Recensione Pandeconomia

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Creato: 11 Giugno 2020 Ultima modifica: 11 Giugno 2020
Scritto da Lorenzo Procopio Visite: 1666

Ragionando sul libro “Pandeconomia. Le alternative possibili” di Tonino Perna, ossia i frutti avvelenati del neoriformismo.

pandeeconomiaMentre la pandemia da coronavirus non ha ancora esaurito il suo carico di morte e lo stesso numero di contagiati a livello mondiale non accenna a diminuire, spuntano come funghi, assolutamente avvelenati per i proletari, saggi e libri che tentano di spiegare le origini di questa crisi epocale, proponendo delle soluzioni  “alternative” al disastro economico che sta lasciando in eredità il Covid-19. E’ lungo questo crinale che si colloca anche l’ultimo lavoro di Tonino Perna, appena pubblicato da Castelvecchi,  “Pandeconomia. Le alternative possibili”, un agile libro che tenta di interpretare l’ultima grande crisi che ha investito il mondo intero. Perna, una delle firme più in vista del giornale “Il Manifesto”,  ha suddiviso in tre parti il suo pamphlet. La prima è dedicata alla storia della pandeconomia, attraverso una breve rassegna dei più importanti eventi pandemici che hanno investito il mondo occidentale nei secoli scorsi; la seconda parte si concentra ad analizzare la pandeconomia al tempo del coronavirus, mentre l’ultima parte delinea gli scenari futuri e le possibili alternative che la stessa pandemia offre. E’ quest’ultima sezione che ci ha convinti a scrivere queste brevi note sul libro di Tonino Perna, in quanto in essa si nascondono, dietro la maschera della novità, le vecchie e polverose ricette di un riformismo che non ha più ragion d’esistere se non per sostenere il capitalismo anche in questa fase storica in cui l’umanità è catapultata nella miseria generalizzata e nella guerra imperialistica permanente.

Ma seguiamo per intero il percorso del libro. Nel descrive gli eventi del passato, l’autore del libro non condivide la definizione di “Economia di guerra”, utilizzata da molti intellettuali ed economisti, per descrivere il blocco delle attività produttive che gli stati nazionali hanno imposto per limitare la diffusione del covid-19. Se condividiamo con Perna l’idea che non siamo di fronte ad un’economia di guerra, infatti l’interruzione delle attività produttive non sono state imposte da bombardamenti che distruggono gli apparati produttivi, è necessario precisare che il moderno capitalismo per alimentare la sua fame di plusvalore è costretto a scatenare in ogni angolo del pianeta delle guerre. Viviamo l’epoca della guerra imperialistica permanente, combattuta per il controllo della produzione di capitale fittizio che a sua volta consente, a chi è in grado di produrlo, l’acquisizione di plusvalore da ogni angolo del pianeta.

Ma cos’è la Pandeconomia? E’ “la trasformazione dell’economia dei singoli paesi come del mercato mondiale al tempo della pandemia”[1]. Dopo aver definito la nuova fase, l’autore del libro esamina gli effetti di tale pandemia, che rispetto a quelle del passato si è propagata ad una velocità senza precedenti e non risparmiando alcun angolo del mondo. Sono gli effetti del mondo globalizzato ad aver facilitato la diffusione del virus e quindi della stessa pandeconomia. Crollo del Pil, aumento esponenziale del debito pubblico, crollo del mercato internazionale, aumento delle tensioni sui mercati finanziari sono solo alcune delle conseguenze che Perna mette in evidenza in questa parte del suo libro. Mentre sul piano sociale la pandeconomia colpisce più duramente chi vive di lavori precari ed informali, mentre “Sono stati risparmiati i dipendenti pubblici che hanno preso coscienza del bene incomparabile del posto fisso[2]. Sorvolando su quest’ultima frase che ci riporta alla mente l’ex ministro della funzione pubblica Renato Brunetta, è interessante notare come per Tonino Perna la crisi è un prodotto della diffusione del virus. Il capitalismo è assolto, la colpa di questa catastrofe è solo ed esclusivamente del virus. A differenza di quanto sostiene Perna noi pensiamo che questa crisi non è stata determinata dal virus, ma come tutte le altre che l’hanno preceduta anche questa crisi è un prodotto delle contraddizioni del modo di produzione capitalistico. Già prima della diffusione del Covid-19 erano evidenti i segnali che l’economia mondiale stava pericolosamente marciando incontro ad una recessione di dimensioni storiche; il virus ha soltanto accelerato i tempi ed accentuato gli effetti della crisi stessa[3].

