Riflessioni sulla "responsabilità" borghese

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Creato: 20 Giugno 2020 Ultima modifica: 20 Giugno 2020
Scritto da Alessandro Esotico, Egidio Zaccaria Visite: 1494

ruotationTutte le potenze ideologiche di questo vecchio mondo, tradizionali parrocchie e nuove “industrie”, tutte le istituzioni politiche, sindacali, sanitarie, religiose, si sono unite in una santa alleanza per la riproposizione perpetua dell’imperativo alla responsabilità: l’OMS, capi di Stato e di governo, il Papa, la televisione sono concordi nell’affermare che bisogna essere uniti e responsabili nella “guerra” al virus poiché riguarda tutti, senza alcuna distinzione.

L’assonanza con la prefazione a Il Manifesto è voluta. Quando questo fu redatto era la potenza del comunismo a destare preoccupazioni  tra i tutori dell’ordine sociale ma oggi le preoccupazioni non sono da ricercare nell’astratta potenza naturale del virus. Ribadiamo che questa pandemia, ed altre emergenze sanitarie, si manifestano nel bel mezzo della crisi del capitalismo: riduzione e ristrutturazione della spesa per i servizi pubblici sono misure stringenti per la borghesia.

Il piagnisteo borghese è certamente interessato a rovesciare i termini della questione ponendo le radici della crisi economica nella crisi sanitaria, così da nascondere tutte le responsabilità in capo al modo di produzione capitalistico. Non è una novità. Teniamo anche ad evidenziare che la crisi è della società borghese nella sua totalità e ci sembra quantomeno problematico, per non dire ingannevole, settorializzare oltremodo le questioni.

Ci siamo già occupati di questioni sanitarie ed inevitabilmente torniamo ad affrontarle nello stesso modo. Gli onori della cronaca, giustamente, oggi spettano al Covid-19 ma è da anni che si discute di altre emergenze sociali che toccano la salute. Tra queste spicca ad esempio quella della resistenza antibiotica, come causa di morte per centinaia di migliaia di persone ogni anno. Questa emergenza dalla lunga “incubazione” viene anch’essa presentata come un problema per l’economia laddove, piuttosto, sono gli strumenti del Capitale (assistenza sanitaria pubblica e privata) che rendono problematico persino offrire le più spicciole soluzioni borghesi.

Abbiamo già “inoltrato” una risposta - si fa per dire - a Sir Fleming, il quale già nel 1945 lamentava la possibilità che lo Streptococco potesse essere educato a resistere al suo farmaco, la penicillina. Egli si affidava all’uso intelligente di quest’ultima e si appellava alla responsabilità del signor X. Sulla contraddizione tra la forma merce e l’uso intelligente del suo farmaco abbiamo già detto[1]: nello stesso ordine di problemi rientra l’attuale appello borghese alla responsabilità, tutt’altro che un fatto nuovo per i camici bianchi e per il rafforzamento di un’ideologia. Alla propaganda incessante nell’essere tutti responsabili, al fine di garantire anche la continuità della produzione capitalistica, ha fatto gioco il richiamo alla barca comune.

Finché la barca va…

ottomani«Tutti uniti contro il coronavirus, Insieme ce la faremo, Siamo tutti sulla stessa barca» Questi sono alcuni degli slogan diventati ormai famosi in queste settimane. Su questa barca, però, c’è chi rema e chi frusta.

Il modo di produzione capitalistico si fonda sullo sfruttamento di una classe  su un’altra. Ed ecco che il virus si manifesta come una pandemia dai caratteri intrinsecamente classisti: la diffusione del virus relazionata alle circostanze sociali (sanitarie, economiche, ambientali ed alimentari) ha spinto lo stesso immunologo, ormai di fama internazionale, Anthony Fauci a dichiarare che «è una questione di disparità sanitaria. Non è che gli afroamericani vengano infettati più spesso dal virus, è che quando vengono infettati, le loro condizioni mediche preesistenti portano a un tasso di mortalità più elevato»[2]. Queste dichiarazioni suonano, per le nostre orecchie, come un vecchio materialismo che fa delle “condizioni mediche preesistenti” una sorta di metafisica sociale. L’oggettività di queste condizioni è piuttosto il prodotto di una prassi sociale. Questo breve excursus per precisare su una dichiarazione vagamente “socialista”.

Torniamo nei binari: dando uno sguardo ai fatti riportati dalla cronaca, è possibile farsi un’idea di quanto la responsabilità collettiva o individuale, sia divenuta un lavarsi le mani quasi a esorcizzare l’accaduto o un chiudersi entrambi gli occhi prima del salto nel vuoto, affidandosi alla dea bendata la quale, come vedremo, non ha accontentato tutti.

