La rivoluzione bolscevica compie 100 anni: la commemoriamo per rilanciarne gli ideali, le speranze, il programma di emancipazione dell'umanità

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Creato: 31 Ottobre 2017 Ultima modifica: 04 Novembre 2017
Scritto da Istituto Onorato Damen Visite: 3863

assalto palazzoLa Rivoluzione russa compie cento anni. La vogliamo ricordare non tanto per commemorarla ma per evidenziarne l'attualità in relazione a quanto il capitalismo ha socialmente prodotto da un secolo a questa parte e per chiederci quali siano i compiti delle avanguardie in questa fase storica.

La crisi del processo di accumulazione del capitale, da noi ampiamente studiata, ha generato una finanziarizzazione dell'economia senza precedenti, solo ai primi vagiti quando Lenin la analizzava nel suo L'imperialismo. Il mondo si è trasformato in un'enorme sala da gioco in cui migliaia e migliaia di miliardi di dollari, ogni giorno, trasportati da infinite reti telematiche attive nelle 24 ore, vengono scambiati in vorticose transazioni, spesso gestite da potenti algoritmi che sfuggono a ogni controllo umano.

Gigantesche bolle speculative hanno incominciato a riprodursi a partire dall'inizio degli anni novanta, in sequenza sempre più rapida e geograficamente estesa. Le ultime: la memorabile crisi borsistica delle dot-com del 2001 e quella del 2008. Hanno avuto come epicentro gli Usa e si sono impattate pesantemente sull'economia reale di tutto il mondo. Quella del 2008, causata dalle speculazioni finanziarie delle più grandi banche del mondo hanno costretto gli stati, per evitare una bancarotta generale, a espandere i debiti pubblici a livelli senza precedenti storici trasferendo i debiti delle banche sulla fiscalità generale e quindi principalmente sui lavoratori.

Quella crisi non è stata superata ancora oggi. Intanto, tutto questo ha prodotto una precarizzazione e un impoverimento dei lavoratori senza precedenti, a scala mondiale.

Ora, nel contesto di una occupazione totalmente precaria, di salari sempre più ridotti al livello della sopravvivenza e di una dilagante disoccupazione, in primo luogo quella giovanile, si annuncia una rivoluzione tecnologica epocale: l'applicazione dell'intelligenza artificiale ai processi lavorativi. Questa volta saranno falcidiati i posti di lavoro di professioni tradizionalmente considerate immuni dall'automazione. Dunque si annuncia per il capitalismo una nuova fase che non esistiamo a definire di difficile, se non impossibile, sostenibilità sociale.

Il disorientamento ideologico della classe, la sua debole se non inesistente resistenza alla fortissima pressione esercitata dal capitale, la mancanza di qualsiasi punto di orientamento politico classista, questi fattori già delineano, a nostro parere, i compiti che le avanguardie dovrebbero svolgere. Ecco il primo: lavorare alla teoria per cogliere le enormi modificazioni economiche e sociali che si sono prodotte. Non è poco stante l'attuale vasta letteratura economica e politica rivolta essenzialmente a sostenere e conservare il capitalismo.

Nonostante le deboli forze che abbiamo, riteniamo che il lavoro svolto abbia ottenuto alcuni importanti risultati senza sottovalutare il fatto di quanto sia necessario approfondirlo ulteriormente anche, ce lo auguriamo, con il contributo di coloro che, avvertendo la gravità della situazione, sentono come noi l'urgenza di rilanciare un programma comunista moderno, rispondente ai problemi dell'epoca attuale.

La coscienza della gravità della crisi capitalistica ci permette di comprendere quanto l'umanità intera sia a un bivio, oggi infinitamente più di ieri: al prospettarsi della barbarie capitalista  generata da una crisi economica senza precedenti, al manifestarsi della violenza sempre più diffusa generata da questa crisi, riteniamo sia urgente ripensare quella comunità di liberi produttori associati che Marx, già più di centocinquanta anni fa, ha visto come l'unica alternativa al capitalismo capace di dischiudere all'umanità intera la porta della sua completa emancipazione dallo sfruttamento  e  della libertà. Altre soluzioni non esistono.

Oggi i più considerano il comunismo una sciagura toccata all'umanità. Con questo si riferiscono all'esperienza del socialismo reale, praticamente avviatasi dal 1925 con lo stalinismo e conclusasi sostanzialmente alla fine degli anni Ottanta del Novecento con il crollo dell'Unione Sovietica. Che quell'esperienza sia stata una sciagura ne siamo convinti anche noi. Ciò che invece non condividiamo è che si sia trattato di socialismo. Quell'esperienza, pur nata dalla rivoluzione proletaria del Diciassette, i cui ideali si ispiravano innanzi tutto  all'internazionalismo proletario, è tutta da inscriversi nelle forme specifiche con cui il capitalismo si è espresso dal Novecento in poi, ovvero in forme sempre più accentrate e stataliste. In oriente nella forma del capitalismo di stato, forma di massimo accentramento del capitale e del potere politico, in occidente nelle svariate forme derivate da mix di economia statale e privata. E' stato sciagurato il fatto, questo sì, che lo stalinismo, insediando in Russia un vero e proprio regime del terrore che ha assassinato milioni di uomini a partire dai migliori dirigenti bolscevichi che ad esso non si allineavano, negando l'internazionalismo con la bestemmia del socialismo in un solo paese, abbia imposto al proletariato una dittatura di classe in nome del comunismo: quella della borghesia costituita dai funzionari statali.

In occidente si è perfezionato il linciaggio di Marx, del suo pensiero e del programma comunista,  quando, perpetuando la falsificazione stalinista, chiamando comuniste le varie esperienze del cosiddetto socialismo reale, si è potuto gridare ai quattro venti chiusa definitivamente quell'esperienza con il crollo dell'Unione sovietica del 1991. Marx poteva essere dunque sepolto definitivamente. Si è detto: non solo quell'esperienza rivoluzionaria ha partorito delle mostruose società dittatoriali ma ha pure dimostrato la sua insostenibilità economica. Quei detrattori non sapevano che la democrazia e il capitalismo occidentali, in un paio di decenni, non  avrebbero avuto sorte migliore.

Noi, rifacendoci al pensiero della Sinistra comunista italiana che ai tempi tanto si è battuta conto lo stalinismo ritenendolo assolutamente estraneo al marxismo e agli ideali che animarono i primi anni della rivoluzione bolscevica, riteniamo che sia un gravissimo errore confondere quella sciagurata esperienza con il comunismo.

Siamo invece convinti che sia indispensabile ritornare, il centenario della Rivoluzione bolscevica ce ne da ancora un'occasione per ribadirlo, a quell'esperienza, trarne i dovuti insegnamenti e rilanciare quel programma che, compiuto l'assalto al cielo nell'ottobre, non ha potuto neanche cominciare a realizzare concretamente in Russia nessuno dei compiti che le erano propri. Lo ha impedito l'isolamento in cui si è trovata.

Allo scopo di chiarire meglio quanto il suo approdo nulla abbia avuto a che fare con il socialismo e tanto meno con il comunismo, di seguito pubblichiamo gli ultimi due capitoli del volumetto “La Rivoluzione Russa” di Rosa Luxemburg e l’introduzione allo stesso di Onorato Damen.

Qui la grande rivoluzionaria - anticipando così quando poi effettivamente accadrà - critica senza mezzi termini l’operato di Lenin e Trotsky:

“… Decreti, potere dittatoriale degli ispettori di fabbrica, penalità draconiane sono palliativi”. È “una dittatura, è vero, ma non la dittatura del proletariato, no: la dittatura di un pugno di politici, cioè una dittatura nel senso borghese, nel senso giacobino”.