Passiamo ora all’ultima parte del libro, con le sue bizzarre proposte che, nell’immaginario dell’autore del libro, dovrebbero far uscire la società dalle secche della crisi.  Per Tonino Perna la pandeconomia rappresenta “la fine del ciclo neoliberista, delle privatizzazioni che hanno invaso tutti i campi della società; la cultura, l’educazione, la sanità, l’abitazione, gli spazi pubblici, ecc. Ha messo a nudo le contraddizioni di un sistema che crea disuguaglianze crescenti che diventano insopportabili di fronte al diritto alla vita”[4]. Se è vero che il capitalismo ha allargato il divario di classe tra una ristrettissima minoranza che si accaparra della quasi totalità della ricchezza prodotta e una maggioranza della popolazione mondiale che vive nella miseria generalizzata, non riusciamo proprio a capire sulla base di quali dati il giornalista de Il Manifesto sostiene che sia finito il ciclo neoliberista. Il neoliberismo, oltre ad abbattere le vecchie impalcature della politica keynesiana, ha esasperato la produzione delle forme più avanzate di capitale fittizio; non stiamo pertanto assistendo ad alcuna inversione di rotta rispetto a prima, infatti in piena emergenza Covid – 19 stiamo assistendo alla più spettacolare produzione di capitale fittizio come mai era accaduto nella storia del capitalismo. Per affrontare la crisi il capitale non ha altra scelta che esasperare la produzione di altro capitale fittizio, determinando che una massa crescente di capitali, che non vengono impiegati nelle varie attività produttive, per essere adeguatamente remunerata imporrà un aumento dello sfruttamento della forza lavoro e un ulteriore abbassamento dei salari.

Come si potrà uscire da questa crisi? E’ questa la domanda alla quale Perna tenta di formulare delle risposte. La prima ipotesi che avanza l’autore del libro è che questa crisi potrebbe riproporre il vecchio modo di produrre, alimentando in tal modo le tensioni sociali e lo scontro tra le grandi potenze mondiali; l’alternativa che sostiene Perna è che occorre valorizzare i cambiamenti positivi che sono emersi in questa pandemia. Elenchiamoli: 1) maggior uso dello smart working; 2) recupero dell’economia di prossimità (in altre parole sviluppo delle botteghe sotto casa che tanto hanno aiutato nel periodo di lockdown); 3) ripensare la città, rivalutando le zone rurali ed interne (questo perché in queste ultime zone il contagio del virus è stato molto basso); 4) riscoprire la solidarietà; 5) rilanciare la cooperazione internazionale; 6) riconsiderare l’economia fondamentale (ossia un ritorno all’economia dei beni essenziali alla sopravvivenza). L’insieme di questi cambiamenti favorirà il passaggio “l’equonomy, ossia ad un’economia che ritrova l’equilibrio nel nome dell’equità”[5]. E poche righe più avanti la proposta si ancor più esplicita laddove “E’ necessario puntare alla costruzione di una altraeconomia che, in prima istanza, come mero esercizio teorico, ma non sganciato dalla realtà, chiamiamo: equonomy. L’ equonomy come modo di produzione che punta a un rinnovato equilibrio tra attività umana e il patrimonio naturale che abbiamo ereditato”[6]. Dalla pandeconomia si può uscire con l’equonomy, intesa come un nuovo modo di produrre basato sull’equità sociale, sull’equidistanza (ossia decongestionare le città) e sull’incontro tra mondo occidentale ed orientale.

