Sui fatti di Rosarno

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Creato: 19 Gennaio 2010 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 2272

Rosarno non è stata un’eccezione e lo Stato c’era

In Calabria, terra di agrumi, mediamente il costo per la raccolta dei mandarini, fatta da cooperative di braccianti con soci regolarmente assicurati e retribuiti, incide per 20 centesimi al kg; per le arance 12.

 

Ai mercati generali calabresi attualmente gli agricoltori spuntano, franco mercato, un prezzo fra 20  e i 30 centesimi al kg per i mandarini di prima scelta e 10-15 centesimi, per le arance anche se poi, per effetto dell’intreccio fra il potere oligopolistico della grande distribuzione e il controllo mafioso dei mercati ortofrutticoli, il prezzo al consumo è anche fino al 400 per cento più alto.

Non occorre essere esperti di economia agraria per capire che nessun imprenditore agricolo, con questi prezzi, è in grado di coprire anche i soli costi di produzione e raccolta per cui, se vuole rimanere sul mercato, dovrà necessariamente comprimerli. Se il frutteto fosse una fabbrica, potrebbe sostituire la manodopera con macchine più avanzate che permettano di incrementare la produttività del lavoro e di ridurne così il costo. Ma, benché anche in agricoltura la meccanizzazione abbia sostituito quasi del tutto il lavoro manuale, la raccolta dei prodotti arboricoli è tuttora in larga misura fatta a mano. Pertanto, per ridurre i costi di produzione, l’agricoltore non ha altra via che quella di comprimere quello del lavoro riducendo i salari fino quasi ad azzerarli e concentrare la filiera dalla produzione al consumo nelle stesse mani. Se invece è un piccolo produttore non potrà fare altro che lasciare marcire i frutti sugli alberi.

Nei giorni scorsi, a Catanzaro, è capitato di leggere l’annuncio di un piccolo produttore che, piuttosto che lasciarli marcire sull’albero, era disposto a regalare una cassetta ( 10-12 kg) di mandarini a tutti coloro che si fossero recati nella sua azienda a raccoglierseli. Ma i medi e i grandi produttori ricorrono agli immigrati.

D’altra parte, i processi di mondializzazione degli ultimi trent’anni hanno determinato una nuova organizzazione e divisione internazionale del lavoro tale per cui è divenuta estremamente vantaggiosa sia l’esportazione del lavoro nei paesi meno sviluppati dove il suo costo è più basso (delocalizzazione), sia il movimento opposto dell’importazione di lavoratori dalle aree più depresse e perciò disposti a lavorare per salari molto più bassi di quelli che percepirebbero i lavoratori locali. In pratica, per quel che riguarda il mercato del lavoro, è accaduto, in misura infinitamente maggiore, quel che accadde nell’Inghilterra all’epoca della prima rivoluzione industriale, quando, grazie all’introduzione della macchina a vapore, una gran quantità di forza lavoro fu espulsa dai processi produttivi.

Vita di merda e nella merda

E’ veramente rivoltante- scriveva Engels - il modo con cui la grande massa dei poveri viene trattata dalla società odierna…Li si attira nelle grandi città…Vengono privati dei mezzi atti ad assicurare la pulizia, vengono privati dell’acqua…lì si costringe a gettare sulla strada tutti i rifiuti e le immondizie…perfino tutto il sudiciume più ripugnante e lo sterco poiché si tolgono a essi tutti i mezzi per sbarazzarsene costringendoli in tal modo ad appestare i propri quartieri. Ma non basta…Non contenti di aver guastato l’atmosfera nelle strade, li si rinserra a dozzine in un’unica stanza…Si danno loro abitazioni umide, scantinati nei quali l’acqua penetra dal basso, o soffitte nelle quali penetra dall’alto…Li si espone alle più violente emozioni, alle più brusche oscillazioni di timore e di speranza, li si perseguita come fossero animali, e non si concede loro mai un po’ di pace e di tranquillità.”[1]

Esattamente come accade oggi ma su scala mondiale. Insomma, il moderno capitalismo non è granché diverso da quello del passato, a riprova di quanto errata sia l’idea che progresso sociale e tecnologico siano la stessa cosa e che il secondo trascini inevitabilmente con sé il primo.

