Xu Lizhi, Giulio Regeni, così lontani, così vicini

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Creato: 06 Aprile 2016 Ultima modifica: 13 Ottobre 2016
Scritto da Carlo Lozito Visite: 2131

 

morte_delluomoCome è stato possibile uccidere un giovane studente impegnato solo a studiare dei fenomeni sociali? Come è possibile far morire dei giovani operai massacrandoli con lo sfinimento del lavoro alla catena di montaggio? Le domande ne inducono un'altra. Quanto vale la vita umana oggi di fronte alle superiori necessità dell'economia capitalistica? Quanto vale per i signori che possiedono il capitale, la vita e la dignità degli uomini?


Xu Lizhi, 24 anni, era un operaio cinese della Foxconn, morto suicida nel 2014 per il super sfruttamento e l'alienante lavoro alla catena di montaggio. Giulio Regeni, 28 anni, un brillante studente italiano della prestigiosa università di Cambridge, assassinato al Cairo dopo sette giorni di indicibili torture inflittegli da efferati assassini solo perché si occupava di studiare i movimenti sindacali di base egiziani.

 

 

Due giovani vite spezzate apparentemente senza alcuna connessione tra loro. Eppure, a ben riflettere, così non è.

 

Xu Lizhi era un povero contadino costretto a migrare per cercare una vita migliore in città. Dopo poco tempo di lavoro alla catena di montaggio della Foxconn, la  fabbrica multinazionale cinese produttrice dei componenti elettronici venduti ai maggiori marchi mondiali della telefonia e dell'informatica, dopo aver capito che i suoi sogni di riscatto dovevano rimanere tali, dopo essersi reso conto che ogni sua aspirazione gli veniva negata dalla sua condizione lavorativa di semi schiavitù, ha iniziato a trovare conforto scrivendo delle poesie sulla sua condizione di operaio. Un grido disperato di dolore che ci ha consegnato una tragica testimonianza sulla vita di milioni di giovani cinesi costretti a lavorare, senza alcuna possibilità di cambiamento, in condizioni disumane. Quel grido, si è tradotto dopo qualche anno, nello stesso gesto estremo di tanti suoi colleghi di lavoro che, giovani come lui, si sono gettati per disperazione dalla finestra delle stanze-dormitorio in cui la Foxconn li ammassava per controllarne totalmente la vita.

 

Della Foxconn e di Xu Lizhi abbiamo già scritto e pubblicato un suo libro di poesie e una recensione nel nostro sito.

 

Si è parlato di suicidi. In realtà si tratta di omicidi scientemente studiati nel momento in cui gli “ingegneri” dell'organizzazione del lavoro si sono preoccupati esclusivamente di spremere ogni briciola vitale dall'esistenza di quei giovani operai per ottenerne la massima produttività. Lo dettava la cosiddetta globalizzazione e la legge di mercato che, nella odierna divisione internazionale del lavoro, pretendeva dalla Cina prodotti a costi irrisori ottenuti da lavoratori pagati con salari appena sufficienti ad alimentarli e spremuti come limoni da ritmi di lavoro super intensivi. Proprio i giovani operai, i più sensibili al desiderio di vivere pienamente la loro esistenza, i più dotati di aspirazioni e speranze ma anche per questo i più vulnerabili, hanno pagato il prezzo della disperazione constatando quanto la loro vita venisse trattata dall'azienda come un qualsiasi ingranaggio da usare fino alla sua usura e rottamazione.

 

Dietro l'immagine, attentamente studiata e data in pasto ai media dal management aziendale di una fabbrica modello ipertecnologica, vi è la violenza indicibile, se non la vera e propria tortura, scientificamente studiata da chi ha tradotto il taylorismo di vecchia data, ispiratore della novecentesca catena di montaggio, in un aggiornato e raffinato modello organizzativo capace di ottenere dal lavoratore ritmi e sequenze lavorative ai limiti della sopportabilità.  Così la violenza si è abbattuta, si abbatte ancora oggi, sulle giovani vite cinesi strappate alle campagne col miraggio di una vita migliore. Per cosa? Semplicemente per il profitto dell'azienda, di quei pochi azionisti e manager che con il sangue dei lavoratori hanno ottenuto di concentrare nelle loro mani una ricchezza immensa.

