Frontiere del capitale e prospettive del socialismo

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Creato: 18 Gennaio 2012 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 3218

L'interessante articolo di Piero Bevilacqua apparso sul Manifesto del 15 Gennaio[1] ci offre l'occasione di soffermarci su alcuni problemi che, mai come ora, riguardano la vita quotidiana dei salariati.

«Negozi sempre aperti, l’ultima frontiera del capitale» affronta “la proposta del governo italiano in carica di prolungare l’orario di lavoro dei negozi” che è, “a dispetto delle apparenze, un sontuoso cavallo di Troia che nasconde nella pancia alcuni fenomeni già all’opera nelle 'società più avanzate'”.

Al di là del commento più o meno tecnico sulla proposta, Bevilacqua ragiona su questa che “sembra una semplice iniziativa volta a facilitare gli acquisti dei cittadini-consumatori” e che “naturalmente cova la speranza di innalzare il ritmo dei consumi”, proponendo una chiave di lettura più ampia. L'autore parte da “cosa è accaduto là dove gli orari dei negozi sono stati deregolamentati per tempo. Negli Usa, che sono oggi il punto più avanzato dello sviluppo, è possibile scoprire la trappola in cui sono caduti i cittadini americani, trascinati da decenni in una bolla consumistica che alla fine è esplosa con immenso fragore”.

“I guadagni di produttività oraria realizzati nell’industria e nei servizi Usa non sono stati utilizzati, come era accaduto sino ad allora, per accrescere il tempo libero. Qui si è interrotto un antico percorso delle società industriali contemporanee. Gli incrementi produttivi sono stati monetizzati, tradotti in salario, grazie all’esca lucente di consumi sempre più abbondanti. Dove non bastava il salario, naturalmente, il credito bancario veniva amorevolmente in aiuto dei bisognosi di acquisto. Il risultato, dopo oltre un trentennio di questa gioiosa modernità, è che i lavoratori americani si sono trovati a lavorare in media 50 ore alla settimana e 350 ore annue in più dei loro equivalenti europei”. Negli USA, denuncia Bevilacqua, c'è stato un processo parallelo di deregolamentazione degli orari degli esercenti commerciali e d'aumento dell'orario di lavoro. Commenta l’autore: “questo è il modello che il capitale va imponendo: una giornata completamente occupata dal lavoro, che impone l’utilizzo di tempo supplementare, oltre l’orario diurno, per svolgere il proprio compito di consumatore”. Si completa così “il circuito di assoggettamento totalitario dell’individuo al processo di valorizzazione del capitale, che chiede sempre più tempo per la produzione e per i servizi, e ora sempre più tempo per i consumi”.

Una questione importante, che fa percepire quanto l'analisi di Marx del Capitale non sia un qualcosa da lasciare a pochi intellettuali, ma sia, al contrario, un'opportunità anche per capire cosa ci accade, in quali termini, con quali prospettive.

Per una comprensione dei termini in cui collochiamo la questione della durata della giornata lavorativa, rimandiamo in particolare al Capitolo 8 del Libro I del Capitale; sottolineiamo in ogni caso che sarebbe assolutamente improprio intendere il prolungamento della giornata lavorativa (e l’accesso crescente al credito) come strategia del capitale, negli ultimi decenni, per aumentare le capacità di acquisto dei salariati (e, quindi, la valorizzazione del capitale). Poniamo tra le basi del confronto su questo aspetto delle considerazioni che Marx sviluppa nel Capitolo 13 del Capitale. E' il capitolo “Macchine e grande industria”: la meccanizzazione renderebbe tecnicamente possibile una diminuzione dell'orario di lavoro, poiché determina un aumento della produttività del lavoro: cioè con le macchine si possono produrre in meno tempo più merci.

Tuttavia la meccanizzazione comporta un paradosso: le macchine “diventano, da principio, nelle industrie di cui si impadroniscono direttamente, il mezzo più potente per prolungare la giornata lavorativa al di là di ogni limite naturale”[2]. “Il periodo attivo di vita delle macchine è determinato evidentemente dalla durata della giornata lavorativa, ossia dalla durata del processo lavorativo giornaliero moltiplicata per il numero delle giornate in cui esso si ripete”[3]; nel capitalismo, poiché le macchine (in quanto capitale costante) non producono plusvalore, si determina “il paradosso economico che il mezzo più potente per l'accorciamento del tempo di lavoro si trasforma nel mezzo più infallibile per trasformare tutto il tempo della vita dell'operaio e della sua famiglia in tempo di lavoro disponibile per la valorizzazione del capitale”[4]; fenomeno che si ripropone con prepotenza nei termini contemporanei con l’introduzione, in particolare, della microelettronica nei processi produttivi. Quel “paradosso” diviene così spiegabile solo se inquadrato nei limiti del modo di produzione attuale.

Merita, a questo punto, particolare attenzione l'asservimento totale alle esigenze di produzione e riproduzione del capitale, che si realizza tendenzialmente in ogni momento dell'esistenza.

Nell'articolo “Discutendo di rivoluzione e comunismo” del numero 4 della rivista DemmeD' abbiamo proposto degli spunti su come Marx imposta il problema del “tempo libero” del moderno lavoratore salariato. Questa quota di tempo finisce per rientrare interamente nel processo di produzione e riproduzione del capitale. La tendenza sempre più marcata a spendere il tempo libero nella pratica consumistica riproduce l'individuo bisognoso, in maniera costante, e rende il lavoratore, in ogni istante, un mero accessorio del capitale.