Scenari macabri si sono verificati in Ecuador, nella città di Guayaquil, dove masse di cadaveri sono state riversate per strada nel tentativo disperato di evitare la diffusione del virus da parte delle famiglie. Paradigmatica resterà l’immagine delle bare di cartone destinate a quei corpi senza vita lasciati fuori le proprie case alla stregua di rifiuti[3]. Senza dimenticare le fosse comuni nella civilissima New York: migliaia di corpi riversati ad Hart Island, nel Bronx[4]. Fenomeni simili si stanno verificando anche in altre aree, come ad esempio a Manaus in Amazzonia. Ha fatto scalpore la notizia della morte di un 17enne californiano, probabilmente affetto da coronavirus, e respinto dall’ospedale in quanto privo di assicurazione sanitaria[5]. Dallo Stato del Nevada sono giunte poi immagini di centinaia di senzatetto costretti ad abbandonare i propri “posti letto” e parcheggiati all’aria aperta. Un “problema”, quello dei senzatetto, che negli Stati Uniti è in crescita esponenziale. In Italia invece quasi 60mila persone, senza fissa dimora, e non assistiti dalle strutture di accoglienza, al collasso, hanno vissuto questa fase nel pieno isolamento, abbandonati a loro stessi per strada[6].

Un appello davvero commovente

Questo accorato ed unanime appello, dal sapore quasi lirico, a fare tutti la propria parte per sconfiggere il comune nemico, ha agevolato in settori del proletariato, impiegato negli asset strategici, la presa in carico di responsabilità per garantire la produzione anche a discapito della propria salute.

Prendiamo il caso italiano: Il 17 Marzo 2020, è entrato in vigore il decreto “Cura Italia”.

Tra i tanti punti trattati, come quello delle limitazioni e restrizioni alla possibilità di movimento e alle relazioni sociali, c’è stato ovviamente anche quello della chiusura di attività ritenute non indispensabili durante il regime di quarantena.

I sindacati, al riguardo, sono riusciti a strappare la generica “promessa” della regolamentazione sui luoghi della produzione per salvaguardare la salute dei lavoratori, creando malcontento in tante realtà. Forti preoccupazioni, ampiamente giustificate, in quanto moltissime fabbriche su tutto il territorio italiano non sono in grado, per motivi logistici, di garantire “la distanza minima di un metro”. Altre invece addirittura hanno deciso di non uniformarsi al “Cura Italia” come il gigante della distribuzione Amazon. Ed in merito a tale presa di posizione padronale fa notizia lo sciopero da parte del più grande stabilimento italiano, quello di Castel San Giovanni[7].

Sono altresì avvenuti scioperi in altre parti d’Italia; nei mesi della pandemia sono stati registrati nel milanese, nel mantovano, nel bresciano, a Terni, Marghera, Genova, alla Electrolux di Susegana, alla Irca di Vittorio Veneto, in tutto il gruppo Arcerol Mittal e in altre realtà. Gli operai volevano restare a casa per la paura del contagio, i sindacati invocavano  invece la sterilizzazione degli ambienti di lavoro e la dotazione di mascherine da parte dell’azienda. Ma proprio alla firma avvenuta a metà marzo del protocollo di intesa tra sindacato e Governo, il segretario generale della CGIL ha dichiarato che «Non si decide con la bacchetta magica da Roma»[8]. Insomma le modalità di applicazione del decreto è demandato alle politiche aziendali e buona fortuna ai lavoratori.

La fortuna avrà dovuto compiere degli straordinari se si considera che, nella cosiddetta “Fase 1”, il 44% della forza lavoro è rimasta attiva[9]. La Dea bendata probabilmente sarà stata messa sotto salario dal Governo. Ad essa sarà stato affidato il compito della salvaguardia dei lavoratori, i quali, tutti i giorni, avranno dovuto attraversare gli agglomerati urbani per andare al lavoro utilizzando mezzi pubblici dove il distanziamento sociale è praticamente impossibile da rispettare. Alla metà della forza lavoro italiana, nella fase del “chiudiamo tutto”, è spettato l’obbligo di una catena di contatti alla quale non ha potuto sottrarsi e le cui potenziali implicazioni sanitarie sono facilmente intuibili. In conclusione quel che si è chiesto al proletariato  è stato di assumersi la responsabilità di non promuovere il contagio esponendosi ogni giorno al rischio di potersi contagiare.

Non dovrebbe sorprendere inoltre che per garantire una quotidianità alla produzione capitalistica, coniugabile con la crisi sanitaria, si passi anche attraverso l’investimento e l’applicazione di dispositivi tecnologici atti al controllo sociale. Dispositivi che ben presto  potrebbero anche fare il “salto di specie” dalla dimensione sanitaria al processo di sfruttamento del lavoro salariato. Basti ricordare il caso cinese: il “sistema Qr code sanitario”[10] è stato sperimentato a partire dall’11 febbraio nella città di Hangzhou, esteso inizialmente a tre province (Zhejiang, Sichuan e Hainan più la municipalità da 180 milioni di abitanti di Chongqing) e ora a tutto il paese. Il sistema è molto semplice e funziona attraverso le due app più popolari di tutta la Cina: WeChat e Alipay. La prima è l’equivalente di Whatsapp creata del gigante Tencent; la seconda è stata sviluppata da Alibaba, la compagnia di e-commerce più grande al mondo che permette di pagare qualsiasi cosa in Cina. Tale dispositivo, integrato nel quadro complessivo del sistema di credito sociale cinese, ha “garantito” al gigante asiatico un controllo capillare della diffusione del virus. L’uso massiccio di tecnologie per contrastare l’emergenza sanitaria, se ha inizialmente riguardato i paesi orientali, è stata adottata poi anche in occidente. La diffusione è capillare e riguarda tutto il mondo: le app per il contact tracing sono innumerevoli. In Italia partirà a breve la sperimentazione in sei Regioni dell’app “Immuni”[11].