Partiamo dal primo punto. Lo smart working, a differenza di quanto sostiene Perna, accentua l’asservimento del lavoratore al capitale, subordinando tutta la sua vita al processo lavorativo. Il piccolo contentino di poter evitare il pendolarismo si paga a caro prezzo per il fatto che è totale la flessibilità dell’orario di lavoro. Secondo alcuni studi, in questi mesi in cui lo smart working è stato utilizzato come forma ordinario di lavoro, si sono registrati importanti aumenti di produttività, proprio a causa della maggiore flessibilità dell’orario di lavoro[7]. Proprio questa crisi è destinata ad esasperare le forme di sfruttamento più selvagge da parte di un capitale sempre più affamato di plusvalore. Non solo aumenterà lo sfruttamento dei lavoratori, ma il processo di concentrazione e centralizzazione del capitale spazzerà via le poche botteghe presenti sottocasa ancora rimaste aperte, a tutto vantaggio della grande distribuzione (vedi Amazon), e soprattutto alimenterà lo scontro interimperialistico a livello internazionale. In realtà l’equonomy è un termine dal vacuo significato che serve solo per evitare di inchiodare alle proprie specifiche responsabilità il capitalismo. E’ il vecchio vizio del neo riformismo non nominare mai l’unico vero responsabile di questa catastrofica crisi economico-sociale, che il virus ha soltanto anticipato ed accentuato, il modo di produzione capitalistico. Ci si riempie la bocca di termini come solidarietà, equità, rispetto della natura ecc., senza considerare che tali termini perdono di significato se non si tiene conto della formazione sociale in cui dovrebbero trovare applicazione. In un mondo, come quello in cui dominano gli interessi del capitale, termini come solidarietà, equità e rispetto della natura perdono di significato, in quanto prevalgono incontrastati altri valori. Tutto è subordinato agli interessi del capitale.

Ma il Perna pensiero lascia in fondo al libro l’ultima trovata per aiutare questa volta l’italica nazione ad uscire dalla crisi. “Infine, ci vuole un patto tra cittadini e Stato in nome dell’uscita dalla schiavitù da debito. Uscire dal ricatto dei mercati finanziari è possibile, se facciamo come i cittadini giapponesi che hanno comprato gran parte del debito dello Stato. Un atto di fiducia dei risparmiatori verso lo Stato che dovrebbe essere capace di meritarselo. Ma questo significa avere una classe politica all’altezza del compito storico che le è stato assegnato, come fu quella uscita dalla Resistenza, che ci ha donato la più bella Costituzione del mondo”[8]. Beh, è così chiaro il senso di tutto questo che ogni commento ci sembra superfluo; si sciolgono come neve al sole di primavera le belle parole sulla solidarietà, l’equità e l’equonomy, l’importante è difendere il capitalismo italiano dalla speculazione internazionale.

[1] “Pandeconomia. Le alternative possibili.” di Tonino Perna - ed. Castelvecchi pagina 23 dell’edizione digitale

[2] Ibidem pag. 29

[3] Leggere l’articolo “I fantasmi di una recessione prossima ventura. Le sue conseguenze sul piano di classe e su quello internazionale” di Gianfranco Greco apparso sul numero 14 di DMD’ nel settembre 2019 e ora disponibile al seguente link http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla34/index.php/questionieconomiche/505-fantasmiventuri

[4] “Pandeconomia. Le alternative possibili.” di Tonino Perna - ed. Castelvecchi pagina 42 dell’edizione digitale

[5] Ibidem pag. 50

[6] Ibidem pag. 51

[7] Consigliamo la lettura dell’articolo di Laura Ruocco “Chi è più smart, il lavoratore o il capitale?” apparso sul numero 15 della nostra rivista DMD’

[8] Pandeconomia. Le alternative possibili.” di Tonino Perna - ed. Castelvecchi pagina 57 dell’edizione digitale