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Autorità e libertà

Introduzione a "La Rivoluzione Russa" di Rosa Luxemburg

di Onorato Damen

Abbiamo preso l'iniziativa della traduzione di uno dei saggi più significativi delta Luxemburg che meglio definisce la sua altissima personalità di marxista che del marxismo si vale e del suo metodo per la interpretazione della prima esperienza dello stato socialista, e lo pubblichiamo proprio nel momento in cui tale esperienza vede esplodere le contraddizioni che sono andate maturando nel suo seno e sulla linea storica della previsione marxista cosi come era state intravista dalla Luxemburg.

È ora di moda rifarsi al pensiero e alle posizioni critiche della Luxemburg e soprattutto al suo atteggiamento polemico nei confronti di Lenin, ma di questo ritorno al luxemburghismo teorico e critico si fanno forti proprio coloro che nulla hanno appreso dal suo vero pensiero e dalla sue eroica milizia, per ritessere a modo loro, a per lo più per fini inconfessabili, formulazioni sulla libertà e sulla democrazia che nella Luxemburg servono come lievito d'una crescita della coscienza rivoluzionaria delle masse che lottano per la loro emancipazione e sulla bocca di certi borghesi illuminati e di socialisti avariati dovrebbero servire a preparare la strada ad un progressivo inserimento del proletariato negli schemi ideali e nelle strutture economico-politiche delta borghesia capitalistica.

Ma tale tentativo di nascondere dietro le posizioni, polemiche della Luxemburg il più tarlato a ignobile anticomunismo che si riallaccia a quello della II Internazionale e a quello della II Internazionale e mezza, non merita una nostra particolare attenzione.

Attualissimo invece, e assai fecondo è il riesame di questo stesso materiale nato dalla polemica con Lenin a dalle considerazioni critiche sui problemi del partito e della dittatura, così come si erano presentati ed affermati nella esperienza russa.

All'origine del dissenso da Lenin stanno gli stessi motivi che vanno riemergendo oggi nella vita politica dell'avanguardia del movimento operaio internazionale, resi forse più aspri e drammatici dalle vicissitudini di questo bruciante banco di prova del socialismo che a stata l'esperienza sovietica.

Il tema della disputa che allora sembrò incentrarsi sul problema delta organizzazione del partito, il centralismo democratico, doveva necessariamente ampliarsi e approfondirsi investendo quello dello stato operaio a più precisamente quello della dittatura del proletariato, come essa è apparsa nella fase leninista della sua affermazione.

È proprio in virtù della polemica di allora tra i due maggiori teorici del marxismo e del posteriore riesame critico della viva esperienza del proletariato russo, che oggi possono essere dette parole definitive sul problema della dittatura e del partito che ne è to strumento più sensibile dacché uscito dal regno delta semplice enunciazione teorica esso ha fatto irruzione nella vita e nella storia.

Non c'è chi non riconosca quanta parte abbia la spontaneità nella lotta dei lavoratori, ma essa non basterebbe da sola ad assicurare a questa lotta continuità, organicità e concretezza. Non c'è chi neghi spirito di solidarietà d'iniziativa e una crescente conoscenza e coscienza dei propri compiti, la tendenza a superare i limiti dell'egoismo dei singoli e dell'interesse di categoria per un più vasto e unitario sentimento di classe. In tal senso il proletariato internazionale ha fatto un balzo innanzi di portata senza precedenti, corrispondente del resto al grado di evoluzione storica e di processo tecnico e di organizzazione raggiunti dal capitalismo.

Ma chi osserva questo lento auto formarsi del proletariato, non può non notare che le masse assumono una coscienza di classe, proprio nell'esercizio della lotta e dell'organizzazione; le masse non organizzate o più estranee alla politica sono infatti meno sensibili ai problemi della propria classe e più restie alla lotta.

Ma la lotta è innanzitutto problema di potenza e di organizzazione, e l'organizzazione comporta in ogni caso disciplina, gerarchia ed esercizio d'autorità procedente dai vertici alla base; il fenomeno é tanto più evidente se dalle organizzazioni di massa si passa. a quelle dei partiti politici, e negli sessi partiti ai loro apparati onnipotenti.

La peste del regime burocratico ha ammorbato di sé tutti i settori della vita sociale. Tenendo conto di questa realtà, Lenin pensava al partito di classe come ad una organizzazione di combattimento basata sul centralismo democratico, sul potere d'un omogeneo comitato centrale e su una salda rete di rivoluzionari professionali; un partito cioè concepito come uno strumento cosciente della storia, interprete e protagonista degli avvenimenti. Un tale partito porta con sé inevitabili i pericoli dell'autoritarismo, della politica dall'alto, del funzionarismo e quindi dell'opportunismo. Ma nella Russia zarista, nella cospirazione e nella fase incandescente della insurrezione, non era possibile altro partito che quello bolscevico, così come l'aveva concepito e modellato Lenin.

Ma chi, come la Luxemburg esprimeva la grande esperienza della socialdemocrazia tedesca, era portato a porre l'accento non sui metodi della cospirazione ma sulla organizzazione delle grandi masse operaie, sui diritti della democrazia operaia e sulle conquiste della libertà impossibile senza la democrazia.

“II solo cammino. che conviene alla rinascita é la scuola stessa della vita pubblica; la democrazia più larga e illimitata. 
Gli, articoli di un regolamento possono dominare la vita di piccole sette o cenacoli privati, ma una corrente storica passa attraverso le maglie dei più sottili paragrafi.”

Ed ancora:

“Gli errori commessi da un movimento operaio veramente rivoluzionario sono storicamente più fecondi e più preziosi dell'infallibilità del migliore Comitato Centrale.”

Tale è la illimitata fiducia che, la Luxemburg riponeva nelle masse operaie e nella capacità creativa delle loro lotte sociali e politiche.

“Senza dubbio la ‘trasformazione’ delle masse in dirigente sicuro, cosciente, lucido, è tendenza dominante del movimento socialista: abolizione dei dirigenti e della massa diretta in senso borghese, l'abolizione di questo fondamento storico di ogni dominazione di classe.”

Ma non diversa, né minore fiducia esprimeva Lenin nelle masse operaie; soltanto che al mito della ,sua autosufficienza sostituiva la necessità del partito forte, accentrato, guida sicura e insostituibile delle masse nella lotta rivoluzionaria.

Ora noi non ci chiediamo quale sia stata la via più giusta; , constatiamo solo i termini della contraddizione dialettica; la tragedia del proletariato tedesco, politicamente il più agguerrito delle armi della ideologia e della organizzazione, nel momento della più alta tensione rivoluzionaria del primo dopoguerra è proprio consistita nella incapacità di- darsi una guida sicura, conseguente, realizzatrice: fallito nel gennaio 1919 il moto spartachista per non aver potuto né saputo legare l'iniziativa rivoluzionaria all'azione delle grandi masse, fallito nei 1921 il tentativo insurrezionale dei comunisti berlinesi; venuto meno nel 1923 al suo compito fondamentale Partito Comunista tedesco, nato dall'eroico nucleo spartachista, perché prono a un centro internazionale già malato d'opportunismo.

