Jobs act: asserviteci tutti.

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Creato: 07 Aprile 2014 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 3300
Non bastava la Fornero con la sua “rivoluzionaria” riforma del lavoro, e ancora prima quella di Sacconi con le modifiche dell’apprendistato ed altre amenità. No, non bastavano, perché le ultime scoppole legislative regalate ai lavoratori, senza diritto di replica, arrivano dal neonato governo Renzi.

La schiavitù umana ha toccato il punto culminante alla
nostra epoca sotto forma di lavoro liberamente salariato.
George Bernard Shaw, Uomo e superuomo, 1903

precarieta Siamo alle solite, al già visto, al déjà vu di un nuovo governo che in poco tempo già impantanato nelle sue contraddizioni, magicamente trova quasi da subito la quadra di come imporre la nuova e nefasta riforma del lavoro. Difatti quella che Renzi chiama molto pomposamente e forse erroneamente Jobs act, è una norma al 90% oramai acquisita, un feto legislativo quasi giunto al parto, manca solo il voto in parlamento, per cui possiamo di certo dire qualcosa in merito.


Quante luci in fondo al tunnel si sono viste dalla crisi del 2007? Quante sono le previste riprese del lavoro mai arrivate? E quanti posti di lavoro sono andati persi? Alle prime due domande rispondono, chiaramente mistificando, i solisti della borghesia e lasciamo volentieri a loro questo squallido esercizio di bieca cialtroneria; mentre per l’ultima, i dati sono di quelli che trovarne di equivalenti è davvero arduo, pur volendo scomodare la ultra citata crisi del 1929. Appunto, i dati ufficiali parlano di mille posti di lavoro persi ogni giorno e di disoccupazione al 13% in Italia, mentre in Europa tra la popolazione attiva, i senza lavoro sono ventisei milioni circa, l’11%. Fra i giovani (bisognerebbe qua capire fino a che età si è giovani e considerare chi non cerca nemmeno più il lavoro) in Italia la disoccupazione raggiunge valori postbellici, i dati dicono che il 42,4 % sta a casa, mentre nel sud Italia le percentuali sono del 55%; dati che sono molto prossimi a quelli greci dove il 61% dei giovani è disoccupato. Le donne sono letteralmente l’ultima ruota del già diroccato carro, il 46% in Italia non lavora, al sud siamo al 61%, il più alto dell’unione! In Europa i giovani disoccupati sono il 23%[1] rispetto al totale della forza lavoro. Uno sterminato esercito di riserva. E mica basta solo questo. Dallo studio Global Employment Trend 2014[2] si evince che la tendenza del tasso di disoccupazione, non subirà inversioni di tendenza, soprattutto per i giovani europei e nello specifico per l’area mediterranea, la più colpita dalla crisi. Le previsioni appunto sono pessime: per i paesi sviluppati la crescita del reddito nel periodo 2014-18 sarà intorno al 2,5 %, dell’occupazione di uno striminzito 0,5%; indubbiamente una non ripresa con tassi di disoccupazione crescente. Ritornando un attimo ai giovani, questa volta italiani, lo studio mostra come dopo il 2007, considerando una fascia d’età tra i 15 e i 29 anni, i cosiddetti neet (not in education, employment or training) ossia coloro che non lavorano e non sono né in formazione lavoro e né studiano, sono il 25% della popolazione di quella fascia d’età potenzialmente occupabile[3]. Questo vuol dire semplicemente che un quarto di essi, non si interessano minimamente più di trovare un lavoro, una chiara dichiarazione di discredito totale per questo sistema.

La nuova riforma del lavoro di Renzi segue in ordine temporale quella di Sacconi del 2011 e poi quella della Fornero nel 2012, la confeziona il neo presidente del consiglio insieme al neo ministro del lavoro Poletti prendendo a prestito il nome dalle leggi varate da Obama in America nel 2012, Jobs act appunto. Col pallino fasullo di semplificare la legislazione in essere, soprattutto per i primi contratti d’ingresso nel mondo del lavoro, ossia tutti quelli rientranti nella giungla dei rapporti di lavoro a termine e quindi precari, si introducono delle norme che vanno a impattare soprattutto i contratti a termine e l’apprendistato. Infatti per l’articolo 1 della bozza di legge, se la precedente riforma Fornero fissava a dodici i mesi la durata massima consentita di contratti indicando la causale[4], invece il provvedimento Poletti/Renzi stabilisce un termine ben più ampio, 36 mesi, con un numero massimo di otto proroghe, questa volta senza causale. Se ancora per la Fornero, la pausa tra un rinnovo e l’altro era previsto tra i 10 e 20 giorni, nel jobs act la pausa viene azzerata, non è necessaria. In una azienda, questi tipi di contratto non possono superare il 20% della forza lavoro totale impiegata, a meno di accordi sindacali che ne stabiliscono percentuali diverse. L’articolo 2 della bozza prevede per l’apprendistato nessun vincolo di assunzione al termine del percorso formativo, mentre almeno la Fornero parlava di una conferma di almeno il 30% degli apprendisti, alla fine del ciclo di formazione.