Responsabilità e irresponsabilità: due facce della stessa medaglia

In uno scenario di fortissime tensioni  internazionali, la stessa emergenza da coronavirus è stata strumentalizzata politicamente dalle varie frazioni della borghesia in costante lotta tra loro: Stati che accusano altri Stati di essere responsabili della diffusione della pandemia, o di aver praticato politiche irresponsabili nella gestione sanitaria. Non sono mancati Capi di Stato e imprenditori che hanno fatto proprie le più disparate teorie complottiste e negazioniste allo scopo di farsi strada (e fare strada) ideologicamente tra i proletari e la piccola borghesia.

Basti pensare a quanto dichiarato da Trump in questi mesi, il quale ha in un primo momento cercato di sminuire la portata del virus e poi ha utilizzato lo stesso per attaccare mediaticamente la Cina come “responsabile consapevole” della diffusione della pandemia[12], ma il gigante asiatico non si è fatto certamente attendere nel rispedire l’accusa al mittente[13].

Lo stesso Trump che ad annunciata pandemia ha continuato per molti giorni ad affermare che si trattasse di un semplice caso di influenza[14] , che il 6 Maggio 2020[15] ha esplicitato la volontà politica di riaprire tutto e subito, non curandosi delle implicazioni che una tale scelta poteva comportare nei confronti della popolazione e, inoltre, nel pieno del contagio, ha ritirato l’appoggio politico ed economico all’OMS accusandola di “Cino-centrismo”[16]. Nel solco di queste posizioni, ha fatto notizia nel campo dell’imprenditoria la posizione del noto Elon Musk sul piede di guerra e pronto a riaprire le sue attività, pur consapevole di rischiare la galera[17]. In questo scenario, che potremmo etichettare “di ordinaria follia”, degne di nota furono anche le dichiarazioni di malthusiana memoria di  Boris Johnson[18], sulla proposta di raggiungere l’immunità di gregge in Inghilterra. Senza dimenticare Bolsonaro, il quale anche dinanzi alla possibilità di una probabile ecatombe degli indigeni dell’Amazzonia[19], ha perpetuato nelle sue posizioni negazioniste, mettendo a rischio la tenuta del governo brasiliano.

Come abbiamo visto, in questo valzer del “tutto e di più”, anche i fatti di cronaca che appaiono superati da altre notizie evidenziano, invece, il modo borghese di concepire il fenomeno pandemico e di avanzare proposte, per i loro interessi, risolutive.

Tirando le somme, evidenziamo quanto il pendolo tra responsabilità ed irresponsabilità tradisca la matrice di classe borghese e dunque l’intento ideologico di nascondere per tutelare il modo di produzione capitalistico, gravando senza grosse remore sulla salute dei proletari. Tra queste due facce della stessa medaglia il proletariato non ha nulla da scegliere: ha piuttosto da battersi per la prospettiva della rivoluzione comunista, dove la “responsabilità” assume il suo vero significato, in realtà e potenza, per e con un nuovo punto di vista: l’umanità socializzata.

[1] 2050, una pessima annata

[2] Gli afroamericani muoiono sei volte in più dei bianchi

[3] 4.000 bare di cartone

[4] Fosse comuni per i morti da coronavirus

[5] Usa, 17enne morto perché senza assicurazione: pronto soccorso lo ha respinto

[6] 55mila senzatetto non possono “stare in casa”

[7] “Misure di sicurezza scarse, azienda non ci tutela”

[8] Un protocollo per lavorare in sicurezza

[9] Il 44% della forza lavoro è rimasta attiva

[10] Il codice sull'app che in Cina decide la libertà dei cittadini

[11] App Immuni, verso test in sei regioni

[12] La Cina ha eliminato le prove

[13] Il coronavirus lo ha portato l'esercito Usa

[14] Trump 'negazionista': "Con influenza vita va avanti"

[15]  Trump: "Dobbiamo riaprire anche se ci saranno più morti"

[16] E ritira gli Usa dall’Oms

[17] Elon Musk riapre la fabbrica di Fremont e chiede di essere arrestato

[18] Londra shock: contagiare il 60% dei britannici per sviluppare l'immunità.

[19] La linea negazionista di Bolsonaro fa cadere a pezzi il governo