Unico elemento positivo di fronte al quale tace lo stesso appunto polemico della Luxemburg, mentre esulta il suo cuore di rivoluzionaria, è la vittoria del partito bolscevico. Questa volta lo strumento-partito aveva operato concordemente alle condizioni obiettive, tempestivamente e con mezzi adeguati, saldamente legato agli interessi delle grandi masse operaie in rivolta. Più tardi i termini della contraddizione dialettica mostreranno lo stesso partito bolscevico, armato dello stesso metodo, della stessa fraseologia, persino degli stessi uomini passare alla difesa armata di interessi e di istituti opposti a quelli per i quali si era battuto alla testa del proletariato russo e internazionale e si arriverà all'assurdo di chiamare realizzazione, socialista la costruzione del più mostruoso capitalismo di stato.

Non dunque azione unilaterale dall'alto verso il basso, ma neppure soltanto dal basso verso l'alto attribuendo ai due termini eguale capacità di autodeterminazione, quando in realtà essi possono operare e realizzarsi solo attraverso un'armonica azione di interdipendenza. L'operaismo, il volontarismo, la stessa legge della spontaneità peccano d'insufficienza e sono inadeguate ai fini storici della classe e quindi dell'azione rivoluzionaria allo stesso modo e nella stessa misura d'ogni concezione e d'ogni tattica basate sul determinismo meccanicistico o sul partito-demiurgo che dovrebbe operare un bel giorno lo strappo rivoluzionario per delega d'una classe operaia svuotata della sua funzione storica e considerata come semplice massa bruta che verrà spinta all'urto da chi sa quale forza taumaturgica di capo o di Comitato Centrale.

In realtà il partito in ogni fase della sua azione e in ogni sua istanza interpreta e armonizza su di un piano unitario l'azione di classe senza la quale ogni partito fallirebbe il suo compito e la rivoluzione sarebbe destinata a rimanere parola priva di senso. Deve cioè verificarsi, come si è verificato nell'ottobre bolscevico quel ritorno dell'alto verso il basso, il ritorno cioè della volontà realizzatrice del partito verso la enorme forza esplosiva della classe da cui quella volontà era stata determinata.

Nel pensiero della Luxemburg è fondamentale l'idea della democrazia operaia come istanza alla libertà; per lei lo stesso problema dell'autorità e della dittatura o è visto sotto questo profilo o è premessa di tirannide fuori quindi dal solco dell'idealismo rivoluzionario e della libertà politica illimitata, segno distintivo della dittatura del proletariato da qualsiasi altra dittatura.

Va da sé che non si tratta qui del rispetto della democrazia formale ma di una articolazione sostanziale, democratica della dittatura. Scrive la Luxemburg:

“La democrazia socialista comincia contemporaneamente all'opera di demolizione della dominazione di classe e della costruzione del socialismo. Essa comincia nel momento stesso della conquista del potere... e non è altra cosa che la dittatura del proletariato. 
Sì, si; dittatura - aggiunge - ma questa dittatura consiste nella maniera d'applicare la democrazia non nella sua abolizione...”

Tale affermazione che sembra sconfinare nell'idealismo prende concretezza leninista allorché la Luxemburg precisa il suo pensiero:

“Ma questa dittatura deve essere l'opera della classe e non d'una piccola minoranza a nome della classe; deve provenire man mano dalla partecipazione attiva delle masse operaie.”

Ecco il vero significato da attribuire alla definizione che la dittatura consiste nella maniera di applicare la democrazia e nell'essere essa un prodotto della crescente e auto formante educazione politica delle masse operaie.

Certamente i termini di autorità e di libertà appaiono termini di contraddizione insanabili, se presi in astratto e a sé stanti; in questo senso la dittatura è sempre affermazione unilaterale, autoritaria e violenta che nega in ogni caso la libertà di colui che pensa diversamente; e pensa diversamente, aggiungiamo noi, perché è portatore e difensore di interessi diversi da quelli che la dittatura porta e difende. Tale è l'insegnamento di Lenin che scaturisce dalla dura esperienza dei primi anni della rivoluzione d'Ottobre. Ma sono occorsi anni di esperienza nel corpo vivo, delle lotte operaie per render chiaro il punto di convergenza tra teoria e realtà politica.

Tra autorità e libertà, tra dittatura e democrazia e, meglio ancora, tra le forze sociali della dittatura e gli organi della sua direzione deve esservi un rapporto di vicendevole implicazione; vi è un salire dal basso ed un crescente accumularsi. di coscienza e di scienza nella misura in cui i vertici operano perché...

“l'incosciente divenga cosciente e la logica del processo storico obiettivo si trasformi in logica subiettiva dei suoi protagonisti.”

Si ripete qui lo stesso rapporto dialettico che abbiamo visto tra partito e classe. Il partito si giustifica e risponde alla sua funzione storica se opera. nella classe come forza motrice della rivoluzione per aver accumulato quanto di esperienza, di teoria rivoluzionaria e di potenziale di forze la classe è andata esprimendo nelle sue lotte quotidiane contro il capitalismo.

Quando questa linea di sviluppo dialettico si spezza, quale che ne sia la causa, si ha il prevalere di uno dei termini della componente a cui conseguono quei processi degenerativi che abbiamo potuto osservare nell'esperienza russa dopo Lenin e forse già vivo Lenin, primo fra tutti e più gravido di conseguenze, quello di...

“cristallizzare in teoria la tattica a cui si è stati costretti da fatali condizioni e porla al proletariato internazionale come modello della tattica socialista che deve essere imitata.”

La dittatura del proletariato, di domani, qualunque sia il paese nel quale si attuerà, sarà un'esperienza nuova nel senso che, contempererà l'intuizione e l'ottimismo rivoluzionario della Luxemburg e il duro insostituibile-insegnamento di Lenin; si avrà cioè la sintesi della autorità e della libertà, lo sviluppo di rapporti di democrazia operaia sempre più operanti nei quadri della dittatura, la quale sarà tanto più terribile e inflessibile quanto più fitta e vendicativa si ergerà attorno la selva di baionette del capitalismo internazionale che non vuol morire, costi quel che costi anche se già morto nelle "cose" della sua esperienza storica.

“Nella rivoluzione, come in guerra, si tratta di spezzare la volontà del nemico. Il grado di accanimento della lotta dipende da condizioni interne e internazionali. Più la resistenza della classe vinta sarà accanita e pericolosa, più la pressione si trasformerà in sistema di terrore.” (Trotsky).

La Luxemburg non ha mai dissentito da questa politica, soltanto pensava che lo strumento della lotta sarà tanto più valido e legittimo dal punto di vista della rivoluzione quanto più alta sarà la coscienza del proletariato che se ne serve e quanto più diretta e determinante sarà la sua presenza nella lotta per la costruzione della società socialista e per la sua difesa dai nemici di classe tanto interni che esterni. Soltanto a questa condizione non vi sarà margine per le dittature personali o di apparato in ogni caso tragiche e ridicole insieme, portino esse il nome di Stalin di Kruscev o di un qualsiasi Togliatti.