 

Giulio Regeni, giovane italiano, intelligente, curioso, impegnato a studiare, sensibile alle ingiustizie del mondo, desideroso di comprenderlo per poterlo cambiare, aveva deciso di fare la tesi di dottorato sui movimenti sindacali di base egiziani; frequentava la prestigiosa università di Cambridge in Gran Bretagna e voleva analizzare sul campo quanto stava avvenendo nel mondo del lavoro egiziano. Una ricerca per capire, per conoscere, per cogliere da vicino la drammatica esistenza dei lavoratori egiziani sottoposti a regimi lavorativi non troppo diversi da quelli cinesi. E' bastato questo per insospettire i servizi segreti egiziani che l'hanno pedinato, spiato, intercettato e alla fine, con molta probabilità, sequestrato, torturato e ucciso. Le bugie e gli insultanti depistaggi delle autorità egiziane non hanno potuto impedire l'emersione della tragica realtà: Giulio è morto per torsione del collo dopo sette giorni di torture efferate. Un vero e proprio martirio. Non importa ora analizzare se il crimine sia stato compiuto dai servizi segreti egiziani, parti di essi o da squadracce incaricate da chissà quale apparato di potere. Pensiamo che i torbidi creati dalle autorità egiziane per creare confusione sulle cause della morte di Giulio e le indagini anch'esse tutt'altro che limpide della magistratura, dipendente e collusa con il governo, siano già un atto di accusa contro il regime.

 

Dicevamo del regime egiziano. Parliamone. Al Sisi, nominato capo di Stato Maggiore e ministro della Difesa dal precedente presidente Muhammad Mursi, ha assunto la presidenza dell'Egitto dopo aver deposto lo stesso Mursi con un colpo di stato militare il 3 luglio del 2013. Viene ufficialmente proclamato presidente nel 2014 e da allora, forte dell'appoggio della classe militare, instaura un feroce regime poliziesco.  Con la brutalità, le forze dell'ordine reprimono le manifestazioni di dissenso provenienti dalla società e in particolare quelle che esprime il mondo del lavoro.  Ricordiamo che buona parte della popolazione vive in condizioni di miseria: il 40% degli egiziani dispone di meno di 1,5 euro al giorno  e la disoccupazione giovanile, cioè della parte più scolarizzata della società, è elevatissima. Frequenti sono perciò i movimenti di protesta e gli scioperi dei lavoratori.

 

Tutto ciò nonostante la significativa crescita del Pil di oltre il 5% l'anno nel periodo, ormai pluriennale, della devastante crisi economica occidentale. Questa crescita si è tradotta in un accentramento impressionante della ricchezza nella mani della borghesia, in particolare delle forze armate egiziane, sua componente principale.

 

Esse costituiscono la 13ª forza armata più potente del mondo e sono state da decenni finanziate dagli Usa con montagne di dollari l'anno. In cambio hanno garantito, al pari di quelle israeliane, l'equilibrio politico mediorientale che ha consentito agli stati Uniti di controllare l'area. Esse godono di grande potere economico controllando in modo determinante la costruzione di strade e abitazioni, la produzione di beni di consumo, la gestione di villaggi-vacanze e ampie quote di beni immobili. Si stima che il 40% dell'intera economia sia controllato e posseduto dalle forze militari. I bilanci militari, i nomi delle gerarchie militari e le loro residenze sono tutelati dal segreto di stato.

 

L'apparato burocratico e militare è caratterizzato da una forte corruzione e concorre a determinare una situazione sociale caratterizzata da fortissime disuguaglianze.

 

Dunque, mentre in Egitto una grande parte della popolazione vive in condizioni di povertà, la classe sociale borghese, costituita in primo luogo dai militari-imprenditori, fa affari d'oro col petrolio e col gas, con l'importazione di merci straniere, principalmente europee e americane (le armi innanzi tutto) e con ogni sorta di attività economica. Il profitto, la ricchezza, il denaro, sono la ragione di vita dell'apparato di potere. Si tratta delle stesse ragioni che generano in Cina, con altre modalità e in altre situazioni, il fenomeno dei suicidi dei giovani operai.

