All'ipermercato della pura forza-lavoro: corrieri in bicicletta e appendici degli automi

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Creato: 28 Luglio 2017 Ultima modifica: 04 Agosto 2017
Scritto da ML, Egidio Zaccaria Visite: 3112

fedoraNessun fantasma sembra aggirarsi per l'Europa. In compenso, sempre più forza-lavoro vi gira in bici, ma guai a dirlo in termini chiari; meglio metterla così: amanti delle passeggiate in bici, che tra una pedalata e l’altra consegnano una merce a qualche cliente.

Così i lavoratori di Foodora, app tedesca nata nel 2014, tramite la quale è possibile ordinare da alcuni ristoranti pasti a domicilio. A fare le consegne sono giovani in bicicletta, pagati 2,70€ a consegna. Non lavoratori, non fattorini, piuttosto, secondo la definizione aziendale, “un team giovane di studenti che lavora nel tempo libero, facendo sport”.Avrebbero potuto aggiungere che anche loro, i manager, cercano profitti solo per ammazzare il tempo. Che birbanti!

Scrive Marx ne Il Capitale che il «lavoro delle donne e dei fanciulli è stata la prima parola dell’uso capitalistico delle macchine» ben possono oggi essere utili anche degli studenti in bicicletta.

App: è il nome dell’interfaccia utente, per l’appunto, di macchine. “Applicazioni” per esteso, front-end di servizi, rappresentano le variante cooperativa (alcuni direbbero: “in condivisione”) dei software: permettono la connessione in tempo reale di individui di ogni parte del pianeta; agili ed essenziali, sono divenute in breve tempo parte integrante dei processi di distribuzione e vendita di merci materiali o immateriali. Il corriere in bicicletta è il terminale di smistamento, appendice lowcost della app a servizio del Capitale.

Per quanto possa impegnarsi, dalle macchine il Capitale non trarrà mai una goccia di profitto: le app si inseriscono in un sistema macchinico che ha come unico scopo il profitto, estorto con lo sfruttamento della forza-lavoro venduta da donne e uomini in carne e ossa.

New economy, gig economy, industria 4.0, non sono che varie modalità dello stesso sistema di produzione e distribuzione di merci; nulla cambia se si tratta di beni materiali o di servizi. Con sempre maggiore insistenza si tende oggi a rimuovere gli stessi termini tradizionali del rapporto lavorativo, facendo parlare anche alcuni commentatori liberali di una sorta di neolingua orwelliana, con il compito di allontanare lo spauracchio del “vecchio” lavoro salariato.

«Dietro molto di ciò che luccica di new, gig, app e start up - oggetto della venerazione beota di noi consumatori - si nasconde il mondo antico dello sfruttamento, intessuto di mestieri poco protetti e peggio pagati. Come se, invece che nel futuro, la tecnologia ci stesse riportando ai tempi di Dickens. Ora et Foodora, ecco la nuova regola ben poco benedettina: prega che ti diano un lavoretto a cottimo, mentre una minoranza sempre più esigua e famelica di trafficoni del web si arricchisce alle tue spalle, riproponendo in forme inedite l’eterno conflitto tra capitale e lavoro», ha scritto l’ottobre scorso Massimo Gramellini (La Stampa, 15 ottobre 2016).

Lo sciopero di questi proletari a due ruote dello scorso autunno ha sollevato l’attenzione su uno scenario per molti versi paradossale, eppure emblematico dello sfruttamento brutale di una forza lavoro sempre più pura e generica, utilizzabile per qualunque impiego.

In queste settimane anche il colosso dell’e-commerce, Amazon, ha iniziato la consegna di cibo fresco a domicilio. Sarà ora possibile ricevere frutta e verdura tramite la nuovaapp “Amazon Prime Now”, ogni giorno della settimana, dalle 8.00 a mezzanotte. Frutta e verdura si aggiungono a una ampia varietà di prodotti alimentari consegnati da Amazon. Il mercato è in espansione, e Amazon a livello internazionale ne sta conquistando quote crescenti. Il 16 giugno di quest’anno ha acquistato per 13,6 miliardi Whole Foods, specializzata in cibo biologico, collocandosi in nuovi mercati anche di nicchia, dove le ideologie piccolo-borghesi del green e del bio alimentano nuovi falsi bisogni. Il giro d’affari di questo settore, il “food delivery”, è in Italia attorno ai 400 milioni di euro, e dovrebbe raggiungere i 90 miliardi in tre anni (Huffpost, 10 novembre 2016).

Parlando di Amazon trattiamo di un’azienda i cui lavoratori sono ridotti nella maniera più radicale ad appendici dei robot. Un’altissima presenza di automi caratterizza ormai i magazzini statunitensi: 45.000 robot, con un aumento del 50% in un solo anno secondo “The Seattle Times”, a fronte di 230.000 lavoratori. I proletari ne seguono le indicazioni, i movimenti, i tempi, in un vero girone dantesco. “Inferno”, così d’altronde un reportage del New York Times ha presentato l’azienda.«Quando non sei in grado di dare tutto, lavorando anche 80 ore alla settimana, sei considerato un elemento debole», ha dichiarato un lavoratore (la Stampa), con i controlli che si estendono alle toilette e una vera e propria sperimentazione in corso di quale possa essere il limite alle pressioni sui lavoratori. «Ho visto tutte le persone che hanno lavorato con me piangere almeno una volta», ha detto un altro lavoratore. Ma è anche un’azienda che negli ultimi anni vede crescere gli scioperi in diversi Paesi.

La fantasiosa neolingua del tardo capitalismo decadente vuole proporre l’immagine di collaboratori sportivi e felici; ma i comunisti restituiscono al contrario la realtà di donne ed uomini che, quale che sia il loro contratto, sono puri proletari, che vendono tutto ciò che hanno: la propria forza lavoro. Con essa, il dominio sociale capitalistico vuole l’anima dei lavoratori, tutta la loro energia, dissipando ogni residuo di umanità.

Contrastare queste forme così bestiali di sfruttamento sembra molto complesso. I lavoratori sono spinti gli uni contro gli altri, sostituiti facilmente da robot, mandati in bici a fare consegne di merci nella più assoluta solitudine. Allo stesso tempo il loro lavoro è connesso come mai in precedenza nella storia del capitalismo. Sul terreno di classe possono trovare le condizioni di incontro, di lotta comune, di coordinamento. Per questo è essenziale recuperare i termini scientifici che descrivono esattamente lo sfruttamento capitalista dei lavoratori salariati. Cruciale al contempo diffonderne la consapevolezza tra i lavoratori e facilitare il riconoscimento dei loro comuni interessi attorno cui unirsi a partire dai vari contesti territoriali.

Un percorso di impegno che richiede di lavorare alla prospettiva di costruzione del partito mondiale della rivoluzione comunista, l’organizzazione di avanguardia che guidi la classe dei salariati a superare questo barbaro ordinamento sociale, in direzione di una società futura finalmente umana e libera.

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