La guerra imperialista permanente ormai non ha più confini

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Categoria: Asia
Creato: 16 Ottobre 2023 Ultima modifica: 16 Ottobre 2023
Scritto da Alessandro Esotico Visite: 581

Un vecchio adagio d’oltralpe recita: «il denaro fa la guerra», ma ai fini di una sua completezza formale e sostanziale dovremmo aggiungere: «e la guerra fa il denaro».petrod

Il motivo per cui abbiamo emendato l’adagio francese ci viene imposto dalla critica dell’economia politica. Guerra e denaro sono un binomio indissolubile: se la crisi di valorizzazione del capitale è strutturale e dunque permanente, permanenti saranno le guerre¹. Come direbbe Aristotele: Tertium non datur.

Per decenni gli USA sono riusciti ad imporre al mercato il dollaro quale moneta di riferimento principale per gli scambi internazionali, con questo sistema di signoraggio monetario la borghesia americana dopo aver abbandonato il Gold-standard è riuscita a beneficiare di enormi quote di plusvalore proveniente da tutto il mondo. Ci è riuscita soprattutto con la creazione dei petrodollari. Indicizzare i barili di petrolio con la propria moneta ha permesso agli USA di influire sulla determinazione dei prezzi su scala internazionale in base ai propri interessi.

Quando pensiamo alla storia travagliata del Medio Oriente, le guerre degli ultimi decenni tra le fazioni arabe, le guerre combattute dall’occidente contro i vari terrorismi, le famose guerre in difesa della democrazia, ed il conflitto cinquantennale tra Israele e la Palestina, dobbiamo tenere ben fermo questo aspetto fondamentale: i petrodollari sono stati e sono tutt’ora uno strumento essenziale per il dominio imperialistico statunitense e le cosiddette “instabilità” regionali sono risultati essere nel corso dei decenni lo strumento più efficace nelle mani dei macellai statunitensi. Non è un caso che, quando si pensa ai petrodollari, la mente ricorra subito a quelle terre lì. Basti pensare che Il golfo Persico da solo produce i 2/3 delle esportazioni mondiali di petrolio e gas. Nel Medio Oriente si concentrano infatti circa i due terzi delle riserve accertate di idrocarburi.

Questo grafico ci aiuta a comprendere bene la portata della questione: se sommiamo tutti i paesi mediorientali emerge una netta sproporzione rispetto alla cosiddetta area occidentale nella produzione di barili giornalieri.

 

CAMBIANO GLI EQUILIBRI?

Oggi però il dominio del dollaro è messo in discussione. Il progetto di de-dollarizzazione avanzato dai BRICS² potrebbe mettere in seria difficoltà l’economia statunitense. In America si produce pochissimo, quasi nulla. Se Washington dovesse perdere altre quote di mercato nel dominio finanziario, soprattutto quote dove effettivamente si produce plusvalore - pensiamo al mercato asiatico – le cose potrebbero mettersi veramente male per la borghesia a stelle e strisce.

Effettivamente la tangente americana non è più considerata cosa buona e giusta da fasce sempre più vaste di quei segmenti della borghesia appartenenti al mondo arabo. Sia chiaro: parliamo di una borghesia regionale che cerca semplicemente le migliori condizioni finanziarie ed economiche per i propri affari. Sganciarsi dal dollaro? Perché no. Potrebbe essere lo sbocco “naturale” per queste economie così interconnesse tra loro: come mostra il grafico successivo la stragrande maggioranza di idrocarburi prodotta dai paesi in Medio Oriente viene venduta in Asia

petro2

Gli affaristi arabi iniziano a vedere quindi nell’ascesa dei BRICS una alternativa, una possibilità di liberarsi dal taglieggio statunitense nella speranza di ottenere condizioni migliori entrando nella sfera finanziaria guidata dall’asse Cina – Russia; così i nemici di ieri diventano gli amici di oggi, ne è testimonianza il fatto che paesi storicamente rivali quali l’Iran e l’Arabia Saudita entreranno a far parte del gruppo nel 2024.³ Insomma, è iniziato il fuggi fuggi dal dollaro, una delle tante spie del declino americano.

Gli Stati uniti non mollano però l’osso così facilmente. Alla luce di quanto ci siamo finora detti possiamo comprendere il motivo per cui negli ultimi anni la diplomazia americana ha cercato di trovare una soluzione alle instabilità – tra l’altro da essi fomentate nel corso degli anni finanziando cambi di regime e guerre varie – tra il mondo arabo e quello israeliano. Gli accordi di Abramo vanno letti proprio in quella direzione.

 

LA RIPRESA DEL CONFLITTO TRA ISRAELE E PALESTINA

Dopo l’attacco di Hamas ad Israele del 7 ottobre scorso l’Iran ha dichiarato: «Siamo al fianco dei guerrieri palestinesi fino alla liberazione di Palestina e Gerusalemme».  Anche il gruppo armato libanese Hezbollah, sciita come l’Iran, ha appoggiato Hamas parlando di un «continuo contatto con i leader della resistenza palestinese»

Anche se l’Iran ha negato in questi giorni un suo coinvolgimento diretto nella fornitura di armi e finanziamenti ad Hamas i fatti dimostrano in realtà il contrario.

