Un bilancio dopo 20 anni

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Categoria: Europa
Creato: 10 Dicembre 2009 Ultima modifica: 17 Settembre 2016 Visite: 3548

A venti anni dal crollo del muro di Berlino: quando le bugie hanno le gambe corte

Quando vent’anni fa è crollato il muro di Berlino, il pensiero unico borghese non ha perso l’occasione per decretare la fine del comunismo e l’inizio di una nuova era di sviluppo, pace e prosperità. Per l’ideologia borghese il crollo del muro, simbolo dello scontro tra l’occidente capitalistico e il cosiddetto socialismo reale, apriva una nuova fase per la storia dell’umanità; anzi propria l’implosione di uno dei due poli che si contendevano il dominio del mondo rappresentava l’inizio della fine della storia. La recente celebrazione per il ventennale della caduta del muro, con la partecipazione alla kermesse berlinese di Kolh, Bush senior e Gorbaciov, i veri artefici politici del crollo, ci ha riportato alla mente gli urli di gioia dei corifei del capitale che decretavano l’aprirsi di una prospettiva edenica per l’umanità.

Niente avrebbe più ostacolato lo sviluppo del mercato dal momento in cui erano stati frantumati gli ostacoli all’agire delle forze della libera concorrenza. E’ appunto con il venir meno dello scontro tra i due grandi sistemi economico-sociali, capitalismo e comunismo, che per il pensiero borghese la storia ha compiuto il suo ultimo tratto raggiungendo finalmente l’ultimo gradino. Secondo questa lettura teleologica della storia, che trova in Hegel e molti suoi inconsapevoli epigoni i più significativi rappresentanti, il nuovo quadro che si apriva con il crollo del muro di Berlino determinava la fine della storia in quanto essa trovava nel trionfo del capitalismo il proprio compimento. Sotto le macerie del muro di Berlino finivano il comunismo, la storia e quella filosofia della storia che per millenni ha cercato e preteso di definire in anticipo il percorso dell’umane vicende.

Gli echi lontani delle grida di gioia che a noi giungono tenui dopo vent’anni, sembrano ancor più beffardi se ci voltiamo indietro a vedere quali di quelle promesse sono state mantenute dalla classe dominante. Un bilancio lungo vent’anni per capire se il cielo è arrivato in terra oppure di terra sono stati coperti milioni di uomini caduti sotto i colpi del cannone imperialista.

Ad appena un anno dal crollo del muro di Berlino e dai falsi proclami della classe dirigente arrivano al pettine tutta una serie di contraddizioni che determinano l’aggravarsi della crisi del terzo ciclo d’accumulazione e di conseguenza l’aprirsi di nuovi e più estesi fronti di guerra. E’ qui appena il caso di ricordare che nell’agosto del 1990 l’Iraq di Saddam Hussein, con il placet degli Stati Uniti, invade il Kuwait per accaparrarsi le risorse petrolifere e ripianare i debiti contratti a causa della guerra combattuta contro l’Iran. L’imperialismo statunitense, sotto l’egida dell’Onu, coglie l’occasione per invadere l’Iraq e gestire secondo i propri interessi il prezzo del petrolio e la rendita petrolifera. Una guerra, quella del Golfo Persico, che vede per la prima volta, durante questo secondo dopoguerra, gli Stati Uniti padroni assoluti sullo scacchiere imperialistico mondiale. Con il crollo del muro di Berlino era nel frattempo stata sepolta sotto le sue macerie anche l’Urss di Gorbaciov. Sono gli anni in cui gli Stati Uniti si presentano come l’invincibile paladino della libertà pronto a giocare su tutti i fronti del pianeta per dominare il mondo. Lo strapotere politico e militare degli Stati Uniti con il crollo del muro di Berlino è apparso ai più un fatto che doveva perpetuarsi nel tempo; in realtà le contraddizioni del processo d’accumulazione minavano anche in quel contesto le basi di quel dominio assoluto.

Terminata in pochi mesi la guerra del golfo, il mondo tira un sospiro di sollievo, ma l’ottimismo borghese lascia subito il campo alle gravissime crisi economiche che colpiscono il sistema capitalistico. Nel 1994 scoppia la crisi economica in Messico, con la svalutazione del peso e il quasi fallimento della banca centrale messicana, salvata soltanto grazie all’intervento massiccio e senza precedenti del Fondo Monetario Internazionale. Una crisi, quella messicana, che trova la propria origine negli Stati Uniti d’America ma che l’imperialismo americano è riuscito a scaricare sul resto del mondo colpendo in quel contesto il paese confinante.

Nel 1997, a cadere nel vortice della crisi, economica sono i paesi del sud est asiatico, l’anno successivo il Brasile e la Russia di Eltsin, mentre nel 2001 e l’Argentina a subire un tracollo economico i cui effetti sul piano sociale si fanno ancora sentire pesantemente.

Nello stesso periodo, parallelamente all’aggravarsi delle situazioni di crisi economiche, si accentuano le guerre imperialistiche già in corso.  La guerra in Jugoslavia, le decine di guerre dimenticate in Africa, la seconda guerra nel Golfo, la guerra in Afganistan sono la testimonianza diretta che il mondo dopo il crollo del muro di Berlino è entrato in una nuova fase, ma questa non è segnata da sviluppo pace e prosperità, ma da guerra, fame e disoccupazione di massa.

La realtà insomma ha dimostrato che il crollo del muro di Berlino non ha aperto all’umanità un mondo migliore, ma sicuramente ha segnato una svolta epocale rispetto al passato in cui il dominio del mondo era conteso dagli Stati Uniti e dall’Unione Sovietica. Insieme al muro è crollato il sistema politico e i blocchi militari che erano stati decisi a Yalta nel lontano 1945. Tra i cambiamenti più significativi determinati dal crollo del muro di Berlino vi è l’unificazione del mercato del lavoro su scala mondiale. La rottura del sistema di Yalta ha permesso al capitalismo di poter unificare il mercato del lavoro, determinando una straordinaria spinta verso il basso del costo della forza-lavoro. Il crollo del muro di Berlino ha permesso al capitalismo occidentale, quello che è uscito vincente dalla guerra fredda, di poter sfruttare milioni di proletari dei paesi della ex cortina di ferro.

Le nuove condizioni politiche creatasi in seguito al collasso dei paesi del socialismo reale e la possibilità di delocalizzare nei paesi con un costo del lavoro notevolmente più basso, grazie all’introduzione della microelettronica e dell’informatizzazione nei processi produttivi, hanno permesso al capitalismo di abbassare il costo della forza lavoro e tamponare meglio le difficoltà determinate dalle contraddizioni del processo d’accumulazione.

Sono proprio l’operare di queste contraddizioni ad aver determinato lo scoppio della più grave crisi economica che ha colpito il capitalismo su scala mondiale in questi ultimi anni. Una crisi economica epocale che dimostra che con il crollo del muro di Berlino la strada imboccata dall’umanità non è quella descritta dagli ideologi borghesi, ma è drammaticamente disseminata di cadaveri che testimoniano l’avvento di un periodo di barbarie, destinato a perdurare e peggiorare se la classe proletaria non riuscirà a porre all’ordine del giorno l’abbattimento del muro capitalistico e la realizzazione di una nuova società: il socialismo.

Lorenzo Procopio