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La dissoluzione dell’Assemblea Costituente

Di Rosa Luxemburg

(da La Rivoluzione Russa)

Questo provvedimento, decisivo per la loro ulteriore linea politica, fu, in un certo senso, il perno della loro tattica. Effettivamente Lenin e i compagni, fino alla vittoria di Ottobre, esigevano, quasi con furore, la convocazione dell’Assemblea Costituente: la politica dilatoria di Kerensky in proposito era uno dei rimproveri dei bolscevichi e l’occasione degli attacchi più violenti contro di lui. E Trotsky dice anche nella sua interessante pubblicazione «Dalla Rivoluzione d’Ottobre fino al trattato di Brest-Litovsk», che il colpo di mano dell’Ottobre è stato precisamente «la salvezza per la Costituente», come, d’altra parte, per la Rivoluzione. «E quando sostenevamo» continua Trotsky, «che la via di accesso alla Costituente passava, non attraverso il preparamento di Tsèretelli, ma attraverso la presa del potere da parte dei Soviet, eravamo del tutto sinceri». Ed ecco che dopo tali dichiarazioni, il primo passo di Lenin dopo la Rivoluzione di Ottobre fu lo scioglimento di quella stessa Assemblea Costituente della quale doveva essere la via d’accesso. Quali le ragioni di un siffatto voltafaccia? Trotsky, nella succitata pubblicazione, dà le seguenti spiegazioni su tale argomento: «Se i mesi precedenti la Rivoluzione d’Ottobre furono un periodo di spinta a sinistra delle masse e di irresistibile afflusso di operai, soldati e contadini verso i bolscevichi, tale movimento si manifestò nel partito socialista rivoluzionario con il rafforzamento dell’ala sinistra a spese dell’ala destra; tuttavia non è meno vero che vi fosse nelle file del partito socialista rivoluzionario una maggioranza di tre quarti dei vecchi nomi dell’ala destra». «A ciò si aggiungeva la circostanza che le elezioni si facevano ancora durante le prime settimane dopo l’insurrezione di Ottobre». La notizia del cambiamento prodottosi si propagò in modo relativamente lento nei centri periferici, dalla capitale alla provincia e dalle città ai villaggi. Le masse contadine erano, in molte località poco al corrente degli avvenimenti di Pietrogrado e di Mosca. Esse votarono per «Terra e Libertà» e per i loro rappresentanti nei comitati regionali, arruolati, la maggior parte, sotto l’insegna dei Narodniki. Ma in tal modo votavano anche per Kerensky e Avzentiev, che scioglievano questi comitati facendone imprigionare i membri… Tale stato di cose permette di osservare a qual punto la Costituente fosse arretrata riguardo all’evoluzione della lotta politica e dei raggruppamenti del Partito». Tutti ciò è molto ben detto e convincente. Tuttavia, ci si stupisce che persone smaliziate come Lenin e Trotsky non siano giunti alla conclusione che doveva essere dedotta dai fatti sopra descritti. Poiché l’Assemblea Costituente, eletta molto tempo prima la svolta decisiva di Ottobre, presentava nella sua composizione l’immagine del passato ormai superato, e non il nuovo stato di cose, si imponeva la logica conclusione di spezzare tale Costituente invecchiata, quindi nata morta, e organizzare, senza ritardo, nuove elezioni per una nuova Costituente. Essi non volevano, non potevano affidare il destino della Rivoluzione ad una Assemblea che rappresentava la Russia di Kerensky, il periodo di oscillazione e di coalizione con la borghesia! Quindi non restava che convocare senza indugio una Assemblea uscita dalla Russia rinnovata e in marcia. In luogo di queste conclusioni, Trotsky afferma la speciale insufficienza della Assemblea Costituente riunita in Ottobre, e la supefluidità di qualsiasi Assemblea Costituente; meglio ancora, egli la generalizza fino a negare il valore di qualsiasi rappresentanza Nazionale uscita da elezioni popolari generali durante la Rivoluzione. «Grazie alla lotta aperta ed immediata per il potere, le masse operaie acquistano, in pochissimo tempo, una grande esperienza politica e salgono rapidamente nella loro evoluzione. Più il paese è grande ed il suo attrezzamento tecnico imperfetto, meno il pesante meccanismo delle istituzioni democratiche segue tale evoluzione» (Trotsky, p. 29). Eccoci dunque al «meccanismo delle istituzioni democratiche» in generale. Innanzitutto si può obiettare a ciò che questo apprezzamento delle istituzioni rappresentative esprime un concetto piuttosto schematico e rigido, contraddetto dalla esperienza storica di ogni epoca rivoluzionaria. Secondo la teoria di Trotsky, ogni assemblea eletta non riflette, una volta per sempre, che il concetto intellettuale, la maturità politica e lo stato d’animo del corpo elettorale al momento della votazione. Così il corpo eletto democraticamente sarebbe sempre l’immagine della massa alla data delle elezioni, come, secondo Herschell, il cielo stellato ci rappresenta i corpi celesti non come sono al momento in cui li vediamo, ma quali erano al momento in cui mandavano da una distanza incommensurabile i loro raggi sulla terra. È così negato ogni vivente legame intellettuale fra gli uomini eletti e i loro elettori, ogni reciproca influenza. Come tale concetto è contraddetto da tutta l’esperienza storica! Questa ci mostra al contrario, che l’onda viva dell’opinione popolare bagna continuamente i corpi rappresentativi, li penetra, li dirige. Come sarebbe possibile diversamente quando, in tutti i parlamenti borghesi, assistiamo ogni tanto alle più strabilianti capriole di «rappresentanti del popolo» che, subitamente animati da uno «spirito nuovo» fanno sentire accenti completamente inaspettati, quando, di tanto in tanto, le mummie più incartapecorite assumono espressioni giovanili e gli Schedemann trovano improvvisamente accenti rivoluzionari, non appena qualcosa avviene nelle fabbriche, nelle officine, nelle strade! E codesta viva azione costante dello stato d’animo e della maturità politica delle masse sui corpi eletti dovrebbe arrestarsi proprio in tempi rivoluzionari davanti agli schemi rigidi delle insegne di partito e le liste dei candidati? Al contrario è la Rivoluzione che crea attraverso l’ardore della sua fiamma questa sottile atmosfera politica, vibrante, impressionabile in cui le ondate dell’opinione pubblica, il polso della vita nazionale, operano istantaneamente in modo ammirevole sui corpi rappresentativi. Le scene più emozionanti nelle prime fasi di ogni rivoluzione avvengono sempre in questi organi rappresentativi, quando i vecchi parlamenti reazionari o molto moderati, eletti sotto il passato regime a suffragio diretto, diventano improvvisamente degli interpreti eroici della Rivoluzione, dei fulmini di guerra. L’esempio classico è il famoso Lungo Parlamento d’Inghilterra che, eletto e convocato nel 1642, durò 7 anni e che rispecchia tutte le vicissitudini dell’opinione pubblica, della maturità politica dei dissensi di classe, del progresso della Rivoluzione fino al suo apice, delle rispettose scaramucce con la Corona sotto uno speaker in ginocchio, fino alla soppressione della Camera dei Lords, l’esecuzione di Carlo I e la proclamazione della Repubblica. E siffatta meravigliosa trasformazione non si è ripetuta negli Stati Generali di Francia, nel Parlamento censita rio di Luigi Filippo e perfino – l’ultimo esempio più spettacolare che Trotsky aveva sotto gli occhi – nella quarta Duma di Russia che, eletta nell’anno di grazia 1909 nel periodo più reazionario, sentì improvvisamente nel febbraio 1917, come S. Giovanni, la ventata sovversiva passare nei suoi capelli, e divenne il punto di partenza della Rivoluzione? Tutti questi precedenti storici dimostrano che «il pesante meccanismo delle istituzioni democratiche» ha un potente correttivo proprio nel movimento vitale delle masse, nella loro ininterrotta passione. E, più l’istituzione è democratica, più la vita politica delle masse è forte e pulsante, più la sua azione è immeditata e totale malgrado i «clichés» dei partiti e le liste sorpassate dei candidati, ecc. Indubbiamente, ogni istituzione democratica ha i suoi limiti ed i suoi difetti, ciò che, del resto, è comune ad ogni istituzione umana. Ma, il rimedio inventato da Lenin e Trotsky, cioè la soppressione della democrazia in generale, è peggiore del male che è ragionevole guarire: tale rimedio soffoca, infatti, la fonte viva dalla quale solamente possono scaturire le correzioni a tutte le insufficienze congenite delle istituzioni sociali: la vita politica attiva, senza intralci, energica, delle più larghe masse della nazione.