Marx prende in considerazione “il processo di produzione capitalistico nel suo flusso continuo e in tutta la sua dimensione sociale. Convertendo in forma lavoro una parte del suo capitale, il capitalista valorizza tutto il suo capitale. Prende due piccioni con una fava. Trae profitto non solo da ciò che riceve dall'operaio, ma anche da ciò che gli dà. Il capitale ceduto nello scambio contro forza lavoro, viene convertito in mezzi di sussistenza il cui consumo serve a riprodurre i muscoli, i nervi, le ossa, il cervello, degli operai esistenti, e a generarne di nuovi. Perciò, nei limiti dell'assolutamente necessario, il consumo individuale della classe operaia è riconversione dei mezzi di sussistenza, ceduti dal capitale contro forza lavoro, in forza lavoro nuovamente sfruttabile dal capitale. E' produzione e riproduzione del mezzo di produzione più indispensabile al capitalista, l'operaio stesso. Il consumo individuale dell'operaio – avvenga dentro l'officina, la fabbrica ecc., o fuori, all'interno o all'esterno del processo lavorativo – rimane quindi un momento della produzione e riproduzione del capitale esattamente come la pulizia della macchina, avvenga essa durante il processo lavorativo o in date pause di questo; e a ciò nulla cambia il fatto che l'operaio compia il proprio consumo individuale per amore non del capitalista, ma di se stesso, così come il consumo della bestia da soma non cessa d'essere un momento necessario del processo di produzione perché la bestia gusta ciò che mangia. La costante conservazione e riproduzione della classe lavoratrice rimane costante presupposto della riproduzione del capitale. Il capitalista può tranquillamente affidarne il soddisfacimento all'istinto di conservazione e procreazione dei lavoratori. Ha soltanto cura che il loro consumo individuale si limiti, per quanto possibile, al puro necessario [...]. Perciò, anche, il capitalista e il suo ideologo, l'economista politico, considerano produttiva soltanto la parte del consumo individuale dell'operaio richiesta ai fini della perpetuazione della classe lavoratrice, cioè la parte che dev'essere effettivamente consumata affinché il capitale consumi la forza lavoro; quello che l'operaio può, per proprio piacere, consumare in più, è consumo improduttivo. [...] In realtà: il consumo individuale dell'operaio è improduttivo per l'operaio stesso perché non fa che riprodurre l'individuo bisognoso; è produttivo per il capitalista e per lo Stato perché è produzione della forza che produce la ricchezza altrui. Dal punto di vista sociale, la classe operaia, anche fuori dal processo lavorativo immediato, è quindi un accessorio del capitale quanto il morto strumento di lavoro. Perfino il suo consumo individuale, entro certi limiti, è solo un momento del processo di riproduzione del capitale”[5].

Nella rivista [6], alla quale rimandiamo soprattutto nell'ottica di promuovere discussione su questi temi, abbiamo avviato una riflessione sull'attualità della proposta comunista, superando i limiti di una concezione ottocentesca o novecentesca in cui troppo spesso viene imbrigliata. Superare questi limiti consente di avviare un confronto sul socialismo che possa ambire a rispondere anche a questi problemi, nei termini particolari che il capitalismo maturo comporta.

Le conclusioni dell'articolo di Bevilacqua vanno in altra direzione. Si sottolinea quanto i centri commerciali aperti giorno e notte metterebbero “in grave difficoltà i piccoli negozi di zona, accentuerebbe[ro] la crisi in cui versano, ne costringerebbe[ro] molti a chiudere favorendo il processo di desertificazione dei quartieri”. Ai piccoli negozi di quartiere Bevilacqua attribuisce la capacità di portare “benessere collettivo”, di rendere “un quartiere vitale”, di favorire “le mutue relazioni quotidiane”, portando “sicurezza senza bisogno di costose vigilanze e repressioni sicuritarie”.

Se non ci interessa una prospettiva tesa a “rinchiudere di nuovo, con la forza, entro i limiti degli antichi rapporti di proprietà i mezzi moderni di produzione e di traffico, che li han fatti saltare in aria, che non potevano non farli saltare per aria”[7], che finisce tra l'altro per coincidere con le rivendicazioni dei piccoli commercianti[8], è interessante notare come per l'ennesima volta il punto è su ipotetiche variazioni nell'ambito del sistema capitalistico, mentre il socialismo resta in genere estraneo al dibattito, anche tra chi rivendica un richiamo a Marx. Su questo tema rimandiamo all'articolo “Il capitalismo è in crisi. La sua alternativa, il socialismo, incute timore” del numero 4 della rivista DemmeD' convinti che sia una delle questioni principali da aprire al confronto più esteso.


Mario Lupoli


[1] Piero Bevilacqua, “Negozi sempre aperti, l'ultima frontiera del capitale”, il manifesto, 15 Gennaio 2012

[2] K. Marx, II Capitale, I, Roma, Editori Riuniti, 1965, pag. 446

[3] Ivi, pag. 447

[4] Ivi, pag. 452

[5] Karl Marx, Il Capitale, Libro I, UTET, Torino 2009, pagg. 734-735

[6] [6] Cfr. anche “Decadenza del capitalismo e attualità della proposta comunista”, DemmeD' n.4, Dicembre 2011

[7] Marx-Engels, Il Manifesto del Partito Comunista, 1948, capitolo III “Letteratura socialista e comunista”, § “Il socialismo piccolo-borghese”.

[8] Cfr. ad esempio Giuseppe Latour, “L'allarme di Confesercenti: dalle liberalizzazioni rischio danni per 4 miliardi di euro entro il 2015”, ilSole24ore.com, 19 Dicembre 2011