Coscienza, struttura e violenza

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Creato: 29 Luglio 2016 Ultima modifica: 02 Ottobre 2016
Scritto da ML Visite: 2566

FrommPubblichiamo di seguito un brano tratto da Marx'sConcept of Man [La concezione dell’uomo di Marx], opera pubblicata nel 1961 da Erich Fromm. Sociologo, psicanalista, socialista umanista, Fromm contribuisce al lavoro di inquadramento teorico della questione della coscienza, valorizzando una concezione non meccanicistica del rapporto tra idee, coscienza e realtà, precisando al contempo la funzione dell’uso della forza nei processi emancipativi e di trasformazione rivoluzionaria della società. Una proposta di lettura e dibattito per una delle problematiche teoriche più scottanti per chi si pone la questione della trasformazione della società.

 

Erich Fromm. Il problema della coscienza, della struttura sociale e dell'uso della violenza

Tratto e tradotto da Marx'sConcept of Man[1]

 

Nel passo appena citato[2] [nel capitolo precedente del libro, ndr] è sollevato un problema della massima importanza, quello della coscienza umana.

L’affermazione cruciale è “Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza”[3]. Marx ha fornito la definizione più completa relativa al problema della coscienza nell’Ideologia tedesca:

 

"Il fatto è dunque il seguente: individui determinati che svolgono un'attività produttiva secondo un modo determinato entrano in questi determinati rapporti sociali e politici. In ogni singolo caso l'osservazione empirica deve mostrare empiricamente e senza alcuna mistificazione e speculazione il legame fra l'organizzazione sociale e politica e la produzione. L'organizzazione sociale e lo Stato risultano costantemente dal processo della vita di individui determinati; ma di questi individui, non quali possono apparire nella rappresentazione propria o altrui, bensì quali sono realmente, cioè come operano e producono materialmente, e dunque agiscono fra limiti, presupposti e condizioni materiali determinate e indipendenti dalla loro volontà.

La produzione delle idee, delle rappresentazioni, della coscienza, è in primo luogo direttamente intrecciata alla attività materiale e alle relazioni materiali degli uomini, linguaggio della vita reale. Le rappresentazioni e i pensieri, lo scambio spirituale degli uomini appaiono qui ancora come emanazione diretta del loro comportamento materiale. Ciò vale allo stesso modo per la produzione spirituale, quale essa si manifesta nel linguaggio della politica, delle leggi, della morale, della religione, della metafisica, ecc. di un popolo. Sono gli uomini i produttori delle loro rappresentazioni, idee, ecc., ma gli uomini reali, operanti, cosi come sono condizionati da un determinato sviluppo delle loro forze produttive e dalle relazioni che vi corrispondono fino alle loro formazioni più estese. La coscienza non può mai essere qualche cosa di diverso dall’essere cosciente, e l’essere degli uomini è il processo reale della loro vita. Se nell’intera ideologia gli uomini e i loro rapporti appaiono capovolti come in una camera oscura, questo fenomeno deriva dal processo storico della loro vita, proprio come il capovolgimento degli oggetti sulla retina deriva dal loro immediato processo fisico.”[4]

 

In primo luogo, si deve notare che Marx, come Spinoza e poi Freud, riteneva che la maggior parte di ciò che gli uomini pensano coscientemente è una coscienza "falsa", è ideologia e razionalizzazione; che le vere molle delle azioni dell’uomo sono per lui inconsapevoli.

 

Secondo Freud, sono radicate nelle tensioni libidiche dell’uomo; secondo Marx, sono radicate nell’intera organizzazione sociale dell'uomo che dirige la sua coscienza in certe direzioni e gli preclude la consapevolezza di alcuni fatti ed esperienze[5].

 

E’ importante riconoscere che questa teoria non pretende che le idee o gli ideali non siano reali o potenti. Marx parla di consapevolezza, non di ideali. E'esattamente la cecità del pensiero cosciente dell'uomo, che gli impedisce di essere consapevole dei suoi veri bisogni umani e degli ideali che in essi hanno radici. Solo se la falsa coscienza è trasformata in vera coscienza, cioè, solo se siamo consapevoli della realtà, piuttosto che distorcerla con razionalizzazioni e finzioni, possiamo anche diventare consapevoli dei nostri reali e veri bisogni umani.

 

Va anche notato che per Marx la scienza stessa e tuttele energie proprie dell’uomo sono parte delle forze produttive che interagiscono con le forze della natura. Anche per quanto riguarda l'influenza delle idee sull'evoluzione umana, Marx non era affatto ignaro del loro potere come fa sembrare l'interpretazione popolare del suo lavoro.