Prendiamo un altro esempio clamoroso: il diritto di voto elaborato dal governo dei Soviet. Non si comprende chiaramente quale portata storica possa avere. Dalla critica fatta da Trotsky e Lenin alle istituzioni democratiche, si deduce che essi respingono, come principio le rappresentanze nazionali uscite dalle elezioni generali e non vogliono appoggiarsi che sui Soviet. Allora non si comprende il perché sia stato concesso un suffragio universale. Non sappiamo d’altra parte che tale diritto di voto abbia avuto un’applicazione qualsiasi; non si è mai sentito parlare di elezioni popolari svolte su tale base. È cosa probabile si sia trattato di una concessione semplicemente teorica, cioè sulla carta: comunque sia costituisce un notevole prodotto della teoria bolscevica della dittatura. Ogni diritto di suffragio, come del resto ogni diritto politico, deve essere giudicato non secondo uno schema astratto qualsiasi di «giustizia» ed altre simili fraseologie della democrazia borghese, ma secondo le condizioni sociali ed economiche per cui è stato proclamato. Il diritto di suffragio elaborato dal governo dei Soviet, è precisamente regolato per il periodo di transizione dalla forma di società borghese e capitalistica a quella socialista, per il periodo della dittatura del proletariato. Secondo l’interpretazione di questa dittatura data da Lenin e Trotsky, tale diritto di suffragio non è concesso se non a coloro che vivono del loro lavoro e negato a tutti gli altri. Ora è evidente che un simile diritto di suffragio non ha senso se non in una società che è pure economicamente atta a rendere possibile per tutti quelli che vogliono lavorare una vita convenevole, civile, con il proprio lavoro. Questo può essere applicabile alla Russia odierna? Date le enormi difficoltà contro le quali deve lottare la Russia dei Soviet, chiuso il mercato mondiale, precluse le fonti delle più importanti materie prime, data l’immensa disorganizzazione generale della vita economica nello sconvolgimento totale dei rapporti di produzione in conseguenza del rovesciamento dei valori della proprietà terriera, come di quella industriale e commerciale, ne consegue che una grandissima quantità di esseri umani è di botto completamente sradicata, gettata fuori dal suo alveo, senza possibilità alcuna di trovare nel nuovo meccanismo economico un posto di lavoro adatto. E questo non riguardo solo la classe dei capitalisti o dei proprietari terrieri, ma anche la classe media e la stessa classe operaia. Giacché è un fatto che il crollo dell’industria ha provocato un afflusso in massa del proletariato delle città verso le campagne. In siffatte circostanze un diritto di voto, che ha per condizione economica, l’obbligo generale del lavoro, è una misura del tutto incomprensibile. Essa è tenuta a privare dei diritti politici i soli sfruttatori. E, mentre forze di lavoro produttive vengono sradicate in massa, per contro il governo dei Soviet si vede sovente costretto ad affittare, per così dire, l’industria nazionale ai vecchi proprietari capitalisti. Parimenti si è visto costretto a concludere un compromesso con le cooperative di consumo borghesi. Inoltre si è dimostrata necessaria la utilizzazione dei tecnici borghesi. Un’altra conseguenza di questo fenomeno è che, frazioni sempre più numerose del proletariato, come la guardia rossa, sono mantenute dallo Stato a spese del pubblico. In realtà, questo sistema priva dei loro diritti gran parte della piccola borghesia e del proletariato per i quali l’organismo economico non prevede alcun mezzo che permetta l’esercizio del lavoro obbligatorio. Tutto ciò non ha né capo né coda e caratterizza tale sistema del diritto di voto come una creazione utopistica senza alcun legame con la realtà sociale. E ciò perché non è uno strumento serio della dittatura del proletariato. Si tratta di un anacronismo, una anticipazione che è solamente possibile su di una base economica socialista già realizzata, e non nel periodo transitorio della dittatura del proletariato. Dopo la rivoluzione di Ottobre, quando la classe media, gli intellettuali borghesi e piccoli borghesi boicottavano il governo dei Soviet, paralizzavano le comunicazioni ferroviarie, postali e telegrafiche, l’insegnamento, l’organizzazione amministrativa e si ribellavano al governo operaio, le misure di pressione contro di loro, con la privazione dei diritti politici e dei mezzi economici, si imponevano naturalmente per stroncare con pugno di ferro ogni resistenza. Allora si manifestava appunto la dittatura socialista, che non può indietreggiare davanti a nessuno impiego dell’autorità per prendere od impedire certe misure nell’interesse della collettività. Ma, al contrario, un diritto elettorale che priva dei diritti vasti strati sociali mettendoli politicamente fuori della società, mentre non è in grado di offrire loro una condizione economica, una privazione dei diritti che non è una misura concreta per uno scopo concreto, ma una regola generale d’effetto duraturo, non è una necessità della dittatura, ma una improvvisazione senza via d’uscita. Tanto i Soviet come spina dorsale, quanto la Costituente ed il «suffragio universale». I bolscevichi trattavano i Soviet come reazionari perché la loro maggioranza era costituita dai contadini (delegati contadini e delegati soldati). Una volta i Soviet dalla loro, essi sono diventati i veri rappresentanti dell’opinione popolare. Ma questo repentino mutamento non era dovuto che alla pace ed alla questione agraria.

Democrazia e Dittatura

di Rosa Luxemburg

(da La Rivoluzione Russa)