Da quando Engels pubblicava per la prima volta questo suo lavoro (marzo 1845), sono trascorsi esattamente 165 anni, ma a rileggerlo sembra che lo abbia scritto dopo aver visitato qualcuno degli slum che con sempre maggiore frequenza spuntano come funghi nelle periferie di paesi come Rosarno, di cittadine come Foggia e Caserta o nelle aree interne più degradate di metropoli come Napoli, Parigi, Mosca e Los Angeles. Normalmente nessuno se ne interessa. Di tanto in tanto lo fa lo Stato, ma solo per rendere i migranti e i lavoratori informali, e perciò più poveri, che li abitano ancora più esposti al ricatto dei padroni ponendo assurdi vincoli burocratici ai loro spostamenti e criminalizzandoli con apposite leggi che colpiscono come un reato la loro miserabile condizione sociale. Ha fatto lo stesso anche durante la prima rivoluzione industriale e la grande crisi che colpì l’Europa fra la fine del ‘500 e i primi decenni del ‘600. Quando la massa dei diseredati si accresceva troppo, scrive lo storico B. Geremek: “…le reazioni erano violente e convulse: disoccupati, contadini immigrati e mendicanti e <<lumpenproletariat>> urbano venivano indistintamente trattati come popolazione pericolosa, nei cui confronti si faceva uso dell’accusa di vagabondaggio, ormai diventata una fattispecie penale”[2].

Esattamente come accade oggi e come aveva previsto K. Marx.

Non dice, dunque, niente di originale quel paio di baffetti posti sull’ombelico della media e piccola borghesia padana e del Nord Est (in via di rapida e violenta proletarizzazione), lo sceriffo semiborghese che occupa il posto di ministro degli interni, quando, rovesciando i più elementari principi della logica, individua la causa degli avvenimenti di Rosarno nell’eccessiva tolleranza nei confronti dei migranti e tace spudoratamente sul fatto che questa manodopera superflua è necessaria non solo perché è disposta a svolgere lavori che i lavoratori autoctoni non sono più disposti a fare, ma soprattutto perché mantiene basso il livello generale dei salari consentendo così di realizzare più elevati tassi di profitto.

Una questione di igiene pubblica

Ma non è questo che smuove le coscienze. Così come nell’Inghilterra vittoriana “la coscienza borghese veniva bruscamente scossa dall’idea che milioni di inglesi, uomini donne e bambini vivevano praticamente nella merda.  La questione più immediata sembra fosse se per caso non vi stessero annegando. Nella convinzione che le epidemie avessero origine dai fetidi miasmi fecali dei distretti degli slum, improvvisamente l’elite cominciava a interessarsi alle condizioni di vita…”[3], anche a Rosarno ci si è accorti che a raccogliere arance e mandarini erano uomini ridotti in condizioni di vita subumane, solo quando la loro presenza è divenuta una questione di igiene pubblica. Ma anziché disporre gli strumenti per colpire almeno le forme illegali del loro sfruttamento, sono stati acquistati un po’di bagni chimici ed è stata sbloccata una prima tranche di 200 milioni di euro per finanziare un vecchio progetto che prevedeva l’attivazione dei servizi igienici essenziali nelle vicinanze delle fabbriche dismesse in cui alloggiavano i migranti nonché la costruzione di un centro di aggregazione sociale per favorire la loro integrazione. Solo che il vecchio progetto prevedeva la costruzione del centro di aggregazione su un terreno espropriato a una delle più potenti famiglie mafiose della zona che già accarezzava l’idea di rientrarne in possesso grazie alla recente approvazione della legge che consente di mettere all’asta i beni espropriati alla criminalità organizzata. Poi c’erano i salari arretrati ancora da liquidare.