Dopo i migliaia di morti e feriti israeliani causati dall’operazione Tempesta di Al Aqsa, Israele non si è fatta certamente attendere: sono giorni oramai che Gaza viene bombardata. Sono state sospese le forniture di energia elettrica ed idrica. Netanyahu è pronto a “risolvere la questione palestinese” con un massiccio attacco via terra. Intanto i raid aerei continuano e si sono estesi anche in Libano

Fiumi di sangue inondano le strade. Un esodo massiccio di civili palestinesi è in corso: circa un milione tra donne, bambini, anziani e meno anziani, nella speranza di non essere annientati da un missile israeliano; nella speranza di non morire di stenti, di fame e di sete, hanno abbandonato le loro case e si stanno trasferendo al sud della striscia di Gaza dichiarata zona franca. Almeno per il momento, aggiungiamo.

Evidentemente questa escalation militarista inaugurata da Hamas con il suo attacco allo stato di Israele si inscrive in questa fase di crisi del dominio imperialistico statunitense. La tendenza è chiara. Del resto, Hamas e l’Iran guardano a cosa avviene in Ucraina, guerra scoppiata subito dopo il ritiro delle truppe americane in Iraq. Gli equilibri internazionali stanno cambiando e la frangia dei macellai di Hamas cerca come può e come sa di ottenere un posto al tavolo che conta.

Dunque, in gioco non c’è solo quel fazzoletto di terra, Gaza, ma sono chiamati in causa una serie di interessi interconnessi tra loro che fanno capo a due poli imperialistici: quello a trazione americana e quello a trazione Cina – Russia. In mezzo però ci sono i proletari che pagano con la propria vita il conto ad un sistema sociale antiumano.

 

IL DISFATTISMO RIVOLUZIONARIO OGGI

Oggi non esistono guerre di liberazione nazionale che possono essere intese in senso progressivo per il proletariato. Il diritto di autodeterminazione dei popoli, così tanto sbandierato dalla sinistra borghese, non significa altro che il diritto di entrare nell’orbita di uno dei poli imperialistici presenti.

A noi non interessa la borghesia palestinese, ma il proletariato che vive, muore e viene sfruttato in Palestina; a noi non interessa la borghesia israeliana ma il proletariato che vive, muore e viene sfruttato in Israele.

Estendendo il focus a tutti gli altri paesi arabi parliamo di circa l’1,7% della forza-lavoro mondiale presente nell’intero Medio Oriente. I numeri non sono tutto, lo sappiamo, ma in virtù delle considerazioni finora esposte sappiamo anche che in quei territori l’imperialismo perpetua guerre da decenni, proprio perché il meccanismo di appropriazione parassitaria di plusvalore si fonda sul controllo della produzione degli idrocarburi. Sappiamo che il segmento di proletariato che “vive” in quelle zone paga il prezzo più alto in termini di vite umane.

Noi denunciamo l’inganno di una guerra di liberazione che possa restituire pace e benessere, l’inganno di una coesistenza pacifica tra borghesia e proletariato, l’inganno che il nemico sia il proletario del confine accanto. L’inganno che le controversie possano risolversi sul terreno della società borghese, delle sue leggi e dei suoi diritti formali e fasulli. L’inganno che la contrapposizione vigente sia quella tra la democrazia e i totalitarismi teocratici islamisti.

A questi inganni noi dobbiamo rispondere con il fuoco dell’internazionalismo proletario, dobbiamo rispondere con la fraternizzazione della classe proletaria internazionale, dobbiamo denunciare che il nemico da abbattere è anzitutto la borghesia, gli agenti del capitale presenti nel proprio paese.

Non bisogna schierarsi con la Palestina né con Israele. Bisogna schierarsi per il proletariato tutto contro tutta la borghesia mondiale declinata in tutte le sue articolazioni. Come scrisse Amadeo Bordiga bisogna «volgere la guerra degli Stati borghesi in guerra civile di tutto il proletariato contro la borghesia di tutti i paesi»¹⁰.


[1] http://www.istitutoonoratodamen.it/joomla34/index.php/questionieconomiche/163-capitalefittizio

[2] https://www.ilsole24ore.com/art/vertice-brics-sfida-xi-e-putin-all-occidente-cosa-sapere-sull-alleanza-paesi-non-allineati-AFUtZJd

[3] https://www.ilsole24ore.com/art/vertice-brics-sfida-xi-e-putin-all-occidente-cosa-sapere-sull-alleanza-paesi-non-allineati-AFUtZJd

[4] https://iari.site/2023/03/12/gli-accordi-di-abramo-e-il-protagonismo-degli-emirati-arabi-uniti/

[5] https://www.ilpost.it/2023/10/10/le-posizioni-dei-paesi-arabi-sugli-attacchi-di-hamas-sono-state-per-lo-piu-equidistanti/

[6] https://www.corriere.it/esteri/23_ottobre_09/iran-hamas-hezbollah-fc3fda12-6612-11ee-be50-fc53f6bb2a42.shtml

[7] https://www.rainews.it/maratona/2023/10/raid-notturni-su-gaza-numerose-vittime-israele-bombarda-postazioni-hezbollah-in-libano-9f9e4243-2a1b-4d31-b966-fda7c9327255.html

[8] https://www.rainews.it/maratona/2023/10/la-notte-di-gaza-quasi-1600-morti-33077bae-01e7-421b-8515-b3cc6941ded0.html

[9] https://ilostat.ilo.org/topics/population-and-labour-force/

[10] A. Bordiga, L’Unità 29 marzo 1924