Per quanto riguarda gli attentati a questi diritti, l’argomentazione di Trotsky sulla pesantezza degli organismi democratici eletti è tutt’altro che concludente. Al contrario, è un fatto notorio e incontestabile che appunto senza una libertà illimitata della stampa, senza una vita di associazioni e di riunioni libera d’ostacoli, è assolutamente impossibile concepire la dominazione di grandi masse popolari. Lenin dice che lo stato borghese è uno strumento d’oppressione della classe operaia, lo Stato socialista uno strumento d’oppressione della borghesia. Quest’ultimo sarebbe semplicemente lo Stato capitalista tornato, per così dire, a testa bassa. Questa concezione semplicistica dimentica l’essenziale: la dominazione di classe della borghesia non aveva bisogno d’una istruzione e d’una educazione politica di tutta la massa del popolo, o almeno non al di là di certi limiti molto stretti. Per la dittatura proletaria, questi sono gli elementi vitali senza i quali essa non può vivere. «Grazie alla lotta aperta ed immediata per il potere politico, le masse operaie accumulano in pochissimo tempo una grande esperienza politica, e salgono in fretta nella loro evoluzione, un gradino dietro l’altro». Qui lo stesso Trotsky confuta se stesso e i propri amici e partigiani. Giustamente, perché ciò è vero; essi hanno dunque, sopprimendo la vita pubblica, chiuso le fonti dell’esperienza politica e del progresso dell’evoluzione. Allora, o bisognerebbe ammettere che esperienza ed evoluzione erano necessarie fino alla presa del potere da parte dei bolscevichi, ma che allora esse avevano raggiunto il più alto grado e divenivano d’ora in poi superflue (Discorso di Lenin: «La Russia è fino all’evidenza matura per il socialismo»). In realtà, è tutto il contrario. I compiti giganteschi ai quali i bolscevichi si sono messi con coraggio e risoluzione reclamavano precisamente la più intensiva educazione politica delle masse e l’accumulazione d’una esperienza che non è mai possibile senza libertà politica. La libertà riservata ai soli seguaci del governo, ai soli membri di un partito, fossero essi pure numerosi, non è la libertà. La libertà è sempre la libertà che pensa diversamente. Non per fanatismo per la «giustizia», ma perché tutto ciò che vi è di istruttivo, di salutare e di purificante nella libertà politica mira a ciò, e perderebbe la sua efficacia, se la «libertà» divenisse un privilegio. Gli stessi bolscevichi non vorranno lealmente negare che essi hanno dovuto fare, volta a volta dei brancolamenti, delle prove, delle esperienze, dei tentativi in tutti i sensi, e che una buona parte dei loro provvedimenti non sono delle perle. È così che le cose dovevano andare ed andranno per tutti noi quando sarà la nostra volta, ammesso che sia possibile che non ci siano dappertutto delle circostanze così difficili. La condizione che suppone tacitamente la teoria della dittatura secondo Lenin e Trotsky, è che la trasformazione socialista è una cosa per la quale il partito della rivoluzione ha in tasca una ricetta bell’e pronta, e che ha bisogno solo di applicarla con energia. Per disgrazia, o, secondo, per fortuna, non è così. Ben lontano dall’essere una somma di prescrizioni già fatte che non si ha che da applicare, la realizzazione pratica del socialismo come sistema economico, sociale e giuridico, è una cosa che risiede nelle nebbie dell’avvenire. Ciò che possediamo nel nostro programma non sono che alcune grandi colonne indicatrici, del resto, di un carattere soprattutto negativo. Noi sappiamo press’a poco ciò che dovremo sopprimere subito per rendere la via libera all’economia socialista; ma al contrario, di quale misura sono le mille e mille misure pratiche, grandi e piccole, adatte a fare entrare i principi socialisti nell’economia, nel diritto, in tutti i rapporti sociali, non vi è programma di partito o testo socialista che dia delle indicazioni. Ciò non è un difetto: è, al contrario, la superiorità del socialismo scientifico sul socialismo utopico: il sistema sociale del socialismo non deve e non può essere che un prodotto storico nato alla scuola stessa dell’esperienza, nel momento delle realizzazioni, della marcia della storia vivente, la quale, come la natura organica di cui in ultima analisi non è che una parte, ha la buona abitudine di far nascere sempre insieme ad un reale bisogno sociale il mezzo di soddisfarlo; insieme al problema la sua soluzione. Ma se è così, è evidente che il socialismo, per sua natura, non può essere concesso, né può essere stabilito per editto. Esso ha per condizione pregiudiziale una serie di misure violente contro la proprietà ecc. Ciò che è negativo, la distruzione, si può decretarlo; ciò che è positivo, la costruzione, NO. Terra vergine. Problemi in gran quantità. Solo l’esperienza è capace di fare correzioni e di aprire nuove vie. Solo una vita in fermento senza ostacoli s’impegna in mille forme nuove, improvvisa, riceve una «forza creatrice», corregge essa stessa i suoi falsi. Se la vita pubblica degli Stati a libertà limitata è così misera, così povera, così schematica, così infeconda, è giustamente perché, escludendo la democrazia, essa chiude alle intelligenze le sorgenti vive di ogni arricchimento e di ogni progresso. (Prova: gli anni 1905 e seguenti, e i mesi di febbraio, ottobre 1917).

Ciò che allora fu vero dal punto di vista politico, lo è ugualmente dal punto di vista economico e sociale. Tutta la massa popolare deve parteciparvi. Altrimenti, il socialismo viene decretato, concesso a una dozzina di intellettuali insediati nei loro uffici. È necessario un totale controllo pubblico. In caso contrario, lo scambio delle esperienze è possibile solo nella cerchia limitata dei burocrati del nuovo governo. Corruzione inevitabile. (Parole di Lenin, Mitteilungsblatt n. 29) La prassi del socialismo esige una totale trasformazione intellettuale delle masse abbrutite da secoli di dominazione borghese. Istinti sociali invece di istinti egoisti, iniziativa delle masse invece dell’inerzia, idealismo al di sopra di ogni sofferenza, e così via. Nessuno sa ciò meglio di Lenin, né lo descrive e ripete con maggior forza ed ostinazione. Ma egli si sbaglia completamente quanto ai mezzi da usare: decreti, potere dittatoriale degli ispettori di fabbrica, penalità draconiane, regno del terrore, sono altrettanti palliativi. L’unica via che conduce alla rinascita è la scuola stessa della vita pubblica, la più larga e illimitata democrazia, l’opinione pubblica. È proprio il terrore che demoralizza. Tolto tutto questo, che cosa rimane? Lenin e Trotsky hanno sostituito ai corpi rappresentativi, usciti dalle elezioni generali popolari, i Soviet, come la sola rappresentanza effettiva delle masse operaie. Ma, soffocando la vita politica nell’intero paese, è fatale che la vita sia paralizzata negli stessi Soviet. Senza elezioni generali, senza libertà illimitata della stampa, senza libera lotta fra le opinioni, la vita si spegne in tutte le istituzioni pubbliche, diventa apparente e l’unico elemento attivo rimane la burocrazia. È una legge alla quale nessuno può sottrarsi. La vita pubblica entra a poco a poco nella sonnolenza: qualche dozzina di capi di partito, muniti di una inesauribile energia e di sconfinato idealismo, dirigono e governano; fra essi la direzione è praticamente nelle mani di una dozzina di uomini eminenti, una élite della classe operaia viene, ogni tanto, convocata in assemblea per applaudire i discorsi dei capi, votare all’unanimità le risoluzioni che vengono proposte (è in fondo un governo di cricca) una dittatura, è vero, ma non la dittatura del proletariato, no: la dittatura di un pugno di politici, cioè una dittatura nel senso borghese, nel senso giacobino, (il rinvio dei Congressi dei Soviet da tre mesi a sei mesi!). Ma vi è di più: un simile stato di cose genera necessariamente un aumento di ferocia nella vita politica; attentati, fucilazioni di ostaggi, ecc. (Discorso di Lenin sulla disciplina e la corruzione). Un problema a parte d’una grande importanza in ogni rivoluzione è la lotta col sottoproletariato (lumpenproletariato). Anche noi, in Germania e dovunque, dovremo occuparcene. Il proletariato pezzente è un elemento inerente alla società non solo come categoria sociale, come scarto sociale che prende segnatamente uno sviluppo gigantesco nei momenti in cui le muraglie dell’ordine sociale crollano, ma come parte integrante della società presa nel suo insieme. Gli avvenimenti hanno mostrato in Germania – e più o meno negli altri Stati – con quale facilità tutti gli strati della società borghese cadano nell’accattonaggio. Le sfumature di degradazione fra speculazione del commerciante sui prezzi, proroghe di scadenze da parte dei piccoli proprietari polacchi, affari di occasione fittizi, falsificazione di alimentari, ricatto, corruzione di funzionari, furto, infrazione e violazione si sono mescolate insieme al punto che il limite che separa l’onorabile borghesia e l’ergastolo è scomparso. È la ripetizione dello stesso fenomeno che porta regolarmente al ciarpame rapido degli ornamenti della casta borghesia, quando sono trapiantati in condizioni di colonizzazione oltremare su un terreno sociale straniero. Rifiutando gli sbarramenti e gli appoggi convenzionali della morale e del diritto, la società borghese, la cui intima legge di vita è l’immoralità più profonda, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, è immediatamente e senza freno votata alla semplice pidocchieria. La rivoluzione proletaria avrà dappertutto da combattere con questo nemico, strumento della controrivoluzione e tuttavia anche a questo riguardo, il terrore è una spada smussata, per meglio dire a due lame – la più draconiana delle giustizie sommarie è impotente contro le esplosioni proprie della straccioneria proletaria. Da qui, ogni regime di prolungato stato d’assedio porta inevitabilmente all’arbitrio e ogni arbitrio esercita sulla società una azione depravante. L’unico mezzo efficace che possa avere in mano la rivoluzione proletaria sono, qui come sempre, delle misure radicali di natura sociale e politica, una trasformazione quanto più rapida possibile, le garanzie sociali d’esistenza presso la massa e spiegamento dell’idealismo rivoluzionario, che non potrebbe mantenersi durevolmente che attraverso una vita intensamente attiva delle masse in una illimitata libertà politica. Come contro le infezioni e i germi morbosi l’azione libera dei raggi solari è il più efficace mezzo di epurazione e di risanamento, così la rivoluzione stessa e il suo principio rinnovatore, la vita mentale, l’attività, la responsabilità davanti a se stessi, che essa suscita nelle masse, di conseguenza la più larga libertà politica che costituisce la sua forma, ne è l’unico solo salvatore e purificatore . L’anarchia sarà altrettanto inevitabile da noi in Germania e ovunque. Il proletariato della teppa (lumpenproletariato) è un elemento inerente alla borghesia e non può esserne separato. Prove: I. – Prussia orientale: i saccheggi dei «cosacchi». II. – Il diffondersi generale dei saccheggi e dei furti in Germania (imbrogli nelle poste, ferrovie, polizia, completo annullamento dei limiti fra società ordinata e individui da galera). III. – Rapida bricconeria dei capi dei sindacati. Contro tale stato di cose le misure draconiane del terrorismo sono impotenti. Al contrario aumentano la corruzione. Unica misura efficace: l’idealismo e l’attività sociale delle masse, libertà politica illimitata.