Immaginiamo ora questo scenario: supponiamo che Luca abbia un contratto a tempo indeterminato con circa trent’anni d’anzianità, Ugo sia a tempo determinato per esempio un somministrato e sta per scadere il suo contratto. Supponiamo che Carlo, un bel giovane venticinquenne che non ha mai lavorato e che è disponibile per un’azienda metalmeccanica di cento dipendenti, dove lavorano Luca e Ugo. Il datore di lavoro decide di assumere con un contratto a termine Carlo e di affiancarlo per un periodo di formazione a Luca. Per il jobs act di Renzi, il datore di lavoro non è tenuto minimamente a fornire un minimo di programma di rinnovo o proroga eventuale del contratto di lavoro a Carlo che intanto, nella speranza della regolarizzazione, alla fine del ciclo dei 36 mesi previsti da Poletti, s’impegna alla morte sul lavoro: non sindacalizzandosi, facendo straordinari non pagati, non protestando se la busta paga arriva in ritardo, accettando condizioni di lavoro sempre peggiori, ecc.; in poco tempo insomma Carlo diventa una macchina perfetta da lavoro imparando quasi tutti i trucchi del mestiere da Luca e Ugo. Intanto ad Ugo è scaduto il contratto e il datore di lavoro decide per il momento di non rinnovarlo. Il carico di lavoro di Ugo ricade in parte su Luca e in parte su Carlo che nella speranza di essere assunto non protesta per le ore in più di lavoro, ben sapendo che per il nuovo Jobs act, il datore potrebbe sospendere all’improvviso il rapporto di lavoro, senza indicarne minimamente le motivazioni, visto che il lavoro si è andato, per esempio, sempre più meccanizzando in azienda. Ma la perversione aggiuntiva del jobs act è che permette al datore di lavoro di sospendere Carlo, di richiamarlo successivamente con un nuovo contratto, ripartendo poi con otto proroghe e di fatto azzerando il precedente contatore. Questo butterebbe Carlo in un tunnel senza uscita, con la prospettiva più che reale, di rimanere apprendista-precario anche a vita! Siccome la mansione di Luca è stata sostituita da un macchinario, con un accordo sindacale si procede alla messa in cassa integrazione straordinaria e in mobilità poi. Nel giro di poco tempo nell’azienda abbiamo Luca in cassa e prossimo al licenziamento, Ugo fuori in attesa di essere (eventualmente) richiamato e Carlo che lavora come un matto ma con pause per il rinnovo o sospensioni continue in base al ciclo produttivo. Siccome il datore di lavoro ha un problema con la soglia del 20% dei contratti a termine, col sindacato si raggiunge un accordo dove si decide di derogare questo vincolo tramite l’articolo 3 del decreto 368/2001 e successivi, per cui potrà utilizzare e mandare a casa tutti i lavoratori che vuole, senza infrangere nessuna legge borghese vigente. Il risultato combinato di questo sistema è il totale stritolamento della forza lavoro attiva (se a tempo indeterminato o meno conta poco) e di quella che si propone sul mercato del lavoro, giovane o anziana che sia.

In Europa, la situazione come abbiamo visto dai dati non è molto migliore, e le norme sul precariato non sono da meno. Se facciamo riferimento alla Germania, nazione economicamente trainante, si nota che i minijob ossia lavori con uno stipendio massimo di 450 euro mensili e con un limite di 15 ore settimanali, non sono altro che offerte di lavoro malpagate e precarie, divenendo di fatto modelli contrattuali prevalenti, per le fasce sociali più deboli. Il risultato lo esplicita il professore di Diritto del Lavoro e della Previdenza Sociale all’Università Autónoma de Madrid: “Il modello tedesco dei minijobs sta consacrando una casta di persone impoverite, incapsula la popolazione e produce una segregazione per età e per sesso”[5]. Nella vicina Francia abbiamo i CPE ossia i contratti di primo impiego che hanno prodotto povertà e incertezza crescente, soprattutto per i giovani. La Spagna che è stata una delle prime ad adottare forme di contratto precario, ha i più alti indici di disoccupazione in Europa. In Grecia, la nazione più devastata dalla crisi, stanno introducendo contratti di lavoro a 4-500 euro al mese[6] massimo, mentre anche in Italia non siamo lontani da queste paghe da fame, basta farsi un giretto, per esempio, nei vari call center ancora operanti nella penisola, o osservare le offerte di lavoro online disponibili.

Di fronte a questi allegri scenari, il jobs act di Renzi si inserisce nell’insieme di norme che regolano il lavoro, in linea con le richieste del capitale: creare una fascia di forza lavoro, soprattutto nella zona mediterranea, sempre disponibile e ricattabile, con paghe sempre decrescenti. Pensare che queste norme siano poi la panacea per ricreare i posti di lavoro persi, fa davvero tenerezza. Intanto il capitalismo sta vincendo la sua ennesima battaglia: distruggere i rimanenti diritti per asservire totalmente la forza lavoro, a proprio piacimento.



[1] Il rapporto trimestrale sulla condizione sociale e occupazionale pubblicato dall'esecutivo europeo . Si guardi anche l’ultimi studio ISTAT : occupati e disoccupati fino a febbraio

[2] Dal sito dell’International Labour Organization: http://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/---dgreports/---dcomm/---publ/documents/publication/wcms_233953.pdf

[3] Vedi pag.20 del pdf della nota di sopra.

[4] La causale indica la motivazione per cui si giustifica quel tipo di contratto e o rinnovo.

[5] Germania, la menzogna dei minijob. Articolo apparso su: http://www.lolandesevolante.net

[6] Fonte: Franco Fracassi- http://popoff.globalist.it/