 

Sono le stesse ragioni che spiegano il comportamento, a dir poco riluttante, del governo italiano di fronte al vergognoso comportamento di quello egiziano. Proprio nei giorni del ritrovamento del corpo martoriato di Giulio al Cairo, era in corso l'incontro tra la delegazione italiana e quella egiziana degli imprenditori per sottoscrivere importanti commesse milionarie. L'Italia è un partner commerciale importantissimo dell'Egitto a cui fornisce merci, tecnologia, impianti, costruzione di infrastrutture. Questi affari, i lauti profitti che da essi scaturiscono per le imprese italiane, la necessità di non incrinare i rapporti commerciali con i militari egiziani, hanno indotto Renzi a pronunciare sul caso Regeni solo limitate frasi di circostanza, davvero rivoltanti, tanto da costringere i genitori di Giulio a una pubblica e sferzante richiesta al governo italiano di agire con maggiore forza nel pretendere la verità su quanto successo a loro figlio denunciando che non si tratta di un caso isolato. Renzi ha fatto finta di alzare la voce fingendo anche di chiedere la verità dei fatti al governo egiziano.

 

Il paladino nostrano della cosiddetta democrazia, sempre pronto a giustificare gli interventi militari in terra straniera in nome della sua difesa, ignora quanto il Corriere della Sera pubblica in prima pagina  il 3 aprile ovvero i nomi di oltre 500 desaparecidos egiziani scomparsi nel nulla dopo l'arresto della polizia? Renzi si è zittito anche quando Al Sisi, nella recente intervista sul caso Regeni rilasciata a La repubblica, si è permesso di sviare le domande del suo interlocutore dicendo che anche in Italia un egiziano è scomparso, minimizzando così quanto sta succedendo in Egitto. Pavidità del presidente Renzi? Neanche un po', solo diplomatico savoir faire a favore degli appalti egiziani alle imprese italiane! Si sa, è una regola elementare, nel commercio il cliente non va mai irritato, lui ha sempre ragione!

 

Ecco allora come il caso di Giulio si collega, assumendone lo stesso significato, a quello di Xu Lizhi. La violenza, in Cina come in Egitto e come in ogni parte del mondo, è la brutalità del capitale contro chiunque osi intralciare la sua strada, è il mezzo per produrre, conservare e allargare la ricchezza dei potenti signori che la detengono.

 

Essa viene spregiudicatamente usata per il mantenimento del comando sulla società o sull'impresa. Si tratta, a causa della crisi economica mondiale, di una violenza sempre più diffusa in ogni angolo della terra e che ormai respiriamo in ogni momento della nostra vita. Dunque in Italia o nel civilissimo occidente si muore per incidenti sul lavoro, per le malattie indotte dall'inquinamento che ha ridotto aria, acqua e cibo a pattumiere di sostanze velenose. Si muore per la violenza terroristica dei gruppi islamici che replicano con la stessa logica affaristica e di potere alla violenza dell'imperialismo che ha saccheggiato, spesso con le guerre, il mondo arretrato negli ultimi quattro secoli, insomma si muore per lo scontro che permea ormai ogni poro della società a causa della lotta quotidiana che si svolge per il controllo della produzione, possesso  e gestione del denaro), per il controllo di ogni tipo di risorsa, di ogni territorio, per la contesa tra i potenti che lottano per spartirsi la ricchezza del pianeta. Ancora peggio avviene nel resto del mondo alle prese con le guerre ormai endemiche che mietono milioni di innocenti.

 

Come è stato possibile uccidere un giovane studente impegnato solo a studiare dei fenomeni sociali? Come è possibile far morire dei giovani operai massacrandoli con lo sfinimento del lavoro alla catena di montaggio? Le domande ne inducono un'altra. Quanto vale la vita umana oggi di fronte alle superiori necessità dell'economia capitalistica? Quanto vale per i signori che possiedono il capitale, la vita e la dignità degli uomini?