È una legge predominante, effettiva, cui non può sfuggire alcun partito. L’errore fondamentale della teoria Lenin-Trotsky è, come Kautsky, l’opporre la dittatura alla democrazia. «Dittatura o democrazia». Questo è il quesito sia per i bolscevichi che per Kautsky. Questi si decide per la democrazia, s’intende, e per la democrazia borghese, dato che egli la pone esattamente in alternativa riguardo alla trasformazione socialista. Lenin-Trotsky si decidono invece per la dittatura in opposizione alla democrazia, e, conseguentemente per la dittatura di un pugno d’uomini cioè secondo il modello borghese. Sono i due poli opposti, entrambi lontani dalla vera politica socialista. Il proletariato, se prende il potere, non potrà mai, secondo il buon consiglio di Kautsky, rinunciare alla trasformazione socialista con il pretesto che «il paese non è maturo» e dedicarsi esclusivamente alla democrazia senza tradire se stesso, senza tradire l’Internazionale e la Rivoluzione. Ha il dovere e l’obbligo di prendere misure socialiste in modo energico, inflessibile ed inesorabile, brutale; esercitare quindi la dittatura ma di classe, non di partito o di cricca, dittatura di classe cioè con la più ampia pubblicità, con la partecipazione attiva e senza intralci delle masse popolari, in una democrazia senza limiti. «Nella nostra qualità di marxisti non siamo mai stati idolatri della democrazia formale», scrive Trotsky. Certo, non siamo mai stati idolatri della democrazia formale. E neppure del socialismo e del marxismo. Ne deriva forse il diritto, come Cunow-Lensc-Parvus, di disfarci del marxismo o del socialismo quando ci risulta incomodo? Trotsky e Lenin sono la negazione vivente di tale questione. Non abbiamo mai idolatrato la democrazia formale e ciò significa che abbiamo sempre distinto la sostanza sociale e la forma politica della democrazia borghese, abbiamo sempre messo in evidenza la sostanziale ineguaglianza che si nasconde sotto l’appariscente involucro delle forme di libertà e uguaglianza – non per respingerle ma per incitare la classe lavoratrice a non accontentarsi dell’involucro ma a conquistare il potere politico per riempirlo con un nuovo contenuto sociale. È la missione storica del proletariato; allorché arriva al potere di creare in luogo della democrazia borghese una democrazia socialista, e non distruggere ogni democrazia. La democrazia socialista non comincia solo nella Terra promessa, quando è stato creato il substrato dell’economia socialista. La democrazia socialista comincia nello stesso tempo dell’opera di demolizione del dominio di classe e di costruzione del socialismo, comincia con la conquista del potere da parte del partito socialista. Non è altro che la dittatura del proletariato. Si, dittatura! Ma questa dittatura consiste nel modo di applicare la democrazia, non abolendola, né negli interventi energici e risoluti di diritti acquisiti e nelle condizioni economiche della società borghese, senza i quali la trasformazione socialista non può realizzarsi. Ma tale dittatura deve essere l’opera della classe e non di una piccola minoranza a nome della classe: cioè deve scaturire a secondo della partecipazione attiva delle masse, restare sotto la loro immediata influenza, essere sottomessa al controllo pubblico, essere un prodotto della crescente educazione politica delle masse popolari. Certamente così avrebbero agito i bolscevichi se non avessero subito la terribile pressione della guerra mondiale, dell’occupazione tedesca e tutte le difficoltà esorbitanti che vi si riferiscono, difficoltà che devono corrompere ogni politica socialista animata dalle migliori intenzioni e da magnifici principi. A questo riguardo un valido argomento è dato dall’applicazione su vasta scala del terrore, da parte del Governo dei Consigli e particolarmente nell’ultimo periodo precedente il disfacimento dell’imperialismo tedesco, in seguito all’attentato all’Ambasciatore tedesco (si tratta del Conte Mirbach). La banale verità che le rivoluzioni non si fanno all’acqua di rose è in sé abbastanza insufficiente. Tutto ciò che accade in Russia è comprensibile: è una catena inevitabile di cause ed effetti i cui punti di partenza e d’arrivo sono: la carenza del proletariato tedesco e l’occupazione della Russia da parte dell’imperialismo tedesco. Sarebbe cosa sovrumana esigere da Lenin e compagni, in simili circostanze, di dare quasi per incanto la migliore democrazia, la dittatura modello del proletariato e una fiorente società socialista. Col loro atteggiamento risolutamente rivoluzionario, l’esemplare forza d’azione e l’inviolabile fedeltà al socialismo internazionale, essi hanno fatto l’inverosimile in condizioni difficili. Il pericolo comincia al momento in cui, facendo di necessità virtù, cristallizzano in nuova teoria la tattica alla quale li hanno costretti queste fatali condizioni e vogliono raccomandarla quale esempio al proletariato internazionale come il modello di tattica socialista da imitare. Come pure così facendo mettono la loro personalità in falsa luce, il loro valore storico appare sotto la veste di errori imposti dalla necessità, mentre rendono un cattivo servizio al socialismo internazionale (per il quale hanno lottato e sofferto) e pretendono di introdurre come nuove esperienze tutti gli errori commessi in Russia sotto l’assillo di necessità che non furono, in fondo, che il contraccolpo del fallimento del socialismo internazionale in questa guerra mondiale. I socialisti governativi tedeschi possono ben gridare che il dominio dei Bolscevichi in Russia è una caricatura della dittatura del proletariato. Lo sia o no, ciò fu dovuto alla condotta del proletariato germanico, il quale era una caricatura della lotta di classe socialista. Viviamo tutti sotto la legge della Storia e l’ordine socialista non può assolutamente realizzarsi che internazionalmente. I bolscevichi hanno dimostrato che sono in grado di fare tutto ciò che un partito veramente rivoluzionario può dare nei limiti delle possibilità storiche. Non devono pretendere di fare miracoli. Poiché una impeccabile rivoluzione proletaria in un paese isolato, sfibrato dalla guerra, soffocato dall’imperialismo, tradito dal proletariato internazionale, sarebbe un miracolo. Ciò che conta nella politica dei bolscevichi è distinguere l’essenziale dall’accessorio, il sostanziale dal casuale. In questo ultimo periodo alla vigilia delle decisive battaglie finali in tutto il mondo, il problema fondamentale del socialismo è stato ed è appunto la questione dell’ordine del giorno: non questo o quel dettaglio nella tattica, ma la capacità d’azione del proletariato, la forza d’azione delle masse, la volontà di raggiungere il potere, con il socialismo in generale. A questo riguardo i Lenin e i Trotsky con i loro compagni sono stati i «primi» all’avanguardia nei confronti del proletariato mondiale con il loro esempio; sono finora ancora i «soli» che possano esclamare con Ablich de Hutten: «Io ho osato questo!». È l’essenziale e ciò che rimane della politica bolscevica. In tal senso resta loro il merito imperituro nella storia d’essersi messi alla testa del proletariato internazionale conquistando il potere politico e mettendo in pratica il problema della realizzazione del socialismo, come d’aver potentemente spinto innanzi la liquidazione fra Capitale e Lavoro nel mondo. In Russia il problema poteva solo essere posto ma non risolto. È in tal senso che l’avvenire appartiene ovunque al «bolscevismo».