Peraltro, il proletario moderno, in quanto pura cosa-merce disponibile in grande quantità essendocompletamente spersonalizzato può essere facilmente sostituito con un altro più povero di lui in qualsiasi momento. In poche parole, egli è stato ridotto allo pari di un qualsiasi imballaggio usa e getta, a una condizione non conosciuta perfino agli schiavi dell’antichità.

Lo schiavo- scrive ancora Engels - ha almeno l’esistenza assicurata dell’interesse egoistico del suo padrone, il servo della gleba ha ancora un pezzetto di terra del quale vive, essi hanno una garanzia almeno per l’esistenza pure e semplice: ma il proletario è abbandonato a se stesso, e tuttavia, nello stesso tempo, è messo nell’impossibilità di impiegare le sue forze in modo da potervi contare”. [4]

Oggi- scrive L. Napoleoni nel suo libro Economia canaglia- il prezzo di uno schiavo è circa un decimo di quello che era nella Roma antica… Per gli antichi romani gli schiavi erano un bene raro e una comodità preziosa da pagare a caro prezzo. Al contrario, oggi ce ne sono in gran quantità, il loro valore è minimo e vengono considerati semplicemente un <<costo obbligato per il business >>[5] e perciò quando e se possibile, meglio se azzerato.

E così a Rosarno qualcuno ha pensato di disfarsene sparandogli sbrigativamente addosso con le carabine ad aria compressa, come taluni cacciatori usano fare con i piccioni provocandone la reazione e l’infame caccia all’uomo che ne è seguita. La ‘ndragheta, sia nella sua versione imprenditoriale – nella  zona l’intera filiera agrumicola è sotto il suo controllo –sia come proprietaria delle aree espropriate, ha avuto quindi tutto l’interesse a scatenar l’inferno. D’altra parte, la globalizzazione e la deregolamentazione dei mercati finanziari hanno talmente assottigliato il confine tra economia legale e illegale da renderlo praticamente invisibile e Rosarno si trova nello stesso comprensorio di Gioia Tauro. “ Gioia Tauro – scrive ancora L. Napoleoni – è uno snodo vitale della nuova ‘ndragheta, che fornisce alla criminalità internazionale l’infrastruttura globale di copertura…La stessa rete ricicla anche il denaro ricavato e lo investe in attività lecite [il grassetto è nostro] . In cambio, il margine di profitto dell’organizzazione è dato dalla trattenuta del 30 per cento sul valore totale della merce. Nessun’altra organizzazione criminale offre un servizio così completo”. [6] E’ semplicemente ridicola quindi la tesi che la ‘ndragheta non c’entri o che si sia mossa solo per lanciare un monito alla magistratura che la starebbe incalzando troppo da vicino. La ‘ndragheta muove capitali come qualsiasi grande multinazionale e si comporta come qualsiasi grande impresa multinazionale. Forse che far produrre, facendolo lavorare 14-15 ore per qualche euro al giorno, scarpe a un bambino indonesiano sia cosa sostanzialmente diversa che far raccogliere a un immigrato mandarini in Italia a un salario prossimo allo zero?

Nondimeno sarebbe fortemente riduttivo e perfino fuorviante se tutto quanto accaduto fosse messo a capo unicamente della criminalità organizzata. C’è dell’altro, vediamo cosa.

È la guerra fra i poveri

“I singoli individui – avvertiva Marx, nell’Ideologia Tedesca – formano una classe solo in quanto debbono condurre una lotta comune contro un’altra classe; per il resto essi si ritrovano l’uno di contro all’altro come nemici, nella concorrenza.”[7].

Ed esattamente quest’ultima è - vuoi come conseguenza del fallimento dell’esperienza della Rivoluzione Russa, vuoi per la nuova organizzazione e divisione internazionale  del lavoro e i violenti processi di scomposizione e ricomposizione di classe che ne sono seguiti, nonché di tutta un’altra serie di cause oggettive e soggettive la cui complessità ne impedisce un’indagine esaustiva in questa sede- la condizione in cui versano oggi i proletari: divisi e resi nemici da una concorrenza spinta fino alle sue estreme conseguenze. Tanto più in una regione, come la Calabria, economicamente fra le più arretrate d’Europa ed essa stessa serbatoio di manodopera a basso costo.