 

La sua argomentazione non era contro le idee, ma contro le idee che non hanno radici nella realtà umana e sociale, che non erano, per usare un termine di Hegel, "una possibilità reale". Soprattutto non ha mai dimenticato che non solo è l’ambiente [le circostanze]a fare l'uomo; è anche l’uomo che fa l’ambiente. Il brano che segue dovrebbe rendere chiaro come sia erroneo interpretare Marx come se lui, come molti filosofi dell'Illuminismo e molti sociologi di oggi, avesse dato all'uomo un ruolo passivo nel processo storico, come se lo vedesse come oggetto passivo dell’ambiente:

“La dottrina materialistica [in contrasto con la visione di Marx, nda] che gli uomini sono prodotti dell'ambiente e dell'educazione dimentica che sono proprio gli uomini che modificano l'ambiente e che l'educatore stesso deve essere educato. Essa perciò giunge necessariamente a scindere la società in due parti, una delle quali sta al di sopra della società [intera, nda].

La coincidenza nel variare dell'ambiente e dell'attività umana o auto-trasformazione può solo essere concepita e compresa razionalmente come pratica rivoluzionaria.”[6]

 

L'ultimo concetto, quello di "pratica rivoluzionaria", ci porta ad uno dei concetti più discussi della filosofia di Marx, quello di violenza [forza].

Innanzitutto va notato quanto sia singolare il fatto che le democrazie occidentali si sentanocosì indignate per una teoria che afferma che la società può essere trasformata dalla conquista violenta del potere politico.

L'idea di rivoluzione politica violenta non è affatto un'idea marxista; è stata l'idea della società borghese durante gli ultimi trecento anni. La democrazia occidentale è figlia delle grandi rivoluzioni inglese, francese e americana; la rivoluzione russa di Febbraio, 1917, e la rivoluzione tedesca del 1918 sono state calorosamente accolte dall’Occidente, nonostante il fatto che hanno usato la violenza.

 

E’ chiaro che l'indignazione contro l'uso della violenza, quale esiste oggi nel mondo occidentale, dipende da chi usa la violenza e contro chi. Ogni guerra è basata sulla violenza; anche un governo democratico si basa sul principio della violenza, che consente alla maggioranza di usare la violenza contro una minoranza, se è necessario per la continuazione dello status quo. L'indignazione contro la violenza è autentica solo da un punto di vista pacifista, che sostiene che la violenza o è assolutamente sbagliata, o che, a parte il caso della più immediata difesa, il suo utilizzo non porta ad un cambiamento in meglio.

 

Tuttavia, non è sufficiente dimostrare che l'idea di Marx di rivoluzioneviolenta (da cui ha escluso l’Inghilterra e gli Stati Uniti, come eventualità) era nella tradizione della middle-class; va sottolineato che la teoria di Marx costituiva un importante avanzamento rispetto alla visionedella middle-class, un avanzamento le cui radici affondano nella sua intera teoria della storia.

Marx vide che la violenza politica non può produrre nulla per cui non vi sia stata una preparazione nel processo sociale e politico. Quindi che la violenza, se proprio necessaria, può dare, per così dire, solo l'ultima spinta a uno sviluppo che ha virtualmente già avuto luogo, ma non può mai produrre qualcosa di veramente nuovo. "La violenza", ha detto, “è la levatrice di ogni società antica gravida di una nuova società” (Il Capitale, Libro I). E'esattamente una delle grandi intuizioni con cuiMarx trascende il tradizionale concetto della middle-class -- non credeva nel potere creativo della violenza, nell'idea che la violenza politica di per sé potrebbe creare un nuovo ordine sociale. Per questa ragione, la violenza, per Marx, potrebbe avere al massimo solo un significato transitorio, mai il ruolo di un elemento permanente nella trasformazione della società.