Letture consigliate

Un percorso di lettura  per contribuire a riflessione condivisa e critica sulla Rivoluzione proletaria d’Ottobre, per comprendere la storia della nostra classe, per guardare con maggiore consapevolezza ai compiti dei comunisti contemporanei, in direzione della ricostruzione del partito mondiale della rivoluzione comunista di domani.

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SULLA STORIA DELLA RIVOLUZIONE RUSSA

(da marxists.org)

PREFAZIONI: 
Prefazione di Lenin per l'edizione americana; Prefazione della Krupskaia per l'edizione russa; Prefazione dell'autore
Capitolo I: Le Origini
Capitolo II: La Tempesta Si Avvicina 
Capitolo III: La Grande Giornata
Capitolo IV: La Caduta Del Governo Provvisorio
Capitolo V: All'opera!
Capitolo VI: Il Comitato Di Salute
Capitolo VII. Il Fronte Rivoluzionario
Capitolo VIII. La Controrivoluzione
Capitolo IX. La Vittoria
Capitolo X: Mosca
Capitolo XI: La Conquista Del Potere
Capitolo XII: Il Congresso Contadino

 

 

ARTICOLI DELL’ISTITUTO ONORATO DAMEN

Fermare la guerra imperialista: l’esempio della rivoluzione d’ottobre

Le vicende della prima guerra mondiale sono ancora oggi fonte di preziosi insegnamenti. Mostrano come il riformismo sveli la sua natura guerrafondaia, le masse sfruttate possano trovare la forza per la loro azione di classe, il partito rivoluzionario possa divenirne la guida. Mostrano anche come la rivoluzione proletaria sia l’unica azione che possa fermare la guerra. Ripercorriamo quegli avvenimenti per indicare l’attualità del disfattismo rivoluzionario di fronte all’imperialismo e alla violenza sempre più estesa che esso sta producendo in ogni parte del mondo.

Il disfattismo rivoluzionario nel XXI secolo

Malgrado la crisi capitalistica sia devastante quanto le crisi economiche che in passato hanno condotto ai precedenti macelli mondiali, ad oggi, la risposta del proletariato internazionale sul piano teorico-organizzativo ristagna e non esprime una adeguata opposizione di classe alla gravità della situazione. A questo hanno concorso molteplici motivi, tra cui: le ristrutturazioni dell'apparato produttivo, la frammentazione dei lavoratori, il crollo del falso socialismo reale e, non per ultimo, il ruolo reazionario del riformismo a sostegno del capitale, sempre presente e attivo nelle sue continue metamorfosi.

 

La controversia sull'accumulazione socialista nella Russia post rivoluzionaria

Nel pieno della Nuova politica economica (NEP), tra il 1924 e il 1926 si sviluppa il dibattito sui tempi e i ritmi dell'industrializzazione sovietica. Dalla polemica si passerà allo scontro aperto all'interno del partito bolscevico, che spalancherà la strada all'ascesa al potere di Stalin. La causa del precipitare della situazione fu il fallimento della transizione al socialismo, dovuto al permanere dei rapporti di produzione borghesi e al conseguente consolidamento del capitalismo di Stato.

 

Il capitalismo è in crisi. La sua alternativa, il socialismo, incute timore

Siamo in presenza di un vero e proprio paradosso della storia per cui proprio quando il modo di produzione capitalistico mostra tutti i suoi limiti e conferma, con l`erompere delle sue contraddizioni, la sua transitorietà, il socialismo è parola vuota di significato.

A questo radicale svuotamento di senso della parola socialismo ha sicuramente contribuito la controrivoluzione stalinista. Lo stalinismo, prima è riuscito a spacciare per socialismo una delle forme più feroci di dittatura del capitale e poi, con il suo crollo, ne ha sancito anche il fallimento.

Il socialismo, in quanto fase di transizione dalla società capitalista a quella comunista non è soltanto quella formazione sociale in cui è possibile la soddisfazione dei bisogni della collettività senza lo sfruttamento dei lavoratori; ma, nella misura in cui rende possibile ciò, pone anche le basi materiali perché possa compiersi la più grande rivoluzione della storia…

E' oggi possibile restituire un senso alla parola socialismo, in quanto possibilità concreta che non scaturisce dal pensiero che pensa se stesso. E' possibile però a condizione che si proceda a una rivisitazione critica di tutta la precedente elaborazione sulla cosiddetta fase di transizione sviluppata dal marxismo rivoluzionario e in particolare da Marx nel suo Critica al programma di Gotha e da Lenin in Stato e rivoluzione.

Discutendo della transizione dalla società capitalistica a quella comunista. Qualche punto fermo.

La società comunista non si sviluppa a partire dal regno dell’utopia o dalla Città del sole di Tommaso Campanella ma dalla società capitalistica così come essa sarà giunta all’erompere della rivoluzione comunista.

Decadenza del capitalismo e attualità della proposta comunista: ripensare il socialismo nell’era della globalizzazione

Il capitalismo decadente mostra la sua antistoricità ma non emerge un progetto per una società diversa. E’ giunto il momento per riaprire il dibattito sul significato attuale del socialismo. E‘ ancora attuale? Può risolvere i gravi problemi della società? Può realizzare il libero e pieno sviluppo delle facoltà di ogni individuo?

ALTRI SCRITTI DI ONORATO DAMEN