possedere la verità e di essere gli unici, eletti portatori della giusta direzione.

Nel seno dei Consigli si confronteranno, si scontreranno e collaboreranno le avanguardie rivoluzionarie. La prassi stessa, l’esperienza, la crescente coscienza, ma anche un cammino inedito pieno di prove ed errori, successi e tentennamenti, selezionerà le forze dirigenti nella rivoluzione e nella transizione. Il partito comunista avrà lì la sua battaglia più entusiasmante. Il proletariato, allo stesso tempo, il ruolo di protagonista della più grande trasformazione sociale che la storia umana abbia mai conosciuto.

Note

1 K. Marx, Critica al Programma di Gotha, 1875, https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1875/gotha/cpg-cp.htm.

2 Cfr. F. Engels, Antidühring, Terza Sezione: Socialismo, II. Elementi teorici, 1878.

3 G. Lukács, Lenin. Unità e coerenza del suo pensiero, Torino 1970, pp. 77-78.

4 S. Isaia, 1917 – 2017. Il grande azzardo, III, https://sebastianoisaia.wordpress.com/2017/02/15/1917-2017-il-grande-azzardo-ii/

5 Così V.I. Lenin, Stato e rivoluzione, 1917, https://www.marxists.org/italiano/lenin/1917/stat-riv/sr-1cp.htm.

6 Cfr. Karl Marx, Friedrich Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, 1848.

7 “Il problema del potere”, Il Comunista, 13 febbraio 1921.

8 “Il parlamento e la lotta per i soviet”, Lettera circolare del CE dell’Internazionale Comunista, a firma del presidente del CE dell’Internazionale Comunista, G. Zinoviev, 1 settembre 1919.

9 “Tesi della III Internazionale sulle condizioni di costituzione dei Consigli operai”,

Die Kommunistische Internationale, n. 13/1920, pp. 124-125.

10 L. Trockij, Terrorismo e comunismo, Milano 2011, p. 111.

11 Ivi, p. 153.

12 “Tesi sulla costituzione dei Consigli operai proposte dal CC della Frazione Comunista Astensionista del PSI”, Il Soviet, anno III, n. 11, 11 Aprile 1920.

13 L. Trockij, Terrorismo e comunismo, cit., p. 164.

14 Ivi, p. 166.

15 L. Trockij, La rivoluzione tradita, Milano 1990, pp. 248-249.

16 Cfr. L. Trotsky, L’agonia del capitalismo e i compiti della IV Internazionale. La mobilizzazione delle masse attorno al Programma di Transizione in preparazione della conquista del potere. Programma di Transizione (1938), https://www.marxists.org/italiano/trotsky/1938/6/transiz.htm

17 L. Trotsky, «It Is Necessary to Drive the Bureaucracy and the New Aristocracy Out of the Soviets» (July 1938), Fourth International, Vol. 15 n. 1, Inverno 1954, pp. 34–35.

18 O. Damen, Punti fermi di teoria e di prassi rivoluzionaria nell’arco storico del capitalismo, http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla34/index.php/onorato-damen-scritti/raccoltascritti/24-bordiga-parte1

19 [A. Bordiga], “Il testo di Lenin su ‘l’estremismo malattia d’infanzia del comunismo’, condanna dei futuri rinnegati”, Il Programma Comunista, nn. 6, 17, 18, 19, 20, 21, 24/1960 e 1/1961. Poi in La sinistra comunista in Italia sulla linea marxista di Lenin, edizioni “Il Programma comunista”, 1964.

20 K. Marx, F. Engels, Ideologia tedesca, 1945, https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/capitolo_III.html.

21 O. Damen, Punti fermi di teoria e di prassi rivoluzionaria nell’arco storico del capitalismo, cit.

22 http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla34/index.php/onorato-damen-scritti/raccoltascritti/18-autorita-liberta

23 S. Isaia, ibidem.