 

 


[1]https://www.marxists.org/archive/fromm/works/1961/man/

[2]Dal capitolo precedente di Marx'sConcept of Man: “Il risultato generale al quale arrivai e che, una volta acquisito, mi servì da filo conduttore nei miei studi, può essere brevemente formulato così: nella produzione sociale della loro esistenza, gli uomini entrano in rapporti determinati, necessari, indipendenti dalla loro volontà, in rapporti di produzione che corrispondono a un determinato grado di sviluppo delle loro forze produttive materiali. L'insieme di questi rapporti di produzione costituisce la struttura economica della società, ossia la base reale sulla quale si eleva una sovrastruttura giuridica e politica e alla quale corrispondono forme determinate della coscienza sociale. Il modo di produzione della vita materiale condiziona, in generale, il processo sociale, politico e spirituale della vita. Non è la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma è, al contrario, il loro essere sociale che determina la loro coscienza. A un dato punto del loro sviluppo, le forze produttive materiali della società entrano in contraddizione con i rapporti di produzione esistenti, cioè con i rapporti di proprietà (che ne sono soltanto l'espressione giuridica) dentro i quali tali forze per l'innanzi s'erano mosse. Questi rapporti, da forme di sviluppo delle forze produttive, si convertono in loro catene. E allora subentra un'epoca di rivoluzione sociale. Con il cambiamento della base economica si sconvolge più o meno rapidamente tutta la gigantesca sovrastruttura. Quando si studiano simili sconvolgimenti, è indispensabile distinguere sempre fra lo sconvolgimento materiale delle condizioni economiche della produzione, che può essere constatato con la precisione delle scienze naturali, e le forme giuridiche, politiche, religiose, artistiche o filosofiche, ossia le forme ideologiche che permettono agli uomini di concepire questo conflitto e di combatterlo. Come non si può giudicare un uomo dall'idea che egli ha di se stesso, così non si può giudicare una simile epoca di sconvolgimento dalla coscienza che essa ha di se stessa; occorre invece spiegare questa coscienza con le contraddizioni della vita materiale, con il conflitto esistente fra le forze produttive della società e i rapporti di produzione. Una formazione sociale non perisce finché non si siano sviluppate tutte le forze produttive a cui può dare corso; nuovi e superiori rapporti di produzione non subentrano mai, prima che siano maturate in seno alla vecchia società le condizioni materiali della loro esistenza. Ecco perché l'umanità non si propone se non quei problemi che può risolvere, perché, a considerare le cose dappresso, si trova sempre che il problema sorge solo quando le condizioni materiali della sua soluzione esistono già o almeno sono in formazione. A grandi linee, i modi di produzione asiatico, antico, feudale e borghese moderno possono essere designati come epoche che marcano il progresso della formazione economica della società. I rapporti di produzione borghese sono l'ultima forma antagonistica del processo di produzione sociale; antagonistica non nel senso di un antagonismo individuale, ma di un antagonismo che sorga dalle condizioni di vita sociali degli individui. Ma le forze produttive che si sviluppano nel seno della società borghese creano in pari tempo le condizioni materiali per la soluzione di questo antagonismo. Con questa formazione sociale si chiude dunque la preistoria della società umana”.  https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1859/criticaep/prefazione.htm

[3]https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1859/criticaep/prefazione.htm

[4]https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/capitolo_II.html

[5]Cfr. Il mioarticolo in Suzuki, Fromm, de Martino, Zen Buddhism and Psychoanalysis, Harper and Brothers, New York, 1960. Cfr. Anche l’affermazione di Marx: “Il linguaggio è antico quanto la coscienza, il linguaggio è la coscienza reale, pratica, che esiste anche per altri uomini e che dunque è la sola esistente anche per me stesso, e il linguaggio, come la coscienza, sorge soltanto dal bisogno, dalla necessità di rapporti con altri uomini. Là dove un rapporto esiste, esso esiste per me; l’animale non « ha rapporti » con alcunché e non ha affatto rapporti. Per l’animale, i suoi rapporti con altri non esistono come rapporti. La coscienza è dunque fin dall’inizio un prodotto sociale e tale resta fin tanto che in genere esistono uomini. Naturalmente, la coscienza è innanzi tutto semplice coscienza dell’ambiente sensibile immediato e del limitato legame con altre persone e cose esterne all’individuo che prende coscienza di sé; in pari tempo è coscienza della natura, che inizialmente si erge di contro agli uomini come una potenza assolutamente estranea, onnipotente e inattaccabile, verso la quale gli uomini si comportano in modo puramente animale e dalla quale si lasciano dominare come le bestie: è dunque una coscienza puramente animale della natura (religione naturale).”Ideologia tedesca, https://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1846/ideologia/capitolo_II.html

[6]Tesi su Feuerbach. Cfr. Anche la famosa lettera di Engels a Mehring (14 Luglio 1893) nella quale afferma che Marx e lui “hanno trascurato [enfatizzando lo studio degli aspetti formali della relazione tra struttura socioeconomica e ideologia] il modo in cui queste idee nascano”.