“ Dai nostri dati – dichiarava la scorsa estate il vicedirettore dello Svimez, Luca Bianchi – risulta che già oggi il differenziale del costo del lavoro tra Nord e Sud è del 26 per cento nell’industria e che negli ultimi anni sta aumentando, crescendo al Centro-Nord dell’1,2 per cento e calando al sud dello 0,4 per cento”[8]. E da questa estate la situazione è peggiorata. Oltre agli immigrati di Rosarno, da diversi mesi non percepiscono il salario circa 5.000 lavoratori di alcuni call center; lo percepiscono con grave ritardo quelli di almeno tre grandi catene di supermercati e solo saltuariamente quelli che operano nella sanità convenzionata. La tredicesima, fatti salvi i lavoratori del pubblico impiego e di poche altre isole felici, è per molti ormai solo un pallido ricordo. In un contesto simile dunque, il minimo che possa accadere è che la concorrenza si trasformi in xenofobia, che il nemico contro cui indirizzare la rabbia per il disagio sociale che si accresce di giorno in giorno, diventi per il nero il bianco e per il bianco il negro o lo straniero che ti ruba il lavoro per quattro soldi. Il razzismo, l’intolleranza etnica e perfino religiosa non calano dal cielo, ma sono il prodotto della divisione in classe della società, scientemente alimentati da quella dominante perché funzionali alla conservazione del suo dominio. Ed ecco che a Rosarno lo Stato, in quanto macchina di repressione per la difesa degli interessi della classe dominante, ha lasciato prima che i neri potessero esser fatti oggetto di tiro al bersaglio, poi che, a loro volta, scatenassero la loro rabbia, purtroppo non tanto contro i caporali e i padroni che li sfruttavano come bestie, ma contro chiunque avesse la pelle bianca, infine, quando è partita la caccia ai negri con la scusa di volerli proteggere dall’ira dei bianchi li ha deportati in massa nei lager ipocritamente definiti centri di prima accoglienza. Quindi, contrariamente a quanto si è detto, lo Stato non è stato assente ma, coerentemente con il su carattere classista, ha operato per la migliore salvaguardia degli interessi della borghesia. In realtà quel che è mancato è quello Stato che esiste solo nella fantasia degli intellettuali borghesi, il cosiddetto Stato di diritto.

Da qualsiasi punto di vista la si voglia guardare, la vicenda di Rosarno non è l’eccezione. Ma, data la profondità della crisi e la crescita della disoccupazione che si prevede, segna un altro drammatico passo della guerra fra i poveri che affonda le sue radici nella crisi economica mondiale, che da oltre trent’anni incalza il sistema capitalistico, e che la borghesia alimenta, consapevole che è uno dei più formidabili strumenti in suo possesso per far sì che i proletari continuino a ritrovarsi l’uno di contro all’altro come nemici, nella concorrenza e perciò, bianchi e neri, migranti e locali, tutti votati alla sconfitta, come a Rosarno.

g.p.



[1] F. Engels – La situazione della classe operaia in Inghilterra – Opere complete – Vol. IV – pag. 330- Ed. Riuniti, 1972

[2] B. Geremek – Uomini senza padrone- Einaudi, 1992- pag. 125

[3] Steven Marcus – Engels, Manchester e la classe lavoratrice – Einaudi, 1980- pag 184 – citazione tratta da M. Davis – Il pianeta degli slum – Feltrinelli, 2006, pag . 126

[4] Engels – op. cit. pag. 347

[5] Loretta Napoleoni – Economia canaglia – Il Saggiatore, 2008, pag. 12

[6] Ib. pag. 65

[7] K. Marx – L’ideologia Tedesca – Opere complete – vol. V- Ed. Riuniti 1972, pag. 63

[8] Il Manifesto dell’11/08/09